§ ITALIA ALLO SPECCHIO

Rapporto Censis




Roberto Natale, Rita Piccolini



LA SITUAZIONE GENERALE ITALIANA

La società italiana degli Anni '70 ha visto affermarsi un insieme di fenomeni che ne hanno mutato le caratteristiche di fondo. Crescita di soggettività (nel lavoro e nei consumi), sviluppo di piccole imprenditorialità, crescente modularizzazione della partecipazione al lavoro, forte riprivatizzazione e ripersonalizzazione della soddisfazione dei bisogni sociali, graduale imborghesimento di massa, crescita di peso della dimensione locale: tutto ciò ha prodotto una società dallo sviluppo molecolare e diffuso, fatta di tante realtà differenziate. Questa società cambia non seguendo un progetto generale e complessivo, ma secondo la risultante delle direzioni dei vari soggetti; ha però una sua dimensione intelligente e avanzata, dato che sa adattarsi assai bene alle crisi e non presenta più quegli antagonismi sociali semplificati che affliggono ancora società più avanzate della nostra.
Questo quadro, consegnatoci dal decennio scorso, va integrato con tre novità del 1981, strettamente collegate fra loro:
- la società italiana è fin troppo una "società dei comportamenti ": le appartenenze, le strutture, le istituzioni sono ogni giorno messe in grave crisi dalla forza dei comportamenti individuali e collettivi (nell'organizzazione del lavoro, nella macchina dello Stato, nella vita sindacale, ecc ... );
- si sta affermando una filosofia di "Individualismo protetto": da un lato si vuole la più ampia libertà nei comportamenti individuali e collettivi, dall'altro si chiede una totale protezione pubblica. Ad esempio, si vuole la libertà del secondo lavoro, ma garantiti dalla Cassa Integrazione e dalla non licenziabilità;
- la società tende a "vivere in orizzontale", senza alcuna spinta a riconoscersi in una qualunque autorità sovraordinata. i grandi processi di mobilità sociale passano sempre meno attraverso i grandi antagonismi e le grandi appartenenze.
Queste tre caratteristiche rischiano di rendere sempre più difficile l'individuazione e il perseguimento di interessi ed obiettivi collettivi e generali. Ma la responsabilità di una tale pericolosa prospettiva è soprattutto nell'incapacità dei soggetti intermedi (partiti, istituzioni, sindacati, associazioni) che dovrebbero condurre i soggetti elementari (individui, famiglie, imprese, comunità locali) a riconoscersi in impegni più generali:
La crisi italiana di questo periodo è appunto crisi dei soggetti intermedi: di fronte alla caduta delle identità legate alla pura appartenenza collettiva, essi hanno risposto irrigidendosi nella riaffermazione delle loro identità originarie, troppo semplificate per società complesse come la nostra. Nel vuoto lasciato dalla crisi dei soggetti intermedi sta avvenendo la rivincita di un modo poco moderno di governare la società: ci sono segni del rilancio di una maniera oligarchica di far politica, vecchio vizio delle classi dirigenti italiane.
Dimensione particolaristica dello sviluppo, crisi dei soggetti intermedi, ripresa di una politica elitaria: questi tre fenomeni rischiano di condannarci ad una fase debole del nostro progresso civile. Per uscire dalla crisi - più culturale che economica e sociale - è necessaria una forte maturazione culturale: se nei soggetti intermedi deve diffondersi la consapevolezza che l'unica strada è non rinchiudersi in sè, la classe dirigente deve capire che una società complessa ed articolata - cioè occidentale avanzata - va governata non concentrando il potere, ma fornendo regole del gioco e procedure sulle quali i tanti soggetti possano sviluppare i loro rapporti di scambio. Governare vuol dire stare nei rapporti, e non imporre programmi alla realtà dall'esterno.

Fenomeni di spicco del 1981

Dopo l'esaurimento di due grandi cicli (gli Anni '70 caratterizzati dall'insorgere del vitalismo e del localismo, e gli Anni 1978-80 segnati da un intenso sviluppo dei soggetti "micro", cioè famiglie e imprese private), la società italiana si trova ora in una fase di sospensione: non si riesce a capire se l'attuale periodo si risolverà in una regressione o in un ulteriore avanzamento.
Motivi strutturali possono essere addotti a sostegno di entrambe le previsioni. Chi teme la regressione pensa al peso che hanno l'inflazione, la crisi della grande impresa, i conti passivi con l'estero, la situazione della finanza pubblica e dell'apparato burocratico, i fenomeni di devianza (terrorismo, droga e violenza), le insufficienze dei servizi pubblici. Chi spera in un avanzamento pensa alla vitalità di tante situazioni locali, alla forza della piccola e media industria, alle notevoli capacità di adattamento alle crisi.
Anche i fenomeni congiunturali sono ambivalenti, di difficile lettura: è da escludere, comunque, un giudizio di crisi generalizzata. Segno particolarmente positivo è la tenuta - superiore alle previsioni, perfino rispetto alle aree di più antica tradizione industriale - delle zone emergenti del Mezzogiorno (come mostrano l'aumento delle esportazioni e del consumo di energia). Al contrario, in altre realtà territoriali (particolarmente al Nord) vi sono sintomi preoccupanti di deindustrializzazione, di scivolamento nella terziarizzazione non vitale. Il processo di riconversione industriale è in effetti molto lento e differenziato: alcuni settori sono in grave crisi, altri sembrano reggere bene; alcune grandi imprese sembrano aver superato le difficoltà, altre (in specie pubbliche) continuano a peggiorare. Inoltre i meccanismi messi in opera negli anni scorsi per resistere alla crisi continuano a dar frutti, ma creano anche distorsioni gravi: ad esempio, l'aumento del prezzo del denaro ha creato il banchiere occulto, che però in alcune regioni è costituito da mafia e camorra.
Insomma, dall'attuale fase di sospensione si può uscire in avanti o all'indietro. Alcune dinamiche sociali possono condizionare in misura considerevole la direzione di uscita e meritano dunque particolare attenzione.

Quale internazionalizzazione dell'economia italiana

L'aumentata apertura del nostro sistema produttivo verso l'estero ha dato un contributo determinante al superamento della crisi del 1975. La crescita delle esportazioni, che nel periodo 1973-78 è di poco inferiore solo a quella giapponese, si è prodotta mediante l'accentuazione della specializzazione produttiva italiana in quel settori nei quali era già consolidata: soprattutto mobilio, pelli e calzature, tessile, abbigliamento. Dopo il 1975 la composizione dell'export italiano si irrigidisce e all'interno di ciascun settore di merci va aumentando la quota di prodotti tecnologicamente più sofisticati. Da sottolineare il ruolo che in questa dinamica ha avuto la piccola e media impresa, capace di adeguarsi, assai meglio della grande, alle nuove e continuamente variabili esigenze della domanda mondiale.
Accanto a tali elementi positivi emergono peraltro le preoccupazioni connesse alla crescente concorrenzialità di alcuni Paesi in via di sviluppo avanzato (Brasile, Messico, Hong Kong, Corea, ecc...) proprio nei settori in cui l'Italia si e specializzata.
La struttura delle nostre esportazioni si va dunque allontanando da quella degli altri Paesi industrializzati. La nostra specializzazione in certi settori è dovuta anche al fatto che gli altri Paesi della CEE hanno ridotto il loro impegno in tali comparti, sul quali si stanno invece orientano i Paesi in via di sviluppo avanzato. L'Italia si trova ora nella necessità di riequilibrare le distanze.

