§ CHE ITALIA FA

ANNI DI PIOMBO?




M. C. D.



Sulle cose italiane vi è stata, negli ultimi anni, una vera e propria esplosione della conoscenza. La società e l'economia sono state sottoposte a una serie ininterrotta di ricerche, che hanno finito per illuminare molte delle zone oscure e persino misteriose della nostra realtà nazionale. E' vero che ne rimangono ancora alcune inesplorate, molto importanti, che tenacemente resistono ai tentativi finora compiuti per sondarle e descriverle: la principale riguarda il vasto settore dell'economia emergente. Ma anche tenendo presenti queste lacune, che si spiegano per la natura stessa di una società in rapida crescita e trasformazione, occorre dire che gli sforzi compiuti da numerosissimi ricercatori per completare la scoperta dell'Italia contemporanea hanno dato grandi frutti.
Uno dei più rilevanti è questo: la nostra miglior conoscenza di quanto è accaduto in Italia dei "drammatici Anni Settanta", (gli anni della crisi economica e del terrorismo), ci ha rivelato che anche durante questo periodo le rivoluzionarie trasformazioni che si erano iniziate negli anni del miracolo non si sono affatto arrestate; anzi, per certi aspetti si sono accelerate, calando in profondità nel tessuto sociale e insieme estendendosi a vaste zone geografiche che sembravano stagnanti e immobili.
Gli anni della "crisi" - che pure c'è stata - sono stati quindi anche anni di crescita e di veloce ammodernamento.
Il risultato di decine di indagini compiute consente a uno studioso come Giuseppe De Rita di intitolare il suo ultimo saggio: I favolosi Anni Settanta; e anche se il titolo è deliberatamente paradossale e provocatorio, esso sembra una descrizione assai più realistica di quanto è di fatto accaduto, di quelle decine e decine di angosciate denunce della "crisi italiana" che ci capita di leggere quasi ogni giorno. Ma se, tra gli studiosi, la rivoluzione conoscitiva di cui parliamo ha già prodotto risultati largamente accettati, il grande pubblico, che pure vive quotidianamente la realtà italiana, e che dovrebbe pur sapere quanto essa smentisca l'immagine corrente del "Paese allo sfascio", continua peraltro ad accettare senza discuterlo, come schema interpretativo dominante, quello, appunto, della "gravissima crisi". E si veda come vengono impostate le campagne elettorali di tutte le forze politiche, unanimi nella denuncia di una tragedia che ci sovrasta tutti; senza che nessuno, ci sembra, abbia osato mettere in luce, accanto alle manifestazioni della crisi, i numerosi segnali positivi; nessuno che si sia sforzato di comporre in un solo quadro, necessariamente complesso e contraddittorio, le molte facce del nostro sviluppo. Forse gli italiani amano, per il loro innato senso del teatro, le lamentazioni e i drammi, anche se in cuor loro ci credono fino a un certo punto.
Certo è che l'immagine nuova della realtà italiana, di cui abbiamo parlato, rimane, nella maggior parte dei casi, racchiusa in documenti che hanno basso livello di circolazione tra il grande pubblico. Da "Paese dei dibattiti", il nostro è diventato sempre più il "Paese dei rapporti": segno, questo, di una crescita culturale che non è la componente meno significativa delle trasformazioni strutturali in corso; gli autori di questi rapporti sono giovani docenti universitari o ricercatori di provincia, che parlano con passione e con competenza profonda della realtà in mezzo alla quale vivono ogni giorno; le loro ricerche però circolano in ambiti ristretti.
Sul tavolo di chi segue un poco questi argomenti si accumulano documenti, studi, ricerche, talvolta appena ciclostilati, altre volte pubblicati nelle riviste specializzate, e in alcuni casi presentati (dai Centri-Studi più fortunati) in splendidi opuscoli. Citeremo un episodio. Molti partecipanti stranieri al congresso romano della "Commissione Trilaterale", dopo avere ascoltato i tre relatori della seduta dedicata al nostro Paese, (Guglielmo Negri, Mario Monti e Romano Prodi), insistettero fervidamente con i partecipanti italiani perchè quei tre rapporti venissero raccolti in un volume, magari insieme con alcuni altri da pubblicarsi all'estero. Ci suggerirono anche il titolo: New Italy, dicendo che ne sarebbe uscito un testo-rivelazione.
Stimolati e incuriositi da queste insistenti sollecitazioni, si mise insieme un certo numero di saggi, giunti negli ultimi mesi, su temi come il Mezzogiorno o le esportazioni italiane, la spesa pubblica o il terrorismo: testi molto spesso importanti e innovatori, ma quasi tutti o inediti o destinati a circolazione limitata. Ci si fermò, quando se ne erano raccolti abbastanza per farne un testo in tre o quattro tomi, e dopo che ci si era convinti che la raccolta intitolata "Nuova Italia" sarebbe stata tale anche e soprattutto per gli italiani!
