Discutono di tutto,
battagliano su tutti i fronti. Si scontrano sul caso Alfa-Nyssan, dove
la "triste scienza" (come Carlyle chiamava l'Economia) serve
da copertura per motivi politici. Si scontrano sulle vertenze Fiat, in
cui il linguaggio tecnico copre pudicamente un duro conflitto di interessi.
Sono presi in contropiede dalle vicende polacche, dove i più fieri
fautori della civiltà di mercato erano diventati i più accesi
sostenitori dell'austerità. Persino quando scoppia una guerra (come
nel caso del conflitto Iran-Iraq), non sono più i generali di corpo
d'armata a discutere, ma gli economisti, i quali profetizzano sugli effetti
della chiusura degli stretti di Hormuz.
Sono diventati dei protagonisti. La loro irresistibile ascesa rende a
volte quasi indecifrabile la lingua quotidiana. Sraffiani, monetaristi,
keynesiani, new idealisti, neomarginalisti e conflittualisti, liberali
e post-marxisti si confrontano e si scontrano. E' stato detto che questa
ventata di economicismo e paradossale. Intanto per la rapidità
con cui si e imposta (ancora dieci anni fa, la Confindustria di Angelo
Costa poteva tranquillamente snobbare i "professorini"); ma
soprattutto per il momento: chi segue anche un pò da vicino le
vicende dell'economia mondiale, vede che gli economisti non sanno più
- e da parecchi anni - a che santo votarsi.
In Cile, un'economia afflitta dal cento per cento di inflazione annua
vuol farsi curare? Si chiama l'ortodosso fra gli ortodossi, Milton Friedman.
E che cosa fa l'oracolo di Chicago? Magnanimo, elargisce un tasso d'inflazione
del quattrocento per cento. Ma Friedman ha fatto di più e di meglio
in Israele, dove e riuscito a mettere in crisi un'economia abbastanza
prospera quando e stato chiamato da Begin.
Lisbona rivoluzionarla chiama Mendès-France al capezzale dell'agonizzante
economia portoghese? In poco tempo la destra torna al potere. I pianificatori
dell'Est passano di sconfitta in sconfitta? Pianificazione e programmazione
tornano di moda. E Parigi che fa? Invoca l'aiuto di Barre, ritenuto il
più grande economista di Francia. Barre, autore di un libro la
cui fortuna può essere paragonata a quella di un nostro Bresciani
Turrone, diminuisce i salari aumenta le tasse, rincara alcool, benzina
e tabacchi: ricette rivoluzionarle!
Mai come oggi gli automatismi di mercato si rivelano, da soli, capaci
di garantire la prosperità eppure impazza la scuola dei "noveaux
economistes", il cui messaggio si riassume in "lasciate fare
al mercato". Il neokeynesismo conosce un revival proprio dopo il
crollo del sistema monetario nato con gli accordi di Bretton Woods (1944-1971).
In altri termini: meno gli economisti si rivelano capaci di controllare
e di prevedere gli sviluppi dell'economia, e più acquistano prestigio.
Il loro ruolo sconfina dalle tradizionali frontiere di una specializzazione
un poco oscura e accademica. C'e da chiedersi il motivo di tanta autorità.
Formuliamo un'ipotesi: mai i consulti tra gli specialisti si moltiplicano
come quando la malattia si rivela incurabile. Quando più nulla
possono i dotti terapeuti, proprio allora pendiamo dalle loro labbra,
attendiamo un cenno di speranza. Così, quando praticamente tutte
le teorie economiche sono ormai contraddette dai fatti e dovrebbero essere
esiliate dalla Repubblica delle Scienze, in quel preciso momento vengono
scoperti i "tecnici". E' come chiamare gli ingegneri al Governo
quando case e ponti si mettono a crollare.
Straordinariamente, poi, si vanta il tecnicismo degli economisti quando
è massimo il loro grado di attività (e anche di subordinazione)
politica. E' lodata la specializzazione, mentre il ruolo diventa ideologico.
