SOLO TERAPIE DIFFICILI




Mario Talamona



L'affermazione, attribuita fra gli altri a Disraeli, secondo la quale "non esistono soluzioni facili per i problemi difficili", dovrebbe essere tenuta particolarmente presente, davanti a una congiuntura economica che difficile e grave lo è di sicuro. E' soprattutto in momenti in cui la situazione politica vive crisi dai contorni incerti. Il nervosismo non è proprio ciò di cui avremmo più bisogno. Esso è almeno altrettanto nocivo, quanto la disinvoltura con cui soluzioni apparentemente "facili" vengono accennate quasi con nonchalance. In queste condizioni è comprensibile che anche le più confuse alternative ad un'impostazione gradualista, anche le meno meditate, possano destare crescente interesse.
La situazione, in realtà, si sta deteriorando abbastanza rapidamente. Il tasso d'inflazione, innanzitutto, è risalito con impeto oltre il 17 per cento su base annua e minaccia di aumentare ancora, pur con le più caute e meno significative delle misurazioni, cioé confrontando gli indici mensili dei prezzi ai corrispondenti periodi dell'anno precedente. Mentre è vero che l'accelerazione del loro aumento si riflette più correttamente, se non nelle variazioni "istantanee", in quelle da un mese all'altro, ormai molto più elevate, fino a tassi annui composti fra il 19,6 e il 26,8 per cento.
Sul fronte valutario, la temibilissima ripresa del dollaro riguarda bensì tutte le altre monete, ma implica anche un'inarrestabile svalutazione della lira nei suoi confronti, che ha toccato quasi il 30 per cento nel corso dell'82, uno slittamento continuo del cambio col marco e verso gli altri principali Paesi industrializzati (specie all'interno dello Sme) e un'emorragia di riserve per una difesa sempre più difficile da parte dell'istituto di emissione. Già si è dovuto ricorrere a qualche provvedimento valutario di emergenza. Il costo delle importazioni aumenta in misura drammatica, mentre gli effetti competitivi sulle esportazioni compensano solo in piccola parte i nostri sempre maggiori differenziali inflazionistici.
Per un'economia in fase recessiva, la miscela infernale (e potenzialmente esplosiva) di disoccupazione e inflazione, di crisi valutaria e di disavanzo pubblico ingovernabile, pone evidentemente problemi molto gravi nell'immediato e nel prossimo futuro. Poiché, d'altra parte, le conseguenze strutturali di una nuova crisi congiunturale - soprattutto sul l'investimento, sull'utilizzazione della capacità produttiva e la competitività a medio e a lungo termine - non possono che essere altrettanto gravi, è indispensabile che l'azione per fronteggiarla acquisti il più possibile caratteristiche tali da promettere almeno di aggredire alcune fra le cause strutturali, non meramente congiunturali, della crisi stessa.
In altri termini, diventa improcrastinabile l'esigenza di invertire con decisione le tendenze in corso, in modo che la manovra di risanamento e di stabilizzazione affronti senza ulteriori indugi i fattori di squilibrio interni ed esterni con la determinata prospettiva di una ricostruzione economica su fondamenta riconsolidate, in vista di una nuova fase di sviluppo.
Da questo punto di vista essenziale, le alternative concettuali che si presentano rimangono quelle delineate nella Relazione previsionale e programmatica di fine settembre. Da un lato, nell'ipotesi "neutrale" di prosecuzione delle tendenze in atto, dall'altro lato uno "scenario" basato sul "programma tendente a riportare l'inflazione al 13 per cento".
