§ Gli uomini dell'illuminismo europeo

La "Rivoluzione" di Filangieri




Luigi C. Belli



Benjamin Franklin gli scriveva, chiedendogli otto copie di ciascun volume della "Scienza della Legislazione" e dichiarandosi "your most obedient and most humble servant"; letterati e studiosi francesi gli indirizzavano frasi traboccanti elogi; dalla Svizzera, il maggiore Weiss, uno dei più noti letterati, gli fece sapere che l'opera aveva "elegance de style, noblesse de sentiment, profondeur des vues, érudition choisie, delicatesse d'images, hardiesse de pensées ... "; da Copenhaghen inviò il suo caloroso consenso il principe Razoumoski, ex ministro russo presso la Corte di Napolie poi, ancora, lettere dello storico tedesco Arnoldo Heeren, di Mario Pagano, di Bernardo Tanucci.
Gaetano Filangieri, letterato e filosofo, ma anche "maggiordomo di settimana dei re Ferdinando IV e suo gentiluomo di camera", raccoglieva i primi significativi frutti di un grandissimo sforzo, che gli era constato quindici ore di lavoro al giorno e aveva accelerato quel male, allora incurabile, che lo portò alla tomba ad appena trentacinque anni di età. Tra le decine e decine di lettere da lui ricevute dopo l'apparizione della "Scienza", la più significativa fu forse quella di Pietro Verri. Scriveva, il 26 agosto 1780, l'economista lombardo, dopo aver letto i primi due volumi della "Scienza": "Vorrei poterle esprimere la venerazione che hanno fatto nascere in me i sublimi suoi lumi e più ancora l'uso nobile e generoso ch'ella ne fa in beneficio della società umana. lo felicito V.E. e più ancora felicito cotesta sua illustre Patria nella quale s'ascolta con pace e con onore la voce libera d'un filosofo che indica sapientemente gli errori sinora venerati. Questa è una sacra espiazione all'ombra onorata dell'infelice Pietro Giannone colpevole di esser nato cinquant'anni prima dei suo tempo. Possa V.E. godere lungamente gli applausi dell'Europa e l'ammirazione dei suoi concittadini".
Gli applausi, oltre che dall'Europa, riecheggiavano dalla lontana Pennsylvania, governata dal già celebre Franklin, al quale Filangieri aveva scritto, manifestando il proposito di trasferirsi in America. Con ogni probabilità, era stato solo un pensiero che aveva attraversato la mente dello studioso napoletano, ma lo statista americano non aveva sottovalutato la richiesta, e l'11 gennaio 1783, in una lunga lettera, fu prodigo di consigli e gli suggerì persino il modo mediante il quale quel trasferimento si sarebbe potuto attuare.
Le lettere alle quali abbiamo accennato, unitamente a molle altre, provenienti da città della Penisola e dall'estero, sono la più efficace testimonianza della vasta eco che accompagnò immediatamente la colossale "Scienza della Legislazione", e testimoniano (ben catalogate e conservate al museo Filangieri, diretto da Acton) l'interesse degli uomini di cultura dei tempo. Accanto alle lettere, anche attestati, manoscritti sull'origine dei cognome: e ci sarebbero stati tutti i manoscritti dei giovane principe di Arianello, se non fossero andati distrutti nel gran rogo provocato dai tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, a San Paolo Belsito, dove erano stati trasportati i documenti più antichi e preziosi dell'Archivio di Stato e del museo Filangieri. Si trattò di una perdita dolorosissima: furono trasformate in cenere le 198 pagine vergate con la fitta grafia di Gaetano Filangieri per il primo volume della "Scienza", e la stessa fine fecero i 215 fogli dei secondo volume, i 228 del terzo, i 334 del quarto, i 145 dei quinto, i 196 dei sesto e i 170 dei settimo. Al rogo finirono anche scritti minori dei principe e le 119 lettere (italiane e francesi) che si scambiarono Filangieri e la contessa Carolina Freudel nel periodo che precedette il matrimonio.
