Ville a Leuca




Alessandro Laporta



Per intendere il fenomeno delle ville di Leuca bisogna rifarsi alla sua genesi e cercare di capire i motivi che spinsero tanti gentiluomini del secolo passato ad investire i propri averi nella costruzione di queste dimore così varie ed architettonicamente rilevanti da attirare interesse e curiosità. A tal fine è necessario fare un passo indietro ed andare con l'immaginazione a quei tempi lontani in cui Leuca altro non era che una landa ispida e deserta, dove scogli acuminati contendevano il suolo ad una vegetazione scarna e brulla, compressa dall'implacabile vento di scirocco ed avvilita dalla tenacia delle salse acque del mare, e dove i cavalli a mala pena sopportavano di trasportare l'uomo, incespicando per sentieri resi quasi inesistenti dalla rara frequentazione. Soli a dominare la scena, ad oriente il santuario della Madonna di Finibusterre (che dobbiamo immaginare non come è attualmente, ma piuttosto come ci appare sulla copertina di un raro libricino del canonico Pirreca, che reca la data del 1643: un androne monocuspidale di modeste dimensioni, coperto da un tetto in legno a doppio spiovente) e ad occidente la Torre Vecchia o degli Uomini Morti, stazione militare di vedetta, abitata da un pugno di uomini. Perchè, allora, scegliere questo luogo dal mare bellissimo ma facilmente irascibile, caratterizzato da una natura inospitale e spesso inclemente? Ho risposto a questa domanda facendo ricorso alle suggestioni - che non esito a definire neoromantiche - che il solo pronunziare il nome di Leuca ha sempre creato e crea tuttora: suggestioni che tornano puntuali ogni qualvolta si legga una pagina di qualche scrittore sulla spiaggia salentina, e di cui anche noi abbiamo subito il fascino. Ho creduto di poter individuare così tre momenti nella storia letteraria e civile di Leuca che hanno certamente contribuito a farne un luogo particolare o addirittura unico. Innanzitutto la citazione virgiliana nel terzo libro dell'Eneide, che mi piace ricordare:

Dalla marina d'Oriente un seno
curvasi in arco, e contro ai massi opposti
delle rupi, le salse onde spumose
s'infrangono. Celato ad ogni vista
si spazia il porto interior; di cui
dall'un fianco e dall'altro un doppio muro
si protende di scogli, e dentro terra
scorge il tempio lontano
(vv. 533-536)

Questi versi hanno reso Leuca nota a tutti, conferendole una dignità (è il primo approdo in Italia dell'esule equipaggio) e un ascendente storico non comune a nessuna altra località del Salento. E anche se alcuni filologi contestano l'identificazione e attribuiscono la descrizione ad altri scali, non andatelo a raccontare ad un leuchese, perchè egli non vi crederà mai: solo in questa piaga, magica per cento altri motivi, può aver posato i suoi passi l'eroe virgiliano. Poi la inesauribile fonte di storie e storielle sacre legate alle vicende del glorioso antichissimo santuario e delle più svariate leggende profane fiorite intorno al nome di Leuca, dei suoi monumenti, delle sue grotte, del suo entroterra: intendo alludere al libro del padre cappuccino Luigi Tasselli da Casarano, le Antichità di Leuca, edito a Lecce nel 1693, che ha avuto una fortuna quasi sproporzionata rispetto alla poca documentabilità di alcuni suoi contenuti, ma ancora viva tutt'oggi, a quasi trecento anni dalla pubblicazione. L'influenza esercitata da questo libro, che ha dato altrettanta notorietà al piccolo centro salentino che ad una qualsiasi delle altre città storicamente rilevanti, dotando Leuca di una monografia storica fra le più complesse e le più particolareggiate che siano mai state dedicate ad una località, è stata ed è notevole e ha contribuito ad avvicinare al paese generazioni e generazioni non solo di studiosi, ma anche di curiosi, che hanno scoperto come qui, per secoli, sia stato il crocevia di milienarie civiltà e come di qui sia passata tutta la più recente storia del Salento. Diffuso più di quanto solitamente si pensi e compulsato frequentemente, anche se frettolosamente per l'innata durezza del linguaggio e per la farraginosa e dispersiva impostazione della pagina, ha un ruolo di prim'ordine nella vicenda interiore di Leuca, con i suoi tanti fascinosi richiami, con i suoi enigmatici suggerimenti, con le sue favole ammaliatrici. E finalmente, in epoca più recente, posteriore anche alla fioritura edilizia delle ville di Leuca, il romanzo Finibusterre di Luigi Corvaglia (1936), che ci è utile però - ed è questo il motivo di questa citazione che potrebbe apparire anacronistica - perchè ci conduce, con assoluta fedeltà, nell'epoca immediatamente precedente a tale fioritura: quando appunto, come dicevo prima, Leuca viveva ancora allo stato naturale e la sua emancipazione, quella che ne ha fatto la località balneare da tutti conosciuta ed amata, non era ancora iniziata. Il libro ci descrive infatti, in pagine indimenticabili e di eccezionale incisività, quella Leuca pietrosa il cui panorama presentava solamente qualche antica masseria (antenata delle più moderne ville) e qua e là, sparse nella campagna, le costruzioni rurali per eccellenza del nostro Salento, i cosiddetti truddhi o pagghiare. L'antico approdo di barche di pescatori, il sicuro nascondiglio di cosche di briganti, la méta di romìti e pellegrini in cerca della tranquillità dell'animo. Verso questa terra vetusta e fascinosa, verso questo luogo obbligato per l'anima salentina (è nota a tutti la leggenda secondo cui, se non ci si reca a Leuca da vivi, bisognerà tornarci da morti, prima di salire in cielo) si rivolsero gli entusiasmi di uomini coraggiosi, che pur sapendo di dover combattere con una natura poco generosa, concentrarono i loro sforzi sull'incantevole marina.