In questo senso la trasformazione degli ultimi trent'anni può essere
così formulata: prima c'erano intellettuali che erano anche, a
volte, economisti; oggi gli economisti sono diventati intellettuali. E
restano, comunque, i consiglieri del Principe.
In quest'ottica, i paradossi apparenti trovano soluzione. Se gli economisti
non sono tanto tecnici e specialisti quanto ideologi il cui compito, nei
vari sistemi di governo, e giustificare scelte politiche per mezzo di
argomenti tecnici, allora diventa poco importante il successo reale di
previsione. La diffusione della psicoanalisi non e andata di pari passo
con la rapidità e la sicurezza delle guarigioni, bensì con
l'indefinita lunghezza della terapia e con l'incertezza del suo successo.
Gli economisti ricoprono ormai quel ruolo che una volta fu dei filosofi,
dei letterati e dei poeti (e che i sociologi non sono riusciti ancora
ad occupare interamente), cioè il ruolo di garanti intellettuali
della legittimità delle scelte di un sistema di governo. Diventa
ovvio che i loro riti si diffondano, che il loro vocabolario si diffonda.
Si comprende come occupino posizioni strategiche nei mass media ed entrino
nelle stanze dei bottoni. Anche se in veste di luogotenenti, di consiglieri:
cioè, come "frazione dominata della classe dominante",
direbbe il sociologo francese Pierre Bourdieu.
Stregoni di una moderna antropologia culturale, gli economisti si dividono
in sette, o in gruppi. Noi abbiamo tentato di disegnare una mappa di queste
sette eretiche, ortodosse o pagane - prendendo in considerazione soltanto
le Scuole universitarie. Un proposito, questo, che ha dovuto tener conto
di almeno tre ordini di difficoltà. Il primo e che, anche in questo
campo, l'Italia si rivela quella provincia lontana dal cuore dell'Impero
che conosciamo per tanti altri versi. Le nostre Scuole economiche lavorano
più con l'import che con l'export. A Modena potrebbero vogare i
canottieri di Cambridge. Alla Banca d'Italia si respira un'atmosfera molto
bostoniana. Nel clubs repubblicani predomina il profumo di Chicago. Altrove,
il clima e decisamente cosmopolita e le ricette provengono da cucine molto
diverse: e spesso contradittorie.
Il secondo ordine di difficoltà: gli uomini cambiano. Antonio Pesenti
viene dalla scuola "liberale" di Domenico Griziotti, ma e diventato
un maestro marxista. Augusto Graziani ha subito un'evoluzione altrettanto
accentuata. In una mappa ideale, questi spostamenti rendono l'orientamento
fra le Scuole non proprio agevole. I teorici dell'economia seguono spesso
improbabili itinerari, dovuti a evoluzioni personali, nuovi influssi teorici,
mutamenti negli equilibri di potere (accademico, ma anche politico e finanziario).
Un esempio macroscopico e il progressivo, trasferimento dei cattolici
da un terreno neoclassico a regioni keynesiane. E' un processo svoltosi
negli anni Sessanta, nella fase del centro-sinistra, quando gli economisti
cominciarono a penetrare nel Palazzo con Antonio Giolitti alla Programmazione.
Vi è l'ultimo ordine di difficoltà. Senza tener conto dei
numerosi teorici al servizio delle varie banche (a cominciare dall'Istituto
Centrale di emissione), delle industrie, delle fondazioni, operano in
Italia nel solo ambito universitario più di 1.500 economisti, di
cui circa 150 Ordinari. Con i nuovi concorsi, la cifra e salita. Inevitabilmente,
un tentativo di classificazione va semplificato, ridotto all'essenziale
anche per rispetto verso i non addetti ai lavori. E fatalmente la divisione
in Scuole e più che approssimativa. Ma mantiene il suo valore.
