Centri storici e settore commerciale in Puglia




Donato Dino Viterbo



La partecipazione alla tavola rotonda organizzata a Roma dal gruppo di studio A.GE.I (Associazione dei Geografi Italiani) sul tema: "I piccoli centri storici, la loro salvaguardia e valorizzazione nel quadro della politica del territorio" e l'esperienza quale responsabile del l'elaborazione di alcuni piani comunali di adeguamento e sviluppo della rete di vendita, mi hanno dato lo spunto per alcune riflessioni (1).
Molto sinteticamente si può affermare che i rapporti fra geografia e città hanno una duplice portata: la città con il suo patrimonio artistico, storico e culturale rivela strette correlazioni col territorio circostante attraverso i materiali da costruzione, le forme del rilievo, alcuni caratteri del clima, ma anche e soprattutto l'utilità della geografia nello studio delle città è indirizzato, in maniera più attuale e moderna, all'analisi spaziale delle condizioni sociali, dei flussi commerciali e culturali, ecc.. Nell'ambito della geografia urbana, attualmente, spazio rimarchevole si va assegnando allo studio dei centri storici (2). Per i geografi il centro storico, al pari d'ogni altro spazio abitato e vissuto, non può essere ritenuto se non inserito in una realtà territoriale dinamica, poichè esso deve continuamente realizzarsi nell'ambiente culturale e sociale ed evolversi con questo.
I centri storici, sottratti a tale fisiologica evoluzione funzionale, sono destinati a diventare città morte e soggette pertanto alla degradazione meteorica e umana.
Per quanto concerne la nostra regione, è abbastanza noto che una caratteristica comune ai centri abitati è fornita dalla tipologia planimetrica, derivata dalla coesistenza di un nucleo antico a strade strette e tortuose, contrastante con una parte più recente a strade più ampie e rettilinee. Quest'ultima ha una cronologia iniziale identica in quasi tutta la regione: per i centri principali essa risale ai primi decenni del secolo scorso, per gli altri alla formazione dell'unità d'Italia. Per le particolari vicende della storia dell'insediamento della nostra regione si può ritenere i centri storici coincidenti di fatto con i capoluoghi di comune. Una valorizzazione o addirittura, qualora i centri storici (2) presentino vaste chiazze di degrado e di abbandono, un "riuso" degli stessi sono diventati quindi argomenti di grande interesse, trattati da studiosi di varie discipline (urbanisti, sociologi, geografi, storici, economisti, ecc.).
Una pianificazione del settore distributivo (3) ; riguardante gli esercizi commerciali e quelli pubblici non può quindi ignorare l'esistenza dei centri storici, come anche una politica per la valorizzazione dei centri storici non può prescindere dall'esistenza del settore distributivo.
E' opportuno innanzitutto rilevare che la caratteristica peculiare quasi generalmente riscontrabile nei centri storici pugliesi (fanno eccezioni gli insediamenti costieri, in cui ovviamente il primitivo centro storico è rimasto in posizione marginale rispetto all'avanzare a macchia d'olio dell'area via via urbanizzata), è quella della posizione centrale rispetto al resto dell'abitato. Ciò conferisce di per se stesso un'indubbia rendita di posizione agli esercizi commerciali che vi operano, la quale ha motivato spesso una concentrazione, talvolta eccessiva, di tali attività. Ma alla conservata "centralità" non corrisponde una adeguata "accessibilità" degli stessi centri storici per le loro caratteristiche urbanistiche e architettoniche: strade strette, mancanza di marciapiedi per i pedoni, carenza di spazi per i parcheggi e per il carico e lo scarico delle merci, ecc.. Ciò comporta, anche in centri di limitate dimensioni demografiche, disagi per i fruitori dei servizi, a causa della congestione e del l'inquinamento sia atmosferico che fonico generatisi.
Quale occasione più propizia quindi dei piani di adeguamento e sviluppo previsti dalla legge 426 dell'11/6/1971, per operare congiuntamente ai fini di una corretta programmazione della rete distributiva e di una valorizzazione dei centri storici?
A tal punto è necessario accennare alle caratteristiche spaziali e funzionali dell'attrezzatura commerciale dei comuni pugliesi.
L'esperienza da me condotta in comuni pugliesi di non grande dimensione (4) mi ha fatto constatare che la funzione commerciale e dei servizi (credito, professioni libere, esercizi pubblici) del centro storico è ancora vitale per l'intero centro abitato, manifestando una notevole concentrazione. Ad es. a Mesagne, l'antico nucleo messapico, estendendosi su circa il 9% dell'intera area urbanizzata comunale, e con una popolazione in continuo decremento, pari al 7% circa dell'intera comunità, ospita tuttora oltre il 40% degli esercizi commerciali e degli esercizi pubblici esistenti in quel centro. Una situazione del genere si ritrova a Terlizzi, dove nel centro storico abitato dall'8% della popolazione residente comunale opera il 27% circa degli esercizi commerciali. Sorge quindi evidente la necessità di una più equa distribuzione degli esercizi commerciali senza tuttavia danneggiare la vitalità del centro storico.
Per raggiungere questo scopo l'elaboratore del piano dovrebbe prevedere, avuto conto della diversa "soglia" e "portata" dei prodotti posti in vendita (5) la differente area d'attrazione che ne consegue. L'area d'attrazione della maggior parte degli articoli comuni o di consumo e d'uso quotidiani, è sempre piccola, in quanto la maggior parte della gente vuole reperirli subito senza percorrere grandi distanze e quindi la loro domanda è sostenuta e continua. Ma vi sono molti altri tipi di beni che si acquistano solo occasionalmente, e che perciò hanno bisogno di un maggior numero di clienti per dar di che vivere a chi li fornisce. Per questi i consumatori sono disposti a percorrere distanze superiori, perciò la loro area d'attrazione è maggiore. Orbene, l'individuazione di queste gerarchie spaziale e senz'altro alla portata del geografo economista, il quale conosce le metodologie e l'uso di strumenti d'indagine adatti (studio dei flussi, utilizzo di questionari, ecc.).
Alla luce di quanto prima esposto i piani di adeguamento e sviluppo della rete di vendita dovrebbero prevedere, fatte salve esigenze di particolari situazioni socioeconomiche e urbanistiche:
- una distribuzione più equa degli esercizi commerciali di prodotti di largo e generale consumo, privilegiando le aree d'espansione urbana;
- una valorizzazione del centro storico attraverso il mantenimento e l'apertura di punti di vendita ai generi non banali (ad es. boutiques, negozi di prodotti specializzati come materiale fotografico, preziosi, ecc.:), con area d'attrazione più elevata; - una maggiore ampiezza degli esercizi
attraverso la determinazione di superfici minime ottimali, a seconda dei prodotti posti in vendita.
Con ciò non s'intende ovviamente fornire delle metodologie operative per la formazione dei piani di sviluppo e di adeguamento valide, contemporaneamente, per i piccolissimi come per i grandi comuni.
Per i primi, a prescindere dai coordinamenti a livello intercomunale, le dimensioni e la semplicità delle previsioni a scala comunale indicano già abbastanza facilmente, anche i lineamenti del processo di elaborazione dei piani. Per i secondi, invece, la formazione dei piani riguarda un insieme di aspetti e di problemi talmente complessi e interrelati fra loro, da richiedere un'attività d'indagine, di analisi e di elaborazione che dovrà essere, fin dall'inizio, impostata e condotta secondo rigorosi criteri scientifici e precise metodologie operative.
Definiti gli obiettivi del piano e la strategia generale del processo di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita che s'intende operare attraverso le previsioni del piano, in coerenza con le ipotesi di assetto urbanistico del territorio, la prima operazione da fare, è almeno per i comuni di una certa dimensione (indicativa è la soglia demografica di 5.000 abitanti in assenza di frazioni o nuclei abitati), la divisione in "zone", con l'intesa ci verificarla dopo la fase della rilevazione e in base alle analisi condotte su di essa.
Per i centri maggiori o per grandi conurbazioni intercomunali, i parametri per la divisione in zone sono molteplici; in prima approssimazione, il primo e più importante è di carattere urbanistico, nel senso della individuazione di aree urbane comprese entro i limiti lungo i quali la continuità del tessuto urbanistico assume i valori minimi. Un parametro che deve essere usato con molta prudenza è quello della "omogeneità", qualora non si indichi chiaramente rispetto a cosa tale omogeneità si riferisca; un riferimento utile potrebbe essere quello usato per le "zone omogenee" dal D.M. del 2/4/1968 riguardante le modalità di applicazione dei cosiddetti "standards urbanistici" e potrebbe essere assai interessante, se i due tipi di suddivisione potessero coincidere.
Altro parametro, questa volta di carattere programmatico, legato alle previsioni urbanistiche e alla strategia prefissata per il piano di sviluppo e di adeguamento, riguarda l'individuazione preventiva di "ambiti" entro i quali si ritiene di poter prevedere la localizzazione di particolari strutture di vendita, specialmente quando il livello d'interesse superi quello strettamente locale. Anche sotto questo aspetto, è assai difficile stabilire criteri di carattere generale, soprattutto in riferimento alle diverse caratteristiche morfologiche delle varie città.
Un'ultima osservazione ritengo possa essere fatta senza timore di smentita: l'occasione offerta dai piani di adeguamento e sviluppo s'inquadra nella politica dei piani urbani come ulteriore strumento per la salvaguardia dei centri storici, piccoli e grandi che siano, accanto alle iniziative dell'I.N.U., dell'A.N.C.S.A. e di Italia Nostra, l'obiettivo da perseguire rimane il riequilibrio territoriale tra risorse, servizi, sedi e modi di vita.


