Nucleare?




Aldo Bello



Da mesi, il "problema del nucleare" occupa pagine di giornali, coinvolge in dibattiti e in tavole rotonde politici, economisti, sociologi ed ecologisti, riempie i nostri pensieri. Sotto questo termine generico, l'ombrello enorme di tutto ciò che è legato alla fusione dell'atomo e al suoi sviluppi: energia, soprattutto; poi, difesa-offesa; infine, medicina, fisica, industria. Aspetti politici e operativi sono fusi nel generico rifiuto del "nucleare", demonizzato con la caotica approssimazione della "cultura media" di questi tempi, cioè con l'incultura tipica degli agitatori non di idee, ma di slogans, dei portatori di interessi di parte, delle corti di opportunisti che "annusano il vento" e - a costo di indescrivibili salti mortali - in massa si ritrovano nell'area contestativa, e seguono le ragioni degli altri, raramente interrogando quella propria.
Ridotto all'essenziale, il problema è questo: dobbiamo continuare a produrre e a consumare - energia prodotta col petrolio, o dobbiamo costruire impianti ad energia nucleare? Che significa: noi dobbiamo dipendere ancora dal paesi che hanno il greggio, materia prima che ormai consente tutti i condizionamenti e tutti i ricatti, o dobbiamo aprire un capitolo nuovo, passando all'atomo, costruendo le centrali elettronucleari che hanno suscitato, a proposito e a sproposito, polemiche e contrasti a non finire?
Noi eravamo, al tempi di Ippolito e del Cnen, tra i paesi più avanzati del mondo in campo di ricerca nucleare. Quando Ippolito venne silurato (all'italiana, con accuse infamanti, poi dimostratesi infondate), precipitammo in fondo alla graduatoria. In un certo senso, capitò a questo scienziato quanto era successo a Mattei, che nell'Italia bucaniera del dopoguerra cercava l'indipendenza dalle "Sette sorelle". Solo che Mattei, per raggiungere gli obiettivi che si era proposto, aveva inventato la corruzione (degli uomini, dei giornali, dei partiti), e giocava sulle alleanze euro-mediterranee, anche in appoggio alla politica o alle politiche di liberazione africane. Lo fecero fuori fisicamente. Ippolito aveva in pugno altre armi, più sofisticate: quelle della ricerca scientifica, che vantava tradizioni straordinarie e capacità altrettanto straordinarie. Dunque, un concorrente pericoloso per le multinazionali che si apprestavano a lanciare le prime sfide energetiche in campo nucleare. Fu messo da parte, e ancora oggi ne stiamo pagando lo scotto.
Salito alle stelle, il prezzo-barile del greggio comporta per la nostra bilancia commerciale deficit da vertigine. E tanto per intenderci: il Petrolchimico di Porto Marghera apparentemente non ha difficoltà, come quello di Brindisi, solo per il fatto che opportunità di ordine politico ne sconsigliano la cassa integrazione: qui, le brigate rosse hanno creato due cadaveri eccellenti, e, di conseguenza, solo la "tenuta" dell'occupazione ha impedito che l'aggregazione attorno al partito armato assumesse carattere macroscopico. Ma è una "tenuta" forzata, e i conti sono in rosso.
C'è, poi, chi ha scoperto (nientemeno) il carbone. Ma proprio questo è uno dei nodi storici della nostra economia e della nostra civiltà: solo insieme alle altre penisole, (Iberia, Grecia, Turchia), l'Italia entrò in ritardo nell'età del carbone e della macchina a vapore, rinunciando così a uno sviluppo diverso, a un ruolo nell'Europa industriale e nel rapporti euro-mediterranei, e a un processo di recupero delle aree meridionali. Come se un millenarismo controriformistico avesse voluto perpetuare una civiltà contadina come visione o espressione di un diffuso comportamento quietistico. Si perpetuò, in questo modo, una storia di ritardi, che ci ritrovammo, intatta, nel secondo dopoguerra, quando le violente polemiche sulla opportunità di attuare o meno la riforma agraria riproposero il tema degli obiettivi di sviluppo, e finirono col legittimare la scelta "nordista", contro le istituzioni di Saraceno. E' nata da quest'altro errore madornale (che qualcuno vuol far passare per "necessità storica") l'Italia dello squilibrio perpetuo, e si è proiettato da quella scelta il progetto assistenziale che è poi l'altra piovra che ci succhia ogni forza ricreatrice.
Ancora una volta, oggi, ci si distrae al bivio: nucleare o non nucleare? In poche parole: dobbiamo restare ancorati al petrolio, che non sarà eternamente disponibile, fra l'altro; o peggio, dobbiamo far ritorno al carbone, come precipitando nel baratro del passato (e negli intrighi commerciali di certi gruppi che hanno "visto l'affare"); oppure - fatte salve le due condizioni di fondo, della modernità degli impianti e della sicurezza collettiva - ci dobbiamo rivolgere al nucleare? Esclusa l'importanza di energia da atomo, (ce l'ha proposta l'Unione Sovietica), che comporterebbe anche a media distanza perdite quantitative notevoli e che consentirebbe condizionamenti analoghi a quelli imposti dal paesi produttori di petrolio, se non si vuole riconfermare la dipendenza - o sudditanza - energetica per lo sviluppo, non c'è scampo. Il nucleare è il nuovo punto di riferimento, almeno fino a quando l'energia solare non sarà sfruttata a dovere. In questo campo, però, gli studi sono ancora in ritardo, e il discorso sulle energie alternative in Italia è pura demagogia o pura illusione. Possiamo discutere anche a lungo sul "nucleare tipo Comiso", che rientra nel rapporti di forza tra Occidente e Oriente, ma a patto che si sbaracchino gli agenti che pescano nel torbito, come quei personaggi di nazionalità inglese e tedesca (ma con passaporti con numerosi visti per e dal paesi dell'Est) espulsi dalla Sicilia e dall'Italia, perchè collegati con ambasciate e con servizi non occidentali. Ma la scelta pacifica del "nucluare" non ammette ambiguità o remore. Affoghiamo nel debiti energetici, oltre che alimentari. Ed entrare in una nuova civiltà non è mai un idillio. Affondare nel Quarto Mondo è un problema senza soluzione.

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