Tra i vari gruppi non si tratta tanto di diversità tecniche, quanto
di differenze di visione del mondo e di valore. Sono vere e proprie ideologie.
Come ogni ideologia che si rispetti, anche la teoria economica nega a
se stessa di essere tale e affibbia il marchio infamante "ideologia"
alle visioni del mondo concorrenti. Ma che di questo si tratti, di un
differente approccio verso la società e i suoi problemi, lo si
e visto nella recente discussione divampata tra Graziani, Lunghini, Salvati,
Vianello, Boffito, Messori e Meldolesi su "Quaderni Piacentini",
"Alfabeta", "Rinascita" e "Il manifesto".
Una discussione nata, guarda caso, dal tentativo di Graziani di formulare
una nuova suddivisione delle Scuole economiche italiane.
Qui, noi non pretendiamo tanto, ma occorre pur dire che gli economisti
e le forze politiche fanno di tutto per confondere le acque. A volte e
difficile distinguere la politica del Partito Repubblicano da quella del
Partito Liberale o di una certa area democristiana a causa dei giochi
interni delle correnti o per manovre di sottogoverno. Altrettanto arduo
e talvolta distinguere tra "socialisti di sinistra" - e "comunisti
di destra". E tuttavia nel tentativo di delineare le Scuole economiche
con una certa chiarezza, ci serviamo ancora di categorie come "destra",
"centro" e "sinistra", abbastanza esplicite nonostante
la loro vaghezza. Più o meno, alla "destra" corrispondono
classici e neoclassici; al "centro" corrisponde l'area keynesiana;
alla "sinistra", ovviamente, marxisti e post-marxisti.
CLASSICI E NEOCLASSICI
Fino all'inizio degli Anni Sessanta ha dominato in Italia una Scuola
per così dire "liberale", che mescolava in varie proporzioni
le ricette classiche e quelle neoclassiche. I maestri più prestigiosi
erano stati Maffeo Pantaleoni, Wilfredo Pareto, Antonio De Viti De Marco,
Luigi Einaudi, Gino Zappa, Domenico Griziotti. In comune avevano una
grande fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi attraverso
spinte e controspinte. Adam Smith aveva detto: "Non e dalla benevolenza
del macellaio che attendiamo il nostro pranzo, ma dalla sua considerazione
per il proprio interesse".
per gli economisti tradizionali, l'insieme degli interessi e delle ambizioni
personali, attraverso il gioco della libera concorrenza e della legge
dell'offerta e della domanda, avvantaggia l'intera economia. Un altro
tratto comune e la sostanziale neutralità (da alcuni ritenuta
"latitanza", probabilmente a torto) dello Stato nel funzionamento
dell'economia: al massimo, i suoi interventi possono essere di natura
monetaria. Il compito che questi economisti si affidano e di trovare
le situazioni ottimali. Poiché e impossibile avere la botte piena
e la moglie ubriaca, va cercato l'equilibrio ottimale, quello in cui,
per esempio, la moglie e leggermente sbronza e la botte e quasi piena.
Va resa massima una variabile in funzione di un'altra variabile: i profitti
in funzione delle quantità di investimenti, e così via.
E' un problema matematico, noto con il nome di "massimo o minimo
condizionato". Tutto, o quasi tutto dipende dalla definizione delle
funzioni. Il dibattito economico , infatti, chiede costantemente se
certe definizioni di funzioni siano giuste o meno.
Per tutti gli Anni Cinquanta questa Scuola ha imperato, soprattutto
attraverso la Società degli Economisti. La presiede Innocenzo
Gasparini, Rettore della Bocconi. Il ruolo della Società degli
Economisti, e in primo luogo, di controllo sulle nuove nomine a Cattedra.