Il nuovo assistenzialismo: tra sociale e produttivo

Negli ultimi anni l'intervento assistenziale pubblico è venuto assumendo nuove forme. La spesa sociale in senso stretto - destinata a previdenza, sanità e assistenza - e passata, fra il 1976 e il 1980, da circa 35.000 a quasi 77.000 miliardi in termini reali è pero cresciuta in misura ridotta, ad un tasso annuo del 4,1%, Di conseguenza, il rapporto tra spesa sociale e Prodotto Interno Lordo è rimasto pressochè invariato nel quinquennio: la spesa sociale incideva per il 22,6% nel 1976 e per il 22,8% nel 1980.
Sembrerebbe quindi essersi arrestata la tendenza della spesa sociale ad assorbire quote sempre maggiori delle risorse nazionali. Significativo e , al riguardo, il confronto (sia pure limitato al 1978) con gli altri paesi delle CEE: mentre nel 1970 il 20% di risorse che l'Italia destinava alle spese sociali era uno degli indici più elevati, nel 1978 il nostro 23,3% si colloca al terzultimo posto. La spesa sociale, dunque, è cresciuta all'estero ben più che in Italia.
Se questo è l'andamento della spesa sociale in senso stretto, bisogna però tener presente anche l'evoluzione di quella componente di spesa pubblica che consiste in trasferimenti alle imprese, pubbliche (in gran parte) o private. Questa voce è passata dal nemmeno 10.000 miliardi del 1976 agli oltre 23.000 del 1980, con un incremento medio annuo del 6,2% a prezzi costanti, di gran lunga maggiore del tasso di crescita della spesa sociale. La quasi totalità di questi trasferimenti viene elargita alle imprese per assicurarne la gestione corrente (compreso il pagamento dei salari) e ripianare i deficit di bilancio; solo una minima quota ha fini di sviluppo economico.
In complesso, dunque, è vero che sono state contenute le spese dirette per servizi sociali, ma contemporaneamente i trasferimenti alle imprese sono diventati, in sostanza, trasferimenti alle famiglie, in quanto sono usati per fornire sia il salarlo "garantito" ai dipendenti, sia beni e servizi a prezzi politici inferiori al costo.

Il processo di terziarizzazione

Il terziario si va caratterizzando da tempo sia come settore di supporto ai processi di innovazione industriale, sia come ambito autonomo di nuove attività produttive; in ogni caso, dalla sua efficienza dipendono oggi molti dei problemi di sviluppo e competitività dell'apparato produttivo.
Qualche dato, innanzitutto, sulla consistenza della terziarizzazione italiana rispetto al contesto europeo. Tra il 1975 e il 1980 l'occupazione terziaria si è molto avvicinata alle medie europee, passando dal 41,3% al 49,3% nei Paesi CEE, complessivamente, si è saliti dal 49,8% al 55,0%). L'Italia si differenzia pero ancora molto sensibilmente per quanto riguarda la quota dei lavoratori dipendenti sul totale degli occupati nel terziario: nel 1980, a fronte di una media CEE del 87,8%, la percentuale italiana, pressoché immutata rispetto al 1975 - è stata del 72,4%.
Se il settore terziario italiano si sta allargando, non per tutti i suoi comparti si può parlare di una crescita di efficienza: in alcuni permangono sovraccarichi ed esigenze di modernizzazione. L'analisi del rapporto domanda-offerta di servizi fornisce al riguardo dati significativi. Siamo agli ultimi posti delle graduatorie CEE per consumo di energia, per grado di autonomia energetica, per diffusione di apparecchi telefonici. La rete ferroviaria, paragonata alle medie europee, risulta sovrasviluppata per il trasporto passeggeri e carente per il trasporto merci; si aggiunga che, nel 1979, solo una metà ne era elettrificata (al Sud il 30,3%).
In complesso, le nostre reti terziarie presentano ritardi e squilibri, che dipendono sia dalla difficoltà di individuare soggetti istituzionali capaci di interpretare le domande del sistema produttivo, sia dal divario ancora molto elevato tra sviluppo tecnologico e diffusa accessibilità ai servizi. Questi problemi emergono anche dall'analisi di due settori decisivi per lo sviluppo dei servizi: - il sistema creditizio-finanziario non sempre riesce a far incontrare in modo adeguato domanda e offerta (molto evidente al riguardo lo svantaggio della situazione meridionale). A questi squilibri si cerca di rispondere con nuove strategie: significativa soprattutto l'introduzione del "parabancario", che attraverso sistemi finalizzati nell'erogazione dei crediti e nella raccolta dei risparmi realizza la maggiore aderenza alla domanda emergente. Pur dimostrando eccezionali capacità di cambiare i rapporti tra banca e impresa, i servizi parabancari sono ancora marginali; permane inoltre una situazione di incertezza normativa. L'affermarsi del banchiereimprenditore, che si esprime nel settore parabancario, sarà il nodo decisivo per misurare la capacità del sistema creditizio di promuovere lo sviluppo;
- l'introduzione sempre più massiccia dell'informatica in Italia presenta anch'essa quel caratteri di ambiguità e frammentazioni che distinguono la nostra terziarizzazione. La domanda di informatica è ancora dominata dalle caratteristiche dell'offerta, il che significa che il sistema socioeconomico non ha sufficiente consapevolezza degli impieghi possibili: mancano inoltre indirizzi comuni nell'acquisizione di queste innovazioni. Per il futuro del settore, due questione sembrano di importanza strategica: la produzione di software, che ci vede in grave ritardo; l'intervento di cooridinamento, programmazione e impiego di risorse da parte del potere pubblico, in mancanza del quale non può essere elaborato alcun piano serio di sviluppo.
In definitiva le nostre reti di servizi sono ancora inadeguate per rispondere a bisogni diffusi in modo capillare: i loro problemi rinviano alla definizione di strategie di programmazione e di intervento.

Riemergono i quadri intermedi

La vertenza FIAT ha portato alla ribalta un nuovo soggetto collettivo: i quadri intermedi, cioè quella fascia che ricopre nelle aziende posizioni di coordinamento e di responsabilità gerarchica o professionale. Pur essendo ancora difficile delimitare con precisione la categoria, essa è certamente in continua espansione. Molti sono i fattori alla base del fenomeno: il bisogno di dominare la complessità propria dei moderni apparati produttivi; le trasformazioni tecnologiche ed organizzative, che danno un peso sempre maggiore all'attività di ricerca, progettazione, marketing, controllo; l'esigenza di dare risposte flessibili alle rapide sollecitazioni del mercato, esigenza che impone il decentramento di conoscenze e di funzioni.
Oggi i quadri intermedi chiedono il riconoscimento per se e un diverso governo delle strutture produttive. Le risposte che riceveranno contribuiranno a definire l'evoluzione di questo nuovo soggetto, che potrà diventare una nuova corporazione oppure arricchire il sistema sociale italiano.

La ripresa della mobilità territoriale

Dal 1968 in poi la popolazione italiana aveva progressivamente ridotto i suoi flussi migratori sia verso l'estero (al punto che anche nel Sud i rientri avevano superato gli espatri) sia all'interno. Con la fine degli Anni '70, invece, essa riprende a spostarsi in maniera consistente, soprattutto sul territorio nazionale.
Parallelamente si sono anche modificati i poli di attrazione. Negli Anni '60 e - pur se in misura minore - negli Anni '70 era sempre l'Italia Settentrionale ad attrarre l'emigrazione. Nell'ultimo periodo invece:
- è calato il saldo positivo nel Nord;
- è aumentato il saldo positivo nel Centro, che nel 1980 ha perfino superato il Nord;
- il saldo negativo del Mezzogiorno si sta attenuando.
Questi significativi cambiamenti sono da mettere in relazione alla nascita, nell'Italia Centrale, di nuove aree di vitalità economica; lo prova anche l'aumento della migrazione verso i Comuni medi, centro della crescita produttiva di questi anni. Le grandi città attirano ancora un flusso consistente, ma più rilevante è il numero di coloro che le abbandonano. Le osservazioni fatte sul grandi centri valgono anche per l'Italia del Nord: situazione molto dinamica, ma propensione sempre minore alla permanenza duratura.

