§ L'INCHIESTA

Grandi e piccoli impianti nell'industria meridionale




G. D. M.



L'insieme degli impianti manifatturieri dislocati nel Sud con almeno dieci addetti - dimensione che si solito viene assunta quale limite inferiore delle attività di carattere propriamente industriale - risulta costituito al 1980, in base alle informazioni desunte dal "Repertorio Iasm-Cesan", da circa 8.200 unità, presso le quali sono occupati poco più di 535 mila addetti (1).


Se si prendono in esame gli impianti in questione sotto il profilo della loro dimensione, possono individuarsi in base al numero di addetti le seguenti quattro classi: piccoli impianti, per le dimensioni comprese tra 10 e 99 addetti; medi impianti, per le dimensioni comprese tra 100 e 499 addetti; impianti medio-grandi, con un numero di addetti compreso tra 500 e 999; grandi impianti, con 1.000 e più addetti.
Come appare dalla prima tabella, i piccoli e medi impianti rappresentano insieme la quota prevalente (57,8 per cento) del totale dell'occupazione negli stabilimenti qui considerati. Della rimanente quota di addetti, il 14,3 per cento e occupato in impianti medio-grandi e ben il 27,9 per cento nei grandi impianti.
E' dunque da porre in risalto che la grande industria - qui intesa, con stretto riferimento alla dimensione in termini di addetti delle unità locali, come l'insieme di tutti gli stabilimenti con 500 e più addetti - assorbe una quota importante dell'occupazione propriamente industriale (42,2 per cento); quota che i dati in esame mostrano essersi accresciuta rispetto a quella rilevata per la stessa classe d'industria al Censimento '71 (33,6 per cento) (2).
Dei 226 mila addetti alla grande industria, e bene ricordare, 129 mila, pari al 57,1 per cento del totale, sono occupati in settantadue stabilimenti che fanno capo ad imprese pubbliche; 90.542 sono occupati in stabilimenti controllati da gruppi privati con sede esterna all'area (40 per cento) e solo nove stabilimenti con il 2,9 per cento del totale appartengono ad imprese private con sede nel Mezzogiorno.
Ancora più marcata risulta, poi, la presenza dell'impresa pubblica se si prendono in considerazione i soli impianti con 1.000 e più addetti. La sua quota in termini di addetti si eleva al 63,3 per cento dell'occupazione complessiva di questa classe.


Notevoli diversità presentano le quattro classi di impianti definite in precedenza, se si prendono in considerazione i settori industriali nei quali essi operano.


Nella classe dei grandi impianti, come si vede dalla terza tabella quattro settori da soli raccolgono il 67 per cento dell'occupazione complessiva; essi sono nell'ordine; l'automotoristica (22,8 per cento), la siderurgia (20,7 per cento), l'elettronica e le telecomunicazioni (13,3 per cento), la chimica di base (10,2 per cento). Si tratta di settori che caratterizzano, in senso moderno, tale sezione del sistema industriale meridionale e rappresentano - data la presenza, complessivamente assai modesta nell'area, di produzione ad alto contenuto tecnologico - la parte più avanzata dell'intera struttura industriale del Mezzogiorno.
Meno concentrata appare la distribuzione settoriale dell'occupazione relativa alla classe di impianti di dimensione medio-grande (500-999 addetti) ed a quella di impianti di dimensione compresa tra 100 e 499 addetti, nelle quali il peso dei primi quattro settori e rispettivamente pari al 32,7 per cento e al 38,6 per cento.
Nella prima di queste due classi di impianti - prendendo in esame i primi dieci settori in termini di addetti - accanto alle produzioni di base (chimica, siderurgia, derivati del petrolio), all'elettronica e alla produzione macchine (in totale, il 27,3 per cento degli occupati della classe), diviene significativa la presenza di produzioni più Tradizionali quali l'alimentare, il tessile, i prodotti a base di minerali non metalliferi (complessivamente con il 23,9 per cento dell'occupazione della classe). Il peso dei settori mediamente meno avanzati risulta più accentuato nella classe di impianti di dimensione medio-piccola (100-499 addetti); in essa, infatti, sette dei primi dieci settori - l'abbigliamento, l'alimentare, il cemento e laterizi, la carpenteria metallica, il tessile e le pelli, cuoio e calzature - assorbono la metà degli occupati della classe.
Un'analisi per tipo di produzione, analoga, a quella che e stata possibile effettuare per l'insieme degli stabilimenti con 100 e più addetti), non si e resa possibile nel caso degli impianti di piccola dimensione (10-99 addetti) per la mancanza di informazioni statistiche sufficientemente disaggregate relativamente ad alcuni importanti settori; si può comunque affermare, sulla base dei dati disponibili, che la rilevanza dei sette settori meno avanzati presi in esame per la classe 100-499 diviene ancora maggiore e sembra potersi valutare almeno nell'ordine del 65-70 per cento degli occupati negli stabilimento con meno di 100 addetti.
La struttura industriale delle singole aree del Mezzogiorno risulta notevolmente diversificata in relazione al peso relativo che in esse assumono le classi di impianti individuate nei punti che precedono.
A livello delle regioni si può notare come, oltre al Molise, il peso dell'industria grande e medio-grande (impianti con 500 e più addetti), nelle due regioni la cui base industriale e in assoluto più ampia - la Puglia (51,2 per cento) e la Campania (44,4 per cento) - e superiore a quello medio dell'area meridionale (42,2 per cento).
In ciò si riflette il peso notevole che all'interno della sezione d'industria in questione assume la componente dei grandi impianti (1000 e più addetti), che proprio in Molise, in Puglia e in Campania risulta significativamente superiore alla media del Mezzogiorno (3).
I grandi impianti, per contro, sono assenti in Calabria, la regione che, come e noto, presenta in assoluto il più basso livello di industrializzazione dell'area meridionale e che segna, invece, come appare dalla quarta tabella, la più alta presenza relativa degli impianti di piccole dimensioni (52,7 per cento).
Portando l'analisi a livello sub-regionale si può notare come la netta maggioranza (23 su 34) delle province meridionali segna la prevalenza, sempre in termini di addetti, dell'industria medio-piccola (10-499 addetti) nei confronti della grande e della medio-grande (almeno 500 addetti).
E' da notare tuttavia che l'alta incidenza dell'industria piccola e media si riferisce ad apparati industriali i quali, sia in termini assoluti sia se rapportati alla base demografica delle province considerate, presentano fra loro dimensioni assai diverse.
Come si vede dalla quarta tabella, fra le ventitrè province in questione, accanto ad alcune come Chieti, Pescara e Teramo - che presentano tassi di industrializzazione (4) tra i più alti dell'area meridionale (rispettivamente del 57, del 35,7 e del 54 per mille) e paragonabili con quelli di province che mostrano la forte presenza di impianti, grande dimensione (ad esempio, l'Aquila, Caserta e Napoli) - se ne trovano altre, come le tre calabresi e Agrigento e Trapani in Sicilia, il cui grado di industrializzazione, non superiore al 10 per mille, risulta marcatamente inferiore a quello medio del Mezzogiorno.