Di alcuni di questi rapporti la stampa ha dato notizia: così è stato per il magnifico rapporto Censis-Unioncamere, edito da Franco Angeli in due spessi volumi e intitolato Rapporto 1983 sullo stato delle economie locali; o per il terzo rapporto del CER (il nuovo Centro-Studi romano di cui è presidente Giorgio Ruffolo), che analizza "la sostituzione dei fattori e la posizione internazionale" delle nostre industrie. Altri studi finiscono però sepolti negli Atti di un Congresso o negli archivi delle Istituzioni che li hanno commissionati. E oltre ai tre già citati della "Trilateral Commission", pensiamo al bello studio sulla spesa pubblica di Mario Baldassarri, che fu al centro del convegno fiorentino della Confindustria; o alla grande relazione di Pasquale Saraceno sui trent'anni di politica del Mezzogiorno. C'è, dunque, una vera miniera si conoscenze a cui attingere, anche se i grandi editori non sembrano essersene accorti. Fra l'altro, molti dei giovani studiosi autori di queste ricerche sanno scrivere non solo in gergo sociologico o economicistico, ma anche in piacevole e chiaro italiano, e protrebbero essere indotti a trarre dalle loro ricerche libri pregevoli. Due studiosi che l'hanno fatto di recente sono Mario Deaglio e Giuseppe De Rita, che hanno prodotto, con una formula nuova e originale, un libro intitolato li punto sull'Italia apparso nei Saggi Mondadori. Hanno raccolto nel volume 67 tabelle, con altrettante pagine di spiegazione, e hanno premesso a questa stimolante e curiosa raccolta due saggi: quello già citato di De Rita sui Favolosi Anni Settanta e un altro di Deaglio, intitolato 1951-1981: il pendolo italiano, che offre un panorama anch'esso il più delle volte sorprendente dell'ultimo trentennio.
Anche da questa sintesi di Deaglio, tracciata "ad effetto", con grandi colpi di pennello, emerge come fatto più importante e più nuovo, reso visibile dalla dovizia di materiali conoscitivi di cui oggi disponiamo, la singolare svolta che c'è stata nella nostra economia e nella nostra società a partire dall'inizio degli Anni Sessanta; quando, dopo le grandi tensioni del "Sessantotto" studentesco e dell'anno successivo, caratterizzato dalle rivendicazioni operaie, e proprio mentre si sviluppa la grande crisi dell'economia internazionale, le strutture produttive italiane, che erano state pericolosamente appesantite da carichi sociali, regolamentazioni, vincoli e lacci d'ogni genere, riuscirono nondimeno a sfuggire, quasi miracolosamente, al destino che appariva incombente di una drastica "argentinizzazione" o "anglicizzazione". Ebbe inizio, invece, un nuovo periodo di trasformazioni rivoluzionarie.
Il fatto centrale di questa e di altre analisi citate e citabili, come la splendida ricerca del CER che descrive minuziosamente il rinnovamento strutturale delle nostre industrie negli ultimi dieci anni, è infatti questo: negli anni della crisi, e come reazione alla crisi, nonostante la caduta "statistica" o la frenata della produzione. si sono compiuti importanti processi di razionalizzazione e di ammodernamento delle strutture produttive, accompagnati da fenomeni di allargamento della nostra base industriale, in senso sia regionale che settoriale, che hanno consentito di fatto al nostro Paese di trovare una nuova vitalità e una nuova capacità di crescita; si è così aperto un periodo moderno, dopo quello dell'"assistenzialismo". Deaglio in particolare trova alcune importanti giustificazioni anche per l'"assistenzialismo", come processo di necessario adattamento della società italiana alle trasformazioni rivoluzionarie, spesso dolorose per i singoli, tipiche dell'epoca precedente, quella appunto del "miracolo italiano", dell'urbanizzazione e delle grandi migrazioni interne. Anche l'"assistenzialismo", dunque, sarebbe servito a tenere insieme una società sconvolta e persino molto lacerata.
Ma più importante è il "racconto" di come si evitarono (in modo sorprendente: ma l'Italia della nostra epoca è stata tutta una serie di sorprese) i pericoli di degenerazione insiti nell'"assistenzialismo": gli italiani - scrive Deaglio - non si "sedettero" sullo Stato Assistenziale. Senza rinunciarvi, misero in atto una serie di circuiti alternativi di produzione e di distribuzione del reddito, che riuscirono a superare la rigidità del "sistema ufficiale", affiancando così ad esso l'"economia non ufficiale". Nell'ottica di Deaglio, i favolosi Anni Settanta di De Rita vedono nascere un'Italia "decisamente schizofrenica", un'Italia che è come "una medaglia a due facce nettamente contrastanti, per il costante parlar di crisi, e la constatazione anche fisica di un diffondersi inusitato del benessere"
Più rilevanti ancora le trasformazioni del sistema produttivo, che hanno contribuito in parte alla crescita della disoccupazione, ma che hanno salvato - e lo dimostra limpidamente il rapporto CER - la nostra economia; con un drastico snellimento e con l'irrobustimento delle strutture produttive, con un recupero dei margini di profitto e di accumulazione e quindi della competitività internazionale, e con il raddoppio, in pochi anni, del numero delle imprese produttive (oggi oltre 950 mila).
E' una terza rivoluzione industriale quella che si è compiuta, e ne è nata una "terza Italia", che si aggiunge a quella del "triangolo industriale" e a quella del sottosviluppo, e finisce per occupare gran parte del quadro.
Sicché, anche se oggi siamo in crisi (ma attenzione: le dimensioni vere del nostro prodotto lordo sono probabilmente superiori del venti o del trenta per cento rispetto a quelle ufficiali: ciò ridimensiona percentualmente la gravità del debito pubblico e del deficit pubblici), siamo anche più forti e dovremmo poterci agganciare alla ripresa mondiale, via via che questa si svilupperà.
l'importante è "tener d'occhio" questa terza Italia, assecondandola nei movimenti creativi, incoraggiandola nei tentativi di espansione produttiva, senza soffocarla e senza zavorrarla. Altrimenti potrebbe essere crisi totale, e forse anche crisi irreversibile.

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