Non è colpa del governatore




Napoleone Colajanni



Se sulla scena dell'economia italiana si rappresentasse una tragedia greca, alla Banca d'Italia si potrebbe assegnare il ruolo del coro, personaggio collettivo che commenta gli eventi, incita o trattiene i personaggi, talvolta dialoga con loro. Veramente non è stato sempre così. Quando Governatore era Guido Carli, la Banca d'Italia esercitava di fatto l'orientamento di fondo della politica economica attraverso una forma di intervento sul Governo che gli inglesi chiamano moral suasion, persuasione morale, ma che in pratica era una delega. I Governi dell'epoca erano ben lieti di subire tale persuasione, che risparmiava loro la fatica di avere idee.
Quel sistema ha funzionato finché la situazione economica è andata abbastanza bene, e non senza qualche grossa contraddizione. Ma la prassi corretta, instaurata da Paolo Baffi e continuata da Carlo Azeglio Ciampi, di una Banca che sta nei limiti di una propria collocazione istituzionale, lascia aperte falle enormi che le condizioni dell'economia non fanno che allargare.
Quale politica economica si fa nel nostro Paese? Le considerazioni di Ciampi, attraverso una puntigliosa ricostruzione cronologica e nella forma beneducata che si addice al coro, lo dicono chiaramente: nessuna. L'economia mondiale attraversa un periodo di recessione e da noi la domanda continua a crescere allegramente, le esportazioni calano - per la prima volta dopo il 1945 - e tutto continua come prima, anche se l'aumento del corso del dollaro costerà sulla sola bilancia energetica un aumento di almeno settemila miliardi di passivo.
Il Governo, quando c'è, continua a dare numeri. Aveva lasciato intendere che l'obiettivo era ridurre l'inflazione al 16 per cento, e marciamo, se andrà bene, verso la conferma del 21. Si era impegnato a contenere l'indebitamento pubblico a 40 mila miliardi, e in quattro mesi si è indebitato di 12 mila: che, in ragione di anno, fa 48 mila. Doveva offrire ai sindacati un programma a medio termine che potesse consentire un impegno responsabile anche per una politica di intervento immediato, coerente con alcuni obiettivi di fondo, e poi si trova di fronte lo scoperchiamento di pentole disgustose: dallo scandalo petrolifero alla loggia massonica P2.
Il Governatore ha cercato di tracciare un sentiero di uscita da questa confusione. Ha indicato quelle che gli sembrano tre premesse indispensabili: l'autonomia della Banca d'Italia, il rafforzamento delle procedure di bilancio, un codice per la contrattazione salariale. L'autonomia della Banca, soprattutto nella possibilità di rifiutarsi di sottoscrivere titoli di debito pubblico stampando cartamoneta, dovrebbe servire a limitare l'indebitamento dello Stato.
Ma il Governo può aggirare questo ostacolo, facendo accrescere i tassi d'interesse dei propri titoli in modo tale da sostituirsi alle banche nell'attirare il risparmio privato o ricorrendo a titoli indicizzati sul costo della vita, i quali altro non sarebbero che una resa all'inflazione. Quanto alle procedure di bilancio più rigorose per contenere la spesa corrente, esse ci sono già. Nel 1978 è stata approvata una nuova legge per la contabilità dello Stato che prescrive l'obbligo del bilancio triennale e limita la possibilità di copertura di bilancio della spesa corrente. Il fatto è che i Governi che si sono succeduti dal '79 in poi non l'hanno mai applicata. Il pretesto è che l'Amministrazione dello Stato non è capace di fare i bilanci in questo modo, come se al Tesoro e alla Ragioneria dello Stato ci fossero solo degli imbecilli, mentre chiunque. conosca il Ragioniere Generale dello Stato sa che non si tratta certo di un incompetente e che non merita il ruolo di testa di turco che gli si assegnerebbe in questo modo.
Resta il codice di comportamento per la contrattazione. Può essere un punto di riferimento, se i contenuti sono chiari. Privilegiare gli aumenti di salari legati alla produttività sarebbe una cosa importante per il Paese. Ma che accadrebbe se un comportamento coerente dovesse essere vanificato da un'inflazione non combattuta, anzi alimentata attraverso una politica contraddittoria del Governo? Soprattutto c'è da stare attenti a una cosa: troppo spesso si bollano come corporative esigenze legittime di difesa del salario reale. Queste esigenze possono essere inquadrate in modo non distruttivo per l'economia solo con una politica economica rigorosa, organica, equa nel ripartire i sacrifici, di ampio respiro e di lungo periodo.
Ma dov'è questa politica?
In conclusione, il vuoto aperto dall'indipendenza della Banca d'Italia dev'essere colmato. Il coro non può essere protagonista e il Governatore non può supplire al Presidente del Consiglio. La realizzazione di tutti e tre i punti di Ciampi dipende dal Governo. Spero che non lo dimentichino quelli che in tempi di crisi si affannano intorno alle parolette dei comunicati stampa e delle dichiarazioni.

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