Una mobilità notevole c'è anche al Sud, pur se diminuisce la tendenza all'emigrazione verso il Centro-Nord. Quanto alle zone colpite dal terremoto del 1980, i primi quattro mesi del 1981 segnalano un netto aumento della mobilità, che però non ha incrementato sensibilmente l'emigrazione: gli spostamenti, evidentemente, si sono diretti in prevalenza verso i Comuni vicini alle zone terremotate.
Come si è invertita la tendenza negativa della mobilità territoriale, così è probabile che stia esaurendosi anche il calo delle nascite in atto dal 1964. Diversi sintomi i fanno intravedere questa possibilità: ci sono tendenze alla crescita in varie regioni (tra cui Abruzzi e Molise), anche se in altre zone, in particolare meridionali, le nascite continuano a decrescere.

ISTRUZIONE

I fenomeni emergenti e le implicazione politiche

La situazione attuale è caratterizzata da due fenomeni di fondo:
- consolidamento dell'offerta istituzionale, per quanto riguarda spese, personale, procedure d'azione;
- mutamento delle caratteristiche della domanda, manifestatosi attraverso un sensibile calo degli iscritti a causa della contrazione demografica, ma anche mediante un crescente interesse per la formazione: aumentano le domande di sperimentazione; si consolidano i corsi extrascolastici privati; sia imprenditori che studenti sembrano interessati ad un più stretto rapporto scuola-lavoro.
In complesso, ad una domanda di formazione sempre più articolata vengono date risposte sostanzialmente rigide dall'istituzione-scuola, oppure confuse, di qualità non controllata, da parte della non-scuola. Ciò definisce per creare i presupposti per un tipo di discriminazione sociale, legata alle capacità - soprattutto culturali - di scegliere le occasioni formative giuste.
Per uscire da questa situazione, occorre giungere a concepire la formazione come un sistema di opportunità comprendente diversi percorsi possibili (secondo le richieste dell'utenza) e diversi "formtori" (Stato, Regioni, Enti Locali, privati, mass-media) che agiscano in modo coordinato. In tale quadro il ruolo pubblico non viene ridimensionato, ma piuttosto inserito in una rete, cui dovrebbe dare in maniera determinante - proprio per il suo peso - impulsi, coordinamento, qualità.
Le condizioni attuali sono propizie ad un salto di qualità della scuola pubblica, poichè il calo degli studenti mette a disposizione un surplus di risorse (sia di insegnanti - che in questi ultimi anni hanno continuato ad aumentare sia di edifici) utilizzabile per sanare squilibri ancora forti: basti ricordare il problema dei doppi turni, che al Nord è praticamente risolto, mentre nelle elementari del Sud riguarda ancora il 15,6% dei bambini.

Le dinamiche della formazione

1. - La partecipazione all'istruzione.

Continua a diminuire il numero degli studenti (soprattutto nella Scuola Materna e nella fascia dell'obbligo), principalmente a causa della contrazione demografica.
Ciò nonostante, nella Scuola Materna cresce ancora la mole dell'intervento statale: le scuole statali assorbono il 41,0% dell'utenza reale (+ 4,5% rispetto al 1979-80) e nel Sud giungono ad accogliere più della metà degli alunni. Tuttavia il Mezzogiorno rimane sfavorito: mentre nel Centro Nord va a scuola più dell'80% dell'utenza potenziale, al Sud la percentuale scende al 72,7 (che è pur sempre superiore del 2,6% al dato dell'anno scolastico precedente).


Continua a calare anche il tasso di passaggio dalla Scuola Media alla secondaria superiore, che è inoltre molto differente nelle varie zone d'Italia: 76,5% al Sud e 81,5% al Centro, contro un 68,8% del Nord, il quale deriva evidentemente da una diversa domanda di lavoro.
Quanto alla distribuzione degli alunni tra i vari tipi di secondaria, tengono bene Istituti Professionali e Tecnici e incontrano notevoli preferenze i Corsi di Formazione Professionale (33.000 alunni in più nel 1979-80). Il fenomeno è particolarmente evidente al Sud, dove gli iscritti sono aumentati del 39,3%, ma è da ricordare la tendenza a "parcheggiare" nella Formazione Professionale da parte di soggetti senza lavoro. Forti aumenti, nel Meridione, anche tra i partecipanti alle "150 ore" (+ 32,8%).
Infine c'è un consolidamento, più che una forte espansione, dell'utenza della scuola privata: in particolare essa cresce nelle grandi città (uniformemente in tutta Italia), ma complessivamente è più elevata nel Centro-Nord che al Sud.

2. - la selezione

Ripetenze e abbandoni aumentano, da qualche tempo, nei diversi gradi di istruzione (tranne che nelle Elementari). I dati relativi alla scuola dell'obbligo mostrano pero anche notevoli differenze tra Sud e Centro-Nord .
All'inizio della Scuola Media, dunque, si verifica una massiccia selezione, che colpisce soprattutto gli allievi meridionali.
C'è da appurare se questa rinnovata severità - che riguarda anche la Secondaria e l'Università - sia un semplice ritorno al passato oppure tenga conto di esigenze di cambiamento.

3. - Sperimentazione e innovazione

Nella Scuola Materna il 37,8% dei bambini frequentanti supera le sette ore di permanenza a scuola: la media è data però dal 48,2% del Nord e dalle percentuali notevolmente più basse del Sud (circa il 24%).
Nelle Elementari è cresciuto il numero degli alunni e degli insegnanti che partecipano alla sperimentazione del tempo pieno; a questo positivo incremento dà un suo contributo anche il Meridione, che recupera qualcosa rispetto alle aree settentrionali.
Per quanto riguarda la Scuola Media, va segnalata la notevole diffusione raggiunta nel Sud dal doposcuola, ma si deve ricordare anche che questa istituzione non e innovativa, bensì sussidiaria nei confronti della scuola tradizionale.
Nella Secondaria superiore la sperimentazione registra un'apprezzabile espansione, di cui però il Sud gode in minima parte: 160 iniziative di sperimentazione al Nord, 93 al Centro, 48 nel Mezzogiorno.
Infine, sono quasi assenti dall'Italia Meridionale le iniziative tendenti all'integrazione scuola-lavoro.

IL MERCATO DEL LAVORO

L'evoluzione delle forze di lavoro

Dal Luglio 1980 al Luglio 1981 si colgono sintomi di deterioramento.
Le "forze di lavoro" (cioè "occupati" più "in cerca di occupazione") aumentano dello 0,4%; poiché identico incremento ha avuto la popolazione, il tasso generale di attività rimane al 40,7% dell'anno precedente. L'aumento delle forze di lavoro combina una riduzione degli occupati ( - 109.000, pari a 0,5%) e una crescita delle persone in cerca di occupazione (+ 201.000, cioè + 11,1%).
Fra gli occupati, calano gli addetti all'agricoltura (+ 247.000, pari al - 8,3%) e all'industria (- 157.000, cioè - 2,0%), mentre aumentano quelli del terziario (+ 295.000, pari a + 2,9%), che assorbe ormai il 49,8% dell'occupazione globale, a fronte del 37,1% dell'industria e del 13,1% dell'agricoltura.
La voce "persone in cerca di occupazione" va disaggregata in tre componenti: le persone "in cerca di prima occupazione", che passano da 902.000 a 1.002.000 unità (ora sono il 49,8% degli inoccupati);
- i disoccupati, che rimangono stazionari sulle 210.000 unità (10,4% dell'inoccupazione totale);
- le "altre persone in cerca di occupazione" (cioè coloro che, pur identificandosi in una condizione professionale, dichiarano di cercare lavoro), che passano da 699.000 a 801.000: questi "non occupati non dichiarati" sono ora il 39,8% degli inoccupati.
Complessivamente, il tasso di inoccupazione è salito in un anno dal 7,9% al 8,3%.
Questo è il quadro italiano generale, ma le situazioni sono ben diverse per il Mezzogiono e per il Centro-Nord:
- le forze di lavoro nel Sud restano stazionarle (il tasso di attività cala dal 36,7% al 36,4% perchè è cresciuta la popolazione), mentre nel CentroNord crescono leggermente (e il tasso di attività sale dal 42,8% al 43,0%); - gli occupati calano maggiormente, in percentuale, nel Meridione (- 1,6%) che nel Centro-Nord (---0,7%), anche se in termini assoluti quest'ultima diminuzione è stata più consistente. Inoltre c'è un opposta evoluzione del settore industriale: positiva nel Sud (57.000 addetti in più pari a + 3,4%), negativa nel Centro-Nord (- 214.000, cioè 3,4%);
- gli inoccupati crescono in misura contenuta nel Mezzogiorno (+ 13.000 unità, 1,4%) e in quantità assai più massiccia nel Centro-Nord (da 880.000 a 1.068.000, + 21,4%). Complessivamente il tasso di inoccupazione è cresciuto meno nel Sud (dal 12,8% del Luglio 1980 al 13,0% del Luglio 1981) che nel Centro-Nord (dal 5,7% al 6,8).

