L'assistenzialismo non cancella la disoccupazione




Siro Lombardini



I livelli che la disoccupazione ha raggiunto nei vari Paesi inducono a riconsiderare indirizzi e metodi di politica economica. E' ormai evidente che la lotta contro l'inflazione, condotta con gli strumenti della politica monetaria, mentre si rivela scarsamente efficace in relazione agli obiettivi che si propone, determina una tendenza al calo dell'occupazione che non si vede come poter ribaltare e che potrebbe rendere ingovernabile la crisi del sistema politico e sociale. D'altronde, le politiche assistenzialistiche messe in atto un pò dovunque, ma in modo particolare nel nostro Paese, possono nascondere ma non certo eliminare le implicazioni che, ai fini dello sviluppo dell'economia, ha la caduta dei livelli di occupazione. La politica assistenziale, mangiando il capitale e tenendo artificialmente alto il potere d'acquisto, può dare l'illusione che il sistema tenga e che la congiuntura non sia così nera come le notizie che provengono dalle fabbriche fanno ritenere. La bella cera che questa politica conferisce all'economia nasconde però la devastazione del settore produttivo e del settore pubblico che si associa ai crescenti livelli di disoccupazione.
Non basta in verità stimolare la domanda perché l'attività produttiva possa espandersi e l'occupazione aumentare. Valga un esempio. Tutti sono convinti -e la convinzione è fondata - che una ripresa dell'edilizia possa ravvivare numerosi settori industriali e quindi portare a sensibili aumenti dei livelli di occupazione. Vi sono certo molti problemi da risolvere che attengono alla domanda:
- la modifica di certe prassi in materia urbanistica, che Nicolazzi ha avuto il coraggio di proporre lungo linee sostanzialmente valide (anche se richiedono qualche aggiustamento tecnico e qualche opportuna integrazione);
- alcuni problemi di finanziamento che debbono essere concepiti non allo scopo di creare nuovo potere d'acquisto da destinare alla casa con l'effetto di aggravare il processo inflattivo, ma al fine di incoraggiare il risparmio e il suo orientamento all'edilizia;
- istituti e procedure per un effettivo e significativo bilancio dell'edilizia pubblica.
Ma non basta risolvere questi problemi "di domanda". Occorre anche affrontare problemi che attengono all'offerta: la loro mancata soluzione potrebbe impedire agli altri interventi di produrre gli effetti desiderati e rendere inevitabile, di conseguenza, una accelerazione dell'inflazione. In più occasioni abbiamo avuto modo di soffermarci su questi problemi che riguardano l'offerta; essi concernono la riorganizzazione e il potenziamento dell'edilizia, un congruo sviluppo della produzione in fabbrica di gran parte dei manufatti che oggi vengono prodotti nel cantiere (mentre è difficile trovare lavoratori disposti a fare il muratore, e abbastanza facile riconvertire operai, così da rendere possibile lo sviluppo delle produzioni per l'edilizia che hanno luogo nelle fabbrica); gli istituti e le politiche necessarie per il coordinamento delle varie attività che concorrono alla soluzione dei problemi urbanistici, all'attività di progettazione e allo sviluppo dell'edilizia e delle attività complementari. Per risolvere il problema dell'occupazione occorre quindi che, in sintonia certo con una congrua politica della domanda - che richiede, nel nostro Paese, soprattutto la tanto auspicata e mai attuata riqualificazione della spesa pubblica si elabori una politica dell'offerta. Una politica che non può consistere come affermano i sostenitori "supply side economics", semplicemente nella rimozione dei lacci e dei lacciuoli che impediscono lo sviluppo dell'attività imprenditoriale. Certo è necessario creare alcune condizioni perché siano stimolate e potenziate le nuove iniziative; ad esempio, si rende necessario rivedere i meccanismi del collocamento; in modo da conciliare le esigenze dell'imprenditorialità con i giusti diritti dei lavoratori: non solo però di quelli che sono sulle liste ma anche di coloro che presto o tardi finiranno per dover sopportare le conseguenze delle eccessive rigidità del sistema. Ma non bastano queste misure che il neoliberismo sollecita; occorre anche che sia impostata una politica attiva, che crei le condizioni per la ristrutturazione e la riconversione di molti settori industriali per il passaggio di molte imprese dal sommerso all'economia "ufficiale" che renda il sistema delle Partecipazioni Statali non più quello strumento di politica assistenziale, che forze politiche e sindacali - smentendo i loro stessi proponimenti - spesso sollecitano, ma operatore fondamentale del processo di potenziamento, di orientamento e di sviluppo (validamente articolato sul territorio) del nostro sistema produttivo. Per risolvere i problemi della disoccupazione occorre poi affrontare il tema dell'occupazione nel settore pubblico. Essa e andata aumentando a tassi rilevanti in questi anni, ma non in relazione ad una politica di sviluppo dei servizi sociali, alcuni dei quali possono avere effetti diretti irrilevanti sulle prospettive di alcuni settori (come ad esempio il turismo) ma in conseguenza della mera politica assistenzialistica.
Tutti questi momenti di politica dell'offerta debbono integrarsi nella determinazione di un bilancio dell'occupazione che deve consentire un confronto tra parti sociali e Governo non mistificato dagli usuali approcci macroeconomici, ma impegnato ad analizzare le concrete prospettive dei vari settori pubblici e privati e a determinare le strategie e le politiche che possono ribaltare la tendenza alla crescente disoccupazione: una tendenza suscettibile di mettere in crisi il nostro sistema democratico.

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