§ Giustino Fortunato, personaggio di un romanzo di Matilde Serao

Sangiorgio e il Drago




Michele Prisco



Qualche tempo fa, Giuseppe Galasso e Gaetano Cingari hanno commemorato in Campidoglio Giustino Fortunato, nel cinquantenario della morte: gli anniversari, e vero, sono una sorta d'alibi per la nostra propensione a dimenticare facilmente,' e talvolta rischiano l'agiografia più o meno ufficiale, ma rappresentano, pure l'unica maniera per ridar vita, anche se momentaneamente, a personaggi o avvenimenti di cui la nostra memoria dovrebb'essere più sollecita custode. Per nostro conto, sullo stimolo di quella notizia, siamo andati a togliere dallo scaffale e a risfogliarlo un romanzo giovanile della Serao, nel quale la scrittrice s'ispirò alla figura di Fortunato per rappresentare Francesco Sangiorgio, il protagonista della "Conquista di Roma". Ma sino a qual punto possiamo identificare nel personaggio di fantasia il personaggio reale e ritrovare, attraverso la trasposizione fantastica, il pensiero o il temperamento del grande meridionalista nello scontroso deputato ch'è al centro del romanzo?
Nonostante un'affinità fondamentale fra il modello e la copia (come Giustino Fortunato, Francesco Sangiorgio è l'uomo della tristezza meridionale), le coincidenze non vanno oltre alcuni dati esteriori perfettamente riscontrabili nella biografia vera e in quella romanzata: probabilmente la Serao, partita con l'idea di tracciare il ritratto interiore di Giustino Fortunato, ne fu poi distolta per seguire il proprio impulso sentimentale, che la spinse a narrare semplicemente una storia d'amore, sullo sfondo della Roma parlamentare e umbertina.
Una cosa è certa, e la nota anche il lettore che non sappia come Francesco Sangiorgio voglia in filigrana adombrare Giustino Fortunato: il romanzo ha una svolta, poco dopo la metà, e si fa da documento politico storia passionale, allorchè nella lunga descrizione del Pantheon durante i funerali di Vittorio Emanuele II entra in scena, in un'aura prettamente liberty, la protagonista femminile donna Angelica Vargas. Appena nel libro si accampa la figura di Angelica, questa prima creatura dannunziana che si affaccia alla ribalta letteraria ("Il piacere" uscirà tre anni dopo), una specie di medusea Beatrice preraffaellita come esigeva in quel tempo la moda dei quadri di Dante Gabriele Rossetti, la pallida e altera, onesta e pura, ma per frigidità o inibizione più che per intima virtù, "angelicata" e un pò tenebrosa come Marina Crusnelli ("Malombra" è uscito quattro anni prima), il deputato Sangiorgio non solo abdica al suo ruolo segreto di controfigura di Giustino Fortunato, ma, in un certo senso, anche considerato come semplice personaggio di fantasia, incrina persino la propria coerenza psicologica per obbedire alla tesi programmatica della scrittrice, se è vero, come è vero, che Angelica, "la donna che non sa amare", è a sua volta personaggio e simbolo: immagine, appunto, di Roma, "la donna che non sa amare", (la definizione è usata due volte, per la donna e la città).
Ad apertura di libro, Sangiorgio è nel treno che lo porta a Roma, neodeputato proveniente dalla Basilicata. Non riesce a dormire, e la sua irrequietezza cresce quanto più si avvicina alla fine dei viaggio (via Cassino): rivede dentro di sè gli anni trascorsi nello squallore della vita provinciale, rivede il suo povero paese natale, e la minuziosa descrizione della Serao ci fa venire a mente il paesaggio meridionale che così spesso Fortunato ha descritto, quello spettacolo che tante volte lo aveva malinconicamente colpito.
La legislatura che si apre per il neodeputato Sangiorgio è la quattordicesima, e la quattordicesima legislatura (Roma è capitale da appena un decennio) cade nel 1880. Francesco Sangiorgio ha 32 anni: altrettanti ne conta, nel 1880, Giustino Fortunato, nato a Rionero in Vulture, nella provincia di Potenza, nel 1848. Anche per Fortunato la quattordicesima legislatura è quella che lo vede sedersi per la prima volta sugli scanni di Montecitorio, deputato in ParIamento, eletto per il collegio di Melfi.
Fin qui, dunque, le coincidenze sono rispettate; e c'è anzi da aggiungere, che non si fa fatica a immaginare nel "piccolo e povero paese di Basilicata" la stessa cittadina di Rionero, una delle tante di quel Mezzogiorno "per un terzo Africa e per un terzo Oriente", secondo la definizione ormai famosa di Fortunato. Diremo di più: in quelle pagine iniziali che descrivono il viaggio di Sangiorgio a Roma, nel ricordo commosso e astioso al tempo stesso che il personaggio rivive, c'è come appena enunciato quel rapporto di odio-amore verso il Mezzogiorno che, magari un poco freudianamente, si ètentati a volte di attribuire allo stesso Fortunato (non si dimentichi la paradossale accusa di "denigratore del Mezzogiorno" che gli avversari di Fortunato poterono facilmente formulare contro colui che, precedendo di qualche decennio De Viti De Marco e Francesco Saverio Nitti, per primo si assunse, dopo l'unificazione, l'ingrato compito di porre, da meridionale, il problema del Mezzogiorno, scoprendo agii italiani un Meridione non neghittoso ma naturalmente povero, non arretrato ma relegato in un angolo morto dell'Europa).
