Su un dato sono
tutti d'accordo: la politica di intervento nel Mezzogiorno deve mutare
radicalmente. Questa, l'affermazione di principio. Ma come voltare pagina?
Con quali nuovi obiettivi? Sulla base di quale giudizio sulla trascorsa
politica di intervento straordinario, e per quale nuova prospettiva?
Questi interrogativi hanno risposte diverse non sempre convergenti,
qualche volta anche contrapposte. I dati socio-politici si intrecciano
con quelli più squisitamente economici.
Un fatto è comunque incontrovertibile: il 31 dicembre 1980 scade
la legge 183 che ha rifinanziato la Cassa per il Mezzogiorno, struttura
portante dagli anni '50 ai nostri giorni della politica d'intervento
per il Sud. La proroga pura e semplice di questo Istituto - dicono tutti
- è impensabile. Ma come trasformarlo? In che modo? Quali sono
le nuove idee per gli anni '80?
Senza alcun dubbio, il Mezzogiorno è cambiato negli ultimi trent'anni.
Ha mutato contorni e natura, così come nel suo insieme oggi l'Italia
è diversa dal passato. Si sente che si è chiuso un ciclo.
Il boom produttivo che ha caratterizzato il 1979 ha dato un ulteriore
contributo al cambiamento del Sud. La crescita è stata in gran
parte sorretta da quell'"economia sommersa" che allo stato
attuale è presente anche nelle regioni meridionali e che, venendo
poco alla volta in superficie, dà vita a nuovi poli di sviluppo,
ad aree di espansione che possono essere paragonate a quelle delle regioni
settentrionali. Calcoli della Svimez (contenuti nell'ultimo rapporto
di Saraceno), indicano che l'economia sommersa darebbe lavoro nel Mezzogiorno
a oltre un milione di addetti. Questa economia, pure attraverso forme
spesso distorte e condannabili, tuttavia rappresenta un altro aspetto
della "contraddizione meridionale": se da un lato concorre
a risolvere tensioni e a soddisfare bisogni, dall'altro invita a una
"fuga dalla politica e dalla socialità". E in particolare,
ragionando in termini puramente economici, mette in crisi la politica
meridionalistica, che per anni ha fatto propria la convinzione della
"sterilità imprenditoriale" del Sud.
Ecco alcuni dati interessanti. Nel periodo 1970 - 1980 si è avuto
un incremento di nuove minori unità produttive del 52% nell'Italia
settentrionale, dell'88% nell'Italia centrale e del 105% nel Mezzogiorno.
Dopo il 1975 il baricentro di formazione di nuove iniziative produttive
di dimensione piccola e media si è nettamente spostato verso
il Sud. Peraltro, questa diffusione non è "omogenea":
a zone di persistente arretratezza (soprattutto la Calabria) si contrappongono
aree di crescita diffusa, come lungo la fascia adriatica (con singolari
e significativi rapporti di continuità, ma anche di rottura con
il modello emiliano-marchigiano).
Prendono avvio da questi dati di fatto i discorsi sul futuro del Sud,
sul cambiamento che occorre operare nei metodi, nella gestione del potere,
e quindi negli strumenti da impiegare. Tenendo conto che nel frattempo
lo Stato si è articolato in Regioni. Le quali rivendicano un
ruolo e una funzione. Giuseppe De Rita, dal l'osservatorio del Censis,
sottolinea che occorre capovolgere l'impostazione che è stata
seguita fino a questo momento: trasformare in termini politici il Sud
da "oggetto" a "soggetto" del proprio futuro. E
aggiunge: "E' quindi ormai maturo il passaggio da una politica
meridionalistica ad un meridionalismo politico, cioè ad un nuovo
sviluppo responsabile dei vari soggetti culturali e sociali che vivono
nel Mezzogiorno".
L'impostazione ci sembra importante. il Mezzogiorno assistenziale deve
finire (come è già finito in alcune aree). Un'azione politica
e di governo per gli anni '80 deve porsi un obiettivo semplice (ma anche
ambizioso per la realtà italiana dei nostri giorni): quello di
creare le condizioni oggettive perché le attività produttive
possano sorgere con le proprie forze, creando in via autonoma moderne
e moltiplicatrici occasioni di lavoro.
In altri termini: le regioni meridionali, ne oro insieme, non sono più
un'area arretrata, così come è stato visto (e in realtà
era) negli anni '50. La dinamica sociale ed economica ha coinvolto anche
il Mezzogiorno nel più recente periodo. Ed essa crea opportunità
e spazi per l'iniziativa dei vari soggetti operanti nelle singole Regioni.
Il futuro del Sud ha bisogno ancora del "soggetto Stato",
nessuno lo nega. Ma ancor più richiede e coinvolge la presenza
e l'iniziativa degli operatori (amministrativi, sindacali, imprenditoriali,
e via dicendo).