Innanzitutto furono create le strade: fra il 1854 e il 1859 una strada fu portata da Lucugnano fino al santuario; fu poi fatto il collegamento con il porto per consentire di raggiungere quello che sarebbe divenuto il lungomare. Ma ciò che più conta evidenziare è che in questi anni e fino all'unità d'Italia sono pochissime le case costruite a Leuca (citiamo quelle di Luigi Pizzolante, di Giuseppe Daniele, del senatore Tamborino e di Giacomo Arditi) e tutte, disordinatamente, seppur orientate verso il mare, si raccolgono intorno allo scalo cosiddetto di Salignano. I proprietari, veri pionieri, seguono la linea della vecchia costruzione del barone Romasi, databile al XVIII secolo, e si spingono ancora più verso il mare, ubicando le case sul nudo scoglio, che offre del resto - e in loco - la miglior materia prima per l'edilizia: è questo il primo nucleo moderno di Leuca, che si estenderà poi fino alla punta Ristola ed oltre. Abbiamo fatto il nome di Giacomo Arditi, ed egli può veramente considerarsi il padre della moderna Leuca, di cui promosse ed incentivò lo sviluppo non solo con le parole (è autore di una monografia su Leuca e della notissima Corografia di Terra d'Otranto, dove le bellezze del luogo sono descritte con sincera passione) ma anche con le opere, chè oltre ad affidare all'ingegnere Giuseppe Magliola il progetto della propria villa, cercò di suscitare fra i suoi amici gli stessi entusiasmi stimolando questo particolare tipo di edilizia privata. Qualche anno ancora doveva passare e quello che si chiamerebbe oggi il piano regolatore della cittadina era varato. Ecco dalle parole dello stesso Arditi l'impostazione di massima: "Stupende e lunghe sono le due strade principali, disegnate dall'egregio ingegnere signor Achille Rossi: quella della marina (1877) e quella che taglia la regione abitata (1879), le quali in data distanza sfilano parallele dall'oriente all'occaso, e agli estremi si incurvano a vicenda l'una verso l'altra e descrivono un'ellisse protratta." Intorno a questo anello e al suo interno si operò dall'ingegnere Rossi e dal suo collega Giuseppe Ruggeri una divisione rigorosamente geometrica delle superfici, che vennero poi date in concessione alle famiglie più agiate del circondario perchè volessero edificarvi le proprie case di villeggiatura. Nel settembre del 1866 era intanto entrato in funzione il faro che è uno degli elementi caratterizzanti di Leuca, e circa un decennio più tardi (1878) il "piano di quotizzazione", ovverosia la lottizzazione definitiva, ottenne l'approvazione della Deputazione Provinciale: gli ingegneri Rossi e Ruggeri avevano terminato la prima parte del loro lavoro ed ora si sarebbero dedicati esclusivamente e più incisivamente alla progettazione ed alla esecuzione delle ville di proprietà delle famiglie concessionarie. Nasceva definitivamente il volto moderno di Leuca. Il Ruggeri progettò fra il 1874 e il 1881, in meno di un decennio, ben sette ville, cimentandosi ogni volta con uno stile diverso; certamente, fra queste, quella che non finisce di stupire per la modernità della realizzazione, è quella eseguita per se stesso e per la propria famiglia sul lungomare, oggi Sauli, nota con il soprannome de "La Meridiana" (1874): qui c'è da notare la creazione, per la prima volta a Leuca della cabina in muratura per prendere i bagni (la cosiddetta bagnarola), fortunatamente replicata perchè funzionale e soprattutto discreta, che veniva considerata una vera e propria appendice della villa cui apparteneva, riproducendone lo stile ed i colori del rivestimento. Nella dimora progettata per Filippo Mellacqua (1876) si cimentò con lo stile gotico, esemplando in modeste dimensioni la pianta di un antico castello rafforzato da quattro torrioni angolari. Passò ad uno stile di imitazione egizia con la villa delle sorelle Maruccia (oggi Scipione Sangiovanni, 1878), dove sperimentò un piano rialzato che consentisse ampie panoramiche sul mare, data la posizione arretrata dell'edificio. Uno