E' stata a lungo dominata da un asse che dalla Facoltà di Giurisprudenza
di Roma giunge alla Bocconi e alla Cattolica di Milano, attraverso Genova
e la Ca' Foscari di Venezia. I grandi cervelli universitari erano e
sono Giuseppe Di Nardi, della Facoltà di Giurisprudenza di Roma,
conservatore, con parecchi incarichi in Aziende ed Enti pubblici, maestro
di Veniero De Punta, della Facoltà di Scienze Politiche di Roma,
consulente della Confindustria, caporedattore della "Rivista di
politica economica", vice presidente della Società degli
Economisti; Valentino Dominedò, della Facoltà di Giurisprudenza
di Roma; Giorgio Basevi, dell'Università di Bologna; Giampiero
Franco, della Ca' Foscari di Venezia, commentatore del "Gazzettino
di Venezia"; Tullio Bagiotti, allievo di Giovanni Demaria. A Genova
insegna Orlando D'Alanzo, segretario della Società degli Economisti.
Sono gli epigoni della grande tradizione degli Ugo Papi (maestro di
Di Nardi, ma anche dei keynesiani Luigi Spaventa e Lucio Izzo), dei
Volrico Travaglini, dei Costantino Bresciani Turroni.
All'interno della Scuola "liberale" si delineano varie Scuole
, in parte per motivi di specializzazione, in parte per sfumature politiche.
I "finanziari" si occupano di Scienza delle Finanze e discendono
dalla Scuola di Pavia di Domenico Griziotti, con i suoi allievi Cesare
Cosciani (maestro del keynesiano Antonio Pedone), Antonio Pesenti (che
poi passò tra le file dei marxisti), Giannino Parravicini, docente
a Roma, repubblicano; poi ancora Sergio Steve,Francesco Forte, poligrafo
instancabile, socialista, professore a Torino (Cattedra che fu di Luigi
Einaudi), ex Vicepresidente dell'Eni, maestro di Franco Reviglio, socialista,
ex Ministro delle Finanze.Vi sono poi i "monetaristi", che
flirtano con la Scuola di Chigago e con Milton Friedman. Sono essenzialmente
gli economisti all'area repubblicana: Pietro Armani, che insegna Scienza
delle Finanze a Roma, Vicepresidente dell'Iri; Paolo Savona, proveniente
dalla Banca d'Italia, ha lavorato alla Confindustria, con Guido Carli,
come Direttore Generale, insegna alla Luiss (ex Pro Deo), poi Segretario
Generale della programmazione nel posto che fu di Giorgio Ruffolo; Giorgio
La Malfa, Ministro del Bilancio, che si definisce "strutturalista";
Bruno Trezza, dell'Università di Roma, consigliere d'amministrazione
della Cassa per il Mezzogiorno e consulente della Società Generale
Immobiliare: Mario Monti, docente della Bocconi, autore della prima
stesura del Piano Pandolfi, consigliere economico della Comit, per cui
cura "Tendenze Monetarie il suo amico Tommaso Padoa Schioppa, bocconiano,
figlio di Fabio, ex Amministratore Delegato delle Generali. Tra i monetaristi
atipici può essere incluso anche Paolo Baffi, ex Governatore
della Banca d'Italia.
Vi sono poi gli "aziendalisti", che discendono dalla Scuola
di Gino Zappa, che insegnava alla Ca' Foscari. Questa Scuola ha dominato
la Bocconi di Milano con Carlo Masini, Ugo Caprara, Giorgio Pivato,
Luigi Guatri e Giordano Dell'Amore. Una parte della Scuola e emigrata
nella capitale con Amaduzzi, Pietro Onida (dell'Iri), Teodoro d'Ippolito.
Elemento di maggiore spicco, Dell'Amore. I suoi allievi, vicini alla
DC, sono un pò dovunque: Tancredi Bianchi a Roma, Roberto Ruozi,
gli e successo alla Bocconi, Angelo Calola insegna a Torino e alla Cattolica
di Milano, Arnaldo Mauri è andato alla Statale di Milano, Alberto
Arienti a Pavia, Alberto Bertoni a Venezia, Antonio Pin a Siena, Paolo
Mottura a Parma, Marco Onado alla "Scuola di Modena".
