§ SE PARLIAMO DI POVERTA'

MI SENTO DI IN'PAZIRE




Brizio Montinaro



In anni in cui si parla continuamente di crisi economica, ma in realtà si vive nello spreco e nel consumismo, parlare di povertà presente può dare l'impressione di affrontare un argomento desueto, di trattare un tema logoro da terzo mondo e comunque lontano dalla nostra società avanzata. Invece non è così.
I moderni mezzi di comunicazione di massa, in questi ultimi decenni di intenso sviluppo, hanno approntato per uso nostro e per interesse del potere economico e industriale un'immagine della nostra società molto rassicurante e rispondente con estrema precisione alle nostre aspirazioni e ai nostri desideri profondi.
La famiglia italiana, che risulta dagli Innumerevoli inserti pubblicitari della televisione di stato e dei tanti networks privati o dalle foto con le quali ci bombarda la stampa periodica, è una famiglia felice che gode ottima salute. Vive nel benessere, spesso nel lusso; è moderna, dinamica, proiettata verso un crescente progresso; usa strumenti, in casa e fuori, quasi sempre molto sofisticati e di tecnologia elevata almeno quanto il costo. Si nutre di prodotti in scatola, surgelati, sottovuoto, spesso di provenienza straniera ma che, comunque, hanno il "buon sapore della nostra tradizione" e delle genuine cose fatte in casa. La famiglia italiana pratica molti sports con scarpe costruite "attorno al proprio piede", quasi personalizzate. Viaggia in terre lontane e frequenta stupende località di villeggiatura, dove spesso possiede una seconda casa e dove sempre "è già estate". Si lava moltissimo, anzi si deterge. Sorride sempre. E' felice. Non lavora mai.
Quanto tutto ciò sia rassicurante per il destinatario dei messaggi è evidente. E quanto spinga al consumo per sollecitazione inconscia di fittizi bisogni lo si può dedurre, se non da altro, dall'indiscriminato aumento della pubblicità permessa da uno Stato deficitario.
La realtà della famiglia italiana è, però, diversa. Lo dimostrano le continue lotte sindacali, gli assillanti problemi della criminalità organizzata e non, il cancro della droga, l'aumento dei suicidi anche tra i giovanissimi, e così via.
La famiglia italiana reale vive una situazione di disagio e di angoscia di cui, spesso, rifiuta di ricercare le motivazioni. Percepisce redditi medio-bassi, abita stipata in case - alveare o concentrata in pochissime stanze, dalle quali rischia continuamente di essere sfrattata; si nutre in maniera disordinata, si lava poco, non sorride, non lavora (la disoccupazione, infatti, interessa circa due milioni di italiani), spende tutto quello che può, e anche più, identificandosi con l'immagine falsa che di sé continuamente le viene proposta. Il dislivello esistente tra quello che crede di essere e quello che in effetti è, tra il sé sognato e il sè vissuto, produce disagio, angoscia, solitudine. Crea un senso diffuso di impotenza, di bisogno insoddisfatto. Crea dunque nuova povertà legata alla deprivazione che individui e famiglie avvertono nei confronti di un notevole numero di bisogni oggi ormai ritenuti comunemente essenziali.
Parlare quindi di tale tema in tempi di "opulenza" non è fuori luogo. Ma, non è precisamente di questa povertà definita "post-materialistica" che qui vogliamo occuparci. Con la presente nota intendiamo portare all'attenzione del lettore il fatto che in Italia, anche se continuamente occultate, esistono ancora delle notevoli sacche di povertà antica, pre-industriale, assoluta, di tipo tradizionale. Tale povertà, incredibile a dirsi, è spesso negata anche dalle sue stesse vittime.
Da un'indagine dei Censis, resa nota nel 1979, risulta che nel 1978 "il 4,6% delle famiglie italiane, pari a 815.145 nuclei familiari, aveva un reddito annuale inferiore ai 2 milioni di lire". Se poi il reddito annuo minimo vien portato a 4 milioni "le famiglie interessate diventano il 18,9% sul totale, pari a 3.349.184 unità; cifra assoluta questa che è inferiore, anche se di poco, al numero delle famiglie (3.473.227) con un reddito annuale superiore ai 12 milioni".Mentre poi la media dei consumi alimentari (sul totale italiano è dei 38,7%), che nel Nord e nel Centro si mantiene costantemente su valori inferiori al 40%, nel Sud sale a valori superiori con punte massime in Basilicata (47,4%), in Calabria (45,8%) e in Puglia (43,2%). La provincia di Lecce, solo per quanto concerne quest'ultima regione, detiene il primato.