L'evoluzione delle forze di lavoro femminili

L'andamento dell'offerta femminile è stato, nell'ultimo anno, abbastanza omogeneo a quello genera e. Le forze di lavoro femmini i sono cresciute i 62.000 unità (+ 0,8%), ma solo grazie all'aumento delle inoccupate (+ 103.000 unità, dal 14,0% al 15,2% della intera forza-lavoro femminile), mentre le occupate diminuiscono di 41.000 unità.

La modularizzazione della partecipazione al lavoro

La fase critica dell'occupazione è confermata anche dall'evoluzione del doppio lavoro e del "part-time", ambedue molto esposti alla crisi. Calano gli occupati con doppio lavoro (- 115.000 unità): nel Luglio 1981 il doppio lavoro assorbe il 5,3% degli occupati (la quota era del 5,8% un anno prima). Da notare che tale riduzione non interessa le "fasce alte": dirigenti e impiegati con una seconda attività sono infatti in aumento. Diminuiscono anche i lavoratori "a part-time" (- 189.000): al Luglio 1981 sono il 5,9% degli occupati totali (l'11,2% dell'occupazione femminile). Anche l'evoluzione del "part-time" è molto selettiva: ha colpito solo le donne, e soprattutto quelle lavoratrici, che lo praticano perchè non trovano un maggior lavoro.

La Cassa Integrazione Guadagni

I sintomi di crisi dell'occupazione sono ulteriormente confermati dall'ampliarsi del ricorso alla Cassa Integrazione, più che raddoppiato rispetto al 1980. A conferma di una crisi diffusa, l'aumento della Cassa coinvolge i principali settori manifatturieri (soprattutto il meccanico, che assorbe il 46% dell'intervento). L'aumentato ricorso allo strumento ne ha accentuato le caratteristiche di salarlo di disoccupazione.

LE RELAZIONE INDUSTRIALI

L'evoluzione delle relazioni industriali

La particolare labilità del quadro politico e il rapporto tipicamente italiano tra Sindacato e Partito hanno concorso, sommandosi alla crisi economica, a determinare una crisi del sistema delle relazioni industriali.
Le stesse cause spiegano anche l'arretramento del processo unitario sindacale e le diatribe che ne hanno paralizzato la vita interna. Da ciò lo stallo del dibattitto su varie questione fondamentali, tra le quali l'adeguamento degli automatismi salariali all'esigenza di superare la crisi economica e la regolamentazione del diritto di sciopero. L'aggravata crisi del Sindacato (basti ricordare le contestazioni ai dirigenti e il rigetto di alcuni accordi da parte della base) ha spinto le organizzazioni dei lavoratori ad interrogarsi sulla struttura e il ruolo del Sindacato.
D'altro lato, però, è stata la stessa crisi economica ad imporre alcuni temi alla discussione tra le parti sociali. Crescita della disoccupazione, crisi di interi settori, ricorso massiccio alla cassa Integrazione: tutto ciò ha proposto naturalmente le questioni del recupero della produttività e della valorizzazione della professionalità.
In questo quadro generale, l'azione dei pubblici poteri è risultata particolarmente carente dal lato degli interventi strutturali di politica economica, e si è sviluppata in modo insufficiente anche rispetto alle esigenze poste dal mercato del lavoro. Fra i pochi risultati significativi, la legge 16 Aprile 1981 n. 140, per la tutela e lo sviluppo dell'occupazione nelle zone terremotate, che tende al riassetto degli strumenti di politica attiva del lavoro (collocamento, sostegno salariale, mobilità, ecc ... ). Ricordata l'attenzione dedicata alla crisi di intere regioni del Sud (Calabria e Sardegna, oltre alle aree del terremoto, va sottolineata infine la permanente carenza di interventi pubblici che assecondassero le esigenze provenienti dal sistema delle relazioni industriali: esso chiede un ripensamento del tradizionale rapporto tra legge e contratto collettivo, per ottenere patti più flessibili.

L'attività contrattuale

Il dato più significativo viene dalle molte intese concluse nel settore privato a livello aziendale, che dovevano rispondere alle esigenze di incremento della produttività e di valorizzazione della professionalità. Una serie di accordi individua nuove figure di impiegati e di operai specializzati e differenzia gli aumenti a seconda dei livelli professionali. Per combattere l'assenteismo si mira inoltre, in vari contratti, a legare parte del salarlo alla presenza al lavoro. Alcune intese affrontano anche i problemi di una nuova qualità del lavoro: si sperimenteranno. forme di lavoro a tempo parziale e a orario flessibile. Da sottolineare il fatto che gli incrementi retributivi concordati sono molto più alti di quanto stabilivano i contratti nazionali: le aziende sembrano disposte a maggiori concessioni, se possono trattare sul problemi concreti della singola impresa. Anche questo elemento dimostra che la contrattazione locale è di gran lunga più efficace e che il sistema contrattuale va riformato aumentando il peso del confronto a livello aziendale.

SICUREZZA SOCIALE

L'andamento della riforma sanitaria nel Mezzogiorno

La mancata attivazione del sistema informativo sanitario non consente di disporre di dati e informazioni che forniscano un quadro aggiornato dello stato dei servizi e' più in generale, dell'andamento della riforma sanitaria. E' possibile tuttavia svolgere considerazioni sullo stato di attuazione della legge di riforma sanitaria nel Mezzogiorno, tenendo presente che il rischio di generalizzazione è inevitabile rispetto ad una situazione che presenta al suo interno differenze anche sostanziali, non solo da regione a regione, ma anche fra singole U.S.L. di una stessa regione.
Dopo la fase dell'elaborazione e approvazione della legge 833, il momento attuale riguarda il completamento dell'impianto giuridico-istituzionale e l'avvio, il funzionamento pieno e l'unificazione dei servizi incentrati nelle U.S.L. Le ottimistiche previsioni di un rapido avvio della riforma si sono scontrate però con la realtà di un prolungamento della fase di passaggio, con lo slittamento dei tempi, dei modi, degli strumenti dell'attuazione. La serie di lamentate ed ampie inadempienze investe tutti i settori di intervento con opportuni gradi di responsabilità: statale, regionale, locale.
Si possono menzionare alcuni elementi di fondo, esemplificativi dello stato di difficoltà di tutto il settore: la mancata approvazione del Piano Sanitario Nazionale (PSN), e, conseguentemente, dei piani regionali; il non avvenuto riordino del Ministero delle Sanità; la mancata definizione dei profili professionali. Non sono estranei a tali ritardi alcuni fattori politici di ordine generale, che hanno condizionato l'andamento del processo attuativo: il frequente avvicendarsi dei Governi e l'evoluzione del quadro politico; il difficile impatto della riforma sanitaria con la realtà politico-istituzionale degli Enti Locali, e cioè la mancata riforma degli EE.LL. e dell'assistenza; la coincidenza del momento della trasformazione con l'aggravarsi della situazione economica del Paese: il perdurare di una concezione settorialistica della Sanità, nel quadro generale della programmazione economica.

