Maggiore apertura agli investimenti delle piccole e medie imprese




Francesco Parrillo



1. La lotta all'inflazione non ha consentito ancora risultati tali da rendere possibile l'abbandono delle misure restrittive; il degrado monetario va lentissimamente decelerando. Nel corso dell'anno il tasso di crescita dei prezzi si è ridotto di soli 2,4 punti percentuali, scendendo dal 21,1% al 18,7%. Da giugno a dicembre, il saggio tendenziale di aumento si è attestato sul 17,9% rispetto al 20,6% dei primi sei mesi. Il tasso medio, 18,7%, è prossimo al valore dell'inflazione degli ultimi otto anni, cioè dai tempi della crisi petrolifera, ed è più basso di quelli registrati nel 1974, 1977 e '80, anche se il differenziale con gli altri Paesi dell'area OCSE si mantiene ancora elevato. Anche i conti con l'estero mostrano minori tensioni. Nel periodo gennaio-novembre le importazioni hanno raggiunto 193.380 miliardi e le esportazioni 176.837 miliardi con un aumento nel confronti dello stesso periodo del 1980 del 22,5% e del 30,6%. Nel primi undici mesi del 1981, tuttavia, la bilancia commerciale è risultata in rosso per 16.543 miliardi, contro un passivo di 17.363 miliardi nello stesso periodo del 1980. Cresce, comunque, anche il numero dei settori che contabilizzano saldi attivi, contribuendo così a rendere meno stringente il vincolo della dipendenza energetica. La bilancia dei pagamenti valutarla presenta un risultato che è andato al di là delle più ottimistiche previsioni con un saldo attivo di 1.900 miliardi rispetto al deficit di 6.400 miliardi registrato nel 1980.
Alla base di questi andamenti vi sono l'introduzione del deposito previo, che ha rallentato le importazioni, e le due svalutazioni della lira e la rivalutazione del dollaro, che hanno reso le nostre esportazioni più competitive; vi e altresì, il recupero di produttività e di alcuni equilibri reali da parte delle imprese più aggressive sui mercati mondiali e l'indebitamento verso l'estero che ha aggiunto livelli critici. Il rovescio della medaglia di questa "azione preliminare di estremo rigore", come l'ha definita il Ministro Andreatta, e quello tipico di ogni manovra deflattiva, che punta soprattutto sull'utilizzo degli strumenti monetari e creditizi. L'insieme delle misure sta, infatti, mantenendo in piedi la recessione con effetti negativi a livello di reddito, produzione industriale ed occupazione. La produzione industriale è in caduta del 4% circa in modo più accentuato di quanto previsto in sede di relazione programmatica. I dati rivelano che la stagnazione ha interessato la generalità dei settori pur con una intensità variabile in relazione al differente andamento della domanda dei vari prodotti ed alle condizioni di rigidità esistenti dal lato dell'offerta. In forte aumento la disoccupazione che ha toccato 12. 100.000 di addetti, pari al 9, 1% della forza lavoro. Degli inoccupati, oltre i tre quarti (75,4%) sono giovani sotto i 29 anni. Il quadro è aggravato dalla constatazione che l'incremento nel numero dei disoccupati, in questi mesi, è dovuto, soprattutto, alla perdita di posti di lavoro più che all'entrata di nuove unità nel mercato.
Per il 1982, in assenza di una rapida attuazione della politica di sostegno dell'offerta, le previsioni sono negative, riflesso del calo del PIL (-0,5%) e della crescita zero degli investimenti registrati nel 1981. Le stime più accreditate concordano nell'indicare aumenti modestissimi nella produzione industriale e nel prodotto lordo per la prevedibile, seppur contenuta, ripresa della domanda internazionale nei mesi finale. Per la maggiore competitività dei nostri prodotti, le esportazioni dovrebbero crescere del 5% in termini reali mentre la dinamica dell'import risulterà nettamente inferiore per la stagnazione dei consumi. Tutto ciò, in un periodo che non dovrebbe far registrare particolari tensioni dei prezzi delle materie prime, porterà probabilmente ad una riduzione del deficit commerciale. In questo quadro il problema principale sarà costituito dagli investimenti per i quali si teme una caduta con inevitabili effetti negativi sull'occupazione.