stile semplice, ma il prospetto che si estende in questo caso in linea orizzontale, utilizzò per le casine Giannuzzi e Rizzelli (1880), dove realizzò due complessi gemelli in un unico fabbricato, proponendo ancora una volta una brillante soluzione al quesito postogli dai committenti. Per Lazzaro Giannuzzi aveva poi l'anno precedente (1879) ideato un tipo di villa che, al corpo centrale imitante il prospetto di un antico tempio greco a sei colonne, aggiungeva due ali a coronamento, ammodernandone ed attualizzandone l'impianto. Tornò a provarsi con stili esotici nella villa De Francesco, oggi Licci (1881), esemplata su modelli arabi e caratterizzata da merlature e merlettature di rara finezza esecutiva e di mai sopita suggestione. Non da meno del Ruggeri, l'ingegnere Achille Rossi, cui si devono, fra le altre, due ville di particolare bellezza: quella eseguita nel 1880 per il cavalier Francesco Daniele, in stile moresco, che domina con il suo lunghissimo prospetto il lato orientale del lungomare e che anche per lo spicco dato a una torretta centrale rialzata, con due scale scoperte che portano in terrazza, non erroneamente è stata da qualcuno accostata al prospetto laterale di una nave; e l'altra dell'anno successivo (1881), progettata per il Signor Pasquale Episcopo riprendendo il modello di una pagoda cinese. Per completare il panorama non potremmo non far cenno all'opera dell'architetto Carlo Arditi, poliedrico e geniale (oltre che di diversi libri di architettura, fu anche autore di brillanti commedie) cui, le altre ville, si deve quella realizzata il 1877 per i fratelli Sangiovanni di Alessano, posta in prima fila, di stile sobrio e lineare, come tutte le altre progettate da lui, alieno, da quelle sperimentazioni di tipo esotico che invece sembravano tanto lusingare i suoi colleghi. Una ulteriore diversificazione stilistica la troviano nella villa che l'ingegnere Giuseppe Fuortes realizzò nel 1880 per il fratello Tommaso, e che fu esemplata sulla pianta di una casa pompeiana, con disposizione perimetrale degli ambienti intorno ad uno spazio aperto centrale, ampi colonnati, decorazioni murali intonate a quello stile pittorico. E nota perciò anche con il nome di "Villa dei Misteri". Con le ville sin qui elencate ci siamo mantenuti grosso modo nel settore orientale del paese che si andava formando, e nelle prime file: ma contemporaneamente, e sempre più nel decennio successivo (1881-1891), le case si estendevano verso occidente ad insidiare la solitudine della Torre degli Uomini Morti, e trovavano posto nell'entroterra, disponendosi negli spazi vuoti e sempre in vista del mare. Di queste converrà citarne qualcuna, notevole per caratteri architettonici: la villa Ramirez, a due piani solida e compatta come un fortilizio; quella quasi attigua di Carlo Stefanachi, ed oggi dei suoi eredi, le cui arcate e finestre sono scandite da un insolito fregio "a rotaia"; l'altra dei fratelli Seracca, a due piani, di cui l'inferiore dorico e i superiore ionico. Così alla fine dell'Ottocento, il maggior numero delle case signorili era realizzato, e il carattere inequivocabile della loro destinazione, la ridda degli stili adottati nell'intento di distinguersi ad ogni costo e di cimentarsi - dal punto di vista dei progettisti - in prove sempre più difficili, avevano fatto di Leuca un centro urbano unico nel Salento, fortemente tipizzato ed assolutamente elitario Si va formando al contempo la coscienza di sè. I proprietari delle ville, rampolli delle più cospicue famiglie dei Capo, scoprono che il loro modo di fare villeggiatura è completamente nuovo e difficilmente imitabile: avere la villa a Leuca costituisce il biglietto da visita per presentarsi ed essere accolti in questa cerchia ristretta, ed il soggiorno, piacevolissimo ed alle volte più confortevole che nella residenza invernale, viene protratto fino a quattro o cinque mesi all'anno. Il fenomeno viene persino messo in versi da un arguto poeta salentino. Vito Domenico Palumbo:

