INTERNAZIONALIZZARE L'ECONOMIA




Piero Bassetti



Con il persistere della fase di recessione dell'economia si sono pericolosamente riaffacciate, in molti Paesi, tentazioni protezionistiche e autarchiche. Questo fatto è decisamente preoccupante ai fini dello sviluppo degli scambi commerciali internazionali e lo è, in modo particolare, per un Paese come l'Italia, che della libertà ha assoluta necessità per sviluppare ulteriormente il proprio sistema economico. Si deve operare, quindi, in modo tale da neutralizzare, o almeno da ridurre al minimo, gli effetti negativi di queste tendenze.
Una via in tal senso può essere costituita da un'ulteriore accentuazione del processo di internazionalizzazione dell'economia. I sistemi economici sviluppati sono già caratterizzati da crescenti gradi di interdipendenza, non solo in termini di complementarietà di tipo classico, basata sul principio della specializzazione produttiva e del vantaggio comparato, ma anche in fatto di integrazione di fasi produttive. Quella delle collaborazioni produttive, orizzontali e verticali, che tendono a far perdere una connotazione troppo nazionalistica ai prodotti finiti, è quindi la via che offre i massimi vantaggi alla comunità mondiale, unitamente a quella delle integrazioni e delle cointeressenze finanziarie, che accomunano i diversi Paesi. Secondo questa prospettiva, l'ulteriore internazionalizzazione dell'economia italiana deve passare non tanto attraverso un allargamento quantitativo dei già vasto interscambio con l'estero, quanto attraverso la sua razionalizzazione. Le difficoltà dell'economia italiana, infatti, non sono determinate da scarsa quantità di esportazione, quanto dalla grave caduta del valore relativo delle produzioni italiane verificatasi nel 1973 e non più recuperata.
Per non continuare a pagare una pesante tassa all'estero è quindi necessario rafforzare la tenuta internazionale mediante l'aumento del valore relativo delle produzioni, e contemporaneamente contribuire per quanto possibile a uno sviluppo duraturo dell'economia internazionale. Sembra pertanto opportuno operare per l'integrazione e per il riequilibrio, organizzando un processo di internazionalizzazione organica; gestendo il riequilibrio interno e promuovendo un nuovo ordine internazionale all'estero; facendo avanzare l'unificazione economica dell'Italia e insieme dell'Europa, per poter poi affrontare le tappe successive dell'integrazione.
Ovviamente, non si tratta di una questione di competenza settoriale: occorre un progetto che investa coerentemente la politica economica e la politica internazionale, l'ordinamento normativo e gli strumenti di promozione. Occorre, cioè, riproporre condizioni di fondo dello sviluppo, aggiornando con tempestività il ruolo delle istituzioni.
Oggi, in Italia, la politica per il commercio estero viene svolta da diversi enti, pubblici, privati, centrali, locali, che non sempre agiscono coordinatamente. Certo, sono frequenti le sovrapposizioni di competenze che generano dispersione di risorse, o anche assurde concorrenzialità a danno di una politica unitaria del commercio estero italiano. Tuttavia bisogna ammettere che i diversi organismi esistenti hanno ruoli e campi di intervento propri e insostituibili, che hanno bisogno solo di un opportuno coordinamento. Si possono quindi ipotizzare alcuni contributi che le Camere di Commercio, in quanto istituzioni intermedie, potrebbero offrire. Certamente, la strada da battere è quella della gestione imprenditoriale, che non solo accolga le innovazioni e le proposte delle forze produttive, ma le promuova e le ricerchi attivamente. Per far questo, si rende necessaria una diversa strutturazione e revisione dei compiti attualmente svolti dalle Camere di Commercio, e sul medio periodo bisogna prevedere un'azione concertata di pressione e di indirizzo sulle forze politiche perchè diano a queste istituzioni intermedie un ruolo preciso e adeguato nel l'organizzazione del commercio estero.
L'azione promozionale del ministeri è certo essenziale, ma non sempre può assicurare un'azione specifica e capillare sia per la penetrazione dei mercati esteri che per l'organizzazione delle piccole imprese esportatrici. D'altra parte, i consorzi e le associazioni minori possono non avere la forza sufficiente per accedere ai mercati esteri, sia per mancanza di conoscenze, sia per mancanza di introduzioni adeguate. Sì tratta di sommare le forze già ora disponibili, e qui le Camere di Commercio potrebbero giocare un ruolo determinante, assicurando ad esempio la preparazione professionale per le piccole e medie imprese non presenti abitualmente sui mercati internazionali, predisponendo incontri operativi (e non di semplice cortesia) in occasione di visite di delegazioni.

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