Rispetto a queste realtà a queste previsioni che vanno giudicati i provvedimenti monetari e creditizi adottati. Nel 1981, è continuata un'azione fiscale moderata con una condotta monetaria dura. E' stato confermato ed aumentato il vincolo di portafoglio, si sono resi più stringenti i massimali sul credito estesi a tutti i prestiti in lire e ai finanziamenti in valuta alle importazioni, è stata variata la parità centrale della lira, si è innalzato il tasso ufficiale di sconto, si è accresciuto il coefficiente di riserva obbligatoria, è stato imposto un deposito previo sui pagamenti all'estero.
Una manovra che, nel suo complesso, si è caratterizzata per un rigore forse superiore a quella sperimentata nel 1976, anno di grave crisi per il nostro Paese. Per il 1982, è noto che la Banca Centrale ha rinnovato il plafond alla crescita degli impieghi bancari in modo forse più severo che l'anno passato. Il dato globale è leggermente inferiore a quello indicato per il 1981 (11,6% contro il 12%) mentre la dilatazione dei prezzi, avutasi nell'anno trascorso, e quella prevista per il 1982 determineranno, per le imprese, un maggior fabbisogno di capitale circolante. In particolare, si osserva che rispetto al tasso di inflazione del 16%, indicato nella Relazione previsionale e programmatica, si ha una contrazione, in termini reali, delle disponibilità d i credito bancario del 4,4%. Più specificatamente, il profilo mensile della dinamica delle percentuali di sviluppo consentite, rivela che la stretta sarà più severa nei mesi iniziali dell'anno cosicché a fine maggio, i prestiti in lire dovranno essere inferiori di oltre 2.200 miliardi a quelli erogati nel dicembre 1981: a fine giugno, gli impieghi bancari non dovranno superare la consistenza di fine anno 198 l. La stretta sarà in parte alleggerita dalla restituzione, entro maggio, alle imprese dei depositi infruttiferi sulle importazioni per circa 2.000 miliardi. Il contingentamento del credito dovrebbe risultare meno sensibile nella seconda parte del 1982 ed infatti, nel periodo 1° luglio-31 dicembre l'espansione di esso sarà dell'11,6%. In altre parole, l'aumento ipotizzato si realizzerà soprattutto nel secondo semestre in accordo con le previsioni di cauta ripresa dell'economia internazionale e nazionale. Ribadito l'assoggettamento alla misura di politica selettiva di tutte le operazioni di credito in lire, senza alcuna esclusione; confermata, altresì, l'esenzione per i prestiti in valuta a favore degli esportatori nazionali, il provvedimento della Banca Centrale introduce una modifica per quanto riguarda gli impieghi in moneta estera all'import, che potranno crescere del 12% rispetto alla loro consistenza al dicembre 198l. Questa maggiore, seppur parziale apertura, trova compenso nell'aggravio della riserva infruttifera sugli sconfinamenti salita al 90% per i debordi oltre il 6%. Sinteticamente, nel periodo gennaio-giugno, le imprese dovranno ridurre la propria esposizione debitoria. Ciò significa che le unità produttive dovranno verosimilmente contrarre i crediti e le scorte nonché liquidare eventuali attività finanziarie possedute, giacché non e ipotizzabile un incremento dell'autofinanziamento tale da compensare la riduzione del credito ordinario. Non è da escludere che si ripeta quanto già verificatosi in analoghi periodi di restrizione e, cioè, il mancato versamento dei contributi previdenziali, il ritardo nei pagamenti e l'allungamento delle scadenze, sicché la parziale copertura di un debito, quello bancario, avviene con l'accensione di altri debiti presso soggetti diversi. La situazione potrà essere alleggerita dall'utilizzo di canali alternativi e di talune fasce di finanziamento di recente sviluppatesi.