... e se tu vuoi venire
a Leuca e da signore ci vuoi vivere
innanzi a tutto ti devi fornire
d'una villa elegante se non splendida
per non isfigurar molto tra quelle
che qui ci sono; e ve n'è di magnifiche
davvero e alcune schiettamente belle
e artistiche. Convengo che non mancano
quelle che hanno sol la pretensione
d'esser belle, magnifiche ed artistiche;
ma ci fan la figura del cafone
che vuol far l'elegante e l'uom di spirito
i n mezzo agli altri, e poi non lo sa fare
o nol può fare o finisce per rendersi
ridicolo e col farsi berteggiare.

E' talmente alta questa considerazione di se stessi che ogni nuova estate si vara un'iniziativa che, oltre a rinsaldare i rapporti tra i rappresentanti di questa lieta consorteria, finisce col fare storia: nell'agosto 1878 i fratelli Fuortes fondano e diffondono solo tra le famiglie in villeggiatura un giornale il Leuca, che dà un'idea precisa dell'atmosfera di quegli anni.

Nel 1891 il fotografo Francesco De Angelis realizza un servizio fotografico su Leuca, fissando in trentacinque immagini quasi tutte le ville più importanti: l'album che ne viene fuori è distribuito alle famiglie proprietarie delle ville, e in un limitatissimo numero di esemplari si è conservato fino a noi. E' facilmente intuibile come questa seconda iniziativa rappresenti un momento importantissimo per le ville e per la loro storia: il passaggio dal momento della soggettività a quello della oggettività; all'età della progettazione della edificazione, succede quella della contemplazione e una forte ventata di narcisismo sradica le buone, sebbene estrose, intenzioni degli anni dei pionierismo. Leuca sa di essere unica e bella e vuole essere ammirata. lo vedo in questo fenomeno forse già l'inizio della fine, e ritengo che da questo momento decorra un tipo di vita artificiale e artificiosa, una specie di sopravvivenza fatta di rendita, di ricordi, di passiva accettazione di un destino speciale. Leuca ha terminato di farsi bella, ha indossato i suoi monili fatti di una serie di belle ville e a chi la osservi dal mare (è infatti questa .la prospettiva intenzionale migliore) si mostra in tutta la sua smagliante opulenza. Tutto ciò che viene dopo, sia bibliograficamente, sia architettonicamente (potrebbe sembrare strano l'accostamento di questi due termini, ma non è così) è semplice ripetizione. La pubblicazione di nuovi libri su Leuca ha ricalcato la struttura dei testi fondamentali; qualche album di immagini ha riprodotto la brillante idea dei 1891, tentando di arricchirla con commenti poco esatti o superficiali. Le ville dei primo Novecento e quelle più moderne, sono state improntate esclusivamente ad un carattere di originalità il più accentuato possibile, quando non hanno ripetuto schemi assolutamente anonimi e privi di significato. li borgo e le altre strutture urbane si sono sovrapposte alle ville in maniera disuguale e drammaticamente discordante, mentre nell'impostazione primitiva a tutto si era dato un carattere uniforme. E qui è necessario citare due esempi, forse poco noti ma abbastanza significativi, che mi è capitato di notare, sfogliando quello stesso album del 1891: fra le costruzioni fotografate figurano due soli edifici che non sono propriamente ville, oltre i circoli pubblici: uno stabilimento enologico di proprietà dell'ingegner Ruggieri e probabilmente progettato da lui stesso, oggi assolutamente irriconoscibile per il degrado subito, trasformato in negozi lungo la via Fuortes, e l'Albergo Ristorante dei Fratelli Cerfeda, il primo di Leuca che presentava le medesime peculiarità di una villa, sito in piazza Asti ed oggi