§ SPELEOLOGIA SALENTINA

L'esplorazione del "Cocito"




Romana Turchini



La Grotta Zinzulusa è ritenuta, e a ragione, una delle più interessanti della penisola italiana. Ma sebbene spettacolare, con la sua immensa apertura al cospetto del mare, in un gioco stupendo di strapiombi, e sebbene oggetto di visite non approfondite del Monticelli (nel 1897) e del De Giorgi (nel 1874), solo a partire dal 1923 fú oggetto di ricognizioni con intenti scientifici. E furono riferiti i risultati da Bottazzi, da Stasi e da De Lorentiis, "in una relazione che presenta una schematica pianimetria, l'unica fino a poco fa pubblicata". Alcuni biologi ripresero in varie epoche le ricerche e le indagini, anche con ripetute ricognizioni. Comunque, non si completò né si perfezionò la conoscenza di quello che era considerato un puro e semplice "sifone", il bacino idrico allungato: il Cocito.
Eminenti studiosi, dal Pellegrino al Ruffo, al Moscardino, visitarono la grotta. Poi, il primo tentativo di svelare i segreti del lago della Zinzulusa: lo compì l'Anelli: nel febbraio del 1957, infatti, ci fu la prima immersione: G. Costantino, del gruppo Snai del Dipartimento marittimo di Taranto, percorse quindici metri sotto il pelo dell'acqua. Ma non riuscì a chiarire il mistero del sifone. Doveva trascorrere altro tempo, prima che nascesse la "Sezione speleologica Leccese", che aveva il compito di stimolare le iniziative, collaborando con il Gruppo Speleologico Salentino, di Maglie. Narra Pietro Parenzan: "Il Comiliter di Napoli, con un fonogramma, dispose acché dalla Sezione Artiglieria di Taranto venisse messo a disposizione un automezzo per il trasporto di persone e materiali. A Lecce si unì, con una macchina, Moscardino, e a Maglie il gruppo si completò con i membri di quel gruppo speleologico. I partecipanti, al completo, quindici, oltre allo scrivente ...".
Parenzan, dunque, insieme con Moscardino e con De Lorentiis, e, fra gli altri, Cosma, Sammartino, Congedo, Ciocca, Bortone, Starace, Sticchi. Sul posto si aggregarono Alvino, Ferrari e la signorina Mirella Caporaletti, che in loco stava completando la tesi di laurea sul fenomeno carsico nel Salento. Scrive Parenzan: "Si provvide alla partecipazione di un fotografo di professione, prelevato a Diso, il quale peraltro sbagliò i tempi fra il flash e lo scatto ... privando la ricognizione di una interessante documentazione."
L'esplorazione del Cocito avvenne il 25 luglio 1957, dopo una ricognizione generale compiuta alla fine del mese di febbraio, e grazie alla quale si era ottenuto un preciso rilevamento pianimetrico.
Vale la pena di riportare una lunga citazione, perché Parenzan riferisce con apparente distacco, ma in realtà con grande trepidazione, le diverse fasi esplorative. L'autocontrollo dell'uomo di scienza fuso con l'emozione che certo non mancò in questo tentativo, fortunato, com'egli stesso lo definisce. Scrive Parenzan: "L'esplorazione subacquea del 25 luglio 1957 ebbe inizio alle ore 10 e finì alle ore 16. Giunti al Cocito, mentre i sommozzatori si preparavano, furono eseguite ricerche biologiche col retino planctonico. Una Typhlocaris salentina di 5 cm. è stata catturata da un sommozzatore con le mani ed una è stata vista nella sala sommersa occidentale. La prima coppia di sommozzatori, formata da Cosma e Congedo, dopo i preliminari, alle ore 11 precise si immerse. Dopo aver aggiustato la zavorra, iniziò la ricognizione, lentamente. Uno dietro l'altro, tuffandosi, infilarono il cunicolo sommerso, trascinandosi dietro una lampada stagna ed una sagola di sicurezza metrata. Dalla riva del Cocito si filava il cavo elettrico e la sagola, tenendo sempre sotto controllo i sommozzatori. Il gruppo elettrogeno e le lampade stagne erano state fornite dal Comando del Vigili del Fuoco di Lecce".
Sono state prese, ovviamente, alcune precauzioni: un altro sommozzatore, pronto ad ogni evenienza, girava immerso nel Cocito, scrutando nel cunicolo, che si dirigeva in direzione nord - sud. Parenzan e De Lorentiis erano sistemati sulla cengia orientale del laghetto, ricevevano le segnalazioni, disegnando uno schizzo del percorso, con le varie caratteristiche rilevate: "Una galleria stretta, inizialmente larga circa un metro, che si allarga fino a due metri o poco più, inizia all'estremità meridionale del laghetto, si estende per una quindicina di metri e si apre poi ampliandosi in due caverne completamente sommerse. La galleria ha la sezione a campana, molto stretta superiormente ed è alta inizialmente un paio di metri; scende poi bruscamente a profondità di circa quattro metri ... ".
