§ De Sanctis, cento anni dopo

Tra cronaca e storia




Giuseppe Galasso



Quando si tratta di celebrazioni, la corsa alla scoperta dell'attualità del celebrato è uno degli obblighi a cui tutti ritengono di dover sottostare. Per le celebrazioni del centenario della morte di Francesco De Sanctis si può tuttavia dire che, una volta tanto, ragioni evidenti ed oggettive legano la figura e il pensiero dell'uomo celebrato all'attualità del presente.
Per affermare questo non è necessario costruire l'immagine di un De Sanctis meridionalista, che non vi fu: non solo perchè al momento della sua morte la questione meridionale, nei senso in cui noi oggi la intendiamo, non aveva ancora assunto nella riflessione e nei dibattiti dell'Italia unita il rilievo e l'importanza che assunse, invece, negli anni successivi; ma anche perché la preoccupazione e l'impegno ideale e politico di De Sanctis furono tutti concentrati nello sforzo di assicurare alla nuova Italia uscita dal Risorgimento una dimensione moderna e civile della vita pubblica e della cultura. Forse nessuno o pochi più di lui capirono e sentirono angosciosamente la verità del detto di Massimo d'Azeglio secondo cui, fatta l'Italia, bisognava fare gli italiani. Nel Risorgimento vedeva l'inizio della liberazione degli italiani dal peso di un passato infelice. Come Mazzini, pensava, però, che un'Italia più grande, più potente, più ricca non avrebbe rappresentato di per se stessa nulla di particolarmente attraente, se non fosse diventata anche un'Italia più buona, più morale, più idealistica.
Moralismo, si dirà; astrazioni letterarie e umanistiche; retorica nuova che si opponeva a retoriche vecchie.
Non era così. Il programma culturale e politico di De Sanctis era realistico e concreto. Egli parlava di importanza nuova della scienza e di un suo legame con la vita; parlava di riforme che garantissero, con l'istruzione popolare, una più reale e convinta partecipazione degli italiani alla vita dello Stato. Soprattutto lo interessava - come ad Avellino ha ricordato, da studioso prima che da uomo di governo, Giovanni Spadolini - il problema di un collegamento effettivo della cultura e della politica: una politica che non fosse illuminata dalla luce e dalle aspirazioni di un pensiero elevato e consapevole, gli appariva una condizione negativa, un fatto di puro e semplice potere, come era accaduto nel passato dal quale il Risorgimento si era proposto di scuotere l'Italia. Ed era così poco dottrinario che, pur avendo dato azione e pensiero alla destra storica, al partito di Cavour, non esitò a promuovere un raggruppamento diverso, quando gli parve che la destra avesse trasformato la sua grande opera di fondazione e di affermazione del nuovo Stato italiano, unitario e democratico, in una politica ristrettamente conservatrice del potere che aveva conquistato al momento dell'unità. Il nuovo raggruppamento ebbe un ruolo altamente simbolico: "sinistra giovane"; e De Sanctis fu ancora ministro, sia pure per pochi mesi, nel 1878, quando la destra era ormai caduta e correvano i primi e migliori tempi della sinistra. In un secolo, da allora, l'Italia éindubbiamente diventata più ricca, più prospera, più moderna. Ma la preoccupazione del D'Azeglio, del Mazzini, del De Sanctis che un Paese più progredito fosse anche un Paese migliore dal punto di vista della vita morale e della civiltà politica ha trovato una soddisfacente risposta? Dopo di essere diventata uno dei dieci Paesi del mondo per grado di sviluppo economico, l'Italia può dire di essere anche diventata quella società moralmente e civilmente esemplare alla quale gli uomini del Risorgimento, come De Sanctis, avevano mirato?
Nell'Italia della violenza terroristica e camorristica, degli indecifrabili e sanguinosi intrighi bancari e finanziari, della cronaca giudiziaria sempre tristemente troppo vicina alla cronaca politica, è lecito dubitarne. Ma é lecito dubitarne anche nell'Italia dei mille corporativismi, della giungla selvaggia di preferenze e privilegi normativi e salariali, della demagogia e del suo conformismo. Dopo un secolo e più un Paese che ha fatto progressi miracolosi e appena credibili deve scoprire che la questione morale, la questione dell'educazione civile del suo popolo e delle sue classi dirigenti è ancora il suo primo e maggiore problema.
Per fortuna, il messaggio di De Sanctis non è solo un messaggio di sofferta moralità. E' anche un messaggio di fede nella forza della cultura, nell'impegno morale e civile: il messaggio che nella sua Irpinia, e con più specifico riferimento alla questione meridionale, avrebbe rilanciato, mezzo secolo dopo di lui, un altro avellinese, Guido Dorso, il cui nome non a caso é stato ricordato all'inizio delle celebrazioni desanctisiane. E' anzi, simbolico e ha uno schietto senso meridionalistico, il fatto che questi temi (cultura, politica, moralità) siano affiorati con tanta ricorrente energia in una delle zone più esemplari della questione meridionale.
Anche questo suona come ammonimento di primissima attualità nel coltivare quella radunata delle energie più sane e vitali che De Sanctis auspicava con la "sinistra giovane" e che lo storico e docente universitario Spadolini, non a torto, ha indicato oggi nella cooperazione per un'Italia migliore e più civile tra tutte le forze democratiche dei Paese, laiche (nel solco anche di De Sanctis) o cattoliche che siano.

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