Queste cifre ufficiali, che confermano inequivocabilmente l'esistenza della povertà assoluta, non rendono chiara, però, l'idea di che cosa significhi essere poveri. Lasciamo quindi da parte le aride elencazioni statistiche di natura scientifica e prendiamo brevemente in esame, tentandone una lettura antropologica, un altro tipo di documento di carattere strettamente privato, autobiografico, umano, che, per un caso fortuito è pervenuto nelle nostre mani. Di tale documento ci "serviremo" per illuminare l'aspetto della vita sociale che qui ci riguarda (ma il discorso generale è valido per tutte le sacche del Sud della nostra Penisola) e per ulteriore e dolorosa conferma dell'esistenza di una realtà sociale di estrema povertà di cui tale documento è il triste, e per noi vergognoso, risultato. Una breve notizia sulla natura del documento e sulla biografia dell'autrice servirà a cogliere più chiaramente il senso di alcune affermazioni e i rapporti tra i pochi personaggi citati.
Si tratta, in breve, di una serie di 31 pagine di quaderno manoscritte, che costituiscono una specie di efficacissima lente di ingrandimento puntata su alcuni aspetti delle reali condizioni di vita della classe subalterna extraurbana. Per giuste ragioni di riservatezza, i pochi nomi propri che compaiono negli scritti sono stati cambiati e i nomi località occultati. Il discorso con ciò non muta. Nulla è stato corretto o ritoccato, invece, di quanto la nostra protagonista ha scritto. Le assillanti ripetizioni hanno un loro senso. Grafia e punteggiatura vengono mantenute come sono nell'originale.
Il documento è di notevole interesse linguistico per lo studio dell'italiano popolare. Qui, però, dal punto di vista della lingua, interessa soltanto notare quanto l'ambiente parrocchiale e la lettura di testi di preghiere abbiano soffocato se non del tutto il pensiero, che urge nell'autrice, almeno la sua forma assoggettandola, impoverita, ai moduli e al frasario di una bassa arte predicatoria.
Il documento in nostro possesso non è vasto. E' una infinitesima parte di quanto la nostra protagonista è venuta scrivendo in circa 30 anni, dal 1956 ad oggi, e poi quasi totalmente distrutto, spesso non per sua volontà. In questa sede, comunque, non viene, per varie ragioni, pubblicato per intero.
La scrivente, che chiamiamo con il più comune dei nomi, MARIA, e un appellativo che la connota dal punto di vista regionale, SALENTINA, considera i suoi scritti un Diario personale; in realtà nel suo quaderno non si registrano, giorno per giorno, come potremmo aspettarci, ricordi, osservazioni e avvenimenti importanti, ma vi sono scritte lettere (sempre spedite), poesie e preghiere. Rimane, comunque, Diario della sua dolorosa esperienza di vita. La notizia biografica che segue e le relative considerazioni sono scaturite da una serie di colloqui informali da noi avuti con la giovane donna in epoche e modalità diverse.
Maria Salentina nasce nel 1939 da una famiglia poverissima. Per motivi economici, non più tanto piccola, viene ceduta per l'adozione a due contadini del medesimo paese, privi di figli. In età scolare frequenta le classi elementari. La sua formazione, come per la quasi totalità della gioventù di quegli anni, avviene nell'ambito della Parrocchia. Frequenta infatti assiduamente le riunioni dell'Azione Cattolica e le attività ricreative connesse, che si svolgono in alcuni locali della casa del Parroco. Tale frequentazione fa sì che si leghi affettivamente, per motivi certo compensativi della perdita della prima famiglia, alla persona del Parroco e, soprattutto, della sorella Paola che con lui vive per accudirlo. Il trasferimento del sacerdote e della famiglia ad altra Parrocchia salentina, avvenuto nel 1956, priva Maria in modo traumatico della sicurezza che trova in essi, avendoli eletti a propria famiglia ideale. Tale episodio, per la nuova grave perdita, segna tutta la sua futura esistenza. Tenta subito, comunque, e tenterà ancora per anni, di tener vivo il rapporto affettivo, ormai diventato vera e propria dipendenza a causa di una certa elaborazione mitica, utilizzando tutti i mezzi di cui può disporre: lettere, qualche regalo e visite nel nuovo paese di residenza, rare perché costose per la sua economia. I suoi sforzi di tener saldo il legame, però, non vengono incoraggiati dal sacerdote e dalla sorella, il che è, per lei, motivo di angoscia e disperazione.