La particolarità del mercato, l'incertezza tributarla rispetto a taluni strumenti, la dimensione stessa dei flussi non consentono, peraltro, una copertura delle esigenze di capitale circolante delle imprese in assenza di un'adeguata espansione dei prestiti bancari. Proprio la difficoltà di ottenere le risorse necessarie per il credito a breve termine dovrebbe incidere negativamente sul flusso dei nuovi investimenti pur nella ipotesi di una capiente disponibilità di offerta di fondi da parte degli intermediari operanti nel medio e lungo termine. La situazione generale, come innanzi detto, dovrebbe migliorare nella seconda parte dell'anno, pur mantenendosi di certo non espansiva; le banche potranno accrescere l'offerta di prestiti e le aziende vedranno accolta una maggiore quota della loro domanda di affidamenti.
Si sono innanzi richiamati gli effetti della politica creditizia restrittiva a livello macroeconomico, si vuole nel seguito ricordare le conseguenze a livello microeconomico di un tale indirizzo. Dette conseguenze dipendono dal grado di sensibilità dell'impresa nei confronti degli eventi esterni su cui influiscono la natura del soggetto economico, la struttura finanziaria dell'azienda e le combinazioni produttive attuate. E' noto che, a parità di altre condizioni, la restrizione e meno sentita se l'impresa è parte di un gruppo, e quanto più i rapporti all'interno di esso si ampliano, si pensi alle imprese multinazionali. La stessa distinzione tra soggetto pubblico e privato può costituire motivo per un diverso grado di severità della manovra creditizia, così come la struttura e la dimensione dell'indebitamento dell'impresa richiedente. Una maggior quota di debiti bancari a breve rispetto a quelli a medio e lungo, come è per le piccole e medie aziende accresce la dipendenza dai fattori esterni quindi, la condotta monetaria. La stessa forza contrattuale nei confronti degli istituti erogatori, limitata per le minori unità produttive, maggiore per le grandi aziende pubbliche e private, incide, in una fase di restrizione creditizia, sulla disponibilità di risorse prese a prestito. La valutazione dei rapporti in essere tra banca e impresa e anch'essa motivo di discriminazione nella ripartizione dei flussi dei fondi erogati dagli intermediari a breve. Le aziende bancarie finiscono, infatti, per dare preferenza alla clientela in grado di garantire un adeguato lavoro. Le grandi imprese con i molteplici rapporti che le legano ad un notevole numero di altre aziende e con la continua movimentazione dei conti accesi sono in grado di garantire tale lavoro molto più di quanto non possano fare le unità di minori dimensioni. In aggiunta, le aziende maggiori possono ridurre l'effetto negativo delle restrizioni monetarie, ricorrendo a forme di credito alternative a quello bancario. In effetti, canali sussidiari sono meno facilmente accessibili, nonostante notevoli progressi si siano fatti in questi ultimi anni, alle imprese minori, si pensi al ricorso al mercato mobiliare ed alla possibilità di indebitarsi all'estero. Un fattore di riduzione della sensibilità della condotta monetaria e la possibilità di incidere sulla dinamica degli incassi connessi alle vendite e dei pagamenti per acquisti. L'asincronia tra entrate ed uscite monetarie, quindi, le esigenze di indebitamento sarà minore per le imprese dotate di un potere di mercato, in genere le grandi aziende, rispetto a quelle, le piccole e le medie unità produttive che si trovano a fronteggiare una concorrenza vivace. Considerazioni analoghe valgono per la possibilità di manovra dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo. Si può affermare che le aziende che si trovano in posizione più favorevole, cioè quelle che hanno una forza contrattuale significativa nel mercato, riescono più facilmente a traslare su altre aziende gli effetti negativi delle restrinzioni creditizie.
