Privato. Ma con l'ombrello dello Stato




Aldo Bello



"Privato è bello". E del resto se ne infischio. Ma, se piove, teniamo Pronto il grande ombrello dello Stato. Siamo in Paese di vecchie volpi, dinamico, di dubbia moralità, senza linee-guida, che ha raggiunto un notevole grado di benessere cercando di assicurarsi il massimo di autonomia individuale nel massimo di protezione pubblica. Ogni anno che passa i rapporti del Censis, il Centro Studi e Investimenti Sociali, chiariscono meglio il significato di questo "vivere all'italiana".Perderemo col tempo ogni . senso di responsabilità? Se, per miracolo, i sociologi potessero esprimersi con un linguaggio rasoterra, il rapporto '81 del Censis direbbe che noi vogliamo vivere - e, in certa misura, riusciamo a vivere - con la botte piena e con la moglie ubriaca.
Il prorompente individualismo mette in crisi il concetto di autorità, però lo presuppone. La nostra attuale spensieratezza poggia su garanzie pratiche incrollabili (fino a quando?): il posto sicuro. la cassa integrazione, la scala mobile. Però il rapporto Censis non proclama retoricamente che stiamo ballando sull'orlo del precipizio. Più semplicemente: non si sa dove andiamo.
Questo è il fatto: siamo sospesi fra il "non più" e il "non ancora". Infondo, anche questa è una diagnosi scontata. Tuttavia, dalla selva di comportamenti sociali ed economici, emergono fenomeni del tutto nuovi. E tanti luoghi comuni debbono essere sfatati.
Vediamo le principali "scoperte" del XV Rapporto.
1) Il Nord perde tono e il Sud comincia a fare da solo. - Ci sono nel Mezzogiorno zone in evidente risveglio, come dimostra l'aumento delle esportazioni e dei consumi di energia. E intanto grandi città settentrionali come Torino e Genova, si "de-industrializzano", cioè denunciano una caduta di spinta: si lasciano andare.
2) Stiamo sbaragliando la concorrenza nelle produzioni in cui siamo maestri. Tessile abbigliamento, pelli e calzature, sono un terreno sul quale è pericoloso scontrarsi con l'Italia. Il segreto: una crescente specializzazione l'ammodernamento tecnologico, l'inventiva della mini-impresa. Ma attenzione ai Paesi* in via di sviluppo, ci incalzano da vicino, sottopagano la manodopera, non hanno sindacati.
3) Non è vero che spendiamo troppo in servizi sociali. - Il rapporto rivela che negli ultimi cinque anni, dal 1976 al 1981, la spesa sociale è passata dal 22,6 al 22,8 per cento del Prodotto Interno Lordo. Dunque, un aumento di appena lo 0,2 per cento. Olanda, Germania Federale, Belgio e Danimarca ci superano di gran lunga. Ma allora, dov'è lo sperpero? Il denaro di tutti va in misura crescente alle imprese pubbliche perché ci diano beni e servizi sottocosto. Il nuovo assistenzialismo è questo. Paghiamo luce e trasporti', ad esempio, meno di quanto costano.
4) Troppi impiegati? - Pare che il nostro settore terziario (Pubblica Amministrazione compresa) non solo non sia pletorico, ma sia il meno sviluppato d'Europa. Settantadue italiani su cento lavorano nei servizi ; nella CEE, la media è 88 su cento. Ma la Pubblica Amministrazione è antiquata, paralizzata dagli incroci delle "competenze", farraginosa.
5) Chi fa "tilt". - Il postino non suona neanche una volta. La Posta di Stato funziona tanto male che si è intasato anche il canale delle agenzie di recapito privato. E ancora: abbiamo molti treni passeggeri e pochi treni merci. Chi ritiene che siamo troppo serviti" dalla tecnica e invoca - attraverso lo sviluppo zero - un ritorno all'età della pietra, sappia che con trenta telefoni per mille abitanti siamo in coda alla graduatoria europea degli standard civili della vita. Stesso discorso per il consumo di energia, con un particolare penoso: gli italiani sono i più bassi consumatori di energia (e subiscono il più prevaricante "messaggio" per il risparmio
energetico, come se sprecassero chissà quanto); però la nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio e di elettricità (gran parte della quale viene "fisiologicamente" persa strada facendo, attraverso gli stessi cavi adduttori) è altissima: 8 per cento, contro il 57 per cento dei Paesi della CEE.
6) Gli italiani si spostano. Vanno in provincia. - Nel 1978 cambiavano residenza 31 persone su mille; ora lo fanno 25 su mille. Il Censis ha notato una tendenza al "ricambio continuo della popolazione". Però, i poli di attrazione non sono gli stessi di venti anni fa. Si fugge dalle grandi città e si va verso le città di provincia, specie quelle dell'Italia Centrale. Anche dal Sud ci si muove meno verso il Nord. Perfino nelle zone terremotate c'è la preferenza a stabilirsi E' comuni vicini, piuttosto che ad emigrare.
7) E' finito il ciclo di "bassa" demografica - è una conferma. Aumentano i matrimoni. In alcune province del Nord comincia a registrarsi una ripresa della natalità.