Tra gli allievi di Gino Zappa si distingue Pasquale Saraceno (Ca' Foscari),
che è l'epigono di una cultura industriale che nel nostro Paese
non ha mai avuto vita facile e che era rappresentata da Beneduce, Raffaele
Mattioli, Rodolfo Morandi. Allievi di Saraceno sono Sergio Vaccà
e Antonio Confalonieri, che insegna alla Cattolica di Milano. Un altro
"industriale" di prestigio e Franco Momigliano, docente a
Torino, ex Direttore della programmazione alla Olivetti.
I KEYNESIANI
Tra i neoclassici e i keynesiani non esiste una contrapposizione filosofica
di principi: Paul Samuelson disse una volta che avrebbe potuto, al limite,
venire a patti con Keynes, ma con Sraffano. La differenza più
sostanziale e nella valutazione del ruolo dello Stato nei meccanismi
di creazione della domanda. In Keynes s'intravede un minore meccanismo,
un maggiore volontarismo nel funzionamento dell'economia. Senza entrare
nei dettagli tecnici, l'aspetto di Keynes che più ha colpito
i contemporanei e ha influenzato il New Deal e stata l'anticipazione,
l'idea cioé di far aumentare la domanda prima che vi siano le
condizioni effettive per aumentarla, in modo da stimolare la produzione.
La maggior produzione giustifica la maggiore domanda. Per far crescere
la domanda (e controbilanciare la sovraproduzione) si usa un leggero
disavanzo dello Stato. La dottrina di Keynes - che tuttavia ha subito
nel tempo una certa evoluzione ed e stata variamente interpretata -
fu criticata perché questo meccanismo di anticipazione presupponeva
un leggero squilibrio tra domanda e offerta e anche un'eccedenza di
liquidità: le due cose producevano inflazione in una spirale.
In un sistema keynesiano, infatti, un'inflazione del tre-quattro per
cento e considerata salutare. Ma con il tempo la spirale si accentua.
A quest'obiezione, John Maynard Keynes rispose: "A lungo termine
saremo tutti morti".
Tra la Scuola liberale e quella Keynesiana la differenze sono perciò
di proporzione, di dosaggio diverso nell'intervento statale nella politica
industriale e finanziaria. Non stupisce quindi che, in coincidenza col
"boom" degli Anni Sessanta, la Scuola Keynesiana abbia raccolto
anche i consensi di una parte degli economisti che abbiamo catalogato
tra i neoclassici. Alcuni di loro, come Baffi, Saraceno, Steve, Forte,
Reviglio, possono essere considerati anche keynesiani. L'esempio tipico
di questa possibile coesistenza e Franco Modigliani, ormai americano,
che ha elaborato il modello econometrico usato dalla Banca d'Italia
e che ha influenzato Giorgio La Malfa, Tommaso Padoa Schioppa, Tarantelli
e Andreatta. Questa posizione al limite tra i neoclassici e il keynesismo
e la linea adottata per anni da Guido Carli alla testa della Banca d'Italia.
Non a caso il keynesismo e stato introdotto in Italia alla fine degli
Anni Quaranta da Ferdinando Di Fenizio, un altro bocconiano, sulla "Rivista
di economia politica". Allievi di Di Fenizio sono Mario Arcelli,
democristiano, dell'Università di Roma e della Luiss, consulente
del Banco di Roma, sindaco della Finanziaria Ernesto Breda, ma anche
il marxista Giorgio Lunghini dell'Università di Pavia. Basta
questo esempio per mostrare che il keynesismo e la vera area di centro
dell'economia. In essa confluiscono e da essa si diramano tendenze assai
diverse.
