§ UTILITA' DEI TRIBUTI

Riabilitiamo il fisco




Libero Lenti



Passano i mesi, passano gli anni, ed i nostri problemi economici sembrano sempre gli stessi. Sembrano, ma non lo sono. Basti considerare quanto è accaduto in questi ultimi anni per rendersi conto del profondo mutamento, ovvero peggioramento, delle condizioni per risolverlo. Purtroppo spesso, troppo spesso, l'opinione pubblica è maliziosamente attirata a considerare questo o quel problema particolare. Maliziosamente nel senso che, alla stessa opinione, si fa balenare l'idea che basti risolvere questo o quel problema per risolvere contemporaneamente tutti gli altri.
Non è così, anche se tutti i nostri problemi sono riconducibili ad uno solo, e cioè allo squilibrio in atto da parecchi anni tra quanto si produce e quanto s'impiega in consumi ed investimenti nel nostro sistema economico. Si produce troppo poco rispetto a quanto s'impiega. Sicché, o si produce di più, naturalmente in senso economico, oppure s'impiega di meno.
Si tratta, dunque, di uno squilibrio strutturale e non congiunturale. Anzi, vien perfino fatto di dire che in taluni periodi una fase congiunturale positiva ha consentito di mascherare questo squilibrio strutturale. Ma lo si è mascherato solo grazie ad un saggio di inflazione elevatissimo, il che ha posto e pone in chiara evidenza l'esistenza di un divario di struttura tra quanto si produce e quanto s'impiega.
E' difficile dire se questo squilibrato funzionamento del nostro sistema economico, considerato come un tutto, è causa oppure effetto di altri squilibri, come quello del bilancio allargato della pubblica amministrazione, quello delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, ed altri ancora. E' difficile dirlo perché, come sempre capita in campo economico, le variabili in gioco operano sempre in modo interdipendente. Se il disavanzo del bilancio allargato risulta in concreto da sostanziali sprechi di risorse economiche, si ha un bel produrne di più, se poi una parte delle stesse risorse sono malamente impiegate per non dire dissipate.
Così è pure chiaro che, se si producono risorse economiche in base ad una produttività assai inferiore a quella in atto in altri sistemi, è vano aspettarsi soddisfacenti risultati dell'esportazione. Di volta in volta si deve ristabilire, sia pure in modo provvisorio, l'equilibrio delle partite correnti con il resto del mondo mediante la modificazione dei rapporti di cambio della lira con le altre monete. Ma tutti sanno che si tratta di una boccata d'ossigeno. Quest'anno il disavanzo del bilancio allargato della pubblica amministrazione si stima pari a circa 40 mila miliardi di lire. Sarà di più? Sarà di meno? Non so rispondere. Ma non è tanto questo che conta, quanto l'"illusione" di poterlo sanare aggravando la pressione tributaria od anche rendendo più attiva la lotta contro gli evasori. Non ho intenzione, in questo momento, di discutere questi problemi. Mi limito a dire che chi propone un aggravamento della pressione tributaria non si rende del tutto conto degli effetti perversi che ciò può avere sulla formazione del risparmio familiare, ed altresì sull'allargamento dell'area dell'evasione.
Ma, ripeto, non tanto questo interessa discutere, quanto un altro problema di sostanziale importanza. S'è sempre detto, ed ancora si dice, che oggi i tributi trovano la loro legittimità nel fatto che si traducono in beni e servigi a favore della collettività. Non sono più, come una volta, teglie, spogli, livelli e via dicendo, esatti a vantaggio solo del principe. Proprio in base a questo concetto, che assegna ai tributi la natura di pagamento o se si vuole di controprestazione di siffatti beni e servigi collettivi, è possibile comporre il noto dualismo tra in dubio pro fisco e in dubio contra fiscum. Non vi è dualismo in quanto lo Stato di diritto è tale perché rappresenta gli interessi di tutti.
Si può ammettere che l'interesse generale, e sia pure collettivo, non sempre risulta dalla somma di quelli individuali, poiché quest'ultimi risultano modificati dal fatto che l'operare dei singoli in collettività assegna loro certi doveri, se non anche assicura loro alcuni diritti. Ma qui sta il punto. Il nostro Stato, così come è congegnato, così come opera in questo momento, rappresenta davvero gli interessi di tutti? Spende e spande dando luogo al disavanzo dianzi accennato, e quindi non assolve i suoi compiti in modo tale da poter considerare i tributi come un pagamento di servigi collettivi e non come una taglia espropriatrice.
Non è qui il caso di stilare un elenco di fatti, di circostanze e di episodi che, per quanto lungo, non esaurirebbe l'argomento. Il giganteggiare di una pletorica burocrazia pone in evidenza che molti posti di lavoro sono creati non tanto per fornire servigi ai cittadini, quanto per sistemare persone care al principe. Il peggio è che talvolta queste persone, anziché aiutare i cittadini, ne intralciano l'attività. Quindi, non solo rappresentano uno spreco diretto di risorse economiche, ma anche uno spreco indiretto, in quanto obbligano i cittadini a fare qualcosa che non sono tenuti a fare. Ma questo non basta. Si pensi solo alle migliaia di miliardi di lire buttati dalla finestra per sostenere attività non tanto utili alla collettività, quanto alle fortune elettorali di questo o di quel personaggio politico. Queste migliaia e migliaia di miliardi di lire rientrano nella funzione di un'attività produttiva per cui sembrano legittimi i tributi? Questo è il motivo per cui sembra lecito affermare che il disavanzo allargato della pubblica amministrazione si riduce solo tagliando e poi tagliando ancora sulle spese inutili. Non si può, si dice. Si oppongono motivi d'ordine sociale che impongono trasferimenti di reddito, che per l'appunto alimentano siffatto disavanzo. Ma se non si può tagliare sulle spese vecchie, ormai consolidate in aspettative difficili da disattendere, si cerchi almeno di non allargare il campo di quelle nuove.

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