§ LA CONGIUNTURA

In autunno il momento della verità




U. B.



Le recenti decisioni valutarie sul deposito previo all'importazione sono intervenute in un momento nel quale l'interscambio in quantità con l'Estero sembrava andare nella direzione di un aggiustamento: nei primi tre mesi dell'anno, infatti, sono caduti marcatamente i volumi importati. Per contro, vi era un peggioramento dei prezzi relativi per l'apprezzamento del dollaro. Soprattutto, però, è probabile che le vicende del dollaro abbiano influito sulla politica commerciale, inducendo dapprima le imprese a posticipare gli acquisti in previsione di un indebolimento della divisa americana; provocando, poi, una concentrazione di acquisti tra la fine di aprile e maggio, quando ormai appariva chiaro che il dollaro si rafforzava ulteriormente. L'effetto può essere rilevante e spiegare il sorgere improvviso di un'emergenza in tempi più brevi di quanto occorre alla pubblicazione dei dati: la voce approvvigionamenti industriali (alimentari e petrolio esclusi) è duemila miliardi al mese circa (il trenta per cento delle importazioni complessive). Nel primo trimestre 1981 la propensione media ad importare sembra tornare attorno al livello minimo della precedente recessione. Il rapporto tra le importazioni e la domanda interna, in quantità, è cioè tornato ad essere pari al 20 per cento, dopo aver toccato quasi il 23 per cento alla metà del 1980. Il ridimensionamento delle importazioni in quantità ha interessato anche gli acquisti di beni finali (investimento e consumo), che erano stati in pieno boom fino alla fine dell'anno scorso.
Particolarmente basse, in rapporto alla produzione industriale, sono risultate soprattutto le importazioni di beni destinati alla trasformazione: abbiamo acquistato meno materie prime, e non solo petrolifere. Le importazioni di petrolio greggio si sono ridotte dell'11 per cento circa, quelle di ferro e di ghisa del 37 per cento, i rottami del 24 per cento, il rame del 40 per cento, e così via.
Per quasi tutte le materie prime il volume delle importazioni è inferiore non solo a quello dei primi mesi del 1980, ma anche ai volumi del 1979, quando si era all'inizio della ripresa. Il rapporto tra l'indice delle importazioni in quantità di beni destinati alla trasformazione e l'indice della produzione industriale è così, nel primo periodo 1981, al minimo degli Anni Settanta. Se nel corso del 1980 l'accumulo di materie prime c'è stato, lo si è quasi del tutto smaltito nei primi mesi di quest'anno.
La successione dei fatti è stata insolita. Dapprima, l'annuncio di un risultato insolitamente positivo della bilancia valutaria di aprile (-59 miliardi, contro -693 dell'anno scorso). Poi, i dati allarmanti dell'emorragia di riserve subìta dalla Banca d'Italia tra dicembre e marzo, prima della svalutazione nello SME (circa la metà della consistenza in valute convertibili): perdita di riserve dovuta all'assenza del previsto ingresso di capitali, e non a un peggioramento del saldo commerciale rispetto alle previsioni. Subito dopo, si introduceva l'obbligo di deposito previo sugli acquisti di valuta. La manovra non si può considerare solo dovuta o determinata dalla crisi di governo di giugno.
Evidentemente, secondo l'opinione dell'Istituto Centrale di emissione, il risultato "positivo" di aprile si è dovuto a quegli ingressi si capitale (indebitamento all'estero delle imprese italiane) che erano stati annunciati ma non eseguiti nel periodo gennaio-marzo: non è dunque incompatibile con un peggioramento di saldo commerciale e con un anticipo dei pagamenti delle importazioni in dollari, che sarebbero all'origine del provvedimento-tampone.
Ora, per quattro mesi il gioco d'anticipo sulle importazioni è fortemente penalizzato, e anzi è in atto un incentivo a ritardare. L'ombrello protettivo, èdestinato a venir meno proprio a fine ottobre, quando finisce la stagione favorevole per la lira. Quello sarà un momento di verità.
Eppure, l'andamento produttivo è stato più positivo del previsto. Il primo semestre dell'anno si è chiuso con dati leggermente superiori a quelli medi dello scorso anno. Non ci siamo dunque mossi, fino a questo momento, sul sentiero che ci avrebbe dovuto portare ad uno "sviluppo zero". Migliori dell'attesa continuano ad essere anche i risultati in Germania Federale, negli Stati Uniti e in Giappone. Lo sviluppo della produzione nell'area dell'Ocse, nel suo complesso, è stato all'incirca del 3,5 per cento su base annua, mentre non si è verificata (almeno nella misura temuta) la caduta del commercio mondiale dei manufatti.
Si attendevano effetti recessivi degli aumenti del prezzo del petrolio. Essi sono stati finora minori del previsto. E' aumentata in tutti i Paesi la propensione a spendere in beni durevoli, sia di consumo che di investimento. L'atteso rallentamento dell'attività produttiva ha interessato in realtà solo la Francia e l'Inghilterra. Nel primo quadrimestre dell'anno la produzione è cresciuta, rispetto agli ultimi quattro mesi del 1980, del 7 per cento in Germania Federale, del 4,6 per cento in Italia, negli USA del 7,6 e in Giappone del 6 per cento.
Oltre al modesto sviluppo della domanda estera (2 per cento in ragione d'anno nel primo trimestre), in Italia un contributo decisivo all'espansione produttiva è derivato dall'andamento degli investimenti, il cui ciclo ha proceduto senza soste a partire dall'inizio del '79: ed è stato il più significativo e prolungato degli anni '70. Tant'è che l'indice di produzione delle industrie creatrici di beni d'investimeno ha toccato in febbraio-marzo il massimo storico.
E primo trimestre '81 è stato ancora in crescita rispetto al quarto trimestre '80, al tasso annuo dell'8 per cento circa, realizzato in un periodo di alti tassi d'interesse e in un contesto di politica monetaria restrittiva. Ciò che ha probabilmente contribuito a mantenere elevata la produzione dei beni d'investimento in questi ultimi mesi non è stata tuttavia la nuova domanda, quanto lo smaltimento di code di ordini accumulatisi nei mesi precedenti. Le industrie nazionali hanno lavorato per quasi tutto il 1980 al massimo di capacità produttiva, con scorte su livelli molto bassi. Ciò ha portato a uno stock di ordini inevasi in aumento e ha consentito alla produzione di continuare a crescere anche quando i nuovi ordini andavano riducendosi. Nei settori produttivi di beni intermedi e di consumo le imprese invece hanno lavorato anche per il magazzino, in previsione di una prossima inversione positiva nelle tendenze della domanda.
La crescita della produzione di beni d'investimento che ha caratterizzato quest'ultimo anno e mezzo non dovrebbe durare. Le tendenze degli ordini e della domanda sono in netta flessione e si tradurranno in adeguamenti nei livelli produttivi; buona parte delle code degli ordini dovrebbero essere state smaltite e il livello degli stocks degli invenduti, anche in queste imprese, è tornato a crescere.
Per gli altri settori produttivi (intermedi e di consumo), le previsioni circa l'andamento della domanda permangono orientate al miglioramento. Ma questo non sembra avrà, a differenza dei mesi precedenti, effetto espansivo sulla produzione, per la quale è invece previsto un drastico ridimensionamento.
A causa della prosecuzione di una condotta monetaria restrittiva, forse oggi ritenuta meno eludibile che in passato, le imprese sembrano orientate a liquidare gli stocks di invenduti accumulati nei mesi precedenti. E per l'inverno, staremo a vedere.

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