Le lettere che Maria scrive assumono spesso il sapore di quelle di un'amante abbandonata. Le sue poesie sono versi' più o meno intatti del repertorio della poesia amorosa popolare che, assunti da lei, vengono di fatto caricati di nuovo valore semantico. Per compensare comunque la perdita subita con la partenza della signorina Paola, Maria si sposa con un giovane di un paese vicino. Da questo rapporto nascono otto figli, due dei quali muoiono ancora in età prescolare. I restanti, tre maschi e tre femmine, godono buona salute. I due maschi più grandi, ma ancora giovanissimi, per la loro vivacità, provano l'esperienza del riformatorio (consigliato dai Carabinieri del posto soprattutto per alleviare i problemi economici della famiglia), dal quale fuggono e poi, più avanti, quella del carcere a causa di alcuni furti compiuti in concorso con altri. Nel frattempo la madre di Maria muore. Il marito, prevalentemente muratore, non ha lavoro continuo. Lei, casalinga, quando si crea l'occasione, si presta per limitato compenso ai più diversi servizi domestici presso terzi. Sottoccupato lui, sottoccupata lei. I figli, appena in età di lavoro, si sposano e portano in casa le proprie compagne. Anche essi sono prevalentemente sottoccupati con scarso salario. Nella casa paterna, composta di tre vani e modesti servizi, attualmente vivono: il vecchio genitore, Maria, il marito, le figlie e i figli con le rispettive moglibambine.
In tale ambiente Maria Salentina vive un'esistenza d'inferno, come lei stessa scrive, tra l'incomprensione e la derisione di tutti.
Vediamo ora, in breve, come si presenta la situazione culturale del paese nel quale si colloca la storia privata di Maria. Come nella maggior parte dei paesi salentini e, se vogliamo, dei paesi d'Italia, anche nel paese di Maria non si riscontra un'omogeneità di cultura. Di essa, schematizzando, si possono notare agevolmente almeno tre differenti livelli: partendo da una piuttosto compatta e minoritaria cultura folklorica e passando attraverso una disgregata e diffusa cultura di tipo tradizionale, si giunge ad una compatta cultura di massa, sedicente progressista e nuovamente minoritaria. E' ovvio che, non vivendo in ghetti, le varie fasce sociali soggette ai tre diversi livelli di cultura non sono impermeabili ad una trasmigrazione di idee e realizzano tra di loro una continua osmosi. Maria appartiene al gruppo mediano e di tale gruppo, a causa della suddetta disgregazione culturale, vive tutte le contraddizioni produttrici di solitudine e insicurezza. Anche nel vicinato, che rispecchia a sua volta la situazione generale del paese, Maria non trova comprensione e solidarietà. E' sola, quindi, sia in seno alla propria famiglia, della quale non condivide il comportamento, sia in seno al vicinato che, in situazione di omogeneità culturale, costituiva invece un nucleo saldissimo per rapporti sia di carattere economico che umanitario. Maria quindi è assolutamente sola e nella sua solitudine rischia di perdersi. Avvertendo tale rischio tenta l'inserimento in un'altra collettività, quella tenuta insieme dalle comuni idee religiose che vive all'ombra della chiesa, e che domina la sua vita culturale, riesce a giungere perfino al cuore di tale collettività per poi rimanere, per un caso accidentale - il trasferimento della famiglia del prete -nuovamente sconfitta. Solo a questo punto, e nell'impossibilità culturale di operare altre scelte, scrive.
Povertà dunque, disgregazione culturale e isolamento - in una scala discendente di conseguenze - sono paradossalmente origine e causa dei suoi scritti.