NOTE, BIBLIOGRAFICHE
1) Io vi partecipavo con un contributo a carattere generale "Alcune osservazioni su centri storici pugliesi minori", mentre un altro geografo pugliese, D. Novembre, trattava con la consueta competenza un argomento più specifico "Centri storici e pianificazione territoriale - Alcune considerazioni sul salento leccese.
2) La circolare n° 3210 del Ministero LL.PP. definisce "Centri Storici" quelli che contengono edifici costruiti prima del 1860, "che nel loro complesso costituiscano documenti di un costume edilizio altamente qualificato".
L'espressione "Centro Storico" è stata usata per la prima volta nella nostra legislazione con la legge 765 del 6 agosto 1967, detta legge-ponte (articoli 7 e 41, vincoli nelle zone a carattere storico). Secondo l'ANCSA ed Italia Nostra, il Centro Storico non va limitato ai quartieri antichi ricchi di monumenti e di edifici di grande interesse, di testimonianze particolari sotto il profilo urbanistico e architettonico. Anche agglomerati relativamente recenti, come certi quartieri ottocenteschi, vanno tutelati nella loro integrità sociale.
3) Tale è la finalità principale della legge n° 426 dell'11/6/1971 e del DD.MM. 14/1/1972 e 28/4/1976.
4) I Comuni sono quelli di castellana Grotte, Mesagne e Terlizzi, tre centri ricadenti in realtà storico-geografiche dissimili, i quali ciononostante presentano caratteristiche comuni nel settore commerciale.
5) La soglia rappresenta il numero minimo dei clienti necessari per rendere remunerativa l'istituzione del servizio; la portata invece s'identifica con l'estensione dell'area su cui i potenziali clienti sono distribuiti.


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