§ ITINERARI

Scoprire il Salento




L. T.



Prima di lui erano venuti in tanti, da Orazio al Gregorovius; e tutti ne avevano parlato, per gli itinerari inconsueti. Come non ricordare la sete oraziana, appunto; o la ricerca delle memorie sveve del polacco-prussiano; o i viaggi nella terra delle Due Sicilie di Swinburne, e quelli di Lenormant? Ma fu lui Paul Schubring, il primo a capire il paesaggio. Scrisse sulla "Frankfurter Zeitung": "Si crede generalmente che la Puglia sia un deserto monotono, un paese privo di attrattive speciali e proprie della regione italiana ... ". Niente di tutto questo. Anzi: "L'immenso piano della campagna, leggermente ondulata, il mare così maestoso, il cielo così infinito e sereno costituiscono una trinità grandiosa e singolare".
Occorre percorrere l'intera regione per entrare nel Salento. Ed è un lungo viaggio, che attraversa il gotico marittimo e quello interno, Alberobello e la Valle d'Itria, una specie di Cappadocia in miniatura, ma non naturale, bensì realizzata dall'uomo, dalle sue mani pazienti, prima di varcare la "frontiera" salentina. E, una volta giunti, quella "trinità grandiosa e singolare" si trasforma a misura d'uomo. Non più le grandi città-dormitorio, gli immensi borghi contadini del centro e del nord della regione. Ma paesi diversi, un'aria diversa. A Martin Shaw Briggs, che la visitò all'inizio del'900, Gallipoli, per esempio, apparve come la "Gibilterra della Puglia", sebbene diverse conquiste avessero da tempo attenuato il suo aspetto di imprendibile roccaforte. E un altro viaggiatore non occasionale, Giuseppe Bozzini, affermò: "I miraggi vengono davvero quando si scende (da Gallipoli) all'estremità del "tacco" d'Italia, questo gran finale della penisola in un paesaggio tutto luce, una luce d'Oriente, proprio come c'è Oriente nel blu del mare, nelle piccole case bianche a dado, nell'aspra terra senza tenerezza di verde, nel vento che parla greco e arabo, nella povera gente chiusa e rada ... "
Ancora uno "scorridore" di terre meridionali, Francesco Rosso, sugli "interni" salentini. Scrive: "Oltre Otranto la costa dilaga in onde pietrificate di basse, aspre scogliere brulle e spoglie da cui spuntano come tumefazioni, le inutili torri di scolta e difesa contro gli attacchi pirateschi... Otranto ha mille e un argomento per competere con altre città marittime non sul piano del traffici, ma con la leggiadria della sua urbanistica, la sua bellissima spiaggia e la nave traghetto che d'estate trasporta i turisti motorizzati a Patrasso".
Torniamo a Briggs. Soleto, con le sue stradine, gli si presentò come "un mucchio dì piccole case bianche dai piccoli tetti bassi intorno al grande e magnifico campanile". Galatina, invece, gli offrì lo spettacolo della stazione ferroviaria "circondata da una folla di grandi depositi di vino e di olio, in continuo aumento. Questi grandi stabilimenti somiglianti ad immensi blocchi senza vie intermedie, danno un'idea di alcuni luoghi d'America piuttosto che di Terra d'Otranto. Lo spazio che divide la parte industriale dalla parte vecchia della città è circondato da alberi, quasi come un tentativo poco riuscito di una Garden City. Evidentemente Galatina è una di quelle città ove il nuovo spirito d'Italia soverchia le vecchie tradizioni".