Mia amata S. Paola
Questa canzone che ti ò shritta si titola Mamma son tantto felice che quando l'ai sentita ti sei messa à piangere e mi ai detto perché mi chiami Mamma e ti sei messa à piangere e mi ai detto non voglio che profani un nome con un altro io non sono tua madre e io ti dissi che di quando ò perso mia Madre che vorrei pure chiamare Madre qual'quna altra è così o pensato di chiamare te che mi sei tantto cara e tantto amata che se girasse tutto il mondo non troverei un'altra famiglia come la vostra che mi avete in seghnato tantte cose belle è buone che son passati tantti anni che non me le posso ricordare tutte.
Questi sono 2 quori legati con forti catene rispondimi mia bella se mi vuoi bene

POESIA A' GESSU'
O mio Dio quando sei buono.
Quanto sei grande,
ma io non ti vedo ti vedo solo in chiesa vorrei
sentire tantto fuoco è tantto amore verso tè
come lo sento quando sto vicino alla persona
in qui amo ancora
O Mio Dio tu che vedi tutto tu che sai tutto tu che c'i gudi tutti ma guda um pò la mia famiglia alla retta via tu solo lo puoi fare tu solo c'i puoi guidare. Quanto sono contenta quando vado in chiesa e sto per ascoltare il Sacerdote e quello che dice è tantto bello stare in sieme a dun Sacerdote e da vantti à Dio quanto vorrei guidare la mia famiglia alla Casa del S. ma pur troppo non c'i riesco quando li parlo si mettono à ridere tutti, ma cercherò di aiutarli con la preghera come aiutero voi ora è minuto nella santta giornata quanto sono contentta quando vado in chiesa è se ero senpre vicina alla persona in qui amo davero che mi senbrasse come se stavo in Paradiso ma poi ritorno à casa e de la stessa cosa ma io non sò cosa dobrò fare
O mio Dio che in Cielo tu stai
fammi una grazia se tu lo vorrai
ma se io un giorno ti rivedrò
tutta l'anima ti darò
Mio Reverendo Patre
quando Questa lettera tu leggerai
la risposta à mè tu mi darai.

Mio Reverendo Padre legendo questa lettera dammi tu una risposta giusta è vera. Dami tu un po' di conforto e di amore verso te e verso Dio quanto vorrei starti senpre vicino come in questo momento, e di darmi tu un pò di conforto che delle volte mi sento di in'pazire e mi sfocherò con il libro della medidazione Mio amatissimo Padre tu che mi sei Qui presente aiutami tu vorrei dirti tante cose che forse sono senpre le stesse ma io non faccio senpre preghere mi rivolgo a Dio ma quello non mi risponde tu che sei un Dio perchè legendo questa lettera non mi dai una risposta o pure un pò di aiuto ti suplico dimi qual'cosa tu che ormai sai tutto della mia famiglia è del mio comportamento in qui mi trovo tu che ormai da tantti anni che mi conosci perche non cerchi di aiutarmi in quanche modo vorrei esertti vicina e lavorare per voi è per la chiesa vorrei lavorare per la mia amata S.P. vorrei starti senpre vicina e lavorare, Pregare, è amare Dio è il mio prossimo, ti supplico dimi qual'cosa aiutami tu almeno con la preghera se non puoi fare altro come dite voi, Ma pure un Sacerdote si poteva pure in pegnare e da aiutare quelle che anno bisogno ne parla tanto il libro che sto leggendo che davero mi viene à piangere che alle volte dovro smettere di leggere per un pò.
Mio Padre, mio Dio, gudami tù vorrei tantto portare la mia famiglia alla tua Casa ma purtroppo non c'i la faccio sto ricapitando à casa mia la stessa cosa che hà ricapitato nostro S. Gessù. che stato in giuriato di tutti, e maltratato, èsputato e io sto ricapitando la stessa cosa quasi con tutti e si mettono a ridere tutte quante, è quanti, meno che della Mariangela,
Vorrei stare sempre in sieme à voi solo voi è il S. pure che dovevo fare la martire a voi non mi inportava che à ... .. sono andata in giro per lavoro è tutti con una parola che di pende solo da voi.
Ma solo il Signore sa la verità è quante lagrime ò versato, e verserò per voi è quanto ò fatto per voi da quando ero piccola e fin da grande, lo fatto per amore di Dio. E per tua sorella, e pure potevate pensare à quello che vi ò fatto io è vi faccio io non ve lo farà nessuno purtroppo non sò ancora come dovrà finire con me, non c'è la faccio più.

la barca senza remi non può
remare e io senza di tè non posso stare.

2

un uccellino vorrei
diventare dentro alla tua stanza
vorrei volare sul tuo lettino
vorrei posare le tue
labra vorrei baciare.

3

Quando la 1° stella in cielo tu
vedrai ricordati di nè che ti amo a sai.

4

un pesciolino vorrei diventare
dentro à l'aqua vorrei natare
sotto al tuo balcone vorrei stare
la tua voce vorrei ascoltare.