smembrato completamente e trasformato con la crescita incontrollata di corpi aggiunti. Con queste due ultime citazioni abbiamo messo il dito su una delle piaghe, che se non affliggono ancora dei tutto Leuca, potrebbero farlo, e in maniera assai grave negli anni futuri, intendiamo alludere alla decadenza di alcune di queste splendide costruzioni che, quando non sono state fortemente compromesse nelle strutture originali per via di amputazioni o superfetazioni (durante il secondo conflitto mondiale un gran numero subì l'occupazione e il conseguente dissesto), incontrollate per quanto millantate come necessarie all'ammodernamento dell'immobile, sono state in qualche caso completamente abbandonate a se stesse e, disabitate ormai da decenni, dormono un sonno squallido e quasi letale. Qualche altro esempio non nuocerà: la casina di Carlo Stefanachi sul lungomare (oggi De Giorgi e Stefanachi), divisa in due quote, ha completamente cambiato connotati perchè, mentre una parte è stata conservata intatta, all'altro è stato fatto un troppo moderno maguillage; le casine Giannuzzi e Rizzelli, pure sul lungomare (oggi Cazzato e Protopapa), che costituivano un corpo unico, sono state talmente trasformate da essere irriconoscibili: ad una è stato imposto un profondo pronao posato su colonne; l'altra, a sua volta divisa in due, ha oggi dei grossolani rivestimenti, che ne hanno alterato l'aspetto originale. La villa Maruccia, oggi Sangiovanni, è un esempio tipico dei secondo caso, ancor più evidente, data la posizione centralissima: disabitata da anni e priva di ogni tipo di manutenzione, si avvia ad una inevitabile decadenza. La villa Fuortes, che versava nelle stesse condizioni, è stata da qualche anno rimessa in sesto con un tempestivo e fedele restauro. E si potrebbe continuare nella citazione, già dolorosa ed avvilente. Ora non vorrei essere eccessivamente allarmista, nè tanto ottimista da augurare a Leuca un consorzio faraonico, come quello sorto per la salvaguardia delle ville vesuviane (che oltretutto sarebbe ingiustificato); ritengo tuttavia che sia giunto il momento di guardare alle ville di Leuca come a un patrimonio comune di eccezionale valore, per cui non sarebbe inopportuno seguirne oculatamente le vicende, promuovere, il mantenimento e la conservazione, evitarne con adeguati e tempestivi interventi il decadimento. Si potrebbe addirittura pensare ad un itinerario turistico guidato, che introducesse l'ignaro al fenomeno, che ne illustrasse la genesi e lo sviluppo, e che comprendesse anche la visita di qualche interno fra i più significativi giacchè, se fin qui si sono presi in esame solo i prospetti e l'architettura i queste ville, non bisogna dimenticare che un discorso tutto particolare (e non da meno dei precedente in quanto ad importanza, raffinatezza, preziosità artistica) andrebbe fatto per gli interni. Per esempio, basti citare le pitture ornamentali realizzate dal De Marzo nella villa Daniele (1908) o quelle, di cui si è detto prima, della villa Fuortes; per non parlare dei mosaici pavimentali, degli stucchi, dei prodotti artigianali, tutti di alto livello artistico. Tutto ciò non farebbe altro che valorizzare Leuca attraverso le sue ville, che dopo i siti di interesse archeologico, dopo le grotte, dopo il Santuario, il faro, la cascata, il bellissimo lungomare recentemente allargato, il mare verde e purissimo, sono patrimonio appartenente non solo a chi ci vive da sempre, ma anche alle migliaia di turisti che vi transitano ogni anno e ne portano con sè il ricordo per ogni dove.


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