Si celebrano - e
non da molto: dopo un più meditato giudizio critico - i fasti del
barocco "leccese", della capitale del Salento, con Santa Croce
in cima agli interessi degli studiosi. L'altro barocco, quello "minore"
del Salento, ancora oggi non è stato "riletto" accuratamente,
sebbene in più occasioni se ne sia ribadito il senso aristocratico,
quando esso non sia degenerato (ma è accaduto in pochissimi casi)
nel barocco spurio. Si pensi, ad esempio, a Francavilla e a Martina Franca;
ma anche a Nardò, a Cavailino, a Strudà, ad altri centri
della penisola pugliese. Dovunque, è stato notato, le dimensioni
dell'edificio principale sono aumentate rispetto a quelle immediatamente
precedenti nel tempo; mai, in altre parole, come nel Sei e nel Settecento,
le facciate sono state tanto estese:
"Eppure, in
tale abbondante intavolatura architettonica, nessun architetto pensò
mai di profondere l'ornato: soltanto al centro si aprirono sobrie logge
monofore o a tre archi, un contenuto balcone, un semplice portale".
Vennero accresciute,
dunque le dimensioni, e nello stesso tempo si limitò, o addirittura
si cancellò la decorazione. E tutto questo, senza cadere in contraddizione
con i principi dell'arte barocca. In tal modo, "attraverso la fantasia,
il Salento ritrovò la leggiadria degli elementi singoli",
come quegli splendidi balconi in ferro battuto, opera di artisti artigiani
locali: balconi panciuti, eppure tanto leggeri e quasi librati nell'aria,
che ornano i palazzi delle medie e piccole città salentine, frutto
di un'architettura squisita, elegantemente lontana da tutte le tentazioni
della preponderanza barocca, e schiva, ignara - in pieno secolo decimottavo
- di qualsiasi suggestione neoclassica.
Una particolare signorilità, poi, assume lo stesso clima architettonico
"laico", o "moderato", quando - frequentissimamente
- interviene negli edifici religiosi. E' stato osservato che "anche
in questo caso si trova concentrata la decorazione attorno alle parti
salienti, lasciando il resto nella più composta nudità".
Per esempio, è molto diffuso il tipo di portale, per lo più
con il timpano e con gli stipiti molto marcati, strettamente fiancheggiato
da due nicchie con statue. Il complesso forma un singolarissimo "trittico"
architettonico, sullo sfondo levigato della facciata. Assai di frequente
il portale si arricchisce di colonne, anche tortili, come nella Chiesa
di Santa Maria delle Grazie, a Maglie; ma, "non si diluisce nella
falsa ricchezza della facciata, poniamo, del duomo di Gallipoli".
La concentrazione dei motivi ornamentali-pittorici attorno a pochi elementi
è diffusa: dalla chiesa di San Pietro, in Galatina, a quella
di Santa Maria del Foggiaro, in Tricase; e culmina, si può dire,
nella facciata del duomo di Otranto, dove il fastoso portale stabilisce
"un sorprendente ma compiuto accordo con gli archi inflessi, di
ascendenza ben lontana, del rosone". Tipici, inoltre, i portali
che hanno il più noto esempio nel San Marco di Lecce: il portale
vero e proprio ha, sovrapposta, una lunetta, tanto che l'insieme si
direbbe rinascimentale; ed esempi del genere si riscontrano altrove,
dalla cattadrale di Manduria alla chiesa matrice di Corigliano d'Otranto,
fino a monumenti di terre remote dalla penisola salentina: nell'eclettico
portale di Santa Maria del Mare, nelle isole Tremiti.
Tuttavia, l'aspetto più originale del barocco minore è
quello di un'architettura che si fonde con l'ambiente: con le strade,
con le piazze, con le case, con la luce che la circonda. Ogni edificio,
(palazzo o chiesa che sia), "non esalta se stesso, ma determina
l'ambiente, che è sempre raccolto, mai scenografico ... Soltanto
questa concezione urbanistica, o meglio, questa poetica ambientale della
tarda storia artistica pugliese, può unificare e perciò
lasciar comprendere quel nobile carattere dei centri, soprattutto minori,
della Puglia, segnatamente quella meridionale".
E' quanto si può osservare a Martina Franca, ma anche a Francavilla
Fontana, a Galatina, a Maglie, a Galatone: nelle piazze di Tricase,
di Grottaglie, di Manduria, di Nardò, di Tuglie. E, dentro questi
edifici, sembrano quasi ospiti di riguardo i grandi quadri accampati
nelle pareti, con soggetti sacri o profani, religiosi o laici. In questa
terra, infatti, vennero dalle natie contrade napoletane Guarino, Finoglio,
Pacecco De Rosa, Vaccaro, Cavallino, il Ribera. E subito emersero, dalla
loro scuola, i pittori locali, da Francesco e Cesare Fracanzano, l'uno
di Monopoli e l'altro di Bisceglie, ai bitontini illustri, Altobello,
Carlo Rosa, Nicola Gliri, ai leccesi Verrio. Assai più celebre,
il gallipolino Andrea Coppola; poi, ancora napoletani: Bonito, De Mura,
Solimena, e infine i loro discepoli pugliesi, Corrado Giaquinto di Molfetta,
famoso oltre i confini pugliesi, e il grande Oronzo Tiso, principe dei
pittori di Lecce.
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