L'attenta valutazione degli aspetti microeconomici, teste ricordati aveva indotto le autorità monetarie ad introdurre politiche selettive che favorissero il finanziamento delle piccole e medie imprese. Nella normativa del massimale in vigore dal marzo 1973 al marzo '75 e, successivamente, dal novembre 1976 al marzo del 1981, si era lasciata una fascia di prestiti esenti per limiti di importo, fascia che, nel tempo, e variata più volte ma che sempre aveva caratterizzato le misure di inquadramento del credito. L'esistenza di una soglia di applicazione del plafond aveva contribuito a realizzare cambiamenti notevoli sia dal lato della domanda di credito che nel comportamento economico - finanziario delle imprese. Le minori unità produttive ne hanno tratto giovamento beneficiando di una maggior quota di credito concesso dal sistema bancario, si e ridotta la tendenza a razionare le piccole e medie aziende in fase di stretta creditizia, le maggiori imprese si sono orientate verso comportamenti idonei a renderle più indipendenti dalle decisioni di politica monetaria. L'esclusione di prestiti di ridotta entità dalla norma selettiva aveva, d'altronde consentito alle banche che tradizionalmente si rivolgono alla clientela minore (Banche popolari e Casse di risparmio, in particolare) di continuare, entro determinati limiti, la loro politica di impiego. Dette banche manifestavano una dinamica superiore a quella del sistema ed erano in maggioranza istituti operativi a livello locale. Il massimale, per la sua struttura, impone comportamenti uniformi e tende ad annullare le differenze tra una banca in crescita e propensa a sviluppare gli impieghi oltre la norma ed una azienda che si sviluppa con lentezza e segue una politica dei prestiti più cauta, comunque, entro i limiti del massimale. In aggiunta, il plafond, applicandosi all'istituto e non sulla singola dipendenza consente alle banche ad ampia diffusione territoriale di operare compensazioni interne; il che significa che, in determinate aree, la grande banca può beneficiare di un margine di crescita superiore a quello dell'intermediari locale. Vi è d'aggiungere, per completare il breve esame dei fattori distorsivi prodotti dalle politiche selettive in atto, che le aree economiche in cui più numerosi sono gli istituti di credito a carattere nazionale risultano avvantaggiate, rispetto a zone in cui sono prevalenti banche a ridotta diffusione territoriale, giacché possono usufruire di un flusso di prestiti superiore al limite posto dalla misura di contingentamento.
E' per questa serie di motivazioni che si ritiene sia da considerare con attenzione l'opportunità di reintrodurre un'area di esenzione nel massimale dell'accrescimento degli impieghi in lire. Oggi, infatti, gli impieghi delle aziende di credito a favore delle imprese di minori dimensioni raggiungono il 77.786 miliardi (fine ottobre 1981) rappresentando il 68,8% del totale degli interventi che si rivolgono al settore delle imprese, pari a 113.100 miliari. Tale quota si e continuamente accresciuta negli anni; è passata infatti dal 55,8% nel 1977 al 63,0% nel 1979 ed all'attuale 68,8%. Bisogna tenere presente, tuttavia, che, negli ultimi mesi, la dinamica dei prestiti alle imprese minori ha registrato un certo rallentamento: da marzo ad ottobre 1981 essi sono cresciuti, invero, del 10,8% contro il 13,0% del corrispondente periodo del 1980, nel quadro di una generale flessione degli impieghi al complesso delle imprese. Pur scontando una diminuzione della domanda di credito rivolta al sistema da parte delle minori aziende per effetto della fase congiunturale avversa e della stessa contrazione dell'offerta, i dati riportati sembrano indicare, in effetti, che la eliminazione della fascia esente (prestiti in lire inferiori ai 130 milioni) dalla normativa del massimale ha comportato una riduzione dei flussi di finanziamento alle imprese considerate.