Nulla fu risparmiato dal vandalismo nazista: crepitò fra le fiamme anche il bel quadro che Domenico Morelli realizzò nel 1885 e che ritraeva Filangieri giovane e di esile aspetto, al tavolo di lavoro, accanto ai libri, di fronte ai fogli e alla penna d'oca. Si salvò quel che era stato ritenuto meno prezioso, e perciò lasciato nelle bacheche e nelle vetrinette dei museo, comprese le promozioni sottoscritte dal re, con le quali "il maggiordomo e gentiluomo di camera" era stato di volta in volta nominato ufficiale di marina, commendatore dei Real Ordine Costantiniano, membro onorario della Società Economica di Berna e, un anno prima della morte, membro dei Supremo Consiglio delle Finanze. Il sovrano era ben lungi dal pensare (e come avrebbe potuto?) che un paio di lustri più tardi la "Scienza" di quel suo dignitario sarebbe diventata scheletro della Repubblica Napoletana che fece barcollare il trono. Non solo Ferdinando non poteva pensarlo, ma mancava persino dell'intelligenza e dell'intuito per prevederlo, leggendo fra le righe di quei libri per i quali il maggiordomo trascorreva notti insonni e deperiva sempre di più.
La "Scienza" è certo, opera tra le più rilevanti che l'illuminismo maturo abbia prodotto. Vi si trovano, riannodati, tutti i fili dei discorso che il grande pensiero riformatore europeo fino ad allora aveva dipanato, anche se non sempre organicamente. I punti di partenza sono naturalmente Montesquieu, Locke, Rousseau. Degli italiani, Vico viene inserito nel contesto dei riferimenti e delle fonti culturali di Filangieri, ma piuttosto come ornamento autoctono che non come attivo fermento. Genovesi, invece, domina l'orizzonte della sua visione economica, che è però già profondamente modificata dalle idee di Verri e della fisiocrazia. In questo senso, l'opera trascende nettamente la lezione genovesiana e si colloca in una visione più ampia: come conciliare la libertà con l'uguaglianza; come fare della giurisprudenza una scienza "sicura e ordinata"; come costruire un "sistema compiuto e ragionato di legislazione"; come affrontare il rapporto tra certezza dei diritto e dinamicità sociale. Quanto giungeva al giovane aristocratico dalla scuola dei Genovesi appare, dunque, arricchito da un'esperienza più vasta, anche dal punto di vista teorico. Non c'è infatti solo il riferimento alla fisiocrazia, ma anche una ulteriore spinta al liberismo quale era stato portato in Italia dalle "scuole ultramontane". Eppure, alcuni elementi essenziali facevano riconoscere l'allievo dei Genovesi riportando al mondo napoletano, ai problemi di una realtà urgente, quella costruzione geometrica centrata sulla visione di "un ordine eterno delle umane società", di una "comune verità", di una "legge generale di fondo", Innanzitutto, il punto di partenza, il fulcro attorno a cui ruotarono i primi libri dell'opera, la volontà di sottrarre il diritto, e dunque la giustizia che gli si collega, all'arbitrio, all'autorità dei passato e alle consuetudini; il proposito di saldare libertà e legge, razionalizzando il giudizio dei giudice attraverso l'obbligo della motivazione della sentenza; una netta divisione dei poteri (tra chi "fa le leggi" e chi "le applica"). Temi, questi, di dibattito reale e antico nel Regno di Napoli, che Filangieri, peraltro, ancora ventenne, già riprende, e con lucidità estrema "chiarifica" nell'aureo libretto "Riflessioni sull'ultima legge dei sovrano". Poi, il libro IV, dedicato all'educazione e al costume, pur tenendo presente la lezione dei Ginevrino, esprime in modo esplicito quanto Beccaria aveva solo accennato, arricchendolo con quanto aveva detto, scritto e progettato il Genovesi a proposito dell'istruzione. E in questo libro la concezione premiale delle norme fa da contrappunto a quella della pena che occupa il libro III, costituendo insieme un'importante anticipazione dei pensiero di Bentham.
