§ L'ITALIA NELL'ULTIMO DECENNIO

Inflazione e criminalità




Leo Valiani



E' confortante trovare, nel rapporto del Censis, parecchi motivi d'ottimismo circa lo sviluppo economico dell'Italia. Esso documenta come, grazie al tenace lavoro e all'intraprendenza di molti italiani, il Paese abbia progredito anche in quest'ultimo decennio. Intere regioni si sono industrializzate, sovente in settori che richiedono una tecnologia avanzata e i loro prodotti sono ancora competitivi all'estero. E' venuto un benessere diffuso, fondato sul rigoglio d'un gran numero di piccole imprese, risparmiate dagli scioperi e appartenenti a quella che si suole chiamare economia sommersa.
Sarebbe, però, cecità ignorare il rovescio della medaglia. Finché i nodi non vengono al pettine, l'Inflazione tonifica, di regola, i consumi e, di conseguenza, la produzione e gli investimenti, per lo meno quelli privati. Ha ragione il Censis di dire che l'Italia non e paragonabile ai Paesi del Terzo Mondo. Purtroppo, l'inflazione può rompere le dighe anche in nazioni industrialmente sviluppate. Così accadde in Germania, nel 1923. Nel triennio precedente gli investimenti, l'occupazione di manodopera, i consumi e, per qualche tempo, specie nelle industrie d'esportazione, i salari erano stati alti nella Repubblica di Weimar.
L'agricoltura tedesca beneficiò dell'annullamento pratico dei debiti che i proprietari - piccoli, medi e grossi - avevano acceso sui loro fondi, in marchi via via svalutati. La cuccagna, naturalmente, non poteva durare in eterno. La sua fine fu affrettata dal rifiuto della Germania di continuare a pagare le pesanti riparazioni belliche e dalla conseguente occupazione militare francese della Ruhr. La prosperità inflazionistica fu pagata dal dissetto delle finanze pubbliche tedesche e dalla rovina dei ceti dei modesti risparmiatori e dei pensionati, che ne serbarono rancore alla democrazia.
In Italia, grazie anche alle alleanze politiche ed economiche occidentali di cui facciamo parte, il decorso dell'inflazione e assai più lento, i suoi effetti stimolanti durano di più, la resa dei conti ha scadenze più lunghe. Ciò rende più cronico e, dunque, più oneroso l'indebitamento e lo sfacelo delle strutture pubbliche. Il sistema ferroviario, la fornitura d'energia elettrica, gli aeroporti, il servizio sanitario, l'edilizia stessa, che in passato s'avvantaggiava dell'aumento dei prezzi delle case, versano in condizioni di decadenza accentuata. La situazione del massimo Ente pensionistico e vicino alla bancarotta.
Nella Germania di Weimar, fra la catastrofe inflazionistica e il sopraggiungere della disoccupazione di massa nel 1929 passarono sei anni. C'è il pericolo che da noi questo lasso di respiro non ci sia neppure. Il perdurare dell'elevatezza dei consumi e finanziato attualmente per un verso dallo Stato, con le sue immense spese assistenziali, per un altro verso dalla parziale evasione delle imposte e dei contributi sociali da parte dell'economia sommersa. L'impossibilità di nuotare indefinitamente in questa finanza allegra rischia di precipitarci, nel momento critico dall'inflazione, nella depressione. Per evitare ciò sarebbe necessaria una programmazione ben congegnata, che combatta sul serio, realisticamente e non demagogicamente, la disoccupazione laddove già si manifesta e la prevenga altrove.
Per riuscire a programmare il raggiungimento e il mantenimento del pieno impiego, lo Stato deve possedere autorevolezza ed efficienza. In generale e più facile perderle, che ritrovarle. La libertà, compresa quella delle iniziative peculiari ad un'economia di mercato internazionalmente aperta, e, tuttavia, il migliore dei rigeneratori, purché si imbocchi la strada che porta alla ricostituzione dell'ordine pubblico e non ci si ostini a perseverare nella sua ulteriore disgregazione.
Non casualmente, data la costante riduzione dell'effettiva capacità d'acquisto degli stanziamenti per i servizi pubblici, a cominciare da quelli primordiali della giustizia e della tutela dell'ordine, e data altresì la visibile dilatazione delle sperequazioni, degli sperperi e delle ingiustizie sociali, l'accrescimento delle pressioni inflazionistiche e andato di pari passo col dilagare della criminalità e, in particolare, del terrorismo. S'intende che vi ha contribuito ancora di più la permissività imperante nei confronti di tanti delitti e soprattutto nei confronti della corruttela e della violenza mafiosa, camorristica ed eversiva. Il mutamento di rotta deve partire da qui, poiché la nazione, ancora divisa a proposito dei sacrifici da sopportare per il risanamento economico, e già largamente orientata a reclamare una più energica difesa dai delinquenti e dai terroristi. Le parole, però, non bastano. Al recente convegno sindacale di Torino sul terrorismo, una guardia carceraria ha osservato che la vittoria sui terroristi (e ciò vale per tutti i criminali irriducibili) bisogna riportarla in primo luogo nelle prigioni.
Oggi, a seguito del sovraffollamento e della rinuncia a misure disciplinari di rigore, esse sono scuole di rivolte e di prepotenze impunite e centri di organizzazioni di nuovi reati che hanno come mandanti i detenuti più agguerriti e come esecutori i loro complici in libertà. Cedere ai ricatti degli uni o degli altri equivarrebbe al progressivo suicidio dello Stato democratico, che, ha, viceversa, nelle sue mani un'arma che già si è rivelata efficace e molto di più potrebbe esser tale con l'incentivazione dei pentimenti provati, ossia con più sostanziose diminuzioni di pena, limitate a quanti cooperano con la giustizia al fine di impedire altri omicidi e facilitare la cattura degli assassini in circolazione.
Occorrono provvedimenti spesso prosaici, coraggiosi e impiegati con risolutezza e tempestività Abbiamo ricordato alcuni d'essi: anche di altri abbiamo discorso già più volte. La severità e raramente popolare, ma i risultati disastrosi del lassismo fanno poi rimpiangere che non sia stata applicata.

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