Questo lavoro
vuole riportare alcune considerazioni emerse nell'affrontare un problema
specifico ed inquietante, quello della schizofrenia in relazione agli
aspetti sociali della nostra cultura salentina.
Se è vero che la schizofrenia è un fenomeno patologico intrapsichico
vissuto dal singolo, è anche e soprattutto vero che trova le sue
radici più profonde nel più ampio contesto relazionale e
socio-ambientale.
La disgregazione dell'Io e della personalità dell'individuo schizofrenico
simboleggia e concretizza in maniera drammatica il dissolvimento della
struttura socio-culturale in cui esso è inserito.
La schizofrenia
rappresenta la forma radicale di ciò che comunemente si intende
per "follia". Una personalità dissociata è un
insieme di diversi fattori strettamente collegati e intrecciati tra
loro, il cui risultato riflette, nella maggior parte dei casi, credenze,
idee, pregiudizi e paure arcaiche comuni ad un particolare contesto
sociale. Se fattori biologici e fattori psicologici possono concorrere
spesso nella determinazione della malattia, pure il fattore sociale
ha una incidenza rilevante, spesso decisiva.
Nell'arco di tempo che va dal maggio 1979 al settembre 1980 abbiamo
condotto una ricerca su 28 comuni della provincia di Lecce, facenti
capo rispettivamente 15 al C.I.M. di Calimera e 13 al C.I.M. di Casarano,
nell'intento di approfondire le connessioni esistenti fra schizofrenico-famiglia-istituzioni,
relativamente all'area geografica da noi considerata.
Il questionario di cui ci siamo serviti per analizzare statisticamente
le problematiche in questione è stato preceduto dalla visione
delle cartelle cliniche di tutti i casi in esame, da visite di osservazione
e, dopo un approfondito studio storicoteorico sull'argomento, dalle
interviste semistrutturate (con l'uso del questionario) dalle quali
abbiamo ricavato i dati specifici della ricerca. Avvicinandoci al problema
della schizofrenia ci siamo subito resi conto della impossibilità
di studiare lo schizofrenico come se fosse una entità isolata
o isolabile da un contesto familiare e sociale.
Le caratteristiche riguardanti la comunicazione dei malati in questione
ci ponevano gravi difficoltà di approccio.
E' stato necessario valutare anche i processi comunicativi non espressamente
verbali (spesso lo schizofrenico comunica con segni di assenso o dissenso,
sguardi, riso, etc.). Dal momento in cui ci siamo valsi, per il nostro
lavoro, delle notizie ricavate dai contatti con la famiglia dello schizofrenico
e con le istituzioni preposte al suo trattamento, ci siamo accorti di
dover indirizzare il nostro studio proprio nella direzione di una "lettura"
della funzione, ritenuta positiva, di queste istituzioni (compresa la
famiglia). In realtà, se la nostra ricerca si è basata
sullo studio dei rapporti interfamiliari, ed ha incluso pure le strutture
sociali più prossime alla famiglia, i risultati dell'inchiesta
ci hanno portato molto più lontano, e questo nostro lavoro ci
è sembrato ponesse sotto accusa l'intero sistema sociale.
Infatti, se abbiamo riscontrato l'azione patogena nel comportamento
di uno o più membri della famiglia, abbiamo pure rilevato che
tale comportamento si inserisce in un contesto sociale particolarmente
adatto allo sviluppo di tali processi.
In particolare la nostra ricerca svolta sul territorio salentino ha
messo in evidenza le disfunzioni socio-economiche e culturali di questa
zona. L'emigrazione interna ed esterna causata dalla mancanza di lavoro
ha rappresentato spesso un momento essenziale nella genesi della schizofrenia.
Situazioni comunque di povertà e di emarginazione sociale hanno
favorito un processo che doveva sfociare nel rifiuto, attraverso "la
malattia", del mondo esterno. Questi fattori, caratteristici della
situazione specifica, hanno inoltre esasperato le disfunzioni familiari
e resi più problematici gli interventi sociali.
Dai dati ricavati, e dai resoconti relativi alla comunicazione con le
famiglie degli schizofrenici, siamo giunti a considerazioni che riguardano
le particolari sfaccettature che il problema della schizofrenia acquista
in rapporto al territorio preso in esame. Ci siamo accorti infatti come
la particolare struttura sociale del basso Salento faccia carico al
maschio di responsabilità eccessive, di carattere prevalentemente
economico nei confronti della famiglia di origine o di una ipotetica
famiglia futura. Questo "stato" crea nell'uomo meridionale
una eccessiva angoscia, che spesso determina una crisi esistenziale
più o meno grave, coincidente con il periodo adolescenziale.
Se in questa fase non si presentano tratti di carattere schizoide, il
giovane meridionale cercherà, con estrema difficoltà,
di trovare un lavoro sicuro per adempiere alle aspettative sociali.
