§ LE PROSPETTIVE ECONOMICHE SECONDO PROMETEIA

IL PRINCIPE STRANIERO




Ulrico Buttini



Un Principe straniero si aggira ai confini del nostro Paese, pronto a bussare alle porte dell'Italia per imporre ai suoi abitanti quella disciplina che essi, divisi in gruppi dagli interessi contrapposti, non riescono a darsi. Questo non è un recupero di immagini della petrarchesca "Canzone all'Italia" o del "Principe" dei Machiavelli. E' invece, in estrema sintesi, il senso dell'ultimo Rapporto di Prometeia, l'associazione bolognese di previsioni econometriche.
Un rapporto pessimista come nessun altro di quelli che lo hanno preceduto. "Se proprio dovete fare delle previsioni, per lo meno fatele spesso", ammoniva argutamente, non moltissimo tempo fa, il Premio Nobel per l'Economia Paul Samuelson, sottolineando la difficoltà di "tenere dietro" all'evoluzione di un mondo in costante accelerazione. Fedele a questo autorevole suggerimento, Prometeia ha rifatto, a meno di tre mesi dall'ultima elaborazione, le proprie stime sul futuro prossimo venturo dell'economia italiana e mondiale, e i dati prodotti dall'elaboratore hanno tratteggiato un panorama che non è esagerato definire fosco.
Lo scenario economico internazionale si presenta, all'inizio dell'inverno 1982, con tutte le caratteristiche peculiari della recessione economica. In tutte le aree economiche mondiali l'attività produttiva è in fase di caduta. La contrazione prosegue da mesi negli Stati Uniti, si va facendo più netta in Europa e si va diffondendo in tutti i Paesi in via di sviluppo, petroliferi e non petroliferi.
Subito dopo l'inverno, la domanda estera, vale a dire la crescita in volume dei mercati delle nostre esportazioni, che ancora a settembre era prevista, per il 1983, a un tasso positivo pari allo 0,9 per cento, è ora stimata negativa per lo 0,2 per cento. Ancora peggiore è il deterioramento delle prospettive per la fine di quest'anno: nel breve volgere di pochissimi mesi, le stime di crescita sono crollate da un + 4,5 per cento al -0,8 per cento. Solo nel 1984, dopo tre interi anni di crescita negativa, si dovrebbe tornare ad un saggio di sviluppo positivo.
Le previsioni sono particolarmente cupe per l'Europa, più esposta ai possibili shock esterni, quali, ad esempio, tensioni sui mercati valutari o su quelli petroliferi. L'Europa, fra l'altro, è tradizionalmente più lenta nel rispondere ai mutamenti avvenuti nell'ambiente economico internazionale.
Se questo, dunque, è il quadro complessivo nel quale debbono muoversi nei prossimi anni i governi europei e, insieme con essi, anche il nostro, i margini di manovra che ne risultano per definire le rispettive politiche economiche emergono fortemente limitati rispetto al passato. Il riequilibrio seguito alla prima crisi petrolifera avvenne sul duplice filone del contenimento delle importazioni e dell'incremento delle esportazioni, trainate da un mercato mondiale in espansione e dall'aumentata competitività dei prodotti nazionali indotta da forti svalutazioni.
Questo "cammino di uscita" oggi non appare più praticabile a causa del ristagno della domanda mondiale. La funzione trainante delle esportazioni dipende esclusivamente dall'ottenimento di una maggiore competitività per i prodotti nazionali, mentre la contrazione delle importazioni resta affidata ad una compressione ancora più marcata di quella che è la domanda interna.
La più alta competitività (vale a dire il cambio reale), a sua volta, può essere raggiunta soltanto attraverso due vie:
- con una variazione del cambio nominale, ossia con una forte svalutazione, accompagnata, però, dal blocco dei meccanismi interni di indicizzazione;
- oppure, con un contenimento della dinamica dei redditi nominali e dei prezzi interni.
L'effetto primario delle due manovre resta, comunque, il medesimo: la riduzione della domanda interna, (attraverso la compressione del potere di acquisto delle famiglie e dei consumi), e, conseguentemente, delle importazioni. La maggiore competitività del prodotto nazionale può, inoltre, favorire l'aumento delle esportazioni. Non sono, queste, scoperte recenti. Negli stessi "rapporti" di Prometeia, per restare al documento oggetto di questa nostra analisi, gli inviti a procedere lungo queste strade sono stati più volte ripetuti, in particolare negli ultimi due anni.