Legislazione e attuazione della legge 833 a livello regionale

Per quanto riguarda l'istituzione e l'organizzazione delle USL va rilevato che, a tutt'oggi, si è realizzato con le leggi regionali:
- il completamento della costituzione delle USL;
- il completamento del trasferimento delle funzioni alle USL, ad eccezione della Sicilia e della Campania;
- il completamento della legislazione sui ruoli nominativi del personale delle USL sulla loro contabilità.
Numero delle USL attuate nel Mezzogiorno al 30/09/1981:


Il modello organizzativo delle USL, prefigurato dalle diverse leggi regionali, risulta eccessivamente difforme da una regione all'altra.
Le carenze di "cultura programmatoria" ai diversi livelli del SSN si traducono a livello delle USL in difficoltà ad individuare obiettivi complessivi ma precisi, ad assegnare ai diversi servizi compiti definiti e a determinare le interrelazioni da realizzare nella prospettiva dell'integrazione dei servizi. Gli operatori devono dunque rincorrere spesso la "domanda spontanea" e alla loro diversa volontà e capacità di iniziativa è affidata l'eventuale elaborazione dei programmi. Inoltre la realizzazione incompleta dei distretti, la difficoltà di passaggio ad una cultura diversa dell'intervento sanitario pongono un limite oggettivo alla partecipazione, individuata dalla 833 come strumento Per conoscere domanda e bisogni e quindi per adeguare costantemente gli obiettivi e la modalità organizzativa del SSN, e come strumento di educazione per la formazione di una "moderna coscienza sanitaria".

Le differenze territoriali

Laddove si manifesta, nei quadri dell' USL, una volontà concreta di attuare le riforme, è indubbio che nella gestione quotidiana del sistema vadano maturando, per la prima volta, capacità professionali ed amministrative nuove ed importanti. Altrove, soprattutto nel Sud, hanno finito per prevalere invece vecchi modelli amministrativi e burocratici, rafforzati dalla provenienza di molti quadri amministrativi dagli Enti Mutualistici e dagli Ospedali.
Si è determinata così una situazione sanitaria che si può definire "a pelle di leopardo", con aree positive e altre molto negative: nel Mezzogiorno alcune regioni hanno iniziato il cammino, anche se molto faticosamente; altre, e pensiamo soprattutto alla Sicilia (in questa regione, infatti, le USL non sono state nemmeno costituite), devono ancora partire.
La fase attuale pertanto, al di là di indubbi effetti attinenti l'estensione dell'assistenza sanitaria a tutti i cittadini , può essere sintetizzata in definitiva come una fase di labile e controversa tenuta del livello delle prestazioni, con rischi di scadimento in alcune zone e per alcune categorie, che hanno visto ridotto anche il livello delle prestazioni integrative.
Le cause delle disfunzione vanno essenzialmente ricercate:
- nell'assenza di programmazione e di governo e sistema;
- negli adempimenti mancati o errati ai vari livelli;
- nei limiti di cultura organizzativa e nelle resistenze culturali.
A questi fattori si può aggiungere quello della spesa sanitaria, che costituisce uno dei capitoli dolenti del dibattito sulla realtà sanitaria del Paese, se si considera che, nel disegno di legge finanziaria, viene prevista dal Governo, per il 1982, una sua drastica riduzione.

I servizi socio-assistenziali

Oltre che dalla mancata riforma dell'assistenza, il comparto dei servizi sociali è destinato a risentire in modo rilevante di tre fattori recenti:
1) la sentenza della Corte Costituzionale del 31 Luglio 1981, che ha dichiarato illegittimo lo scioglimento delle IPAB infraregionali (torna così in discussione la sorte di circa 6.000 IPAB, sulle quali alcune Regioni hanno già legiferato: fra queste, la Basilicata, la Campania e la Sardegna);
2) tagli nelle spese dei Comuni, previsti dal DD.LL. governativo di legge finanziaria;
3) l'annunciato taglio della spesa destinata, in generale, alla Sanità, ma più in particolare ai progetti-obiettivo, arca di intreccio di interventi sociali e sanitari.

L'integrazione con i servizi sanitari

Negli anni che hanno preceduto l'approvazione della Riforma Sanitaria e sulla scia di iniziative di Regioni ed Enti Locali in questo settore, era maturata largamente la convinzione:
- della necessità di integrare i servizi sociali e sanitari in considerazione della non scindibilità del bisogno sanitario dagli altri bisogni sociali della persona;
- della prevalente componente sociale di bisogni prima trattati come sanitari (riabilitazione sociale di handicappati e di infermi di mente);
- della socializzazione di anziani, nei confronti dei quali si manifesta facilmente la tendenza a "sanitarizzare", e così via;
- della fondamentale funzione di prevenzione e riabilitazione che possono svolgere i servizi sociali, anche rispetto a bisogni di tipo strettamente sanitario.
Per effetto della mancata approvazione della legge di riforma dell'assistenza ed in concomitanza con l'entrata in vigore della legge 833, è stato lasciato alla legislazione regionale il compito di definire norme per il coordinamento e l'integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari. Ne è conseguita una situazione complessa per cui: in alcune regioni i servizi sociali fanno capo alle USL; in altre fanno capo alle USL, ma sono decentrati ai Comuni; in altre invece fanno capo ai Comuni, salvo che questi non ne abbiano deciso l'affidamento alle USL.
In questo quadro, alcune Regioni del Mezzogiorno hanno ampliato la denominazione dell'Unità Sanitaria Locale, e precisamente:
- Abruzzo: - Unità Locali Socio-Sanitarie;
- Molise : - Unità Locale dei Servizi di Assistenza Sanitaria, Sociale, Scolastica; in breve, Unità Locale.
Le rimanenti Regioni hanno adottato la denominazione definita dalla Legge 833/78, e cioè: "Unità Sanitaria Locale".

Gestione coordinata obbligatoria

Le leggi delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria rendono obbligatoria, attraverso l'uso di termini imperativi, la gestione coordinata e integrata dei servizi sociali con quelli sanitari, affidando tale gestione alle Unità Sanitarie Locali.

Gestione coordinata e facoltativa

Questo tipo di gestione si riscontra soltanto nel Molise.

Gestione coordinata separata

La Regione Sardegna prevede forme di coordinamento, ferme restando le attribuzioni nel settore assistenziale alle Province, ai Comuni e ai loro Consorzi.

Nessuna indicazione sulla gestione coordinata

La Regione Puglia, nella sua legge del 26/05/1980 n. 51 ("Norme per l'organizzazione e il funzionamento delle Unità Sanitarie Locali"), nonchè la Regione Sicilia, nella L.R. 12 Agosto 1980 n. 87 ("Istituzione delle Unità Sanitarie Locali") non fanno alcun riferimento al coordinamento tra i servizi sanitari e quelli sociali.
La legislazione della Basilicata prevede al fine di un decentramento, che alcune prestazioni assistenziali siano gestite direttamente dal singoli Comuni interessati.

Struttura organizzativa delle USL

Le seguenti Leggi Regionali prevedono l'istituzione di uno specifico "servizio" per la gestione dei servizi sociali con le seguenti denominazioni:
- Abruzzo: Servizio di Tutela Sociale;
- Calabria: Servizio Sociale;
- Molise:
1) Servizio per la tutela Materno-Infantile e dell'Età Evolutiva;
2)Servizio per la Tutela Sociale dell'Età Adulta e dell'Anziano.