Lecce, la capitale del Salento. Per il temperamento dei suoi abitanti, acutissime le osservazioni di Tommaso Fiore: "Qualunque teoria, qualunque idea si può venire ad esporla quaggiù sicuri di trovare un pubblico desideroso d'informarsi, che ascolta sempre con perfetto senso delle convenienze, e discute anche, eccome! Così avviene che, da secoli, si aggira rasente Piazza Sant'Oronzo, per Via degli Scarpari e alle Quattro Spezierie, dove si tagliano Via dei Tribunali e Via dei Teatini, una folla sorridente, sicura di sé, complimentosa, di uomini di studio, di foro e di mondo, in cui è diffuso uno spirito ipercritico, in cui ogni individuo si sforza di dominare e di distruggere l'avversario, e una frase spigliata, un motto arguto valgono più di una bella opera, e chi ha ingegno da vendere lo spende volentieri".
Anche Guido Piovene, più tardi, constatò che in questa città "nei ceti alti e dirigenti, una questione di cultura interessa di più che una questione economica".
Geniale pellegrino di Puglia, Cesare Brandi si soffermò lungo la costa adriatica forse più a lungo, o più volentieri, che su quella ionica. Dice di Castro e del suo incanto, o meglio, della sua bellezza, "che è terra terra", concreta in tutto, e il panorama si vede perché il paese sta in alto, non perché sia stato costruito il belvedere con le panchine: e il porticciolo, quello più piccolo, non ha neppure un molo, "ma solo degli enormi, stupendi massi naturali, entro cui le barche si muovono scodinzolando come anatre". Ma l'acqua, "l'acqua aveva dei riflessi verdi come i bronzi delle nostre piazze (e penso, naturalmente, a quelli di piazza della Signoria). Poc'acqua, e di quel verde, che quasi era bronzo: e fra quei massi, che parevano lentamente arrotondati, consunti, dal* piedi degli uomini, dai fianchi delle barche, dal dorso delle ondine ... "
Ma Castro non è tutta qui. "Da un arco scavato nella roccia si passava all'altro porto, di lì si vedeva la costa sassosa, convulsa e ordinatissima", la costa che poi porta a Santa Cesarea terme, e che ha delle tappe meravigliose: grotte a non finire. La Zinzulusa, "che sarebbe come dire la sbrindellata", si trova poco lontana. Non assomiglia alle solite grotte "più o meno azzurre che, ad imitazione di quella di Capri, ogni costa da turismo tenta di ammannire al forestiero". Si tratta invece, annota Brandi, "di un boccaporto immenso, altissimo sul mare, tutto sgocciolato di stalattiti, come una volta araba: andando dentro ci sono altre meraviglie, ma quella davvero inusitata resta l'ingresso, perché così aperto, accogliente, innocuo e terrificante, non ha paragoni". E al di sopra della grotta è la battaglia dei sassi: "Per sassosa che sia la Puglia, mai da nessuna parte ce n'è tanti". E i contadini, pazientissimi, ne hanno fatto una selva di muretti, di contrafforti, di pagliare, per farci nascere appena un ficodindia, un carrubo. Non più di questo. "Ma una tale deserta Tebaide di alberi in solitudine entro un recinto di sassi, è anch'essa incomparabile".
Poi ci sono le stazioni paleolitiche, la Grotta Romanelli, quella delle Streghe, e così via. "Se allora mettete tutto questo in conto al mare, che è già lo Jonio, anche se ci sfocia l'Adriatico, potete immaginare di che tono, di che profondità è quell'azzurro su fondo rossastro: il mare di Ulisse".
L'Adriatico riesce a dare allo Jonio i riflessi interni delle alghe, e si trascina ostinatamente fino a Santa Maria di Leuca. "E' là che si vede dall'alto, a destra se il tempo è calmo, come una lunga cicatrice nel mare: rimane immobile, come quando si riempie una fossa, che la terra non ci rientra e fa la gobba. E invece è liquida: è l'acqua stessa del mare, o meglio dei mari che si congiungono; e sembra una mitologia. Ma è proprio vero, e ognuno se ne può rendere conto, portandosi su quell'estrema punta: vedrà l'unione tenace dei due mari, che si stringono e che nessuna forza al mondo può separare". Un miracolo, dunque. Che non si ripete altrove nel mondo.

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