In genere i dizionari
della lingua italiana individuano l'ignorante in colui che non ha istruzione
e portano come sinonimo il termine incolto, cioè privo di cultura.
L'ignorante è quindi chi non ha cultura.
Ma esiste realmente una persona senza cultura?
Squadroni di antropologi, per un intero secolo, in cataste di volumi hanno
descritto civiltà, hanno analizzato e catalogato culture diverse,
hanno formulato definizioni del termine cultura ma ancora, purtroppo,
non si è giunti a livello di massa neanche a distinguere le sue
due importanti accezioni, non dico ad adottare l'unica esatta.
Nessuna persona quindi - tanto per rispondere subito e perentoriamente
alla domanda posta e mettere tranquilli gli animi - se si tiene conto
di quanto dicono gli antropologi (e bisogna tenerne conto), può
esistere senza cultura dal momento che per vivere, entrare in relazione
con gli altri comunque si ha bisogno si tutto uno schema di relazioni,
di modelli, di maniere di rapportarsi al prossimo e di porsi avanti ai
momenti critici dell'esistenza (la nascita, la morte, lo scorrere delle
stagioni per esempio) che sono appunto cultura. Soltanto devo ricordare,
tanto per rimettere in agitazione gli animi, che quasi sempre il termine
cultura però è stato assunto come si trattasse esclusivamente
della cultura intellettuale e non anche, per esempio, di quella popolare,
e che la prima, essendo stata delimitata secondo precisi parametri rilevati
dalla cultura elaborata dalle classi dominanti, è l'unica cultura
valutata in borsa.
Nessuna persona è senza cultura; ma, storicamente, esistono gli
ignoranti che risultano essere, in primo luogo, gli appartenenti alle
cosiddette classi subalterne, sui quali è stato proiettata da parte
della cultura dominante la propria insufficienza, la propria incapacità
di comprendere e riconoscere una reale umanità. Essi sono stati
posti - quasi sempre dai loro diretti datori di lavoro e spesso con maniere
molto affettuose - seguendo uno schema a gradinata, ai margini, per cui
spesso sono stati considerati rappresentanti di una vera e propria sub-umanità.
I vari compilatori dei dizionari di cui sopra, per decenni e decenni,
forse per secoli, questa enorme massa di gente pulsante e viva con sistemi
culturali diversi che loro negavano e disprezzavano o ignoravano - tutti
lavoratori senza lettere, ma con tanta fame - hanno trattato oltre che
da incolti e da ignoranti, come dicevamo, anche, per sinonimìa,
da ineducati, incapaci, inetti, beoti, idioti e bestie tra tutte le quali
prediligendo il somaro. La stessa cultura degli oppressi, con il tempo,
ha percepito la totale ingiustizia dell'etichetta ignorante appioppata
dai colti e il racconto popolare che di seguito trascrivo può ben
dare il senso di questa autopercezione di una ingiustizia subita.
Un giorno un professore
di matematica di Lecce, ad Otranto per la villeggiatura, volle noleggiare
una barca per fare una bella passeggiata. Una volta in alto mare, con
fare superbo ed arrogante, si rivolse al marinaio che era impegnato
a remare egli domandò se conosceva la matematica. Il marinaio,
che non aveva avuto la possibilità di frequentare le scuole per
aver dovuto frequentare il mare, rispose:
- No, signore. Niente so - e tacque.
Il professore, scandalizzato dall'ignoranza del marinaio, disse: - Oh
infelice te! Hai perso mezza vita.
Il cielo dopo un po' cominciò ad oscurarsi per delle brutte nuvole
veloci e basse e il mare ad agitarsi incredibilmente.
Il marinaio, smesso per un momento di remare e data un'occhiata alla
costa che non era molto lontana, ad un tratto chiese:
- Professore, voi sapete nuotare?
Il professore che aveva avuto poco tempo per imparare a nuotare, tutto
preso dai libri che riteneva più importanti della vita vissuta,
rispose:
- Certamente no!
E il marinaio:
- Allora voi, professore, la vita l'avete persa tutta.
Da questo breve
racconto popolare risulta chiaro come la vera ignoranza altro non sia
che il segno della presunzione dei dotti, dei potenti, di coloro che
hanno ritenuto di eliminare dal piano dell'umanità delle categorie
e delle classi perché meglio si potesse esercitare su di esse
il dominio e l'oppressione. Il professore, infatti, tutto preso da un
circuito di vita intellettuale, si sente un essere superiore grazie
al fatto che lui appartiene alla cerchia di chi determina le regole
del gioco, di chi ha un certo potere ma, e qui è il suo errore
che gli costa la vita, non sa, preso com'è dal suo isolamento
elitario, che laddove non esiste il potere che a lui dà vantaggio,
fuori delle sue acque cioè, è veramente perduto.
