§ In attesa del nuovo ordinamento

Un profilo storico della legislazione per lo sviluppo




Claudio Alemanno



Le fortune della "questione meridionale" sono state soggette nel lontano e più recente passato ad alterne vicende, a seconda della natura e del tipo di problemi emergenti nella situazione economica e politica del Paese. Con accenti di diversa rilevanza ha assunto il carattere di un improrogabile problema nazionale o, più semplicemente, l'espressione di un momento negativo permanente e immutabile nel processo di evoluzione storico-politica.
I risultati di questo lungo dibattito sono agevolmente desumibili dai provvedimenti legislativi che sono stati via via adottati. Ripercorrere in sintesi questo cammino e sembrato di particolare utilità in un momento in cui si ritiene conclusa l'esperienza della Cassa per il Mezzogiorno e si cerca di articolare l'intervento straordinario su altre basi organizzative.
I primi caratteri di un "intervento speciale" possono individuarsi nella disciplina adottata con legge 15 gennaio 1885, n. 2982, sul risanamento della città di Napoli. Con essa si introducono per la prima volta in modo chiaro e inequivocabile due concetti innovatori: quello in virtù del quale l'espropriazione può essere strumento dell'azione pubblica, anche allorchè l'utilizzazione del bene espropriato debba essere privata, e quello della indennità di esproprio calcolata non in virtù dell'esclusivo valore di mercato, ma anche delle finalità sociali cui il bene è destinato.
Tuttavia solo verso la fine del secolo il mondo politico prende coscienza della "questione". Con la ripresa dello sviluppo industriale registrata in epoca successiva al 1896 I dati statistici iniziano a fornire le prime notazioni sul dislivello Nord-Sud (nel consumi, nella produzione, nelle attrezzature civili, ecc.). Si configurano in questo modo due sistemi economici profondamente diversi: uno industriale (al Nord), con tendenza all'ulteriore industrializzazione; l'altro prevalentemente agricolo (al Sud), con impulsi industriali che tendono a decadere ed a ridursi.
Le più consapevoli posizioni riformiste prendono coscienza della necessità di una concezione unitaria dello sviluppo e si battono per una manovra di politica economica che, facendo leva sull'imposizione fiscale, sia orientata verso il riequilibrio generale delle risorse. Le più autorevoli espressioni del riformismo meridionale sono rappresentate in questo periodo da Nitti, Fortunato e De Viti De Marco. Sull'indirizzo riformatore prevale tuttavia l'orientamento più moderato, che invoca una semplice azione diretta dello Stato in specifiche zone arretrate (Salandra, Sonnino, Gianturco). Da questo indirizzo prevalente traggono ispirazione alcune "leggi speciali" che consentono di tradurre in atto l'intervento meridionalistico. Si ha così la legge 31 marzo 1904, n. 140 che adotta provvedimenti a favore della Basilicata (Presidente del Consiglio: Zanardelli). E' il primo intervento organico di tipo regionale con cui si dà l'avvio a tutta la legislazione speciale per le aree arretrate.
Alla legge per la Basilicata fanno seguito, con riferimenti sommari: la legge per Napoli 8 luglio 1904, n. 351; la legge per la Calabria 25 giugno 1906, n. 383; la legge con nuove misure a favore della Basilicata e della Calabria 9 luglio 1908, n. 445.
In questo panorama legislativo si riflette una disciplina contenente i tratti salienti dell'intervento speciale a favore delle aree depresse, riprodotti in tutto l'arco successivo dell'evoluzione legislativa. I richiami più autorevoli e significativi riguardano: l'ampliamento del concetto di "opera pubblica", che si estende dai settori tradizionali della viabilità e delle ferrovie a quelli degli acquedotti, al risanamento di quartieri cittadini fatiscenti, alla sistemazione di bacini e montagne franose, al rimboschimento. L'intervento sostitutivo dello Stato viene inteso come impegno ad operare a favore degli Enti Locali non in grado di svolgere queste funzioni con mezzi propri.
La legislazione speciale prevede tuttavia, sotto il profilo amministrativo , il ricorso ad organi di diretta emanazione statale, premiando una scelta accentratrice nel rapporti tra Stato unitario ed autonomie locali. I mezzi d'intervento decentrato sono in sostanza mezzi d'intervento statale volti a ridurre e comprimere, mai ad ampliare, la sfera delle decisioni e degli impegni operativi degli Enti Locali.
La legge per la Basilicata prevede l'attribuzione dei poteri attuativi al "Commissario civile", nominato con decreto reale dal Presidente del Consiglio dei Ministri (sostanzialmente un Prefetto dotato di compiti e poteri particolari). L'istituzione del Commissariato e di altri organi speciali per il Mezzogiorno, come diretta emanazione del potere centrale, appaiono tratti ricorrenti in tutto l'arco della legislazione meridionalistica. Forse l'unica eccezione è rappresentata dalla legge per Napoli dell'8 luglio 1904, n. 351, che deve a Francesco Saverio Nitti i principali contributi per la sua elaborazione. Essa contiene la creazione di un Ente municipale per l'energia elettrica (il Volturno) ed alcune norme agevolative predisposte per la zona industriale, con cui si apre la via alla costruzione del Siderurgico di Bagnoli ad opera dell'ILVA.
