§ MALATTIE DELL'AGRICOLTURA

Bacillo CEE




Francesco Forte



Il malanno principe di cui soffre l'agricoltura italiana, che è tornata in crisi dopo un periodo di discreto recupero, può definirsi in sintesi: la Comunità Economica Europea. Non tutto questo "malanno" però - benché venga da Bruxelles - può definirsi come una "colpa della CEE". A volte ha colpa anche chi si ammala perché non segue le normali precauzioni e persiste in vecchie, cattive abitudini.
Fuor di metafora, il contatto dell'agricoltura italiana e della sua rete distributiva con l'evoluta agricoltura e la moderna distribuzione di altre nazioni, del Mercato Comune e no, ha fatto emergere certe nostre inferiorità, aggravandole.
Così, se i nostri ortofrutticoli sono in regresso nella CEE, ciò non dipende soltanto dal fatto che gli europei "preferiscono" rivolgersi ad altri partners vecchi (Francia, ad esempio) o nuovi (Spagna, Grecia) della Comunità o a Israele; dipende anche dal fatto che noi vendiamo la merce a peso lordo, con la cassetta inclusa nel valore del prodotto, mentre gli altri si sono ormai abituati al peso netto. Il capitolo delle esportazioni italiane di agrumi, poi, ha vari altri aspetti criticabili, di cui carità di patria vuole si parli sottovoce.
In ogni caso ha ragione il Presidente della Regione Siciliana quando afferma che, in materia agricola, le direttive comunitarie presuppongono solo la grande azienda, sicché i coltivatori italiani spesso fanno fatica ad adeguarvisi. Al paradosso, i coefficienti di utilizzo dei fondi CEE per l'agricoltura sono particolarmente bassi nelle aree ove più ve ne sarebbe bisogno, cioè in quelle meridionali, perché in esse l'evoluzione è minore e, quindi, è più difficile adempiere ai requisiti stabiliti da Bruxelles per accedere ai finanziamenti.
Nel 1978 e nel 1979 la nostra agricoltura ebbe, dopo anni di fiacca, un piccolo boom produttivo: si incrementò in termini reali del 4,5 per cento e poi del 5 per cento. La spiegazione principale di questo fatto, che ha interessato sia le colture erbacce che la zootecnia, sta nella correzione in su dei prezzi di vendita, dovuta al graduale smantellamento della regola della lira verde.
Un meccanismo infernale denominato "montanti compensativi", costituito da sovvenzioni agli operatori tedeschi e di altri Paesi a valuta forte, consentiva loro di vendere in Italia con introiti corrispondenti ai maggiori prezzi espressi in tali valute forti. La Baviera così ha inondato l'Italia di latte e di derrate alimentari di prima trasformazione, capovolgendo l'immagine dell'Italia agricola e della Germania industriale.
Quanto ai nostri operatori, dovevano pagare un tributo di confine pari alla differenza fra il più basso prezzo in lire effettive, rispetto a quello in marchi effettivi, se avessero cercato di esportare le loro derrate agricole e alimentari colà.
Adesso, i montanti compensativi sono in gran parte (non tutti) smantellati. Ma rimane il nostro handicap. Avevamo perso quote nel settore lattiero e zootecnico e vorremmo poterle recuperare, ampliando le stalle, accrescendo le dimensioni aziendali, anche attraverso i fondi messi a disposizione dalla CEE.
Invece Bruxelles ha deciso di bloccare ciascuno sulle proprie posizioni e ha progettato una tassa di cento lire il litro per ogni operatore che superi le produzioni del 1979: anno in cui eravamo ormai arrivati a importare dall'estero il 40 per cento del nostro latte, a causa delle distorsioni dei prezzi e degli infernali montanti compensativi!
E' vero che in Europa ci sono eccedenze di prodotti agricoli e che il meccanismo di sostegno di queste eccedenze costa alla CEE cifre altissime. Ma si dà il caso che noi non siamo eccedentari, bensì deficitari. Sono gli altri che dovrebbero limitare i loro surplus, non noi che andiamo tassati se cerchiamo di ridurre i nostri disavanzi! Con l'entrata della Grecia e della Spagna nella CEE e con gli accordi con la Turchia, vi è il problema dei prodotti agricoli mediterranei: per i quali non vi sono meccanismi di sostegno paragonabili a quelli esistenti per i prodotti continentali.
Ci troviamo dunque, spesso, in una morsa: da un lato non possiamo incrementare certe produzioni continentali di cui siamo deficitari e per cui la CEE dispone tradizionali consistenti aiuti, perché adesso in questo ambito si è deciso il ridimensionamento partendo dal principio delle posizioni acquisite; dall'altro lato, facciamo fatica a specializzarci nelle produzioni cosiddette mediterranee perché per esse non vi sono che scarse tutele della CEE, mentre vi è la concorrenza dei nuovi entrati. Un diverbio feroce è ora scoppiato sui prezzi: la CEE vuole aumentare i prezzi agricoli regolamentati di un 6-7 per cento soltanto, mentre i nostri agricoltori sostengono che l'aumento dovrebbe essere di un 15 per cento, per tener conto non tanto del tasso di inflazione italiano, che è stato attorno al 20 per cento, ma di quello medio europeo.
Il capitolo sul piano agricolo triennale, che costituisce una parte importante del nostro piano a medio termine, si inizia con un grido di allarme, che si trova anche nella Relazione della Banca d'Italia: il nostro disavanzo agricolo nel 1979 ha sfiorato i 5 mila miliardi di lire ed è crescente. Solo la bilancia energetica ha un buco superiore. Non serviranno gli incentivi agli investimenti, se non vi sarà un equilibrio fra costi e prezzi.
Eppure qualcosa anche nella nostra agricoltura si sta muovendo. L'idea di investire in questo settore, in aziende di dimensioni sufficientemente ampie da risultare economiche, si va facendo strada anche fra operatori che prima snobbavano i campi e preferivano l'edilizia o le iniziative industriali. Si tratta di fare in modo che Roma si faccia rispettare da Bruxelles, ma naturalmente -anche - che ci rendiamo conto che "non tutti i mali vengono per nuocere". Dalla CEE vengono anche stimoli all'aggiornamento.

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