Al quindicesimo metro, su per giù, il fondo scende rapidamente di ben sette-otto metri in direzione sud-est, allargandosi in una caverna ampia da quindici a diciassette metri. All'inizio di questa caverna si innalza una colonna stalagmitica "della grossezza di un uomo", alta circa sei metri, poco lontana dalla parete rocciosa. In direzione sud-ovest, invece, si apre una seconda sala, lievemente lobata, senza sprofondamento. Parete e volta di questa caverna sono sporche di guano e la temperatura è all'incirca la stessa del Cocito. Mentre "sul fondo della caverna orientale, dove sono state viste due anguille di una quarantina di centimetri, l'acqua limpida risulta molto più fredda ed il fondo è ricoperto di un deposito morbido, fioccoso, di guano, che si solleva al minimo movimento dell'acqua. Tutto lascia supporre che da qui, in determinati momenti, affiori con maggiore o minore violenza l'acqua. È ovvio che il fondo di questa sala costituisce lo sfioratore attraverso il quale l'acqua periodicamente sale, rigurgita, elevando il livello del Cocito di circa mezzo metro e attraversando il quale più o meno rapidamente si ritira, mantenendo l'attuale livello medio del Cocito".
Il primo paio di sommozzatori si avvicenda il secondo, che era formato da Sammartino e Ciocca. Ma questi trovarono le acque torbide per i movimenti, i passaggi e gli spostamenti della prima coppia. Tuttavia, come riferisce Parenzan, "si poté disegnare la planimetria e la sezione della parte sommersa della grotta e concludere che il Cocito non termina con un sifone che consente di riemergere in vani al di sopra del pelo d'acqua, ma con una regolare galleria sommersa, la cui volta corrisponde, con lievi varianti, al livello medio del Cocito stesso; galleria che porta a due ampie caverne a pareti a volte chiuse, sempre completamente sommerse. Ovviamente, la penetrazione dell'acqua dal fondo della sala orientale, può avvenire attraverso fessurazioni o polle inaccessibili all'uomo, che al risucchio e quando sono inattive, restano occultate dal deposito guanifero e detritico".
Parenzan, che si dilunga sulla descrizione degli elementi biologici emersi durante le ricognizioni (reperti che, con i preliminari dell'esplorazione, erano subito passati da 37 a 49 specie), conclude poi con una serie di considerazioni, conseguenti ai lavori compiuti per rendere la grotta stessa accessibile a tutti:
1) Nell'area del vestibolo, dove esisteva la sede di un giacimento preistorico scoperto nel 1904 da Paolo Emilio Stasi, non ci sono più che limitatissimi residui degli antichi depositi, la cui demolizione venne completata con la "ripulitura" effettuata nel 1956; 2) i materiali di risulta di quella pulitura, senza cernita o vagliatura, finirono in buona parte in mare, e in parte furono utilizzati per il livellamento dell'area coperta della passerella di calcestruzzo; solo una parte modesta fu salvata grazie all'intervento del professor Decio De Lorentiis;
3) tali materiali di risulta residui vennero accumulati sul lato destro di chi entra nel vestibolo, mentre "altri visibili sul pendio dell'antro", dove in parte sommersi;
4) vagliato questo materiale sconvolto e mescolato "sono stati rinvenuti molti frammenti di ceramica d'impasto, nera lucida o rossastra, lisciata e ingubbiata, e di ceramica grigia o gialliccia, ben depurata, ornata da dipinti a fasce rosse o bruno scuro, con elementi geometrici a triangoli, losanghe e fasce di linee parallele, lisciatoi e punteruoli di osso, un'accetta votiva ed uno scalpello di ofiolite levigata, grani di collana o pesi da rete, semi di grano carbonizzati e manufatti di selce e di ossidiana, fra cui alcuni cuspidi di freccia ad alette.
Assieme a questi materiali, riferibili in complesso all'eneolitico, sono stati rinvenuti più rari manufatti di tipologia più arcaica, alcuni attribuiti al paleolitico superiore, fra cui un microbulino, bulini, lamette con il dorso abbattuto, grattatoi su estremità di lama, ecc.".
Si giustifica, in questo modo, l'ipotesi del Blanc, secondo cui i frequentatori dell'Età dei Metalli vi si fossero insediati su un sedimento di modesto spessore, di età pleistocenica, su per giù coevo della terra bruna della parte superiore del riempimento di un'altra celebre grotta salentina la Grotta Romanelli.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000