Chi però ha contribuito a imporre il keynesismo nel nostro Paese
e stato Federico Caffè, un altro fuoruscito sotto il fascismo,
che per lungo tempo ha partecipato alla stesura delle relazione del
Governatore della Banca d'Italia. Un peso determinante ha avuto Siro
Lombardini, democristiano, che ha contribuito a diffondere le idee della
"Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta"
(1936) di keynes tra le file degli economisti cattolici. Vi e infatti
una forte Scuola cattolica di keynesiani, che ha i suoi punti di forza
a Milano, Parma, Bologna. A Milano con Giancarlo Mazzocchi, professore
alla Cattolica, consulente di Zaccagnini nella DC e di Carniti nella
Cisl, con incarichi nell'Assolombarda. Suoi allievi sono Giancarlo Lizzeri,
esperto economico della DC, vicino a Donat Cattin; Pippo Ranci, professore
alla Cattolica, anch'egli vicino a Donat Cattin, consulente della CisI
e del Mediocredito. A Bologna ha fatto scuola Nino Andreatta, ministro,
che ha introdotto nel nostro Paese il modello econometrico Link, molto
sofisticato, di impianto keynesiano. Con lui collabora Carlo D'Adda.
Vicino ad Andreatta e Romano Prodi, dell'Università di Bologna,
ex Ministro, consulente del Gruppo Merloni, che dirige la "Rivista
di politica industriale". E' stato Presidente del Mulino, della
Maserati e della Ducati. A Parma ha una sua scuola Luigi Frey, esperto
dell'occupazione: dirige la rivista "Economia e lavoro" e
il Centro di ricerche della Cisl. Frey, Lizzeri e Prodi sono un pò
gli "industrialisti" di questo gruppo. Tra i keynesiani ci
sono anche Bruno Jossa (Napoli), Ignazio Musu (Venezia), Carlo Casarosa
e Giacomo Costa (Pisa).
Come e dato vedere, l'area keynesiana copre il passaggio da destra a
sinistra. Sulla sinistra dello schieramento keynesiano troviamo, oltre
a Caffé , i romani Lucio Izzo e Antonio Pedone, vicini al PSI,
e Luigi Spaventa, indipendente di sinistra. Spaventa e Pedone però
risentono anche dell'influenza di Sraffa, e si pongono in una situazione
intermedia tra Keynesiani e sraffiani. Un posto a parte occupa Giorgio
Fuà, che si definisce un eclettico e che ha fondato ad Ancona
una Scuola dalla quale vengono Paolo Pettenati, Giacomo Vaciago, Fausto
Vicarelli, Guido Rey, Giuseppe Bognetti, Marco Crivellini.
MARXISTI E POST-MARXISTI
Per molti anni i marxisti sono stati, e in buona parte sono voluti restare,
isolati tra gli economisti. Un pò per ragioni politiche e un
pò per motivi tecnici: gli indicatori usati dall'economia marxista
sono totalmente diversi da quelli usati dall'economia "borghese"
e quindi non sono disponibili nei Paesi Occidentali, o sono ricostruibili
in modo abbastanza incerto. Si pensi al tasso di profitto. Sono memorabili
le eterne discussioni sul rapporto tra valore-lavoro e prezzo. Ma con
il modificarsi del clima politico, la Scuola marxista si e progressivamente
estesa. La fondamentale differenza metodologica e che per l'economia
"borghese" gli agenti economici sono in linea di principio
tutti eguali. Sono differenziati solo da alcuni particolari: per esempio,
più una persona e ricca e più propende a risparmiare,
più e povera e più propende a consumare. Ma l'aumento
di una propensione o il calo dell'altra si svolgono con continuità
su tutta la scala dei redditi.
Per l'economia marxista, invece, i soggetti non sono affatto uguali.
