La Puglia nel Neolitico dalle Veneri di Parabita a Porto Badisco




Luciano Milo



La posizione geografica della Puglia, e del Salento in particolare, aveva fatto ritenere che nella preistoria tali contrade avessero vissuto ai margini dei centri propulsori di civiltà, assorbendo e smorzando nelle tradizioni arcaiche e nel sostanziale immobilismo culturale ogni impulso nuovo proveniente dall'esterno.
In questi ultimi decenni il moltiplicarsi degli scavi archeologici e l'accumularsi delle scoperte hanno portato a una sostanziale revisione di tale concetto: ne è emersa una Puglia che appare come un ponte gettato tra Penisola Italiana e Oriente, come un punto di transito - ma anche di arrivo - di genti e di influenze vive e vitali.


Alle soglie della storia, gli Illiri, cacciatori e allevatori indoeuropei, avevano attraversato l'Adriatico e sconfitto, sovrastato e assimilato le genti che prima di loro si erano stanziate in Puglia.
Ma chi erano queste genti?
Nel nostro viaggio a ritroso nel tempo le tappe si allungano: la storia viaggia per anni, per la protostoria le tappe sono di secoli, più indietro ancora possiamo solamente ragionare per millenni.
Diciamo dunque che ci troviamo nel Neolitico, grosso modo fra il 5° e il 3° millennio A.C., secolo più, secolo meno.
La posizione geografica della Puglia e del Salento in particolare, aveva fatto ritenere che, nella preistoria, fossero state contrade sperdute ai margini dei centri propulsori di civiltà. Si pensava trattarsi di società in cui il persistere di tradizioni arcaiche e il sostanziale immobilismo culturale assorbivano e smorzavano gli impulsi nuovi provenienti dall'esterno.
In questi ultimi decenni però, l'accumularsi delle scoperte e degli scavi archeologici, ha portato ad una sostanziale revisione di tale concetto e la Puglia si è rivelata invece addirittura un ponte gettato fra l'Italia e l'Oriente, un punto d'arrivo e di transito di genti e di influenze vive e vitali.
Ma da dove venivano questi popoli?
Ancora una volta la risposta viene dalla ceramica, questo materiale così umile ma così prezioso per l'archeologia.
In un villaggio scavato a Prato Don Michele, nelle isole Tremiti, è venuta alla luce la prima ceramica impressa che caratterizzerà l'inizio del Neolitico. La medesima ceramica è stata ritrovata, in insediamenti posteriori, negli approdi costieri della Grotta Drisiglia pressi Vieste, a Torre a Mare presso Bari e più in giù alla grotta del Guardiano presso Polignano.
Ancora una volta la penetrazione di antiche popolazioni in Puglia avviene attraverso l'Adriatico.
Una successiva ondata segue portando in Puglia genti provenienti dalla Tessaglia, come ancora è testimoniato dalla ceramica che, oltre ad essere impressa, è ora anche dipinta a fasce rosse come quella balcanica di Dimini.
Si ha così la lenta formazione di una unità culturale autonoma, con sviluppo dell'agricoltura e formazione di insediamenti stabili. Questa nuova cultura si trasformerà poi in una forza propulsiva che si svilupperà in tutta l'Italia Meridionale per incontrarsi poi e scontrarsi e fondersi con altri influssi provenienti da direzioni diverse e dare così origine a quella civiltà agricola e matriarcale che ha caratterizzato il neolitico italiano fino all'arrivo degli Indoeuropei.
Nel IV Millennio la Puglia era quindi popolata da genti che praticavano ancora la caccia e la raccolta ma avevano anche iniziato la coltivazione dei campi, che porta all'abbandono del nomadismo e alla costruzione di abitazioni non precarie.
Appartengono, infatti, a questo periodo i primi villaggi fortificati, circondati da due o più trincee o recinzioni in pietrame, più o meno circolari e concentriche, in cui la più interna racchiude i resti di capanne mentre le altre potrebbero essere servite a proteggere il bestiame o a coltivare i prodotti essenziali.
Le necropoli sono caratterizzate da sepolture di inumati, coricati sul fianco sinistro e con le gambe rannicchiate.
Armi e utensili sono in selce finemente lavorata e rifinita o in pietra verde levigata. Veniva anche lavorata la delicata ossidiana, il taglientissimo vetro vulcanico che fece la fortuna di Lipari.
La ceramica era lavorata a mano e incisa prima della cottura servendosi di conchiglie, stecche, canne, con motivi a serie di punte, a denti di lupo o a cerchi concentrici. In seguito all'incisione si aggiunse la pittura, prima monocroma, poi, scomparsa l'incisione furono aggiunti altri due colori, si sviluppò la decorazione e si giunse infine all'affermazione di uno stile originale caratteristico delle Puglia, denominato "stile della Scaloria", dalla Grotta presso Manfredonia dove fu identificato per la prima volta.