Il problema che oggi si pone con urgenza è se il tipo di strategia "gradualista", delineato per la legge finanziaria e per il bilancio dello Stato 1983, ma evidentemente legato anche alla dinamica dei costi di lavoro per unità di prodotto, sia basato su ipotesi sufficientemente realistiche - dato il rapido evolversi della situazione congiunturale - e, soprattutto, se i suoi tempi di eventuale, comunque lunga realizzazione siano sopportabili o addirittura compatibili con l'incalzante coagularsi dei fattori di crisi di breve periodo. Se si vuoi dare un senso più preciso e costruttivo ai discorsi, via via più diffusi e ricorrenti, che prospettano l'opportunità di ricorrere a qualche "terapia d'urto", bisogna dare una risposta obiettiva e responsabile a questi interrogativi.
E' una questione di tempi, ma anche di contenuti: ad esempio, per un'azione bilanciata interessante sia il lato della domanda, sia quello dell'offerta; sia il nodo intricato della spesa pubblica, sia quello dei costi di produzione e della produttività, non esclusi di certo quelli del lavoro. In questo senso, è illusoria ogni accentuazione "manichea" dell'uno o dell'altro lato, nella sottintesa speranza che in fondo - per noi, italiani - le soluzioni "facili" siano sempre a portata di mano. Diremmo esattamente il contrario, al punto in cui siamo. E del resto, se no, che vantaggi avrebbe, nell'analisi e nelle proposte, la linea detta "catastrofista", rispetto ai rischi soporiferi di quella "gradualista"? Sarebbe forse bene rileggere, con la massima attenzione, la relazione del governatore della Banca d'Italia al Forex Club, specie dove tratta della dinamica dei costi e dei prezzi all'approssimarsi del 1983, in rapporto alle tendenze nei principali Paesi industriali.
La constatazione che gli elementi di ricarica automatica delle retribuzioni finiscono per assorbire lo spazio disponibile per le contrattazioni entro gli obiettivi di rientro dall'inflazione, non soltanto per il 1982, ma anche per quest'anno, induceva Ciampi a sottolineare il grave divario rispetto ai Paesi concorrenti, dal momento che una pur sensibile decelerazione delle retribuzioni per dipendente corrispondeva nell'82 a una previsione di aumento di circa il 16-17 per cento nell'industria, in assenza di rinnovi contrattuali. Così da rilevare, letteralmente: "Con maggior coraggio e lungimiranza sarebbe stato possibile ottenere - per un'uguale evoluzione dei salari reali - un maggior rallentamento dei costi e dei prezzi, comprimendo i tempi della disinflazione con vantaggio per la collettività in tutte le sue componenti".
Quanto alla necessità che le politiche disinflazionistiche aggrediscano alla radice i nodi del sistema, questi ultimi erano specificati: dall'energia all'agricoltura, dal governo del bilancio pubblico al sistema della contrattazione salariale. Nessun "monismo casuale", nessuno strabismo, dunque. Vigorosa conferma, infine, che "la riacquisizione del controllo del bilancio pubblico è la via obbligata per il risanamento dell'intera economia". Ma anche chiara consapevolezza che "l'opera si presenta lunga e complessa: urgente è avviarla con metodo per poi condurla con perseveranza".
In conclusione, in presenza di una forte accelerazione inflazionistica, un netto e rapido mutamento delle aspettative è senz'altro da perseguirsi con urgenza. Di conseguenza, una compressione dei tempi della disinflazione (o, se si preferisce, un ripudio del principio della gradualità) diventa più che mai necessaria, a prescindere dalle preferenze o dai gusti.
Ma se c'è una strada relativamente lunga e complessa per realizzarla, questa è proprio la riduzione del fabbisogno di cassa del Tesoro dall'attuale 66 per cento del credito totale interno all'aureo livello del 28-30 per cento degli anni di sviluppo. E' un obiettivo che richiede volontà inflessibile, tenacia, ricupero dei valori morali, forse una rivoluzione culturale, certo un disegno politico profondamente innovatore e di orizzonte temporale adeguato. La "terapia d'urto" nelle condizioni presenti richiederebbe invece tempi stretti e interventi intensivi. Altrimenti, rischierebbe di far male e basta.

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