La legislazione fascista in questa materia non sembra caratterizzata da tratti autonomi ed originali. Appare semplicemente rafforzata la duplice tendenza alla creazione di organi speciali di intervento ed al rigoroso accentramento nello Stato dei compiti operativi.
Una raccolta organica della normativa sostanziale fu operata con il R.D.L. 7 luglio 1925, n. 1173, concernente tra l'altro l'istituzione di Provveditorati alle Opere Pubbliche per il Mezzogiorno e le Isole (in pratica veniva attuato un ampliamento delle competenze del Ministero dei Lavori Pubblici "per la parte riguardante il Mezzogiorno e le Isole").
Nel contesto di una visione unitaria del problema, il contributo organizzativo appare ispirato in questo periodo ad una logica più razionale. La ripartizione di competenze a livello centrale per le grandi aree territoriali e la creazione di organi statali decentrati speciali per le regioni meridionali caratterizzano una normativa portatrice di un chiaro disegno unitario e centralistico. Tuttavia le soluzioni organizzative adottate restano rigorosamente limitate al campo dei lavori pubblici, essendo esclusa dalla speciale struttura dei Provveditorati tutta la disciplina per gli interventi in materia agricola e per la promozione dello sviluppo industriale.
Con riferimento a quest'ultimo tema, fra i provvedimenti legislativi affrontati nel periodo tra le due guerre merita particolare richiamo il R.D.L. 3 giugno 1938, n. 883, con il quale si costituiva lo "Istituto di Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale" come ente esercente il credito a non breve termine. Si crea così per la prima volta un organismo di credito speciale indirizzato con chiarezza verso finalità d'intervento a favore dell'industrializzazione del Mezzogiorno, prefigurando una normativa comprensiva anche della "assunzione di partecipazioni in società o enti".
Nell'immediato dopoguerra l'intervento meridionalistico viene centrato soprattutto sulle agevolazioni creditizie, doganali e fiscali. Con i Decreti Legislativi luogotenenziali 28 dicembre 1944, n. 416 e 417 si crea una Sezione di credito industriale presso il Banco di Sicilia e si istituisce il Banco di Sardegna mentre nel campo dei lavori pubblici si provvede nel 1945 a fornire il Ministero LL.PP. di una amministrazione decentrata togliendo carattere di "specialità" al vari Provveditorati regionali.
Un impulso alla industrializzazione viene dato con il D.Lg.C. Provv. Stato 14 dicembre 1947, n. 1598, che in un determinato ambito territoriale di applicazione (Abruzzo, Molise, Campania, Lucania, Puglie, Calabria, Sicilia, Sardegna, Isola d'Elba, comuni compresi nella circoscrizione del Tribunale di Cassino) prevede forme di agevolazione doganale e fiscale.
Un grande dibattito sulla "questione meridionale" aveva tuttavia sensibilizzato in quegli anni la coscienza politica nazionale ed è proprio sullo slancio dei propositi riformatori, da più parti avanzati, che si giunse a vincolare il governo a rendere più incisivo ed organico il suo impegno meridionalistico adottando, con legge 10 agosto 1950, n. 646, il provvedimento istitutivo della Cassa per il Mezzogiorno. Esso non investe più solo una Regione o una parte del territorio meridionale, non isola i compiti a particolari settori di opere pubbliche, ma considera unitariamente tutte le Regioni meridionali e tiene conto della complementarietà delle opere da eseguire. Il suo aspetto originale consiste proprio nella visione unitaria del Mezzogiorno e nella organicità degli interventi programmati.
Col sorgere delle autonomie regionali, l'attività della Cassa diventa tuttavia sempre più incerta polche, nella determinazione degli atti generali di pianificazione, si avvertono difficoltà crescenti nel collegare i suoi compiti d'intervento operativo con la potestà normativa ed amministrativa delle Regioni entro il cui ambito essa opera. Da qui l'inevitabile ricorso ad una nuova elaborazione legislativa. I dubbi e le incertezze che assalgono chi oggi si accinge ad affrontare questo tema sono in realtà ricollegabili al gioco combinato di molteplici fattori. Per prima le condizioni storiche che avevano costituito il quadro entro cui collocare e analizzare le caratteristiche strutturali e organiche della "questione" sono state profondamente alterate dalle nuove ed effettivamente autonome istanze regionali. Ormai i soggetti istituzionali della programmazione e della gestione dell'intervento straordinario sono lo Stato, le Regioni, gli Enti Locali, il Ministero per il Mezzogiorno ed il Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali, mentre la Cassa tende a trasformarsi in organo di servizio qualificabile come agenzia tecnica di progettazione ed esecuzione degli interventi maggiori e di supporto alle singole Regioni per i progetti di loro competenza.
