§ LA STRATEGIA DELLA BANCA D'ITALIA

Primo dovere: battere l'inflazione




Carlo Azeglio Ciampi



Un'evoluzione importante hanno avuto nel tempo i rapporti tra la Banca d'Italia e il Tesoro. Nello stadio originario delle Banche Centrali, il finanziamento del Tesoro poteva essere considerato quasi un atto dovuto, in qualche modo il corrispettivo del privilegio di emettere biglietti concesso dal Sovrano. Una volta che l'emissione cessa di essere un privilegio e diviene un'attribuzione istituzionale della Banca Centrale e che quest'ultima assume il ruolo - a volte costituzionalmente sancito - di garante della stabilità monetaria, i rapporti finanziari con il Tesoro divengono più complessi ed esigono una composizione dei loro aspetti dialettici.
In Italia, negli anni antecedenti l'ultima guerra, il metodo di composizione e stato quello del consenso. Avvalendosi delle facoltà conferitegli dal RDL 5 settembre 1935, n. 1647, il Ministro delle Finanze, con l'art. 2 del D.M. 31 dicembre 1936, indicava nell'"accordo" con il Governatore la fonte di eventuali nuove anticipazioni della Banca al Tesoro, "quante volte esigenze dello Stato, di carattere straordinario ed eccezionale (ne) determinassero la necesità".
Questo sistema e stato profondamente innovato nel dopoguerra.
La norma fondamentale che regola i rapporti finanziari fra Banca e Tesoro è ora costituita dal Dig. 7 maggio 1948, n. 544: esso da un lato indica il limite, espresso in rapporto percentuale alla spesa, dello sbilancio a debito del Tesoro nel conto corrente di Tesoreria, dall'altro stabilisce che "nessuna nuova anticipazione straordinaria da parte della Banca d'Italia al Tesoro può essere effettuata senza apposito provvedimento legislativo che ne determini l'importo".
Si tratta di disposizione che e corretto ritenere di rilevanza costituzionale non solo perché, limitando il finanziamento monetario del disavanzo pubblico, tende ad assicurare la stabilità dei prezzi e dei cambi e dà quindi attuazione al principio costituzionale di tutela del risparmio (sancito, insieme con quello del governo del credito, dall'art. 47 della Costituzione), non solo perché completa e garantisce il sistema costituzionale dell'obbligo di copertura delle spese pubbliche (art. 81 della Costituzione), ma anche, e soprattutto, perché individua nel Parlamento la suprema istanza cui e demandata la mediazione politica dell'eventuale conflitto fra la cura degli equilibri monetarie l'esigenza di finanziamento della spesa pubblica.
L'ordine costituzionale vieta quindi l'acquiescenza della Banca d'Italia a eventuali richieste del Tesoro di finanziamenti straordinari in forma anomala e non trasparente, in quanto tale comportamento sarebbe lesivo di una prerogativa sovrana del Parlamento.
Invero, il decreto del 1948 non e tanto norma di divieto, quanto norma attributiva di competenza: il divieto al Tesoro di chiedere e alla Banca d'Italia di fare anticipazione straordinarie e strumentale al conferimento al Parlamento della competenza, e quindi della responsabilità ultima, in materia.
La sintesi fra istanze diverse, del Tesoro e della Banca Centrale, viene agevolata dall'esistenza di un mercato monetario ampio e concorrenziale. Esso offre spazi più estesi al collocamento e alla gestione del debito pubblico. Riflette, inoltre, con maggiore prontezza e precisione le pressioni che il fabbisogno pubblico esercita sul risparmio reale e finanziario.
La cura della Banca d'Italia nel promuovere lo sviluppo di un mercato si non ha avuto, negli anni, soluzione di continuità. Il cosiddetto "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro si iscrive in un processo che, seppure reso non lineare dalla necessità di mediare tra esigenze nel breve periodo in conflitto, e in corso da tempo.
La stessa scelta dell'Istituto di emissione di impegnarsi all'acquisto dei Buoni del Tesoro ordinari rimasti incollocati si legò, nel 1975, a misure intese a rendere più completo ed efficiente il mercato monetario. Vennero ammessi alle aste anche operatori non bancari; ad essi si consenti di esprimere, attraverso la presentazione di domande plurime, una vera scheda di domanda. Alla Banca d'Italia, che in precedenza aveva solo facoltà di sottoscrivere i titoli non aggiudicati al prezzo-base, fu consentito di partecipare direttamente alle aste e di far valere la sua opinione sui tassi anche in sede di acquisto residuale.