"Agostino Depretis, più volte Ministro e Presidente del Consigli , o, quando si maritò con la vedovella Grassi, erano. per così dire, anni che non si lavava; A forza di tirare tabacco e di non nettarsi il naso, si era formata una corteccia sul labbro superiore che pareva un paio di baffi. Prima cura della moglie fu di lavarlo e pulirlo; la crosta fu levata via ma dall'esservi rimasta sì a lungo lasciò sul labbro un segno incancellabilmente rosso che rendeva aspetto di una piaga".
Questo incredibile brano di Carlo Dossi sul "vinattier di Puglia", che per anni non si era lavato, mi fa venire in mente la storia, che si ripete, della finanza pubblica italiana e dei rilievi della Corte dei Conti, alla quale la Costituzione ha affidato il compito di controllare gli atti dell'esecutivo. L'analisi che la Corte fa è interessante, non tanto per i dati globali che contiene, e che sono noti, quanto per l' analisi metodologica le cui conclusioni sono quanto mai attuali. Ad esempio: il controllo sia sulle entrate, sia sulle uscite, è praticamente inesistente. La spesa corrente, ossia quella destinata al personale, alle infrastrutture, ai servizi, al pagamento degli interessi del debito pubblico, si è impegnato nell'80 a un tasso quasi doppio di quelle dell'inflazione, il 37,8 per cento, e nell'81 la tendenza si è ancora accentuata: perciò, è ulteriormente peggiorato il rapporto con la spesa in conto capitale (cioè per investimenti produttivi), sebbene sia aumentata anche questa.
Altri punti dolenti: il "fiscal drag" è incontrollabile, dà cifre imprevedibili per le lotte contro gli evasori e per le scappatole del lavoro nero e del "sommerso"; e il "sempre più incontrollato ricorso ai debiti di tesoreria per la copertura di deficit strutturali", l'indebitamento "fluttuante" (a breve termine) sempre più imponente, il pesantissimo onere per gli interessi .
Non mancano poi le spigolature curiose. Le relazioni della Corte dei Conti sono sempre state una miniera di notizie tragicomiche su fatti e misfatti dell'Amministrazione statale.
Apprendiamo così che l'assenteismo tra il personale degli uffici postali è più diffuso al Nord che al Sud. Che, fra tutti) lavorano di meno nel settore fiscale gli impiegati delle carriere di concetto ed esecutiva, con una quota minore, ma sempre rispettabile, per i funzionari direttivi. Veniamo a sapere che lo Stato elargisce somme, anche consistenti, all'Associazione Italiana Ascoltatori Radio-Tv (e, crederci sulla parola, ne ignoravamo l'esistenza); a una non meglio precisata Commissione Nazionale per il Mondo Unito (25 milioni; ma che attività svolge?); alla Filarmonica Città di Chiavari e alla Corale Goriziana "Seghizzi", all'Associazione Amici della Musica di Arezzo, al coro "Elvajo" e al coro "Valle Fiorita".
Mille rivoli che formano un fiume semicarsico. In perdita. Un grande ombrello bucato.
E' intanto, settori* produttivi vanno in crisi , o rischiano la malora, proprio per mancanza di incentivi. Un esempio per tutti, il "sistema legno", che registra 900 mila occupati e 45 mila miliardi di fatturato. Ma dietro questa facciata, splendida come la carriera politica di Depretis, stanno, vergognose come quei "baffi", le conseguenze dei lunghi anni che hanno visto il nostro Paese assolutamente privo di una politica del legno. Il 70 per cento del nostro fabbisogno di legname deve essere importato: dopo il petrolio e le derrate alimentari, quella del legno è la terza voce delle nostre importazioni.
Non abbiamo un minimo di buonsenso.
C'è una formidabile percentuale di Comuni colpiti dalle frane; c'è almeno mezzo Sud che smotta; c'è un elenco impressionante di valli percosse dal dissesto idrogeologico e di regioni sempre più spesso flagellate dalle alluvioni, da un capo all'altro della Penisola; ci sono quattro milioni di ettari di terreni incolti. Ebbene: noi' non abbiamo una politica della montagna (che significherebbe rimboschimento, allevamento di bestiame, difesa del suolo, regimazione delle acque, politica del territorio, ecologia e calo del deficit alimentare): così, ci piangiamo addosso per la "fatalità" dei disastri, dovuti solo alla nostra imprevidenza, e per giunta ci sveniamo per importare carne e legno. Non è ancora necessario importare arance, e già potremmo esserne fieri. Ma c'è chi ricorda che sotto il colpo delle alluvioni del 1951 don Sturzo esortò ad "affrontare" i problemi delle alluvioni del 1971. Le alluvioni si sono moltiplicate, dall'Ossola al Tagliamento, da Genova a Firenze, dal Lazio alla Calabria, e i terremoti hanno fatto il resto, ma la politica della montagna é rimasta sempre quella, un bla-bla da commedia dell'arte. Alla resa dei conti, nessuna politica agricola, del suolo e del territorio, della montagna, del legno, della carne. A dire il vero, neanche delle arance, per sentirci un pò più commossi e meno infelici. Lo scriviamo da anni: sembriamo un disco rotto.


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