Queste innovazioni sono state talmente rapide e convulse da pregiudicarne un assorbimento graduale da parte della società meridionale e dei suoi gruppi più impegnati. Ancora, la scarsa presenza dei meridionalisti ha coinciso proprio col momento di maggiore evoluzione delle strutture istituzionali, quando più fermo e rigoroso doveva essere l'impegno nell'azione di tutela degli interessi meridionali. E questa una constatazione che legittima dubbi sull'esistenza di vincoli strumentali e subalterni (più o meno consapevoli) alle scelte elaborate in sede nazionale dal gruppi dirigenti.
Comunque, sia che l'inaridirsi del dibattito meridionalista discenda da una mancanza d'impegno e di attenzione verso le condizioni generali di evoluzione del sistema, sia che effettivamente la "questione" debba considerarsi esaurita nei suoi contenuti ideali, occorre oggi porsi di fronte alla concreta necessità di pensare al caratteri nuovi che l'azione d'impulso meridionalista dovrebbe darsi in presenza delle realtà regionali interessate e della grave crisi che il generale processo della crescita sta attraversando.
Il senso di questo accostarsi al nuovo va colto in primo luogo nella necessità di sottrarre la tematica dell'intervento straordinario al logorio degli schemi consolidati, al gioco dei compromessi politici; alla visione di una troppo pragmatica "ingegneria" dello sviluppo. Un limite, o se si vuole un pericolo, deriva proprio dalla crescita del sistema economico così come finora e stata gestita. Sul piano operativo, essa è stata condotta disaggregando il problema meridionale nel suoi aspetti territoriali e settoriali. Analizzando però esclusivamente le convenienze economiche dello sviluppo e le relative localizzazioni, si è finito per perdere di vista i fondamentali aspetti sociali della realtà meridionale. Ciò ha determinato nelle popolazioni un impatto spesso traumatico col processo d'industrializzazione che, essendo condotto con la logica esclusiva di politiche utilitaristiche contingenti, ha finito per alimentare il degrado clientelare e quel vasto fenomeno di smottamento del tessuto sociale verso forme improprie, se non illegali, di accumulazione oggi guardate con sospetto.
Due aspetti emergono in chiara evidenza nell'attuale realtà del Mezzogiorno. Uno positivo, legato alla consapevolezza che la concentrazione a livello regionale degli interessi e degli impulsi politici darà meno spazio al tradizionale particolarismo della classe dirigente locale. L'altro negativo, rappresentato dal pericolo che la programmazione regionale segua schemi concettuali e modelli di azione a carattere troppo generale (basati su modelli macroeconomici)allontanandosi di conseguenza dalle esigenze concrete delle varie zone. In questo senso sarebbe un grave errore trascurare le esperienze di programmazione operative e di progettazione già acquisite dalla Cassa, che invece andrebbero poste a base della presenza "tecnico-politica" del nuovo apparato istituzionale predisposto per gestire l'intervento straordinario.
In sintesi, il contenuto nuovo dell'impegno meridionalista va condotto almeno sii tre piani:
- una più corretta impostazione dei problemi tecnici connessi all'articolazione ne concreta dell'intervento, come fase ulteriore rispetto a quella più generale delle previsioni e dei programmi, definiti in sede regionale;
- la formazione e l'aggiornamento dei quadri direttivi dell'azione d'impulso (11 direzione e di coordinamento dei diversi interventi su scala regionale;
- la necessità impellente di ripensare a tutti i problemi connessi con la partecipazione delle popolazioni meridionali al processo di sviluppo.
L'intervento "sociale" (collegabile con l'esodo dall'agricoltura, con il flusso migratorio, con la promozione di nuovi lavori, con l'acquisizione di nuove qualifiche professionali, ecc.) deve acquistare per il futuro dimensioni e importanza adeguate alle trasformazioni che s'intende proporre con la crescita "economica".
Il Mezzogiorno attende sostanzialmente l'affermarsi di nuovi parametri di valutazione, di azione e di organizzazione: a livello degli Enti Locali, che non riescono ad esprimere un'autonoma forza propulsiva nei confronti dei problemi dello sviluppo; a livello degli uffici periferici dell'amministrazione centrale, assolutamente inadeguati ad assolvere un ruolo promozionale in questo settore per la tradizionale sfasatura corrente tra attività produttiva e amministrativa.
Alla nuova articolazione legislativa dell'intervento straordinario ed alla sua gestione il compito di farsi carico di queste istanze, che attendono dai progetti di crescita soluzioni non meramente quantitative e comunque facilmente assimilabili dalle realtà sociali in cui i nuovi insediamenti sono destinati ad operare.

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