La scarsa consistenza che aveva allora il mercato secondario costringeva la Banca d'Italia, per regolare la base monetaria attraverso tali titoli, ad effettuare i proprio interventi prevalentemente all'emissione di Bot.
A quell'epoca, inoltre, gli squilibri del bilancio pubblico non avevano ancora palesato tutta la loro entità e il loro carattere strutturale. Diversa e la situazione attuale, con la dimensione del debito pubblico passata dal 53 per cento del prodotto interno lordo, quale era nel '75, al 67 per cento nel 1981, e quella dei Buoni ordinari più che triplicata, nello stesso periodo, rispetto al totale degli altri titoli pubblici. In siffatta situazione, l'acquisto automatico da parte della Banca d'Italia dei Bot non collocati poteva divenire un aggiramento e un'elusione dello spirito dell'ordinamento giuridico che ho richiamato.
Un fabbisogno pubblico ampio, e in crescita sensibile e irregolare, tende a ridurre i margini di attuabilità della politica monetaria stabilizzatrice. Il rischio ultimo e che, negandosi di fatto la sua autonomia nella regolazione del credito e della moneta, la Banca Centrale venga ridotta a officina carte-valori e che si ricada verso i rapporti primordiali tra il Sovrano e il suo banchiere. Ciò equivarrebbe a consentire che il processo inflattivo sfugga di mano e divengano ricorrenti i vuoti nei conti con estero.
Occorre, viceversa, lasciar emergere, in tutta la sua cruda gravità, il problema del riequilibrio delle pubbliche finanze, contenere e qualificare la spesa, accrescere e perequare l'imposizione, ricercare la migliore ripartizione degli oneri tra generazione presente e generazioni future.
Soprattutto se si stenta a procedere lungo questa via, che deve avere per obiettivo l'eliminazione del disavanzo pubblico di parte corrente, e ancor più essenziale salvaguardare la funzione di politica monetaria, consentendo alla Banca Centrale di determinare le condizioni generali del credito, quanto a disponibilità o a costo, più favorevoli al contenimento dell'inflazione, al controllo delle aspettative, alla difesa del cambio.
La gestione del debito pubblico, se può influire sulla struttura dei tassi d'interesse e sulla composizione dei flussi creditizi e delle attività finanziarie, non deve condizionare le linee di fondo della politica monetaria.
Nelle economie caratterizzate da rigidità verso il basso di salari e prezzi, la manovra combinata del cambio e della domanda interna e condizione necessaria perchè di fronte a uno squilibrio di bilancia commerciale, il processo di aggiustamento si svolga evitando che l'utilizzo della capacità produttiva si discosti eccessivamente dai livelli normali.
In un contesto altamente inflazionistico, il dosaggio della manovra assume ancor maggiore delicatezza, sia perché vi e un terzo obiettivo da perseguire, la lotta all'inflazione, sia perché i legami tra le variabili, per il rilievo che assumono le aspettative, si fanno più complessi o meno stabili.
L'azione svolta nel 1981, da un lato sulla domanda, attraverso la politica monetaria, e dall'altro sulla posizione competitiva con la manovra del cambio, ha consentito di realizzare miglioramenti nei conti con l'estero dell'Italia. Per il 1981 la bilancia dei pagamenti economica di parte corrente si e chiusa, secondo un primo consuntivo, con un disavanzo dell'ordine di 9.000 miliardi di lire (8.400 nel 1980), a causa della erosione nelle ragioni di scambio determinata dagli alti corsi del dollaro e delle fonti di energia. Nel corso dell'anno, però, il miglioramento e stato rilevante; il disavanzo, su base destagionalizzata è disceso da oltre 4.000 miliardi nel primo trimestre, a meno di 1.000 nel quarto.
