§ IL GOTHA DELL'ECONOMIA

I paladini della "triste scienza"




Dario Giustizieri, Lucio Tartaro



Discutono di tutto, battagliano su tutti i fronti. Si scontrano sul caso Alfa-Nyssan, dove la "triste scienza" (come Carlyle chiamava l'Economia) serve da copertura per motivi politici. Si scontrano sulle vertenze Fiat, in cui il linguaggio tecnico copre pudicamente un duro conflitto di interessi. Sono presi in contropiede dalle vicende polacche, dove i più fieri fautori della civiltà di mercato erano diventati i più accesi sostenitori dell'austerità. Persino quando scoppia una guerra (come nel caso del conflitto Iran-Iraq), non sono più i generali di corpo d'armata a discutere, ma gli economisti, i quali profetizzano sugli effetti della chiusura degli stretti di Hormuz.
Sono diventati dei protagonisti. La loro irresistibile ascesa rende a volte quasi indecifrabile la lingua quotidiana. Sraffiani, monetaristi, keynesiani, new idealisti, neomarginalisti e conflittualisti, liberali e post-marxisti si confrontano e si scontrano. E' stato detto che questa ventata di economicismo e paradossale. Intanto per la rapidità con cui si e imposta (ancora dieci anni fa, la Confindustria di Angelo Costa poteva tranquillamente snobbare i "professorini"); ma soprattutto per il momento: chi segue anche un pò da vicino le vicende dell'economia mondiale, vede che gli economisti non sanno più - e da parecchi anni - a che santo votarsi.
In Cile, un'economia afflitta dal cento per cento di inflazione annua vuol farsi curare? Si chiama l'ortodosso fra gli ortodossi, Milton Friedman. E che cosa fa l'oracolo di Chicago? Magnanimo, elargisce un tasso d'inflazione del quattrocento per cento. Ma Friedman ha fatto di più e di meglio in Israele, dove e riuscito a mettere in crisi un'economia abbastanza prospera quando e stato chiamato da Begin.
Lisbona rivoluzionarla chiama Mendès-France al capezzale dell'agonizzante economia portoghese? In poco tempo la destra torna al potere. I pianificatori dell'Est passano di sconfitta in sconfitta? Pianificazione e programmazione tornano di moda. E Parigi che fa? Invoca l'aiuto di Barre, ritenuto il più grande economista di Francia. Barre, autore di un libro la cui fortuna può essere paragonata a quella di un nostro Bresciani Turrone, diminuisce i salari aumenta le tasse, rincara alcool, benzina e tabacchi: ricette rivoluzionarle!
Mai come oggi gli automatismi di mercato si rivelano, da soli, capaci di garantire la prosperità eppure impazza la scuola dei "noveaux economistes", il cui messaggio si riassume in "lasciate fare al mercato". Il neokeynesismo conosce un revival proprio dopo il crollo del sistema monetario nato con gli accordi di Bretton Woods (1944-1971).
In altri termini: meno gli economisti si rivelano capaci di controllare e di prevedere gli sviluppi dell'economia, e più acquistano prestigio. Il loro ruolo sconfina dalle tradizionali frontiere di una specializzazione un poco oscura e accademica. C'e da chiedersi il motivo di tanta autorità. Formuliamo un'ipotesi: mai i consulti tra gli specialisti si moltiplicano come quando la malattia si rivela incurabile. Quando più nulla possono i dotti terapeuti, proprio allora pendiamo dalle loro labbra, attendiamo un cenno di speranza. Così, quando praticamente tutte le teorie economiche sono ormai contraddette dai fatti e dovrebbero essere esiliate dalla Repubblica delle Scienze, in quel preciso momento vengono scoperti i "tecnici". E' come chiamare gli ingegneri al Governo quando case e ponti si mettono a crollare.
Straordinariamente, poi, si vanta il tecnicismo degli economisti quando è massimo il loro grado di attività (e anche di subordinazione) politica. E' lodata la specializzazione, mentre il ruolo diventa ideologico. In questo senso la trasformazione degli ultimi trent'anni può essere così formulata: prima c'erano intellettuali che erano anche, a volte, economisti; oggi gli economisti sono diventati intellettuali. E restano, comunque, i consiglieri del Principe.