Spesso per la difficoltà a trovare lavoro deciderà di
emigrare. Che si arruoli volontario, che vada a lavorare in una fabbrica
del nord o emigri all'estero, il giovane è costretto ad affrontare
un cambiamento repentino di situazione, con tutto ciò che questo
comporta (abbandono di un modo di vita acquisito con l'educazione, difficoltà
di integrazione sociale nel nuovo ambiente, anomia, ecc.). Si creano
così i presupposti o si completa un'opera di demolizione della
struttura psichica dell'individuo che si vede ormai perdente e inaccettato
in un mondo che non comprende e che non lo comprende.
C'è da dire che il livello socio-economico-culturale molto basso
delle famiglie di schizofrenici (aggravato o causato da un numero spesso
eccessivo di figli) determina lo stato di bisogno alla base dei comportamenti
sopra accennati. In questa situazione, si determinano, con estrema facilità,
tensioni tra i coniugi e tra vari componenti della famiglia, che vengono
ad aggravare lo stato particolarmente fragile e instabile dell'individuo
disturbato. Bisogna aggiungere che l'autorità spesso aggressiva
del padre, pur se formale, tende comunque a esasperare i bisogni del
figliola. D'altra parte il rapporto iperprotettivo della madre rende
estremamente problematico il processo di indipendenza e di autonomia
dei figli. Proprio la iperprotezione materna ha permesso, in alcuni
casi, una prematura stigmatizzazione, spesso in fase adolescenziale,
e il conseguente ricovero in strutture psichiatriche del figlio. In
questo modo la situazione del figlio, descritta precedentemente, ha
subito una ennesima involuzione che ha aggravato - se non creato - la
malattia, là dove erano presenti all'origine disturbi della personalità
tipici dell'adolescenza. In questo contesto socio-culturale si inseriscono
in modo non rispondente alle richieste dei pazienti e delle loro famiglie
le strutture pubbliche atte a prevenire e curare tali patologie (ospedali,
C.I.M., ecc.). Quando tali strutture non tendono esplicitamente a escludere
il malato, a negarne l'esistenza, pure non sono in grado di creare intorno
a lui situazioni positive realmente terapeutiche. In generale lo schizofrenico
vive principalmente isolato, terrorizzato dalla gente "normale"
che fuori è pronta a beffeggiarlo e ingiuriarlo per i suoi comportamenti
non conformistici. Per una paradossale situazione gli esclusi della
società hanno in un moto di rivolta, escluso in se stessi la
società, le sue leggi, le sue funzioni. In questo modo le regole
del gioco sociale sono state violate e nessuno può dire chi in
realtà abbia veramente vinto. La negazione ha stimolato una nuova
negazione che nega a sua volta chi la nega.
Tenendo presente la situazione del Salento in particolare, e del Sud
in generale, un conflitto di ordine economico-sociale ha creato i presupposti
per un'opera di rifiuto-negazione di comportamenti culturali tipici
di questa zona. Essere costretti a rifiutare la propria tradizionale
forma di cultura, se vogliamo di tipo prevalentemente rurale, e con
essa i suoi valori, ha significato spesso perdere i punti di riferimento
per la propria situazione esistenziale e vivere conseguentemente in
uno stato di anomia estremamente disturbante.
Se la nostra società vive con angoscia, oggi più che mai,
il problema della mancanza di valori e il conseguente smarrimento, questa
situazione nel Sud si presenta in una fase estremamente delicata. L'individuo
del Sud si trova in bilico tra due diverse concezioni della vita estremamente
contrastanti e il più piccolo scossone basta per far precipitare
nel burrone della irrazionalità l'individuo in conflitto.
La famiglia dello schizofrenico ha certamente subito le stesse situazioni
conflittuali che appartengono al disturbato, ma spesso si è difesa
facendosi portatrice dei valori preesistenti, avvertiti come reali nell'inconscio
e trasmessi come tali, pur se negati coscientemente. In quest'opera
di difesa di valori ormai superati, la famiglia è affiancata
dalla istituzioni sociali, che hanno spesso una funzione repressiva
ed etichettante anziché realmente terapeutica.
Se la cultura dominante è la cultura del potere economico, la
scienza diventa uno strumento di tale potere. L'atto diagnostico si
aggiunge così ai fattori di rifiuto e di rigetto a cui è
sottoposto un individuo disturbato. E' significativo al contrario il
fatto che quasi mai la società ha accettato di capire i motivi
del rifiuto schizofrenico e di conseguenza di arricchirsi attraversi
l'apporto delle conclusioni teoriche e pratiche che ciò potrebbe
comportare.
Secondo le nostre personali considerazioni elaborate durante lo svolgimento
di tale ricerca riteniamo che il dramma della scissione schizofrenica
potrebbe divenire motivo di riscatto non soltanto per l'individuo disturbato,
ma per l'intera comunità, nel momento in cui venisse recuperato
e si inserisse in una nuova tradizione che potrebbe rappresentare una
base a cui fare riferimento per l'uomo di domani.
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