Proprio sulla base di queste considerazioni, esperti degli Istituti
Pastore, Censis, Finam e Cassa per il Mezzogiorno hanno elaborato un
progetto di trasformazione della Cassa. Questa andrebbe trasformata
in una Banca di sviluppo (la "Banca di sviluppo del Mezzogiorno",
secondo il nome che compare nel documento), e dovrebbe coordinare l'attività
promozionale degli enti collegati, gestendo una "presenza attiva"
dei fondi di dotazione degli Enti meridionali di medio credito e svolgendo
le funzioni di Agenzia governativa per le provvidenze della Comunità
Economica Europea. In sostanza, si tratta di dar vita a una struttura
di raccordo fra mercato finanziario internazionale ed europeo e gli
imprenditori-investitori nel Sud. Cadono così gli interventi
generici; ogni nuova iniziativa dovrà essere valutata con analisi
dei costibenefici. Dall'assistenzialismo al conto economico, con una
Banca di sviluppo che gestisca la disponibilità finanziaria che
lo Stato mette a disposizione del Sud. Non dovrà solo essere
ricettiva delle domande che provengono dall'esterno, ma anche promotrice
e organizzatrice di domande. Le disponibilità? Saranno quantificate
al momento opportuno. Come per la Cassa, non meno di tremila miliardi
all'anno. Con la legge 183, nel triennio '77-79 la Cassa ha messo in
moto globalmente 18 mila miliardi di lire. Insomma, si vuole trasformare
la Cassa, tenendo d'occhio l'attività (e la funzionalità)
della Birs o della Bei. Il discorso sugli anni '80 delle regioni meridionali
va riconsiderato radicalmente e globalmente, senza astratti giochi di
potere locale o nazionale. Il dibattito è aperto.
LA MAPPA DEGLI INVESTIMENTI
LE CIFRE IN CHIARO
Questi i conti degli
strumenti di intervento straordinario nel Sud. Per la sola Cassa per
il Mezzogiorno si è passati da 3.850 miliardi nel '77 a 3.460
nel '78 e a 3.670 nel '79. L'anno scorso, in particolare, 1.960 miliardi
sono andati a progetti speciali di intervento, 940 all'industria sotto
forma di infrastrutture e di incentivi, 640 ad attività regionali.
In altri termini, è stato fatto un grosso sforzo per accelerare
la spesa, che negli ultimi quattro anni risulta accresciuta per le opere
pubbliche dell'83 per cento.
Vediamo in particolare gli incentivi all'industria. Risultano approvate
complessivamente nei tre anni considerati ('77 -'79) circa 7.200 pratiche
riguardanti domande di incentivi comportanti investimenti per 5.300
miliardi. Di questi, 1.500 miliardi sono andati a contributi in conto
capitale e 1.120 a contributi in conto interessi. I posti di lavoro
creati sono stati oltre 160.000. In istruttoria rimangono ancora circa
1.200 domande che dovrebbero essere evase entro l'anno corrente.
Attività degli Enti collegati. La finanziaria Insud negli ultimi
due anni ha dato vita, in compartecipazione con imprenditori privati,
a 15 nuove iniziative industriali per oltre 60 miliardi e un'occupazione
di 1.100 addetti. Per l'80 si conta di vararne altre dieci, con un'occupazione
addizionale di 900 unità. Il programma quinquennale della finanziaria
nei tre settori (manifatturiero, turistico e della forestazione) prevede
infine un volume di investimenti pari a 16 mila miliardi con la creazione
di 11 mila posti.
La Fime ha deliberato finora 36 iniziative per 92 miliardi di investimenti
e 2.200 occupati. Importante anche l'attività dello lasm: nel
'79 i casi di consulenza prestati a industriali meridionali sono stati
1.344, di cui 133 relativi alla creazione di nuovi impianti e 582 di
aiuto alla "commercializzazione" dei prodotti di piccole e
medie imprese nel Mezzogiorno.

L'impegno che si propone l'Efim nell'industria manifatturiera è
di sviluppare, in condizioni di economicità, la base produttiva
soprattutto nel Sud. L'Efim ha richiesto per il quinquennio '79-'83
novecento miliardi di lire. Di questi, 780 miliardi destinati al finanziamento
degli investimenti. La loro erogazione consentirà di raggiungere
e mantenere una situazione economica positiva e di avere, al termine
del quinquennio, una struttura finanziaria equilibrata, che prevede
una copertura dei fabbisogni con il 35,6% di mezzi propri e un rapporto
mezzi propri-indebitamento di oltre il 55%. I rimanenti 120 miliardi
serviranno alla ricapitalizzazione delle aziende, nonché alla
copertura degli oneri pregressi che si sono manifestati nel '79 a carico
dei settori cantieristico e dell'alluminio.
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