In quest'ottica, i paradossi apparenti trovano soluzione. Se gli economisti non sono tanto tecnici e specialisti quanto ideologi il cui compito, nei vari sistemi di governo, e giustificare scelte politiche per mezzo di argomenti tecnici, allora diventa poco importante il successo reale di previsione. La diffusione della psicoanalisi non e andata di pari passo con la rapidità e la sicurezza delle guarigioni, bensì con l'indefinita lunghezza della terapia e con l'incertezza del suo successo. Gli economisti ricoprono ormai quel ruolo che una volta fu dei filosofi, dei letterati e dei poeti (e che i sociologi non sono riusciti ancora ad occupare interamente), cioè il ruolo di garanti intellettuali della legittimità delle scelte di un sistema di governo. Diventa ovvio che i loro riti si diffondano, che il loro vocabolario si diffonda. Si comprende come occupino posizioni strategiche nei mass media ed entrino nelle stanze dei bottoni. Anche se in veste di luogotenenti, di consiglieri: cioè, come "frazione dominata della classe dominante", direbbe il sociologo francese Pierre Bourdieu.
Stregoni di una moderna antropologia culturale, gli economisti si dividono in sette, o in gruppi. Noi abbiamo tentato di disegnare una mappa di queste sette eretiche, ortodosse o pagane - prendendo in considerazione soltanto le Scuole universitarie. Un proposito, questo, che ha dovuto tener conto di almeno tre ordini di difficoltà. Il primo e che, anche in questo campo, l'Italia si rivela quella provincia lontana dal cuore dell'Impero che conosciamo per tanti altri versi. Le nostre Scuole economiche lavorano più con l'import che con l'export. A Modena potrebbero vogare i canottieri di Cambridge. Alla Banca d'Italia si respira un'atmosfera molto bostoniana. Nel clubs repubblicani predomina il profumo di Chicago. Altrove, il clima e decisamente cosmopolita e le ricette provengono da cucine molto diverse: e spesso contradittorie.
Il secondo ordine di difficoltà: gli uomini cambiano. Antonio Pesenti viene dalla scuola "liberale" di Domenico Griziotti, ma e diventato un maestro marxista. Augusto Graziani ha subito un'evoluzione altrettanto accentuata. In una mappa ideale, questi spostamenti rendono l'orientamento fra le Scuole non proprio agevole. I teorici dell'economia seguono spesso improbabili itinerari, dovuti a evoluzioni personali, nuovi influssi teorici, mutamenti negli equilibri di potere (accademico, ma anche politico e finanziario). Un esempio macroscopico e il progressivo, trasferimento dei cattolici da un terreno neoclassico a regioni keynesiane. E' un processo svoltosi negli anni Sessanta, nella fase del centro-sinistra, quando gli economisti cominciarono a penetrare nel Palazzo con Antonio Giolitti alla Programmazione.
Vi è l'ultimo ordine di difficoltà. Senza tener conto dei numerosi teorici al servizio delle varie banche (a cominciare dall'Istituto Centrale di emissione), delle industrie, delle fondazioni, operano in Italia nel solo ambito universitario più di 1.500 economisti, di cui circa 150 Ordinari. Con i nuovi concorsi, la cifra e salita. Inevitabilmente, un tentativo di classificazione va semplificato, ridotto all'essenziale anche per rispetto verso i non addetti ai lavori. E fatalmente la divisione in Scuole e più che approssimativa. Ma mantiene il suo valore. Tra i vari gruppi non si tratta tanto di diversità tecniche, quanto di differenze di visione del mondo e di valore. Sono vere e proprie ideologie. Come ogni ideologia che si rispetti, anche la teoria economica nega a se stessa di essere tale e affibbia il marchio infamante "ideologia" alle visioni del mondo concorrenti. Ma che di questo si tratti, di un differente approccio verso la società e i suoi problemi, lo si e visto nella recente discussione divampata tra Graziani, Lunghini, Salvati, Vianello, Boffito, Messori e Meldolesi su "Quaderni Piacentini", "Alfabeta", "Rinascita" e "Il manifesto". Una discussione nata, guarda caso, dal tentativo di Graziani di formulare una nuova suddivisione delle Scuole economiche italiane.