Lo stile della Scaloria, con la sua diffusione in tutta l'area pugliese, ma solo su questa, ci presenta per la prima volta la Puglia come sede di una facies culturale autonoma ed unitaria. Dallo stile di Scaloria si sviluppa quello di Serra Alto la cui mirabile fioritura e la grandiosa espansione mostrano nell'unità culturale pugliese il centro propulsore di un processo assai più vasto di sviluppo che si diffonderà in Campania, in Calabria, a Lipari, in Sicilia e fino a Malta e verso il Nord, attraverso l'Abruzzo e il Lazio, fino in Toscana.
Siamo alla fine del IV Millennio A.C. e la civiltà neolitica pugliese è nel pieno del suo sviluppo.
La diffusione della ceramica di Serra Alto testimonia l'ampiezza dell'influenza pugliese, la sua quantità e varietà di forme e di ornato di fanno vedere quanto sia ricca ed evoluta questa civiltà.
A complemento di quanto ci ha rivelato la ceramica, una recente scoperta conferma l'importanza della Puglia nell'epoca neolitica.
Un gruppo di speleologi dilettanti seguendo una vipera infilatasi in un cunicolo (realtà o favola che sia) ha scoperto, in un complesso di grotte a Porto Badisco, quello che si è rivelato il più importante insieme di opere d'arte neolitica dell'intera Europa.
L'arte paleolitica aveva espresso tra il XII e l'VIII millennio A.C., con immagini di un naturalismo incredibile, la vita di una società dedita ancora esclusivamente alla caccia. Di tale epoca sono giustamente famose le pitture delle grotte di Lascaux e di Altamira nei Pirenei. In Italia tale arte, giustamente denominata franco-cantabrica, è rappresentata dalla bellissima immagine di un toro, venuta alla luce nel Riparo del Romito, sotto una sporgenza rocciosa nel paesino calabrese di Papasidero, e alle figure di cavalli nella grotta Paglicci nel Gargano.
Il reperto più antico che si possa invece collegare ancora con il neolitico è forse quello rinvenuto nel Salento, nella grotta delle Veneri di Parabita.
Due statuette femminili, scolpite a tutto tondo su osso, databili intorno al VII Millennio A.C., in cui è evidenziata con grande realismo la figura della donna prossima al parto, anticipando il culto della Gran Madre che caratterizzerà la civiltà agricola delle popolazioni neolitiche.
Tornando a Porto Badisco, assistiamo ad una evoluzione dell'arte dal realismo delle epoche precedenti ad una astrazione e ad un simbolismo descrittivo che sembrano quasi voler preludere al racconto, al "fumetto", al pittogramma.
Sono forse, in fondo, e mi si perdoni l'idea forse un po' audace, quasi un prologo alla scrittura.
Coesiste nelle immagini una rappresentazione scarna, essenziale ma non priva di movimento, delle figure umane e animali ed insieme altre raffigurazioni: geometriche, intricate, complesse, la cui interpretazione è certamente per noi impossibile.
Come non pensare ai racconti, dipinti su pelli di animali, del pellerossa, che servivano di traccia, di memoria per tramandare il racconto di viaggi, di cacce, di guerre?
Se pure a millenni di distanza il livello culturale è il medesimo, perché non pensare che possa essere uguale anche lo scopo?
Le figure geometriche: quadrati, spirali, zig-zag, serpentine, si compongono in grovigli che a prima vista sembrano inestricabili, senza senso.
Un attento esame consente tuttavia di mettere in evidenza come talune figure siano il risultato di una schematizzazione estrema. Così il Graziani ha osservato che alcune "croci di Malta" possono derivare dalla metamorfosi di quattro figure umane affrontate.
Gli artisti di Porto Badisco non esprimono quindi probabilmente solo la realtà che li circonda, ma forse cercano di fissare con la pittura concetti sovrumani con segni simbolici, forse vogliono rappresentare esseri superiori che controllano le manifestazioni umane o descrivere con l'inoltrarsi dei cunicoli nella terra il motivo della discesa agli inferi, sempre ricorrente negli antichi miti.
Certo è che la scoperta di Porto Badisco ha aperto un nuovo campo di indagine e di speculazione e che forse in futuro la comparazione con analoghe rappresentazioni di pari livello culturale potrà portarci a dare un senso a queste raffigurazioni.
Concludendo abbiamo visto come la Puglia abbia attivamente partecipato nel Neolitico, come in altri cicli storici, a coagulare influenze esterne, innovazioni tecniche ed ideologiche fino a farne un modulo di sviluppo di una civiltà autonoma.
Prima che si apra un nuovo ciclo che vedrà la Puglia protesa ai nascenti traffici marittimi con l'Oriente mediterraneo, occorre che il vecchio ciclo si concluda.
La civiltà di Serra d'Alto e di Porto Badisco confluisce con quella, proveniente dalla Sicilia e detta di Diana.
Insieme si contrappongono all'altra unità culturale che si era nel frattempo formata al Centro ed al Nord della Penisola e fra questi due mondi ha luogo un'osmosi che dà origine ad una nuova civiltà.
Ricomincia così il ciclo che ha caratterizzato e caratterizza il cammino della civiltà dell'uomo.


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