Sono anni, quelli intorno al 1880, di assestamento, e perciò di disorientamento, nella politica del giovane Stato italiano, e il contrasto fra la destra e la sinistra appassiona il Parlamento e il Paese. Alla caduta della destra, il 18 marzo del '76, il popolo italiano aveva acclamato delirante l'"era nova", il "governo riparatore", il "rinnovamento sociale", aspettando fiducioso il prodigio promesso: era seguita invece la delusione, mentre le liti fra gli stessi uomini che avrebbero dovuto compiere il prodigio, portavano allo spegnersi della sinistra nel "trasformismo" e al pullulare del gruppi, nell'estenuazione dell'attesa.
Ma quel periodo è anche lo stesso in cui, per la prima volta, la "questione meridionale" (e la sollevazione del meridionali contro la destra, come circa cinquant'anni più tardi osservò Croce, poteva esserne un sintomo, ma non già una consapevolezza) giunse finalmente a chiarezza di conoscenza e di definizione per opera precipua di Giustino Fortunato.
Ispirandosi dunque ai meridionalista lucano per il personaggio di Sangiorgio, e ponendo al centro della "Conquista di Roma" la vita politica della Capitale (con, in sottofondo, il motivo chiave del libro: l'insidia che tende Roma con l'imprevisto dei sentimenti che suscita e delle passioni che alimenta consumando al tempo stesso energie e volontà perchè è"la città dove tutti son venuti, dove tutto è accaduto, la città che sa tutto perchè tutto ha veduto", la città ch'è come "lo scirocco spirituale, la temperatura tiepida e uniforme, che vi fiacca i nervi, vi ammollisce la volontà e vi dà, ogni tanto, le grandi ribellioni interne e i grandi accasciamenti"), la Serao non ancora trentenne, appena agli inizi della sua stupefacente carriera gremita di titoli, si dimostra scrittrice "impegnata", anche se a viziare i risultati di questo curioso documento ch'è "La conquista di Roma" concorrono più le suggestioni del naturalismo zoliano che i pericoli dell'"èngagement".
Ma sarà bene ripetere che, di Giustino Fortunato, nel personaggio Sangiorgio non ci sono che pochi punti di contatto: una certa verniciatura psicologica, alcuni dati biografici, qualche esperienza di vita politica e magari, negli interventi del personaggio Sangiorgio alla Camera, una veemenza oratoria che ricorda, non soltanto nei contenuti, quella degli interventi di Giustino Fortunato alla Camera (e la somiglianza di certe clausole stilistiche dovuta alla moda del tempo fa il resto): ma nulla di più. Probabilmente la Serao era stata affascinata dalla figura di Fortunato, ma poi nella stesura del romanzo aveva finito col trascurarla, o meglio col mutarla e piegarla alle esigenze romanzesche della sua fantasia.
D'altra parte, in un articolo sul "Fanfulla" del 12 luglio 1885, la Serao aveva onestamente confessato i suoi scopi: nei due protagonisti della "Conquista di Roma" ella intendeva solo rappresentare le conseguenze della mediocrità spirituale, della fatuità sentimentale, delle mezze virtù. E se il romanzo è più ricco d'intenzioni che di risultati, è perchè in controluce si scopre troppo la formula zoliana del romanzo-documento, pur avendo momenti di straordinario vigore realistico e bellissime notazioni ambientali (la campagna romana nell'imminenza della pioggia, il primo convegno al Pincio, la festa al Quirinale); e se, come scrisse Croce, "i sentimenti del protagonista, del provinciale forte e debole insieme, sono interpretati con molta sicurezza e rappresentati con efficacia", è anche, in parte, perchè in quel protagonista, nonostante l'evidente diversità delle vicende esteriori, qualcosa di Giustino Fortunato la Serao è pur riuscita a trasfondere e far rivivere.
L'esperienza parlamentare di Fortunato durò quasi un trentennio, sino al 1909, allorchè con la nomina a senatore il meridionalista si ritirò dalla vita politica attiva attendendo solo ai suoi studi; la carriera di Francesco Sangiorgio sarà invece molto più breve: venuto a Roma per la legislatura dell'80, il deputato del romanzo si mescolerà al giuoco delle passioni collettive con l'ardore di chi ha troppo compresso finora le sue ambizioni, ma sarà in ultimo bruciato dal suo stesso temperamento e concluderà, alla fine del libro, la sua breve carriera politica dando le dimissioni da deputato per motivi di carattere sentimentale.
E' appunto con la comparizione della protagonista femminile che il romanzo, l'abbiamo detto, dirotta e, pur mantenendosi sullo sfondo del mondo parlamentare, la vicenda si fa vicenda d'amore condotta, per di più, da una Serao insolitamente languorosa e stanca. Così, Francesco Sangiorgio e Giustino Fortunato divergono, e sarà inutile, da questo punto in poi, tentare un raffronto o un accostamento fra loro. A mano a mano che in Sangiorgio la passione per Angelica Vargas crescerà indomabile, l'ombra di Fortunato sarà sempre più .quella d'un fantasma evanescente; e a chiusura del libro assisteremo alla fine d'una storia d'amore a metà fra il melodramma e il dannunzianesimo, che nulla più avrà da spartire con la vita o gli ideali di Giustino Fortunato.

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