L'inattività italiana non è stata, però, imitata da tutti. Negli ultimi mesi, spinti dalla cruda evidenza della realtà, altri Paesi si sono mossi con decisione. La Francia ha scelto la via del controllo dei redditi nominali e dei prezzi, imponendo prima un blocco dei prezzi e dei salari e subito dopo una politica dei redditi. La Svezia, invece, ha preferito imboccare la strada alternativa della variazione del cambio nominale, svalutando del 16 per cento la propria moneta. Entrambi i Paesi, così come tutti gli altri che hanno adottato misure analoghe, hanno poi rafforzato l'effetto di riduzione del potere di acquisto, derivato da tali provvedimenti, con politiche fiscali miranti alla riduzione del disavanzo pubblico. La Francia ha persino imposto limiti molto rigorosi all'esportazione di valuta per turismo.
Quale sarà la strada sulla quale si incamminerà il nostro Paese?
Con ogni probabilità, risponde Prometeia, nessuna delle due. Dopo quattro governi che, a partire dalla primavera del 1980, posti di fronte ad una situazione economica caratterizzata da un conto corrente estero deficitario per una proporzione che oscilla tra il due e il tre per cento del prodotto interno lordo (Pii) e da un differenziale nel tasso d'inflazione relativo ai Paesi industrializzati nell'ordine del dieci per cento, avevano alimentato la supposizione che qualche intervento sarebbe stato adottato per risolvere questi problemi, nella consapevolezza che la sola gestione della politica monetaria incontrava crescenti difficoltà nel porre un freno ad un ulteriore deterioramento economico, l'ultimo governo sembrava intenzionato a mutare atteggiamento. Esso, sostiene Prometeia, aveva finalmente chiarito l'atteggiamento da tenersi nei confronti dell'economia: una dose minore di restrizione fiscale, nessun velleitarismo interventista per modificare la dinamica dei nostri prezzi relativi con l'estero. E tuttavia, sembra che il nostro Paese debba pagare un costo sempre eccessivo, proprio per l'instabilità politica che lo caratterizza.
Nella tabella che riportiamo, le prime due colonne, relative agli anni 1983 e 1984, sintetizzano i risultati di una previsione sull'evoluzione "spontanea" dell'economia in cui, per riprendere le parole di Prometeia, "si aggiusta un po' la finanza pubblica con prelievi una tantum, ma senza modificare i meccanismi di formazione della spesa, in cui non interviene alcun. accordo di controllo della dinamica dei redditi nominali e dei prezzi, in cui le tensioni valutarie costringono la Banca d'Italia a tenere elevati i tassi di interesse reali e in cui, infine, si lascia all'inflazione il compito di spogliare i redditi che si formano, alimentare così nuove spinte recessive sulla domanda interna per consumi oltre che per investimenti, ma con risultati non sufficienti in termini di bilancia estera". L'andamento spontaneo dell'economia, in altre parole, pur conseguendo, in forza della recessione interna, un ulteriore rallentamento dei salari nominali, non sarà in grado, in presenza di una minor restrizione fiscale e di una domanda estera stagnante, di riportare in equilibrio il nostro conto con l'estero, e di liberare la nostra economia dal tante volte richiamato "vincolo esterno".
A partire dal 1981 - non ci eravamo più trovati in una situazione del genere per lo meno dal 1955 - il tasso d'interesse reale è sensibilmente, e in previsione persistentemente, superiore al tasso di crescita dell'economia. La nostra economia, in altri termini, è incapace di produrre, sugli investimenti realizzati, rendimenti reali sufficienti a remunerare i prestatori di risparmio che tali investimenti hanno finanziato.
Il "redde rationem" con i creditori, dunque, si avvicina in modo palese e in tempi accelerati. E se nei confronti dei creditori residenti tutto può essere risolto a loro danno, magari lasciandoli, come si dice, con un pugno di mosche in mano, con i creditori esteri le cose non possono che andare diversamente.
Posti di fronte ad un disavanzo con l'estero non più finanziabile con le riserve (che hanno raggiunto minimi non storici, ma preoccupanti, di sei miliardi di dollari) e a scadenze sui crediti ottenuti in passato non più rispettabili, non avremo altra scelta e saremo costretti (così come ha fatto di recente la Francia) a rivolgerci all'estero per ottenere nuovi prestiti e condizioni di favore sui vecchi.
Ma tutto questo non ci verrà concesso gratuitamente. Una volta di più, pertanto, sarà il "Principe straniero" ad imporci, in termini più costosi di quelli che sarebbero stati resi possibili da un accordo all'interno tra le diverse parti sociali, quelle scelte che da soli non abbiamo saputo prendere. La "ricetta del Principe", (sia esso il Fondo Monetario Internazionale o la Comunità Economica Europea), è ben nota, ed è rappresentata nella tabella: rallentamento del cambio, contenimento del disavanzo pubblico e del costo del lavoro, blocco delle indicizzazioni. Tutto il resto non è economia. E' poesia.


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