Infine, l'apertura netta e dura della polemica antifeudale. La consapevolezza dei Filangieri è alta e solenne: "Cos'è la feudalità? E una specie di governo che divide lo stato in tanti piccoli stati, la sovranità in tante piccole sovranità, che non ripartisce l'esercizio dell'autorità, ma divide distrae ed aliena il potere stesso, che spezza il nodo sociale invece di restringerlo, che dà al popolo molti tiranni invece di un solo re, al re molti ostacoli al fare il bene ( ... ) alla Nazione un corpo prepotente che, situato tra il principe e il popolo, usurpa i diritti dell'uno con una mano, per opprimere l'altro con l'altra; che ci lascia tutta la dipendenza della monarchia, senza l'attività della sua costituzione, e tutta la turbolenza della repubblica, senza la sua libertà".
In questa tematica, che ancora una volta partiva da Montesquieu, le distanze dal grande parlamentare francese sono ancora più nette di quelle già prese dagli altri riformatori meridionali (da Genovesi, da Galiani). La scarsa considerazione dei corpi intermedi, però, può certo anche essere ascritta alla consapevolezza di una realtà sociale in cui virtù e moderazione non apparivano più caratteristiche tradizionali della nobiltà. Ma Filangieri non si contentava di denunciare gli "abusi"; anche teoricamente affrontava il problema dell'eversione dei feudi, dando ampio respiro a quel dibattito a cui parteciperanno, negli ultimi decenni del secolo, i più vivi ingegni della cultura napoletana (dal Palmieri al Galanti).
Senza infingimenti, dunque, si delinea il destino del mondo moderno: "Le ricchezze sono diventate il primo oggetto della legislazione". Dal seno stesso della nuova situazione sorgeva un'indicazione fondamentale. "Lo stato crescente delle Nazioni d'Europa (...) è che il tutto si trova tra le mani dei pochi. Bisogna fare che il tutto sia tra le mani dei molti". Una coscienza egalitaria è dunque la prima risposta. Una nuova legislazione in materia civile e penale, la seconda. La terza, forse la più importante fra tutte, consiste nel fornire i criteri per la scelta degli strumenti che potevano e dovevano operare queste trasformazioni. "I principi non hanno il tempo d'istruirsi ( ... ). Ai ministri della verità, ai pacifici filosofi, si appartiene dunque questo sacro ministero". Il filosofo non può più accontentarsi di capire il presente, o di comprendere la storia che questo presente ha prodotto. Egli deve impegnarsi nella realtà sociale ed economica indicando la via per riformarla. Far luce, così che al di sotto dei veli che il tempo ha accumulato traspaia e si manifesti la razionalità eterna ed immutabile delle buone leggi che obbediscono all'armonia semplice e universale che governa il tutto.
"La nobiltà dei suoi pensieri, i principii di umanità che riempivano il suo cuore non erano limitati al bene privato: il popolo, la società, la turba degli infelici occupavano la sua mente, e, tutto inteso al sollievo universale, ardiva parlare il linguaggio della ragione a' depositari della legge e, cinto della intrepida libertà di un vero filosofo, si avvicinava al trono". Così si legge nel "Monitore repubblicano" dei "tridi 13 pratile anno VII della libertà, I della repubblica napoletana una e indivisibile". Ma forse il significato che il pensiero di Gaetano Filangieri ebbe per la cultura europea fino alla Restaurazione è sintetizzato bene in ciò che Napoleone disse di lui: "Ce jeune homme, qui est notre maître à tous". E non a caso Goethe, che volle conoscerlo personalmente, nel suo "Viaggio in Italia" scrisse: "Alle sue maniere si riconosce l'uomo d'armi, il signore e l'uomo di mondo; ma tanta nobiltà è temperata in lui dalla espressione di uno squisito senso morale, che diffuso in tutta la persona, brilla con molta grazia in ogni sua parte, in ogni suo gesto ... ". Tra il 1822 e il 1824, Benjamin Constant scrisse i due volumi dei "Commento" all'opera di pensiero filangeriana, che aveva suscitato una vasta letteratura critica dei tempo. Poi furono i secoli dell'oblio. Distratti o disinteressati i nostri editori, la "Scienza" sarà pubblicata, ora, dal Poligrafico dello Stato.

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