Responsabile dei servizi sociali

La legislazione delle Regioni Abruzzo, Basilicata e Molise prevede che sia nominato un responsabile dei servizi sociali che , in Abruzzo specificatamente, assume la funzione di coordinatore a fianco di quello sanitario e amministrativo, mentre nelle altre Regioni partecipa alle riunioni dell'Ufficio di Direzione della USL.

Personale

La legge Regionale della Basilicata precisa l'inquadramento del personale addetto ai servizi sociali. Detto personale rimane inquadrato nei rispettivi ruoli di appartenenza e viene messo a disposizione delle Unità Sanitarie Locali.

Finanziamenti

La Basilicata e il Molise dispongono che, in caso di gestione coordinata dei servizi sociali con quelli sanitari, i Comuni interessati trasferiscano alle USL le risorse destinate ai servizi sociali, così come definiti dall'ultimo rendimento consuntivo.

EDILIZIA ABITATIVA

Otto leggi specifiche in materia di edilizia residenziale pubblica e privata, dal 1971 al 1981, e il permanere, nonostante questo notevole sforzo legislativo (alcuni sostengono "a causa di questo proliferare abnorme di leggi e protetti"), di una crisi produttiva abitativa sempre più aggrovigliata ed incerta nelle sue prospettive di uscita, impongono delle "considerazioni generali di settore" dedicate in maniera specifica al ruolo e alle prospettive dell'edilizia residenziale pubblica.
Le possibili linee di una nuova concezione dell'intervento pubblico sono, in sintesi:
- la subordinazione dell'entità e della qualità dell'intervento pubblico ad un riequilibrio economico di tutto il comparto abitativo;
- l'impostazione di un intervento pubblico finalizzato ad obiettivi economico-produttivi;
- la separazione dell'intervento pubblico con fini produttivi da un nuovo sistema di sostegno, personalizzato, della domanda sociale.
Rispetto al sistema di intervento pubblico, gli aspetti di più attuale interesse sembrano i seguenti:
1) l'individuazione e la creazione, a livello nazionale, di ruoli e funzioni di governo economico del settore, o quanto meno dell'intera arca di interventi pubblici; fa parte integrante di questo governo economico la manovra finanziaria delle risorse pubbliche e di quelle private attivate da incentivi pubblici;
2) la definizione di Istituti di canalizzazione del risparmio privato e del suo inserimento in strumenti finanziari di grandi dimensioni;
3) la scelta e il potenziamento effettivo di grandi promotori immobiliari (società finanziarie, investitori istituzionali, grandi imprese e concentrazioni cooperative, ecc..), con i quali concertare programmi di ampio respiro temporale e dimensionale;
4) la ridefinizione del sistema di aiuti personalizzati, sulla base di più aggiornati indicatori della capacità economica e coerente con il regime fiscale generale.
La situazione attuale è infatti la conseguenza della riforma incompiuta, avviata con la legge n. 865/1971 e proseguita fino alla 457/1978, rispetto alla quale:
- è rimasto disatteso l'obiettivo di una compiuta riorganizzazione istituzionale;
- i soggetti privati, operanti nel settore, sono stati assunti come "dato" e poco o nulla si è fatto per modificarne o migliorarne ruoli, funzioni, capacità;
- la sovrapposizione di interventi straordinari ha fatto entrare nel campo altri soggetti, preesistenti o reinventati, senza precisare compiutamente i rapporti tra i loro ruoli. E quelli affidati ad altri soggetti operanti negli stessi ambiti, sulle stesse materie, per attività analoghe, magari intrecciate nella realtà, ma distinte e separate nelle procedure decisionali e gestionali.

Lo stato dell'edilizia residenziale pubblica nel Mezzogiorno. Edilizia sovvenzionata.

L'entrata in vigore della 457/78, alla base della quale c'è una "filosofia della continuità", un'azione cioè che si rispecifica alle diverse scale spaziali con un intervento proporzionale all'entità del fabbisogno accertato, è riuscita, in parte, ad accellerare le procedure di spesa: ciò che invece rimane inalterato è la perdurante difficoltà delle Regioni meridionali e delle Isole (rispetto a quelle del Centro-Nord) a spendere le risorse finanziarie loro assegnate. Infatti, dalla "Graduatoria delle regioni per capacità di spesa in edilizia sovvenzionata al 30/06/1981" (Leggi 865, 166, 392, 513, 457, 1°-2° biennio) risulta che tutte le regioni meridionali, escluse la Basilicata e l'Abruzzo, sono in posizione inferiore alla media nazionale, nella percentuale dei fondi erogati rispetto a quelli stanziati.
Considerando la medesima graduatoria, riferita però solo ai fondi erogati con la 457, 1°-2° biennio, la situazione si aggrava e troviamo solo la Puglia con una percentuale di fondi erogati superiore alla media nazionale.
Nel complesso, quindi, l'innalzamento della capacità operativa delle Regioni meridionali permane come uno dei problemi più urgenti da sciogliere.

Stato di attuazione dell'edilizia convenzionata agevolata.

Per quanto riguarda lo stato di attuazione dei programmi relativi alla 457,1°-2° biennio, per i programmi di edilizia agevolata e convenzionata, i dati al 30/06/1981 denunciano sostanziali ritardi. Infatti, per il i' biennio, nessuna Regione meridionale è riuscita ad erogare fondi oltre la media nazionale, che si discosta molto da quella di alcune Regioni del Centro-Nord. Per il 20 biennio, fatta eccezione per il Piemonte, nessuna Regione ha erogato fondi e, inoltre, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, alla data sopra indicata, non avevano presentato ancora neanche i piani di localizzazione, evidenziando quindi come questo canale di intervento non sia stato ancora attivato.

L'attuazione della Legge 25/80

Le disposizioni in materia di attività edilizia della legge 25 si differenziano sensibilmente dai canali ordinari di spesa pubblica nel settore residenziale, tenuto conto anche delle diversità delle categorie cui sono orientate le iniziative che la legge prevede. E' possibile tuttavia esprimere un bilancio di spesa al 30/06/1981, analizzando i fondi erogati dagli art. 7,8 e 9 della legge.
Con l'art. 7 sono stati messi a disposizione dei Comuni con oltre 350.000 abitanti 400 miliardi di lire per l'acquisto di alloggi liberi o da ultimare entro il 30/10/1980 e da destinare agli sfrattati. Rispetto a una media nazionale di spesa del 48,6%, abbiamo Comuni, come Palermo e Catania, che si avviano all'esaurimenti dei fondi stanziati. Si può affermare che, a parte alcuni casi, i Comuni hanno esplicato questa funzione di "agente immobiliare".
Per quanto riguarda l'attuazione dell' art. 8, i dati disponibili non consentono una valutazione su questa nuova procedura di spesa. E' da rilevare, tuttavia, come l'erogazione dei fondi proceda più a rilento nelle grandi città (con oltre 350.000 abitanti), contraddicendo lo spirito della legge 25, concepita come rimedio straordinario alle alte tensioni sociali per la situazione abitativa, registratesi nelle grandi aree metropolitane.
In merito all'attuazione dell'art. 9 (concessione di mutui agevolati), il dato emergente è l'ampiezza insufficiente della manovra finanziaria dello Stato rispetto all'area degli aspiranti ai mutui. Inoltre, alla data del 30/06/1981, alcune Regioni - come l'Abruzzo, il Molise, la Calabria e la Sicilia - non avevano ancora inviato le delibere al C.E.R. Nelle altre Regioni meridionali, su 37.009 domande in graduatoria, solo il 23% è stato ammesso al mutui. Nell'area degli esclusi dal benefici della legge rischiano di refluire anche quegli assegnatari economicamente emarginati dalla lievitazione dei valori immobiliari intercorsa nel periodo tra la richiesta e l'ottenimento dell'agevolazione.

