Pił ricchi o pił poveri?




Aldo Bello



Come siamo? Ricchi, risponde il Ministro delle Finanze: abbiamo case, yacht, auto; facciamo viaggi all'estero; beviamo whisky e champagne; indossiamo vestiti costosi; ci buttiamo a capofitto nei week-end, non trascuriamo capricci gastronomici e belle vacanze nei lunghi ponti delle grandi festività. Anche i lavoratori sono abbastanza ricchi da poter fare altri sacrifici e ridurre il proprio tenore di vita: lo dicono gli industriali.
La Banca d'Italia, di recente, ha completato un'indagine sul reddito degli italiani. Questi i risultati:
- il reddito medio delle famiglie è pari a nove milioni all'anno, ossia a 750 mila lire al mese (e un chilo di carne, ormai, oscilla dalle dieci alle tredicimila lire), ma la fascia di reddito più diffusa è inferiore, sta tra i cinque e i sei milioni di lire all'anno;
- una famiglia su sei vive con meno di quattro milioni di lire all'anno, vale a dire nell'area della povertà;
- il quaranta per cento delle famiglie non ha casa di proprietà e deve pagare un affitto che è mediamente cresciuto dei ventisette per cento;
- i più ricchi sono i lavoratori autonomi, i professionisti e i commercianti: il loro reddito supera la media dei quarantasei per cento;
- i più poveri sono i pensionati: i loro reddito è inferiore alla media dei quarantatre per cento.
Dunque: non siamo ricchi. Alcuni sono ricchi (e non sappiamo se pagano tutte le tasse; semplicemente, ne dubitiamo). Altri son poverissimi. La maggior parte dei cittadini tira avanti a fatica. L'inflazione è travolgente, si riesce a comprare sempre meno con quantità sempre maggiori di denaro. Il conflitto tra imprenditori e lavoratori dipendenti, che chiedono aumenti, rischia di raggiungere momenti di alta tensione. Pareri opposti esprimono anche gli operai e i sindacati. Il costo crescente della vita avrebbe costretto i sindacati a trascurare quella politica più vasta degli interessi nazionali e a concentrarsi sulla difesa delle rivendicazioni: più soldi per sopravvivere. Sono nati così i "lavoratori garantiti". Gli altri, disoccupati, sottoccupati, anche i giovani, sono stati lasciati alla deriva. Errore madornale, di cui si stanno pagando le conseguenze. Si è trascurato il Mezzogiorno, e il terremoto ha rimesso a nudo gli antichi problemi, gli eterni squilibri tra le "due Italie" e tra gli "infiniti Sud" all'interno dello stesso Sud. Altro errore madornale. Si sono gonfiate le metropoli del Nord, e anche alcune del Mezzogiorno, mentre campagna e agricoltura sono andate in malora. Può essere ricco un Paese spaccato in due parti, e con la seconda parte andata in frantumi? Un Paese con debolissime strutture sociali, con alta emigrazione, con le sue mafie e camorre, con le spinte delle corruzioni, con i poteri occulti in agguato? Con oltre un terzo del territorio (e della popolazione) tra le aree del "triangolo industriale" e quelle del Terzo e forse anche di un Quarto mondo? Con i problemi irrisolti dell'energia, delle materie prime, del deficit alimentare? Non siamo ricchi. Viviamo al di sopra delle nostre reali possibilità, e questa è stata la grande distorsione ideologica e culturale: siamo uno di quei popoli che, com'è stato scritto, essendo poveri, spendono di più. Ovviamente quattrini degli altri. Anche lo Stato ha fatto proprio questo sistema: le sue "cambiali" nei confronti dei risparmiatori superano gli ottantamila miliardi di lire. E intanto le riforme di fondo non funzionano, sono costosissimi meccanismi che divorano ricchezze. E, sul piano internazionale, l'America decide una radicale politica di austerità, e per rafforzare il dollaro non esita a gettare sul lastrico divise e riserve di quei Paesi che, oltre che alleati, sono i suoi grandi sbocchi di mercato.
Le grandi contraddizioni che stiamo vivendo, all'interno e nelle relazioni politico-economiche esterne, sono queste. Per uscirne, non servono grandi dichiarazioni di principio. Una vasta, profonda riforma morale e culturale deve essere all'origine di una nuova azione politica e di politica economica. "La fantasia al potere", questo slogan che ha atterrito una generazione di uomini legati al passato, e che fu pronunciato da una generazione di uomini tragicamente privi proprio della fantasia e del pragmatismo, può essere forse all'origine di un nuovo modo di comportarsi, di agire, di creare. Se questa "terza generazione" c'è, si faccia avanti. Con gli strumenti della democrazia. è immenso il vuoto lasciato da coloro che, ormai da troppi anni, non hanno più nulla da dire.


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