Delle undici province dove l'industria con oltre 500 addetti e prevalente, tre Brindisi, Caltanissetta e Siracusa - sono caratterizzate da una notevole specializzazione nelle produzioni chimiche; esse risultano anche tra le province, insieme con Taranto, in cui la quota di addetti relativa ai grandi impianti (1.000 e più addetti) supera la metà del totale dell'occupazione propriamente industriale. Per Taranto, in particolare, data la grande rilevanza delle produzioni siderurgiche, tale quota assume il massimo valore fra tutte le province meridionali (72,4 per cento). Casi altrettanto evidenti di una spinta specializzazione produttiva, cui corrisponde la prevalenza dell'occupazione in impianti con almeno 500 addetti, si riscontra a Materia e a Nuoro (Fibre chimiche), all'Aquila (elettronica) e a Campobasso (automobile).
Nel caso di Napoli e Caserta, invece, l'alta incidenza sul complesso dell'occupazione negli impianti con 500 addetti e oltre e in particolare nei grandi impianti, si unisce ad una loro maggiore diversificazione sotto il profilo dei settori industriali in cui operano: il che è evidentemente da ricondurre alla maggiore ampiezza assoluta dell'apparato industriale delle due province campane.
L'esame della dinamica espressa negli ultimi sette anni dall'industria manifatturiera meridionale nel suo complesso indica un drastica riduzione nella creazione dei posti di lavoro conseguenti alla nascita di nuovi impianti.
Prendendo in esame la distribuzione dell'occupazione al 1980 nell'insieme degli impianti con 10 addetti e oltre secondo il periodo d'inizio della costruzione (v. quinta tabella), si nota, infatti, che il numero medio per anno degli (attuali) addetti negli stabilimenti sorti nel periodo 1974-80 (12.466 unità) risulta pari alla metà del corrispondente numero relativo al periodo 1970-73 (5).