Situazione finanziaria e attività costruttive degli IACP

La tendenza di fondo degli anni precedenti, identificata con una crescita del disavanzo complessivo e un rallentamento del ritmo delle costruzioni, è venuta modificandosi nel corso dell'anno 1980. Non è possibile un raffronto con i dati precedenti al 1978, data la differente disaggregazione territoriale. Dai dati si rileva che, nonostante l'assenza di qualsiasi intervento legislativo (disattesa introduzione del canone sociale, non adeguamento all'andamento del costo della vita dei canoni determinati dalla legge 513/1977), gli IACP si sono dimostrati in grado di "raffreddare" il trend di crescita del disavanzo; tuttavia, data la sua entità, si ritiene che esso sia ripianabile solo con un intervento combinato di sostegno creditizio e di riorganizzazione degli stessi Istituti.
L'accumulazione del deficit tende a concentrarsi nelle grandi città, denotando un processo di miglioramento delle condizioni finanziarie degli Istituti che ricadono fuori delle grandi aree urbane.
Una precisa inversione di tendenza si rileva a livello di attività costruttiva nel 1980; dall'analisi disaggregata risulta che è presente nel Sud e nelle Isole un incremento delle abitazioni realizzate nel 1980 (rispetto al 1979) rispettivamente del + 10,9% e del + 204,2%. Tali andamenti risultano in parte spiegabili con il fatto che in queste aree territoriali ricadono Regioni che hanno avviato con ritardo i loro programmi costruttivi.

Il finanziamento degli investimenti nel settore abitativo.

Fra il 1979 e il 1980 gli investimenti nel settore delle costruzioni hanno fatto registrare complessivamente un incremento in termini monetari del 24,9%, che non va attribuito unicamente al ringofiamento inflazionistico. Per un ulteriore incremento e finanziamento in questo settore sono state formulate numerose proposte, nel tentativo di superare la perdurante contrapposizione tra un'assenza di iniziative governative da un lato e una notevole vitalità degli Istituti di Credito e di alcune Amministrazioni Locali dall'altro.
Fra queste, di particolare rilievo:
- il progetto Andreatta;
- le iniziative della Amministrazioni Locali, tese a sbloccare l'attuale situazione di chiusura del mercato delle abitazioni in locazione (chiusura che interessa tutte le città italiane di dimensioni rilevanti);
- le iniziative del sistema bancario: diversi Istituti di Credito Fondiario hanno infatti elaborato proposte indirizzate alla costituzione di sistemi di risparmio-casa e alla tutela del valore reale dell'investimento (attraverso l'emissione di titoli), per attivare meccanismi di attrazione nei confronti del risparmio privato.
Oggetto di riflessione sono inoltre quel canali finanziari quali gli Enti di Previdenza, gli Istituti di Assicurazione, la Cassa per il Mezzogiorno; che dovrebbero destinare all'edilizia circa 500 miliardi all'anno, a condizioni non inferiori a quelle dell'edilizia agevolata.
Per favorire la localizzazione di imprese industriali nel Mezzogiorno, oltre ad agevolazioni finanziarie, fiscali e tariffarie, e previsto il concorso della Cassa per il finanziamento di insediamenti abitativi a favore dei dipendenti delle aziende industriali localizzate nelle aree di sviluppo industriale. Il Cipe, con delibera dell'8 Agosto 1980, ha stanziato 230 miliardi di lire in contributi, provvedendo a ripartire i fondi sia tra le varie regioni meridionali che tra i beneficiari (l'Impresa industriale ovvero le Cooperative dei lavoratori dipendenti). A seguito del trasferimento delle competenze in materia, dalla Cassa per il Mezzogiorno alle singole Regioni, si e in attesa che queste ultime codifichino la loro attività per il finanziamento di insediamenti abitativi per lavoratori dell'industria.

Alcuni fenomeni emergenti del mercato immobiliare. Le Agenzie.

Le Agenzie sono i nuovi operatori della commercializzazione immobiliare, che hanno applicato agli immobili le moderne tecniche del marketing. La loro presenza è ormai capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale interessando, naturalmente, anche le regioni meridionali. L'Immobiliare (ora Grimaldi) ha più di 60 Filiali in tutta Italia; la COM-Fai ha cinque Filiali, una delle quali a Napoli; L'Ipi ne ha otto; la Gabetti 60, molte delle quali nel Meridione (a Napoli, Bari e Gagliari).
Un altro fenomeno emergente è quello della cosiddetta "mobilità repressa dei quadri": conseguenza della scomparsa del mercato delle locazioni sarebbe infatti un processo di annullamento della mobilità territoriale delle forze-lavoro. Questo fenomeno interessa soprattutto i quadri medi e medio-alti delle imprese collegate ad un processo di rinnovamento tecnologico e di riassetto organizzativo. Molti infatti rifiutano avanzamenti di carriera che comportino un trasferimento di carattere permanente. Lo rivela un'indagine del CENSIS, svolta inviando dei questionari alle Direzioni del Personale di alcune Aziende. Le cause principali che rendono difficoltosa la mobilità territoriale dei quadri sono, senza dubbio, le difficoltà di reperimento di sistemazioni alloggiative nelle città di destinazione.

I NUOVI TERMINI DELLA QUESTIONE "TERRITORIO"

In questi anni l'idea di "città" e le sue prospettive sono venute a perdere di interesse per il prevalere della "questione edilizia". Infatti, le proposte più recenti per fronteggiare l'emergenza sugli sfratti e la crisi degli alloggi rimuovono la variabile-territorio e accentuano l'uso della deroga agli strumenti urbanistici per superare le strettole procedurali e le inefficienze amministrative. L'Italia è un Paese ad alta densità di edificazione. Nel 1980 le aree non destinate ad usi agricoli o forestali, perchè non utilizzabili o urbanizzate, rappresentavano il 10,4% del totale a fronte del 7,8% registrato nel 1951. Le differenziazioni geografiche sono notevoli dal Nord verso il Sud. Esiste una maggiore disponibilità di aree agricole nel Mezzogiorno, cui però non corrisponde un alto livello di produttività. Infatti, tenuto conto che il Meridione sfrutta il 42,4% della superficie agro-forestale italiana, risulta inadeguato il valore di 35,5% in termini di prodotto lordo vendibile (PLV).
In questi ultimi anni si registra inoltre un'occupazione del suolo più minuta e diffusa. Se infatti, fino agli Anni '70, l'aggregazione territoriale si concentrava intorno alle grandi aree metropolitane, ora avviene per direttrici lineari: ai bordi delle strade e lungo le coste, determinando uno stato di congestione endemica e di conflittualità permanente fra usi diversi (per es. fra usi agricoli e industriali, con costi notevoli per il sistema economico e sociale). A questo si aggiunge il vuoto legislativo per l'esproprio delle aree, che si è determinato in seguito alla sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale (illegittimità della legge Bucalossi), solo in parte colmato da decreti-tampone per avviare i programmi di ricostruzione nelle aree terremotate.

Il "caso Napoli".