Qui, noi non pretendiamo tanto, ma occorre pur dire che gli economisti e le forze politiche fanno di tutto per confondere le acque. A volte e difficile distinguere la politica del Partito Repubblicano da quella del Partito Liberale o di una certa area democristiana a causa dei giochi interni delle correnti o per manovre di sottogoverno. Altrettanto arduo e talvolta distinguere tra "socialisti di sinistra" - e "comunisti di destra". E tuttavia nel tentativo di delineare le Scuole economiche con una certa chiarezza, ci serviamo ancora di categorie come "destra", "centro" e "sinistra", abbastanza esplicite nonostante la loro vaghezza. Più o meno, alla "destra" corrispondono classici e neoclassici; al "centro" corrisponde l'area keynesiana; alla "sinistra", ovviamente, marxisti e post-marxisti.

CLASSICI E NEOCLASSICI
Fino all'inizio degli Anni Sessanta ha dominato in Italia una Scuola per così dire "liberale", che mescolava in varie proporzioni le ricette classiche e quelle neoclassiche. I maestri più prestigiosi erano stati Maffeo Pantaleoni, Wilfredo Pareto, Antonio De Viti De Marco, Luigi Einaudi, Gino Zappa, Domenico Griziotti. In comune avevano una grande fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi attraverso spinte e controspinte. Adam Smith aveva detto: "Non e dalla benevolenza del macellaio che attendiamo il nostro pranzo, ma dalla sua considerazione per il proprio interesse".
per gli economisti tradizionali, l'insieme degli interessi e delle ambizioni personali, attraverso il gioco della libera concorrenza e della legge dell'offerta e della domanda, avvantaggia l'intera economia. Un altro tratto comune e la sostanziale neutralità (da alcuni ritenuta "latitanza", probabilmente a torto) dello Stato nel funzionamento dell'economia: al massimo, i suoi interventi possono essere di natura monetaria. Il compito che questi economisti si affidano e di trovare le situazioni ottimali. Poiché e impossibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, va cercato l'equilibrio ottimale, quello in cui, per esempio, la moglie e leggermente sbronza e la botte e quasi piena. Va resa massima una variabile in funzione di un'altra variabile: i profitti in funzione delle quantità di investimenti, e così via. E' un problema matematico, noto con il nome di "massimo o minimo condizionato". Tutto, o quasi tutto dipende dalla definizione delle funzioni. Il dibattito economico , infatti, chiede costantemente se certe definizioni di funzioni siano giuste o meno.
Per tutti gli Anni Cinquanta questa Scuola ha imperato, soprattutto attraverso la Società degli Economisti. La presiede Innocenzo Gasparini, Rettore della Bocconi. Il ruolo della Società degli Economisti, e in primo luogo, di controllo sulle nuove nomine a Cattedra. E' stata a lungo dominata da un asse che dalla Facoltà di Giurisprudenza di Roma giunge alla Bocconi e alla Cattolica di Milano, attraverso Genova e la Ca' Foscari di Venezia. I grandi cervelli universitari erano e sono Giuseppe Di Nardi, della Facoltà di Giurisprudenza di Roma, conservatore, con parecchi incarichi in Aziende ed Enti pubblici, maestro di Veniero De Punta, della Facoltà di Scienze Politiche di Roma, consulente della Confindustria, caporedattore della "Rivista di politica economica", vice presidente della Società degli Economisti; Valentino Dominedò, della Facoltà di Giurisprudenza di Roma; Giorgio Basevi, dell'Università di Bologna; Giampiero Franco, della Ca' Foscari di Venezia, commentatore del "Gazzettino di Venezia"; Tullio Bagiotti, allievo di Giovanni Demaria. A Genova insegna Orlando D'Alanzo, segretario della Società degli Economisti. Sono gli epigoni della grande tradizione degli Ugo Papi (maestro di Di Nardi, ma anche dei keynesiani Luigi Spaventa e Lucio Izzo), dei Volrico Travaglini, dei Costantino Bresciani Turroni.