Gentile Reverendo Padre.
Io voglio dirti Quanta gioia provai dentro di mè in quel momento quando eravammo sull'altare quando mi ai data la consagrazione mi son sentita in quel momento un fuoco che ardeva dentro di mè come quel fuoco che ti parlai molti anni fà lo sentito in quel momento vicino a tè e vicino da Dio ma quelle parole che òletto sul quel libro erano così belle che quanta gioia che ò provato quando ero vicino a la persona in qui amo Era lo stesso fuoco che ardeva dentro di mè quando ero vicino a lei e li parlava, o pure mi parlava. Amatissimo Padre guidami tu con la preghera, in modo che sia tutto diverso fra mè e la mia famiglia e perdonami per quello che era successo tantti anni fa che per ramo dei miei figli per quello che era sucesso non volevo guardare ne Preti e nemmeno di andare in chiesa per quanto odio avevo contro di tè mio R.P. Ma quanto odio ò portato verso di tè così di oggi in avanti voglio portare tantto amore e tanta gioia verso Dio e verso di tè,
E Quella consagrazione che tu mi ai data io aguro il Signore e pregherò per tè e per tutte le zelatrici del sacro quore e per quelle che sono quì presenti che il Signore ti dia una lunga vita, e salute, e Pace, di serenità, e amore, e che un giorno che c'i possiamo vedere in Cielo tutte in sieme.
Ma Reverendo dimmi come dovro fare io durante la giornata non faccio altro pensare a Dio e a lui che di oggi in avantti dedico una preghera a tè Mio Reverendo ma quanto vorei dirti che non finisco mai di dire Padre Perdonami. Dedico una preghera al giorno solo per tè che il Signore ti faccia stare bene e di dirci sempre delle belle parole e di conforto e di amore verso Dio è verso il Prossimo che io per prima vorrei meterle in pradica e che un giorno che sia pure io una zelatrice del Sagro Quore, o Padre scusami tantto della caligrafia e delli errori non so se ò fatto bene a schriverla e tantto amore e tantto dolore che provo verso di mè che questa lettera te lo scritta quando erano tutti a letto dopo che aver letta la medidazione perchè non so come dovrò fare per rubare il tenppo per legere Reverendo Padre c'i sono giorni che mi viene diuscire di casa è non ritornare più. ma poi mi ricordo à tantte cose è ritorno ma come se c'è una dentro di me che mi chiama e mi consola ma ora in questo momento vorrei davero qual'quna mi rivolgo a queste che sono qui presentti vorrei amarle tutte come sorele e pure l'oro che amano mè e che c'i dobiamo perdonarci da parte a parte come il Signore à perdonato noi. M.R.P. se un giorno dovro morire ti dico solo quelle del Quore di Gessu devono venire tutte che mi devono in compagnare.
Reverendo Padre scusami perché da tantto tenppo che te lo volevo dire m a ora è arrivato il momento è perdonami se sto sbagliando perche e il mio Quore che parla e ti dico di perdonarmi se sto sbagliando perche alle volte tutti possiamo sbagliare
Salentina Maria questa lettera è statta scritta il 18 Agosto 1982
S. M.