Il sistema produttivo, reagendo alle restrinzioni creditizie e alle variazioni del cambio con la riduzione delle importazioni e l'aumento delle esportazioni, ha confermato la vitalità di larga parte del suo tessuto. Con questo risultato, che ha aspetti di labilità quali la diminuzione delle scorte per il ristagno produttivo, la manovra monetaria e del cambio ha ridischiuso prospettive all'avvío di un'azione più vasta e incisiva di politica economica, che rinsaldi la posizione competitiva attraverso la riduzione del differenziale inflazionistico tra l'Italia e gli altri Paesi. Nonostante che dall'estate scorsa il ritmo dell'inflazione sia rallentato, il tasso annuo di aumento dei prezzi al consumo continua da noi a essere quasi doppio di quello medio degli altri paesi dell'Ocse. Oggi, più che mai, le funzioni di politica monetaria e di vigilanza svolte dalla Banca d'Italia trovano nella lotta all'inflazione un momento unificante di preminente rilevanza economica e sociale. Data la natura del processo inflattivo in corso, il contributo della Banca Centrale può derivare dal controllo della domanda e dall'accrescimento dell'efficienza del sistema credizio. Il controllo della spesa monetaria mira a risultati positivi soprattutto nel breve periodo, prevenendo pressioni sulla capacità produttiva, raffreddando le aspettative inflazionistiche, salvaguardando, nel mercato dei capitali, i canali di finanziamento degli investimenti fissi, difendendo il merito di credito internazionale del Paese e quindi i gradi di libertà nella gestione del cambio. Quest'azione, peraltro, non si esaurisce nel breve periodo. E' necessario che essa assecondi, anche nel medio termine, il processo di rientro dall'inflazione che può avvenire solo attraverso l'autocontrollo, o il freno, della dinamica delle retribuzioni, il riassetto delle pubbliche finanze, chiare scelte e determinazione realizzatrice nelle politiche energetica, industriale agricola.
L'attività di intervento e supervisione rivolta al settore creditizio determina effetti antinflazionistici prevalentemente nel lungo periodo. Sottovalutarne la portata sarebbe, tuttavia, ingiustificato. L'inflazione italiana affonda le radici in scompensi settoriali e territoriali e nel permanere di ampie sacche di inefficienza, superabili solo attraverso un diverso utilizzo delle risorse. A quest'ultimo fine il sistema creditizio, insieme con gli altri meccanismi allocativi e con le politiche di struttura, e chiamato a recare un contributo ancor più rilevante che in passato.
La Banca d'Italia ha indicato criteri organizzativi e linee operative, idonei a potenziare l'efficienza delle strutture finanziarie, soprattutto nel momento più caratterizzante dell'attività bancaria, quello della valutazione dell'affidabilità delle imprese da finanziare.
Separazione tra sussidio e credito, forme organizzative e ruolo della banca pubblica, operatività degli istituti speciali, ricapitalizzazione degli intermediari finanziari, nomine bancarie sono tra i principali problemi per cui sono state prospettate e spesso realizzate soluzioni. Il principio-guida che la Banca d'Italia ha seguito e stato costantemente, e in particolare nella crisi economica attuale, quello di stimolare il potenziamento di una imprenditorialità bancaria esercitata, entro la cornice istituzionale, con particolare attenzione ai profili di rendimento e di rischio dell'intermediazione.
L'inflazione riassume i dualismi economici e le spinte centrifughe nel corpo sociale, riflettendoli e, a sua volta, contribuendo a determinarli. Batterla senza lacerare irreparabilmente il tessuto produttivo del Paese e il compito a cui l'ordinamento istituzionale chiama la Banca Centrale. La sua azione potrà tradursi in risultati non effimeri, se si iscriverà in una politica economica che intervenga direttamente sugli squilibri non finanziari del sistema. Se il contenimento dell'inflazione si ottenesse solo attraverso restrinzioni creditizie, e non anche attraverso economie di costo, la ripresa degli investimenti potrebbe mancare; se pure avvenisse, si orienterebbe al risparmio di lavoro, lasciando irrisolto il problema dell'occupazione.
La consapevolezza di questa esigenza si e diffusa e accresciuta nei tempi più recenti. Si viene realizzando così un presupposto essenziale per il recupero della stabilità dei prezzi. Sempre più evidente e il contrasto di comportamenti che permangono antitetici con il raggiungimento di questo. obiettivo.
Nel maggio scorso ho tracciato le linee di un nuovo statuto della moneta, che necessariamente comprendono aspetti in senso stretto non monetari: una più chiara definizione dell'autonomia della Banca Centrale nel finanziamento del Tesoro, il vincolo del pareggio tra entrate e spese correnti nel bilancio pubblico, l'allentamento delle clausole di indicizzazione ai prezzi dei redditi e dei patrimoni.
Non si riconquista dopo dieci anni d'inflazione la stabilità senza sacrifici. Non esistono vie facili. Non esistono scorciatole. Non si accresce l'impegno attivo per la lotta all'inflazione, se si estende l'area delle indicizzazioni, anziché restringerla o eliminarla. Come non si opera per l'aumento dell'occupazione, se nella situazione presente si ricercano maggiori salari reali da parte di chi ha già un lavoro, né per il riequilibrio del bilancio pubblico se ci segue un orientamento limitato ai suoi aspetti di breve periodo.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000