Il terremoto del Novembre del 1980 ha portato in primo piano la questione del Meridione e di Napoli in particolare. La risoluzione dei drammatici problemi di questa città richiede infatti la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale, in grado di risolvere i fabbisogni abitativi enormemente aggravati dal danni del terremoto. E' necessario quindi espropriare con procedura d'urgenza, e in deroga a tutte le norme vigenti, aree da destinare alle costruzioni.
I provvedimenti speciali per la ricostruzione determinando che le indennità di esproprio, previste nella legge n. 385 del 29/07/1980, vengano maggiorate del 70%. Sono stati acquisiti così dal Comune di Napoli 400 ettari, con una spesa complessiva di 40 miliardi di lire per la sola indennità di esproprio, pari a 100 milioni di lire per ogni ettaro espropriato (si deve comunque considerare che si tratta di terreni con rilevante valore agricolo, le cui colture sono rappresentate da frutteti specializzati o da colture ortive a pieno campo). Il "caso Napoli", a cui la legge 21/9/81 per la ricostruzione delle zone terremotate dedica un capitolo specifico, merita quindi particolari considerazioni. Soprattutto perchè l'obiettivo degli interventi è rilevante (la costruzione e il reperimento di 20.000 alloggi) e, in secondo luogo, per le novità normative e procedurali in esso contenute:
- il Sindaco di Napoli e il Presidente della Giunta Regionale della Campania sono nominati Commissari Straordinari;
- l'individuazione delle aree, effettuate tramite ordinanza commissariale, può avvenire in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, anche per quanto riguarda la destinazione d'uso dei suoli e gli indici di. edificabilità;
- le indennità di esproprio, come già detto sopra, sono maggiorate del 70% rispetto a quelle previste nella legge 385;
- i finanziamenti riguardano non solo gli alloggi, ma anche le urbanizzazioni primarie e secondarie;
- le opere dovranno essere affidate in concessione (finora sono state affidate a 12 Consorzi o Associazioni tra 85 imprese).
I tempi previsti per i primi adempimenti sono strettissimi: 10 giorni per individuare le aree (operazione questa che è di competenza del Sindaco-Commissario): 15 giorni per procedere all'occupazione; 15 giorni per affidare le opere in concessione. Alla scadenza di questi termini su entrano i poteri sostitutivi del CIPE (Comitato Interministeriale Programmazione Economica). L'ammontare dell'investimento è di 1.500 miliardi di lire.
Nel programma si possono distinguere tre settori di intervento:
- un piano di edilizia economica e popolare nel comprensorio di Secondigliano e Ponticelli;
- un "piano delle periferie", attraverso cui si prevede il recupero urbano di 12 centri di origine agricola, che rappresentano oggi il nucleo dei quartieri periferici;
- alcuni interventi di riqualificazione su tutto il centro urbano in aree di risulta, su edifici crollati o abbandonati.

PRIMI ELEMENTI SULLO STATO DELLE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO

Nel Compartimenti ferroviari di alcune regioni del Mezzogiorno - soprattutto la Sicilia, la Campania e la Calabria - si manifestano in modo allarmante fenomeni quali movimenti franosi, cedimenti, cadute di valanghe ed erosioni marine. Questa situazione caratterizza in parte tutto il territorio nazionale, anche perchè il tracciato ferroviario è rimasto pressochè immutato rispetto all'epoca della sua costruzione e risente di un forte degrado territoriale.
Da questo punto di vista si registrano meno problemi in Puglia e in Sardegna, regioni che risentono tuttavia di un forte arretramento a livello di efficienza: in Sardegna ci sono linee a binario semplice non elettrificate; in Puglia la rete, pur se a doppio binario, non e completamente elettrificata. Analoga situazione nel Molise e in Calabria.
Esiste quindi un forte squilibrio nella qualità delle linee, che corrisponde, peraltro, a una distribuzione dei traffici prevalentemente sul versante occidentale e nord-occidentale del territorio nazionale. Maggiore incremento si vuole dare comunque al crocevia nord-orientale, e non solo dal punto di vista ferroviario, coinvolgendo in misura crescente tutta la fascia adriatica fino alla Puglia che, con l'intera regione metapontina, costituisce un passaggio importante per le correnti di traffico che si sviluppano in direzione Nord-Sud.
Questo progetto necessita, per essere realizzato, della ristrutturazione, oltre che della linea ferroviaria, dei porti di Bari e di Brindisi.

LA CRESCITA DELLO STATO DELLE AUTONOMIE

Numerosi elementi hanno contribuito, nel corso del 1981, a dare rilievo delle autonomie regionali e locali, suscitando l'attenzione della classe politica e dell'opinione pubblica. E' sufficiente considerare, ad esempio, quanto previsto dalle proposte di legge di riforma dell'intervento pubblico nel Mezzogiorno, che prevedono un ruolo sempre più consistente dei poteri locali, soprattutto nella gestione dei progetti e degli interventi; oppure la grande attenzione che molti governi locali hanno saputo conquistarsi in occasione del terremoto del Novembre scorso dando vita, in breve tempo, a una trama di solidarietà civile tra le diverse Comunità locali (attraverso una fitta rete di gemellaggi), mentre gli apparati dello Stato centrale funzionavano con deprecabile lentezza.
Un dato è quindi da sottolineare: la vitalità dei governi locali, nonostante alcune inadempienze e ritardi culturali, è indiscutibilmente in progresso. Tuttavia il consolidamento delle Regioni, qual' Enti di programmazione, legislazione e coordinamento, rimane fortemente condizionato dalla situazione amministrativa e del personale.
Molto spesso, purtroppo, si registra una tendenza al "centralismo regionale" e il prevalere di una mentalità burocratica che non accetta di buon grado il principio della delega ai Comuni e agli Enti sub-regionali, rallentando il ruolo della funzione della Regione stessa. Tali constatazioni trovano conferma nella quantità del personale dipendente dalle Regioni, che ha avuto un incremento del 76% nel quinquennio 1976-81.
In questi anni si è verificato quindi un consolidamento delle funzioni di molte Regioni: una situazione di grande dinamismo si riscontra per esempio in Puglia; una crescita consistente si registra in Abruzzo.
Ma, in generale, questi dati non sempre indicano una maggiore efficienza; al contrario, spesso denotano il perpetuarsi di una tendenza alla creazione di posti di lavoro pletorici, specie nelle Amministrazioni meridionali. Inoltre la rigidità di questi apparati è accentuata dall' "inamovibilità del personale (il 68% dei dipendenti è di ruolo): il che vanifica spesso progetti di riorganizzazione e decentramento.
Altro dato interessante: tra le Regioni meridionali, quelle che maggiormente hanno fatto ricorso alla legge 285 del 1977 per l'occupazione giovanile sono: la Campania (con assunzioni pari al 14%), l'Abruzzo (32,1%) la Puglia (46,3%). La stessa natura del contratto non permette però l'inserimento di questi giovani in posizioni realmente incisive.

LA SPESA DELLE REGIONI

La maggior parte delle entrate regionali è di provenienza statale. Gli incrementi più consistenti sono andati, dal 1978 a oggi (tanto per la parte corrente quanto per i trasferimenti in conto capitale), al settore socio-assistenziale e a quello sanitario. La completa assenza di trasferimenti di parte corrente al settore "ambiente e calamità naturali" evidenzia l'assenza di strutture finalizzate alla protezione civile. i dati complessivi sul bilanci consuntivi disponibili più recenti (1978-79) variano tra Regioni a Statuto Ordinario e Regioni a Statuto Speciale. In mancanza di altri dati, vale la pena di considerare il valore procapite. Tra il 1980 e il 1981, tale valore è cresciuto in tutte le Regioni a Statuto Ordinario, con un minimo del 16,6% in Campania. Nelle Regioni a Statuto Speciale, esso è rimasto stazionario.
Complessivamente, le Regioni si presentano con bilanci non fortemente gravati da esposizioni verso il sistema del credito. Comunque, il forte divario fra l'ammontare di mutui previsti e mutui effettivamente stipulati è indice della difficoltà che gli Enti hanno a passare dalla fase di programmazione a quella di realizzazione dei programmi. Rispetto alle Province, in un momento in cui esse sono oggetto di ripensamento riguardo alle funzioni svolte e al loro futuro nell'ambito della riforma degli Enti Locali, si può constatare una loro struttura di notevoli dimensioni ma sufficientemente omogenea, con una situazione relativamente migliore nel Centro-Nord che nel Sud e nelle Isole, dove si registra un evidente appesantimento dell'apparato burocratico. Rispetto ai bilanci delle Amministrazioni sia provinciali che Comunali, e presente una certa disomogeneità territoriale nella capacità di spesa degli Enti, con situazioni alquanto diversificate nel vari ambiti regionali.


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