All'interno della Scuola "liberale" si delineano varie Scuole , in parte per motivi di specializzazione, in parte per sfumature politiche. I "finanziari" si occupano di Scienza delle Finanze e discendono dalla Scuola di Pavia di Domenico Griziotti, con i suoi allievi Cesare Cosciani (maestro del keynesiano Antonio Pedone), Antonio Pesenti (che poi passò tra le file dei marxisti), Giannino Parravicini, docente a Roma, repubblicano; poi ancora Sergio Steve,Francesco Forte, poligrafo instancabile, socialista, professore a Torino (Cattedra che fu di Luigi Einaudi), ex Vicepresidente dell'Eni, maestro di Franco Reviglio, socialista, ex Ministro delle Finanze.Vi sono poi i "monetaristi", che flirtano con la Scuola di Chigago e con Milton Friedman. Sono essenzialmente gli economisti all'area repubblicana: Pietro Armani, che insegna Scienza delle Finanze a Roma, Vicepresidente dell'Iri; Paolo Savona, proveniente dalla Banca d'Italia, ha lavorato alla Confindustria, con Guido Carli, come Direttore Generale, insegna alla Luiss (ex Pro Deo), poi Segretario Generale della programmazione nel posto che fu di Giorgio Ruffolo; Giorgio La Malfa, Ministro del Bilancio, che si definisce "strutturalista"; Bruno Trezza, dell'Università di Roma, consigliere d'amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno e consulente della Società Generale Immobiliare: Mario Monti, docente della Bocconi, autore della prima stesura del Piano Pandolfi, consigliere economico della Comit, per cui cura "Tendenze Monetarie il suo amico Tommaso Padoa Schioppa, bocconiano, figlio di Fabio, ex Amministratore Delegato delle Generali. Tra i monetaristi atipici può essere incluso anche Paolo Baffi, ex Governatore della Banca d'Italia.
Vi sono poi gli "aziendalisti", che discendono dalla Scuola di Gino Zappa, che insegnava alla Ca' Foscari. Questa Scuola ha dominato la Bocconi di Milano con Carlo Masini, Ugo Caprara, Giorgio Pivato, Luigi Guatri e Giordano Dell'Amore. Una parte della Scuola e emigrata nella capitale con Amaduzzi, Pietro Onida (dell'Iri), Teodoro d'Ippolito. Elemento di maggiore spicco, Dell'Amore. I suoi allievi, vicini alla DC, sono un pò dovunque: Tancredi Bianchi a Roma, Roberto Ruozi, gli e successo alla Bocconi, Angelo Calola insegna a Torino e alla Cattolica di Milano, Arnaldo Mauri è andato alla Statale di Milano, Alberto Arienti a Pavia, Alberto Bertoni a Venezia, Antonio Pin a Siena, Paolo Mottura a Parma, Marco Onado alla "Scuola di Modena".
Tra gli allievi di Gino Zappa si distingue Pasquale Saraceno (Ca' Foscari), che è l'epigono di una cultura industriale che nel nostro Paese non ha mai avuto vita facile e che era rappresentata da Beneduce, Raffaele Mattioli, Rodolfo Morandi. Allievi di Saraceno sono Sergio Vaccà e Antonio Confalonieri, che insegna alla Cattolica di Milano. Un altro "industriale" di prestigio e Franco Momigliano, docente a Torino, ex Direttore della programmazione alla Olivetti.

I KEYNESIANI
Tra i neoclassici e i keynesiani non esiste una contrapposizione filosofica di principi: Paul Samuelson disse una volta che avrebbe potuto, al limite, venire a patti con Keynes, ma con Sraffano. La differenza più sostanziale e nella valutazione del ruolo dello Stato nei meccanismi di creazione della domanda. In Keynes s'intravede un minore meccanismo, un maggiore volontarismo nel funzionamento dell'economia. Senza entrare nei dettagli tecnici, l'aspetto di Keynes che più ha colpito i contemporanei e ha influenzato il New Deal e stata l'anticipazione, l'idea cioé di far aumentare la domanda prima che vi siano le condizioni effettive per aumentarla, in modo da stimolare la produzione. La maggior produzione giustifica la maggiore domanda. Per far crescere la domanda (e controbilanciare la sovraproduzione) si usa un leggero disavanzo dello Stato. La dottrina di Keynes - che tuttavia ha subito nel tempo una certa evoluzione ed e stata variamente interpretata - fu criticata perché questo meccanismo di anticipazione presupponeva un leggero squilibrio tra domanda e offerta e anche un'eccedenza di liquidità: le due cose producevano inflazione in una spirale. In un sistema keynesiano, infatti, un'inflazione del tre-quattro per cento e considerata salutare. Ma con il tempo la spirale si accentua. A quest'obiezione, John Maynard Keynes rispose: "A lungo termine saremo tutti morti".