Ciò può avvenire compatibilmente con l'obiettivo primario di riduzione del tasso d'inflazione e di riequilibrio nei conti con l'estero e con modalità diverse da quelle vigenti in passato. Com'è noto dall'aprile 1981 il plafond e operante per la totalità dei prestiti in lire qualsiasi sia il loro importo. Nel corso del 1980, la crescita abnorme dei fidi sotto i 130 milioni causata come e stato osservato dalla "furbizia del mercato", costringeva le autorità, impegnate a ridurre il degrado monetario, a eliminare ogni esenzione. La pratica del frazionamento del fido aveva esteso l'area di applicazione dei prestiti al di sotto dei 130 milioni tradendo lo spirito della norma e indebolendo l'operatività del massimale. L'eventuale reintroduzione di un'area di franchigia a favore delle minori unità produttive, se si vogliono evitare gli inconvenienti del passato, non dovrebbe fare esclusivo riferimento all'entità del prestito, bensì considerare anche altri parametri quali ad esempio la dimensione dell'impresa richiedente. In sintesi, dovrà valutarsi, in base a risultanze oggettive, come per l'ammissione al beneficio di specifiche leggi agevolative nel settore del credito a medio termine, se l'azienda e classificabile come piccola o media. Il doppio sbarramento, esenzione per imposte e per dimensione, dovrebbe evitare abusi e mantenere alle autorità il controllo della dinamica dell'aggregato impieghi bancari mentre l'esigenza di un'area di franchigia del plafond potrebbe ridurre fenomeni di razionamento a danno delle minori unità produttive. L'eventuale ripristino - ovviamente con le correzioni proposte - dell'esenzione dal massimale delle operazioni non al di sotto dei 130 milioni, ma di prestiti richiesti veramente da piccole e medie imprese, non sconvolge il meccanismo del massimale, ma ne determina, al contrario una qualificazione più selettiva. Dovendo mantenere una politica monetaria tuttora restrittiva, in relazione al persistere della difficile congiuntura, operare sulla modifica del massimale, può favorire un efficace spostamento di risorse a vantaggio delle minori imprese, senza attenuare gli effetti restrittivi globali della manovra incentrata sul massimale stesso. L'ampliamento degli investimenti delle piccole e medie imprese, del resto, si traduce in una serie di effetti favorevoli sull'intero sistema perchè essi:
- sono svincolati da decisioni macroeconomiche di carattere generale e sono prevalentemente legati alle iniziative ed alla intraprendenza degli operatori minori e locali;
- sono più ricchi di valore aggiunto e di effetti moltiplicativi;
- favoriscono la ripresa delle esportazioni, alle quali i prodotti qualificati dell'imprenditoria minore danno un apporto rilevante;
- non incidono sull'equilibrio valutarlo, perché, generalmente, gli investimenti delle piccole e medie imprese non comportano importazione di materie prime. In sostanza, non si vuole smantellare il meccanismo del massimale, ma soltanto iniziare, attraverso una sua revisione, una graduale ripresa degli investimenti per conciliare le tuttora inderogabili esigenze di difesa della stabilità con l'obiettivo, altrettanto perentorio, di una ripresa degli investimenti e dello sviluppo. Se è pacifico che la struttura dell'economia italiana è diversificata e pluralistica ed ha il suo baricentro nelle piccole e medie imprese e nelle economie locali, un provvedimento che rilanci, in qualche modo, la ripresa degli investimenti produttivi di tale vitale settore non può che riflettersi positivamente sulla ripresa e sullo sviluppo. Il processo di superamento di questa fase di immobilizzo e di ristagno della nostra economia, che, da qualche tempo, è in bilico fra inflazione e recessione, sarà maggiormente accellerato se sarà possibile accompagnare la ripresa degli investimenti con un graduale ammorbidimento del costo del denaro, anche mediante sgravi fiscali, e se saranno ripristinate alcune fondamentali regole i mercato, che ricreino condizioni indispensabili di convenienza economica in un quadro di maggiore sicurezza.
In prospettiva, rimane l'esigenza di procedere ad una revisione della normativa del massimale sino alla sua abrogazione, sia pure graduale. E' questa un'esigenza dettata dalla necessità di difendere il potere di scelta del banchiere senza il quale viene meno la funzione selettiva della banca nella destinazione dei flussi creditizi all'economia. Le misure di tipo coercitivo, sono giudicate distorsive, emarginano il ruolo della banca nella raccolta del risparmio finanziario, attribuiscono ad essa compiti impropri e rilevanti nel finanziamento del debito pubblico, irrigidiscono il bilancio bancario, ampliano il divario operativo tra tassi attivi e passivi, incido no sul margine di intermediazione, alterano le condizioni concorrenziali all'interno del settore, appiattiscono l'operare degli intermediari penalizzando quelli più dinamici. In sintesi, l'esistenza o lo stratificarsi di vincoli sempre più numerosi e frequenti, incide sulla funzionalità del sistema del credito ordinario e dequalifica l'attività bancaria.

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