Dalla lettura di questi scritti risulta che Maria Salentina, nel tentativo disperato di uscire dal suo isolamento, con un procedimento classico della mentalità popolare, cerca di realizzare nell'aldiquà tangibile quel rassicurante Regno di Dio astratto promesso dalla religione cristiana per l'aldilà. A questo scopo vede nel sacerdote e in sua sorella Paola l'immagine stessa di Dio; la casa del prete diventa simbolo della Casa del Signore nella quale vorrebbe vivere. Stare lontana dall'abitazione della signorina Paola è come stare lontana da Dio e dalla Chiesa.
Maria, nelle sue preghiere, si rivolge a Dio "ma quello non risponde"; sente allora la necessità di scrivere al suo sacerdote, quale Dio, nella speranza di trovare in lui comprensione ed aiuto. Proprio in questa tecnica del simboleggiare bisogna individuare il momento privilegiato in cui Maria cerca di passare dalla crisi esistenziale in cui si trova al mondo dei valori, da uno stato d'impotenza sterile all'agire nel presente. L'estremo bisogno di Maria è quello di salvarsi dall'inferno della vita profana, dal terrore della crisi quotidiana; a tale scopo si tuffa nella sua religione cristiana dove tutto si acquieta nella speranza del premio futuro.
In un'epoca in cui si parla di stato di difficoltà della Chiesa e, forse, di morte del sentimento cattolico Maria, a causa della sua formazione culturale, affida invece la propria salvezza, il suo esserci nella storia, proprio alla religione cattolica e ai suoi principali simboli.
Maria infatti, nei momenti di maggiore solitudine e ansia, prega, scrive e si sfoga leggendo il libro delle mediazioni. Sente però che la sua vita non può esaurirsi solo nella sfera spirituale che, se pure le ottiene il premio finale, non le risolve i problemi dell'oggi e cerca l'azione. Il concetto ricorrente, che apre un sicuro spiraglio sulla difficoltà di rapporti e incapacità di comunicare di Maria (qui non pubblicato), è quello che esprime il comandamento divino "Ama il prossimo tuo come te stesso". Amando il prossimo, inoltre, lei sa di amare Dio e amando Dio, sia esso la divinità o il sacerdote oppure la signorina Paola, Maria è sicura di amare il prossimo per il quale, a modo suo, si prodiga anche con le opere. Non riscontra però la reversibilità del comandamento. La signorina Paola e il fratello sacerdote, infatti, i quali secondo Maria avrebbero il dovere di rispondere, sembrano sordi alle sue continue sollecitazioni d'amore. La parola amore per Maria Salentina è sinonimo di comprensione, di aiuto, di comunicazione, di azione soprattutto. Ed è proprio nell'azione, come dicevamo, che Maria individua, giustamente, la propria salvezza; cosa che, al contrario, pare sfugga al sacerdote il quale, evidentemente, ritiene che il fine del suo ministero sia il predicare l'amore e non l'agire nell'amore per la salvezza del prossimo e la propria.
Maria lotta per strappare al sacerdote e alla sorella Paola, che conoscono la sua storia e quella della sua famiglia, parole di conforto, rassicurazione e soprattutto aiuto reale, e fallisce. Nella caparbia volontà di agire cerca in ogni modo di ricondurre i suoi figli sulla "retta via" del vivere civile, dalla quale hanno deviato finendo in carcere, e fallisce. Si rivolge alle vicine di casa e viene derisa come in famiglia. Entra nella collettività dei fedeli ottenendo di essere consacrata al Sacro Cuore ma anche questo tentativo, che in un primo tempo appare risolutore e salvifico, non riesce ad ottenerle solidarietà e comprensione umana. Le pare a questo punto d'impazzire, vorrebbe andare via di casa e non tornare più, poi desiste, sperando nuovamente nell'amore del prossimo. Il virus cristiano della speranza risulta essere il suo peggior nemico. E' quando più spera che meno agisce. E prega. E' inguaribile in questo senso. La sua formazione avvenuta nell'ambito della parrocchia mentre da un lato le offre la possibilità di salvezza facendola nutrire della "speranza di un mondo migliore" dall'altro le nega la possibilità di agire nell'inferno di questo mondo e operare scelte diverse per progettare la sua esistenza.
Maria, per concludere, partecipa a quella cultura che Oscar Lewis definì "cultura della miseria" (impossibilità di fare delle scelte, povertà economica, mancata fruizione dei diversi beni culturali, difficoltà di destreggiarsi nell'intricata trama dei servizi assistenziali ecc.) ma in una situazione aggravata perché la disgregazione culturale nella quale si trova le crea in aggiunta difficoltà di comunicazione e quindi ansia, generata dalla mancata soddisfazione dei bisogni e dal fallimento di identificazione nella collettività, sia quella del vicinato sia quella della chiesa. Il suo DIARIO apre uno spiraglio su un modo di vivere che rasenta la tragedia perché continuamente in bilico tra l'essere nella storia e l'essere fuori della storia. E non deve apparire come unico o eccezionale. Quello di Maria è il modo di vivere quotidiano di un numero di persone del nostro Salento e del nostro Sud, certo meno limitato di quanto si creda, e che lo Stato con le sue istituzioni, e la società con il suo comportamento teso a negare la povertà e l'esistenza di storie come questa, purtroppo, permettono ancora di esistere. Maria soffre di un estremo disagio culturale e mentale. Il suo caso, portato alle estreme conseguenze, ha condotto, negli anni passati, migliaia di persone nei manicomi con la qualifica di "pazzi". Si controllino pure le schede nei vari ospedali psichiatrici o nelle cliniche private della regione. Si scopriranno le tante tragedie causate dall'equivoco tra follia e risultati della disgregazione culturale, tra follia e predominio della Chiesa che cancella ogni altro orizzonte, tra follia e povertà.
Maria Salentina non è un personaggio inventato. Non compiangiamola, dunque. Aiutiamola. Maria è tra di noi.


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