Tra la Scuola liberale e quella Keynesiana la differenze sono perciò di proporzione, di dosaggio diverso nell'intervento statale nella politica industriale e finanziaria. Non stupisce quindi che, in coincidenza col "boom" degli Anni Sessanta, la Scuola Keynesiana abbia raccolto anche i consensi di una parte degli economisti che abbiamo catalogato tra i neoclassici. Alcuni di loro, come Baffi, Saraceno, Steve, Forte, Reviglio, possono essere considerati anche keynesiani. L'esempio tipico di questa possibile coesistenza e Franco Modigliani, ormai americano, che ha elaborato il modello econometrico usato dalla Banca d'Italia e che ha influenzato Giorgio La Malfa, Tommaso Padoa Schioppa, Tarantelli e Andreatta. Questa posizione al limite tra i neoclassici e il keynesismo e la linea adottata per anni da Guido Carli alla testa della Banca d'Italia.
Non a caso il keynesismo e stato introdotto in Italia alla fine degli Anni Quaranta da Ferdinando Di Fenizio, un altro bocconiano, sulla "Rivista di economia politica". Allievi di Di Fenizio sono Mario Arcelli, democristiano, dell'Università di Roma e della Luiss, consulente del Banco di Roma, sindaco della Finanziaria Ernesto Breda, ma anche il marxista Giorgio Lunghini dell'Università di Pavia. Basta questo esempio per mostrare che il keynesismo e la vera area di centro dell'economia. In essa confluiscono e da essa si diramano tendenze assai diverse.
Chi però ha contribuito a imporre il keynesismo nel nostro Paese e stato Federico Caffè, un altro fuoruscito sotto il fascismo, che per lungo tempo ha partecipato alla stesura delle relazione del Governatore della Banca d'Italia. Un peso determinante ha avuto Siro Lombardini, democristiano, che ha contribuito a diffondere le idee della "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" (1936) di keynes tra le file degli economisti cattolici. Vi e infatti una forte Scuola cattolica di keynesiani, che ha i suoi punti di forza a Milano, Parma, Bologna. A Milano con Giancarlo Mazzocchi, professore alla Cattolica, consulente di Zaccagnini nella DC e di Carniti nella Cisl, con incarichi nell'Assolombarda. Suoi allievi sono Giancarlo Lizzeri, esperto economico della DC, vicino a Donat Cattin; Pippo Ranci, professore alla Cattolica, anch'egli vicino a Donat Cattin, consulente della CisI e del Mediocredito. A Bologna ha fatto scuola Nino Andreatta, ministro, che ha introdotto nel nostro Paese il modello econometrico Link, molto sofisticato, di impianto keynesiano. Con lui collabora Carlo D'Adda. Vicino ad Andreatta e Romano Prodi, dell'Università di Bologna, ex Ministro, consulente del Gruppo Merloni, che dirige la "Rivista di politica industriale". E' stato Presidente del Mulino, della Maserati e della Ducati. A Parma ha una sua scuola Luigi Frey, esperto dell'occupazione: dirige la rivista "Economia e lavoro" e il Centro di ricerche della Cisl. Frey, Lizzeri e Prodi sono un pò gli "industrialisti" di questo gruppo. Tra i keynesiani ci sono anche Bruno Jossa (Napoli), Ignazio Musu (Venezia), Carlo Casarosa e Giacomo Costa (Pisa).
Come e dato vedere, l'area keynesiana copre il passaggio da destra a sinistra. Sulla sinistra dello schieramento keynesiano troviamo, oltre a Caffé , i romani Lucio Izzo e Antonio Pedone, vicini al PSI, e Luigi Spaventa, indipendente di sinistra. Spaventa e Pedone però risentono anche dell'influenza di Sraffa, e si pongono in una situazione intermedia tra Keynesiani e sraffiani. Un posto a parte occupa Giorgio Fuà, che si definisce un eclettico e che ha fondato ad Ancona una Scuola dalla quale vengono Paolo Pettenati, Giacomo Vaciago, Fausto Vicarelli, Guido Rey, Giuseppe Bognetti, Marco Crivellini.

MARXISTI E POST-MARXISTI
Per molti anni i marxisti sono stati, e in buona parte sono voluti restare, isolati tra gli economisti. Un pò per ragioni politiche e un pò per motivi tecnici: gli indicatori usati dall'economia marxista sono totalmente diversi da quelli usati dall'economia "borghese" e quindi non sono disponibili nei Paesi Occidentali, o sono ricostruibili in modo abbastanza incerto. Si pensi al tasso di profitto. Sono memorabili le eterne discussioni sul rapporto tra valore-lavoro e prezzo. Ma con il modificarsi del clima politico, la Scuola marxista si e progressivamente estesa. La fondamentale differenza metodologica e che per l'economia "borghese" gli agenti economici sono in linea di principio tutti eguali. Sono differenziati solo da alcuni particolari: per esempio, più una persona e ricca e più propende a risparmiare, più e povera e più propende a consumare. Ma l'aumento di una propensione o il calo dell'altra si svolgono con continuità su tutta la scala dei redditi.