La classe operaia non può essere considerata un agente uguale
alla borghesia. Mentre per l'economia "borghese" l'operaio
e un agente che scambia una merce ben precisa, il proprio lavoro, e
ne trae un certo profitto, per l'economia marxista l'operaio riceve
solo una parte del valore-lavoro che ha fornito, poiché il valore
della merce prodotta da questo lavoro e superiore. Ma discutere in termini
di valore e come usare un'altra lingua rispetto alla teoria in termini
di prezzi. A sbloccare la situazione e stato il libro di Piero Sraffa,
"Produzione di merci a mezzo merci" (1960). Ha sbloccato la
situazione teorica, perché ha abbandonato la teoria del valore-lavoro
e ha impostato una nuova teoria dei prezzi . Ha permesso di superare
lo scoglio su cui ci si era scontrati. Si separa va così la teoria
della distribuzione da quella della produzione e potevano essere usate
anche dai marxisti una serie di tecniche che l'economia "borghese"
metteva a disposizione. Ma ha anche sbloccato la situazione accademica,
sia perché ha permesso un dialogo che fino a quel momento era
stato tra sordi sia perché ha reso accademicamente "accettabile"
il marxismo, lo ha rivestito con abiti acconci, adatti ai nuovi tempi,
che hanno consentito ai giovani ricercatori di avvicinarsi a un mondo
non del tutto esplorato. Si possono così avere marxisti ortodossi,
marxisti-keynesiani, marxisti-sraffiani. Alcuni sraffiani possono essere
decisamente marxisti, altri molto meno.
Tra i marxisti-keynesiani si annoverano il socialista Paolo Leon e Sandro
Vercelli, che insegna a Siena. Tra i marxisti ortodossi, che in qualche
modo tengono alla teoria valore-lavoro, vengono in testa Claudio Napoleoni,
docente a Torino, Giorgio Lunghini, Vincenzo Vitello e Mariano D'Antonio,
responsabile per il PCI per i problemi del Sud, ex consigliere della
Cassa per il Mezzogiorno, che insieme ad Augusto Graziani anima la Scuola
di Napoli (De Benedietis, De Stefano, Cosentino, Salvatore Vinci). Marxisti
sono anche Convenevole e Muti.
Tra i marxisti-sraffiani risaltano il napoletano Graziani (ma la sua
posizione e difficile da definire), Pierangelo Garegnani, docente a
Roma, Salvatore Biasco, Andrea Ginzburg, Massimo Pivetti, Fernando Vianello,
che mantiene forti contatti con la Flm. Sempre sraffiano-keynesiano,
ma con minori propensioni per il marxismo, e il più noto esponente
della "Scuola di Modena", Michele Salvati. Non troppo marxisti
sono Alberto Quadro Curzio, che insegna a Bologna, Luigi Pasinetti della
Cattolica di Milano, Alessandro Roncaglia a Perugia. Sraffiani-marxisti
duri sono invece Luca Meldolesi e Marco Lippi, che insegna a Modena.
I marxisti ortodossi sono più vicini alle Botteghe Oscure, i
marxisti-sraffiani alla Nuova Sinistra e gli sraffiani al Partito Socialista.
Un posto a parte merita Paolo Sylos Labini, professore della Facoltà
di Statistica a Roma, che costituisce un pò il tramite tra le
varie tendenze di sinistra e ha una derivazione del tutto anomala: Joseph
Alois Schumpeter, che Sylos ha mitigato con Sraffa. Suoi allievi sono
infatti - fra gli altri - Salvati, Roncaglia, Vianello, Biasco e Ginzburg.
Può dirsi concluso, a questo punto, il viaggio attraverso le
teorie economiche e i paladini della "triste scienza". I nostri
lettori, tenendo conto delle diversità e delle affinità
tra le varie Scuole, della personalità dei singoli esponenti
e dei gruppi, leggendo un articolo su questa o su qualunque altra pubblicazione,
potranno dunque orientarsi meglio e soprattutto tenere nel dovuto conto
il pulpito dal quale viene la predica.
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