Naturalmente il discorso potrebbe essere anche rovesciato.
E allora? Allora bisogna confrontarsi, bisogna crearsi una coscienza
relativistica.
Nasce a questo punto spontanea una domanda. Chi può dare tale
coscienza agli ignoranti ? La scuola può assolvere questo compito?
Francamente no. La risposta segue di fila la domanda. La scuola perpetua
gli ignoranti perché non può svolgere efficacemente il
compito di trasmettere modelli per l'acquisizione di un abito critico,
se non inserita in una società che può consentire l'abito
critico. Ora, la nostra società, divisa in classi com'è,
vivendo sul privilegio, sullo sfruttamento, sulla discriminazione -
sempre con aggiustamento di tiro, se vogliamo, ma complessivamente strutturata
in maniera gerarchica - non può permettersi una scuola critica,
perché nessuna società o nessun gruppo che nel suo ambito
detiene il potere sceglie per sé il suicidio, ma tende esclusivamente
a perpetuarsi. E nessun singolo anche, per quanto efficace possa essere
la sua azione di antagonista, riesce a tradurre questo suo atteggiamento
nell'effettiva trasformazione della società. Gli intellettuali
stessi, nei quali si sarebbe potuta porre qualche speranza, hanno costituito
invece, storicamente, la cinghia di trasmissione del potere, vestito
l'abito di manipolatori del consumo, di elaboratori di ideologie per
dominare. Hanno svolto un ruolo storico ben preciso e questo non solo
per casi individuali di corruzione, di ignoranza, di presunzione - sarei
moralista se dicessi solo questo - ma soprattutto per complicità
naturale con le classi dominanti. Ci sono rarissime eccezioni è
vero e, certo, ci sono anche degli intellettuali che tentano di lottare
per gli ignoranti denunciando spesso mancanze, insufficienze e limiti,
ma il problema non è lavorare "su" gli ignoranti o
"per" gli ignoranti, ma di lavorare "con" gli ignoranti.
Solo con un impegno politico globalmente assunto e sperimentato si può
partecipare ad un progetto di riscatto, il quale poi deve essere comunitario
e non può essere affidato alla realizzazione del singolo, a meno
che non si abbia una visione moralistica e eroicistica della cultura
intellettuale. Si devono recuperare quindi le potenzialità reali
che esistono nella nostra società per poterla ristrutturare secondo
criteri di uguaglianza e di giustizia.
Egli ignoranti intanto come si comportano?
Gli ignoranti molte volte hanno un atteggiamento, recepito dalla cultura
dominante, di fuga dalla propria cultura e di avvicinamento a quell'ottica
che tende a far divenire schiavi gli altri a fini di potere. Se gli
ignoranti - vittime storiche dell'oppressione - sono stati resi schiavi,
il problema della loro liberazione si pone anzitutto nei termini della
riappropriazione delle matrici culturali e dello sviluppo della loro
cultura e non in termini di riappropriazione meccanica verso la fuga
simbolica di riscatti metastorici ma verso una dimensione antagonistica
che si ponga conflittualmente con il potere per ristabilire le premesse
di una società completamente diversa in tutte le sue articolazioni
politiche, sociali e culturali.
IGNORANTI ! Ricordatevi che per far questo non bisogna però che
si sia perso del tutto la memoria delle cose. La nostra sopravvivenza
non è questione di buona volontà. Non serve chiedere ai
governi, a chi detiene il potere cioè, comprensione. Tutto passa
infatti attraverso un rapporto di forza, che è quello degli interessi
che il potere ha sulla propria posizione di prevaricazione e di distruzione
delle culture e sub-culture autonomie e isole linguistiche in quanto
sa bene, il potere, che distruggendo noi ignoranti riesce a mantenere
meglio il proprio predominio.
Quando, nel secolo scorso, i grandi proprietari di piantagioni di cotone
degli Stati del Sud acquistarono gli schiavi dai negrieri, ricevevano
quasi sempre anche un consiglio: "Se volete tenerli schiavi per
sempre, distruggete i loro ricordi, la loro lingua, i loro riti, i loro
canti, la loro memoria".
Oggi voglio darvi un consiglio anch'io: quando spogliate i supermercati,
quando fate la corsa agli elettrodomestici, quando siete seduti davanti
al televisore, quando volete essere alla moda, quando farfugliate italiano,
quando correte a lavorare nelle grandi città, rallentate un momento
i vostri ritmi e prendete una pillola al fosforo per non perdere la
memoria, i vostri ricordi, i vostri canti, la vostra lingua e non lasciatevi
irretire dal miraggio che vi viene offerto ogni giorno di essere a tutti
i costi colti!
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