Per l'economia marxista, invece, i soggetti non sono affatto uguali. La classe operaia non può essere considerata un agente uguale alla borghesia. Mentre per l'economia "borghese" l'operaio e un agente che scambia una merce ben precisa, il proprio lavoro, e ne trae un certo profitto, per l'economia marxista l'operaio riceve solo una parte del valore-lavoro che ha fornito, poiché il valore della merce prodotta da questo lavoro e superiore. Ma discutere in termini di valore e come usare un'altra lingua rispetto alla teoria in termini di prezzi. A sbloccare la situazione e stato il libro di Piero Sraffa, "Produzione di merci a mezzo merci" (1960). Ha sbloccato la situazione teorica, perché ha abbandonato la teoria del valore-lavoro e ha impostato una nuova teoria dei prezzi . Ha permesso di superare lo scoglio su cui ci si era scontrati. Si separa va così la teoria della distribuzione da quella della produzione e potevano essere usate anche dai marxisti una serie di tecniche che l'economia "borghese" metteva a disposizione. Ma ha anche sbloccato la situazione accademica, sia perché ha permesso un dialogo che fino a quel momento era stato tra sordi sia perché ha reso accademicamente "accettabile" il marxismo, lo ha rivestito con abiti acconci, adatti ai nuovi tempi, che hanno consentito ai giovani ricercatori di avvicinarsi a un mondo non del tutto esplorato. Si possono così avere marxisti ortodossi, marxisti-keynesiani, marxisti-sraffiani. Alcuni sraffiani possono essere decisamente marxisti, altri molto meno.
Tra i marxisti-keynesiani si annoverano il socialista Paolo Leon e Sandro Vercelli, che insegna a Siena. Tra i marxisti ortodossi, che in qualche modo tengono alla teoria valore-lavoro, vengono in testa Claudio Napoleoni, docente a Torino, Giorgio Lunghini, Vincenzo Vitello e Mariano D'Antonio, responsabile per il PCI per i problemi del Sud, ex consigliere della Cassa per il Mezzogiorno, che insieme ad Augusto Graziani anima la Scuola di Napoli (De Benedietis, De Stefano, Cosentino, Salvatore Vinci). Marxisti sono anche Convenevole e Muti.
Tra i marxisti-sraffiani risaltano il napoletano Graziani (ma la sua posizione e difficile da definire), Pierangelo Garegnani, docente a Roma, Salvatore Biasco, Andrea Ginzburg, Massimo Pivetti, Fernando Vianello, che mantiene forti contatti con la Flm. Sempre sraffiano-keynesiano, ma con minori propensioni per il marxismo, e il più noto esponente della "Scuola di Modena", Michele Salvati. Non troppo marxisti sono Alberto Quadro Curzio, che insegna a Bologna, Luigi Pasinetti della Cattolica di Milano, Alessandro Roncaglia a Perugia. Sraffiani-marxisti duri sono invece Luca Meldolesi e Marco Lippi, che insegna a Modena. I marxisti ortodossi sono più vicini alle Botteghe Oscure, i marxisti-sraffiani alla Nuova Sinistra e gli sraffiani al Partito Socialista.
Un posto a parte merita Paolo Sylos Labini, professore della Facoltà di Statistica a Roma, che costituisce un pò il tramite tra le varie tendenze di sinistra e ha una derivazione del tutto anomala: Joseph Alois Schumpeter, che Sylos ha mitigato con Sraffa. Suoi allievi sono infatti - fra gli altri - Salvati, Roncaglia, Vianello, Biasco e Ginzburg.
Può dirsi concluso, a questo punto, il viaggio attraverso le teorie economiche e i paladini della "triste scienza". I nostri lettori, tenendo conto delle diversità e delle affinità tra le varie Scuole, della personalità dei singoli esponenti e dei gruppi, leggendo un articolo su questa o su qualunque altra pubblicazione, potranno dunque orientarsi meglio e soprattutto tenere nel dovuto conto il pulpito dal quale viene la predica.


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