Osservando l'andamento del fenomeno con riferimento alle singole classi. di dimensione considerata, si vede come la piccola industria sia stata interessata al generale rallentamento nella nascita di nuove iniziative in misura sensibilmente minore rispetto alle altre classi: il numero medio di addetti originatisi nell'ultimo settennio è, infatti, pari a circa i tre quarti di quello relativo al quattro anni precedenti. Il contributo della classe di impianti in questione alla formazione di quella parte dell'attuale occupazione (nell'insieme degli impianti con oltre 10 addetti), che ha avuto origine nel periodo 1974-80, e pertanto risultato pari a circa il 60 per cento, contro il 40 per cento del periodo 1970-73 e il 35 per cento del sessennio 1964-69.
Per contro particolarmente accentuata e stata l'intensità della caduta nel caso dei grandi impianti (1.000 addetti e oltre), per i quali si e avuto nel periodo 1974-80, sempre con riferimento all'origine dell'attuale occupazione, un numero medio di nuovi addetti pari ad appena il 15 per cento dell'analogo numero relativo al decennio precedente. Di conseguenza, il contributo alla formazione dell'attuale occupazione manifatturiera (in impianti con oltre 10 addetti), che era risultato di circa un terzo negli anni tra il 1964 e il 1973, e sceso all'8 per cento nell'ultimo periodo.
In posizione intermedia, ma sensibilmente più vicina a quella della piccola industria, si situano infine, quanto ad intensità della flessione nell'ultimo periodo, gli impianti di dimensione medio-piccola (100-499 addetti) e quelli di dimensione compresa tra 500 e 999 addetti (il numero medio di nuovi addetti nel periodo 1974-80 risulta pari al 55-60 per cento di quello del decennio precedente).
Per ciò che riguarda i settori in cui operano gli impianti sorti successivamente alla crisi del 1973-74, da una prima ricognizione dei dati del "Repertorio Iasm-Cesan" possono trarsi alcune indicazioni di larga massima. Delle circa 81 mila unità presenti al 1980 in impianti sorti nel periodo in questione, più del 35 per cento sono occupate nel settore alimentare (circa 10 per cento) e nelle produzioni tessili, dell'abbigliamento, pelli, cuoio e calzature (complessivamente, circa il 25 per cento). Una quota pari al 13 per cento e circa il 10 per cento compete poi rispettivamente ai settori fornitori dell'edilizia e a comparti dell'industria meccanica mediamente a basso contenuto tecnologico (carpenteria metallica, materiale elettrico, eccetera). Aggiungendo all'insieme delle produzioni suddette la quota relativa ai settori del legno e sughero, mobilio e arredamento (complessivamente 6 per cento circa), il contributo delle produzioni tradizionali risulta, dunque, pari a circa il 65 per cento dell'occupazione in esame.
Della quota non riferita ai settori anzidetti, circa il 20 per cento può attribuirsi alle produzioni chimiche, dei derivati del petrolio e siderurgiche (8 per cento), al settore dei mezzi di trasporto (7 per cento) e a quello della gomma e della plastica (5 per cento). Solo il 12 per cento circa dell'attuale occupazione di recente formazione infine, riguarda quattro settori tra quelli mediamente più avanzati: l'elettronica (3 per cento), l'elettrotecnica (5,7 per cento), la produzione di macchine (2,8 per cento) e infine la meccanica di precisione (0,3 per cento).
I dati ora presi in esame sembrano, in definitiva, indicare una crescita dell'industria meridionale, negli anni dopo il 1973, lungo linee assai distanti da quelle che vengono sperimentando altri Paesi della Comunità Economica Europea, nei quali ampli processi di ristrutturazione ed adattamento delle strutture industriali sono già da tempo avviati.
Se, infatti, la dinamica che ha caratterizzato in tale periodo la sezione di industria costituita dagli impianti di piccola e media dimensione rappresenta un elemento certamente positivo per ciò che riguarda l'aspetto quantitativo del fenomeno, l'esame degli elementi di cui si dispone circa la sua composizione qualitativa mostra la tendenza delle nuove iniziative a concentrarsi in alcuni dei settori, che nel Mezzogiorno presentano mediamente i maggiori differenziali di produttività con il Centro-Nord e certamente, ancora di più, cori altri paesi dell'Europa comunitaria (6).


NOTE
1) Gli occupati in impianti con 10 addetti ed oltre rappresentano circa il 65 per cento dell'occupazione dipendente del complesso delle attività di trasformazione industriale meridionali.
2) La corrispondente quota del Centro-Nord (che non é ad oggi valutabile per mancanza di informazioni statistiche al riguardo) risultava del 29,6 per cento al censimento '71.
3) Un esame dell'incidenza dei grandi impianti nelle zone di ubicazione è contenuto in P. GUGLIELMINETTI - R. PADOVANI - I grandi impianti del Mezzogiorno, Informazioni Svimez, anno XXXIV (nuova serie) n.7/8, luglio-agosto 1981.
4) Definiti come rapporto tra gli occupati in stabilimenti con 10 e più addetti e popolazione.
5) Se il raffronto si effettua con riferimento all'intero decennio 1964-73 (essendo il 1970-73 un periodo caratterizzato nel Mezzogiorno da un'eccezionale intensità del processo di accumulazione), il rapporto in questione risulta pari al 56 per cento.
6) In particolare, secondo una recente analisi condotta presso la Svimez, le due branche delle produzioni alimentari e delle produzioni tessili, dell'abbigliamento, delle pelli, cuoio e calzature, che da sole raccolgono il 36 per cento degli occupati nei nuovi impianti sorti dopo il 1973, presentano attualmente i più bassi livelli relativi del prodotto per occupato nei confronti del Centro-Nord (rispettivamente il 68 per cento e il 56,6 per cento, contro il 74,5 per cento relativo al complesso dell'industria della trasformazione). (Cfr. M. MAGNANI, Il prodotto per occupato nell'industria della trasformazione nel periodo 1973-79: Mezzogiorno e Centro-Nord, Informazioni Svimez, cit.).


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