§ BANCA D'ITALIA E LEGGI VALUTARIE

LIBERALIZZARE?




Carlo Azeglio Ciampi



Dopo i disavanzi delle partite correnti negli anni passati - di 8.300 miliardi di lire nel 1980, di 9.200 nel 1981 e di 7.400 nel 1982 - nel 1983 la bilancia dei pagamenti ha registrato un netto miglioramento. L'aumento delle esportazioni, che hanno tratto giovamento dalla ripresa della domanda mondiale, e il ristagno delle importazioni, in relazione alle condizioni di debolezza della domanda interna, hanno consentito una riduzione del disavanzo mercantile dell'ordine di seimila miliardi. Con l'accresciuto apporto dei servizi, si stima che le partite correnti siano state, nel 1983, in equilibrio o abbiano segnato un modesto avanzo è un successo importante, ottenuto nonostante alcune condizioni esterne sfavorevoli, quali la persistente forza del dollaro. Occorre ora consolidarlo.
Anche i movimenti di capitali hanno dato luogo a un saldo positivo. Nè è derivato un avanzo globale della bilancia dei pagamenti di 3.800 miliardi di lire. La posizione finanziaria netta del Paese, le cui variazioni rispecchiano l'andamento delle partite correnti, si è deteriorata sensibilmente dal 1979 al 1982. Alla fine del 1979, escludendo le riserve auree, essa era attiva per undici miliardi di dollari; i debiti a medio e a lungo termine ammontavano a circa diciotto miliardi, l'indebitamento a breve delle Aziende di Credito era intorno agli otto miliardi. A fine 1982, i debiti a medio e a lungo termine avevano raggiunto i 39 miliardi di dollari, l'indebitamento delle Banche gli 11 miliardi. La posizione finanziaria del Paese presentava a quella data, sempre escludendo le riserve auree, un saldo negativo di 21 miliardi. Si può stimare che esso sia rimasto su questo livello a fine 1983.
Con il regime di controllo dei cambi, la possibilità di acquisire nuove attività finanziarie verso l'estero da parte dei residenti, ad eccezione di quelle connesse con operazioni commerciali e di investimento diretto, è stata sostanzialmente annullata dal 1973. La quota delle attività finanziarie dell'economia verso l'estero, sul totale delle attività stesse, è scesa dal 10 per cento circa del 1973 a meno del 5 per cento alla fine del 1982. Nel medesimo periodo, infatti, le attività finanziarie sull'interno sono aumentate, soprattutto per effetto degli elevati e crescenti disavanzi pubblici, di quasi cinque volte, mentre quelle sull'estero sono solo raddoppiate, in particolare a fronte di investimenti diretti e di crediti commerciali destinati a finanziare le nostre esportazioni.
D'altra parte, la consistenza degli investimenti diretti italiani all'estero che, nel 1973, era inferiore a quella degli investimenti esteri in Italia - rispettivamente 1.900 e 4.100 miliardi di lire-, nel 1982 ha raggiunto gli 11.000 miliardi, superando di mille miliardi il corrispondente valore delle attività estere.
In una logica di diversificazione dei portafogli, alla quale verosimilmente si ispirerebbe il comportamento degli investitori residenti in condizioni di completa libertà delle transazioni con l'estero, la domando potenziale di attività finanziarie sull'estero, accumulatasi nel corso di un decennio di restrizioni valutarie, è da ritenersi elevata. E' sufficiente considerare, a questo proposito, che a fine 1983 le attività finanziarie in lire dell'economia possono stimarsi dell'ordine di 650.000 miliardi di lire, pari al 121 per cento del prodotto interno lordo.
La domanda potenziale di attività sull'estero pone due ordini di problemi, uno transitorio e uno strumentale, tra di loro strettamente connessi. L'eventuale soddisfacimento di questa domanda non potrò che essere graduale, essendo irrealistico ipotizzare una bilancia dei pagamenti tanto solida da poter sopportare in breve lasso di tempo un aggiustamento di portafoglio di così elevate proporzioni.
La gradualità potrà essere perseguita, ad esempio, variando la percentuale del deposito previo sulle esportazioni di capitali, attualmente in vigore, o liberalizzando determinate categorie di transazioni, in base alla loro natura o ai soggetti che le realizzano. In questo quadro si inseriscono sia la recente disposizione che introduce il principio del silenzio-assenso per l'esonero dal deposito del 50 per cento degli investimenti produttivi all'estero sia la proposta avanzata dalla Banca d'Italia affinchè si proceda ad una pur limitata liberalizzazione degli acquisti di titoli esteri da parte dei Fondi Comuni di Investimento, in connessione con il loro avvio in Italia.
Ma anche questo processo graduale, per affermarsi nel tempo, richiede condizioni strutturali dell'economia e del mercato finaziario che rendano appetibile l'impiego in Italia del risparmio nazionale e di una quota di quello che si genera all'estero. In difetto di siffatte condizioni, si rischierebbe il trasferimento all'estero di attività produttive, con riflessi negativi sull'occupazione e sul grado di industrializzazione.
L'integrazione finanziaria internazionale, al pari di quella commerciale, è sostenibile se genera scambi nei due sensi. Inoltre, nel caso del l'integrazione finanziaria, non necessariamente si manifestano effetti benefici analoghi a quelli esercitati dal l'integrazione commerciale sulla allocazione delle risorse e sullo sviluppo del reddito. Questa diversa qualificazione delle due forme di liberalizzazione ha trovato conferma nello stesso Statuto del Fondo Monetario Internazionale, il quale, anche nell'attuale formulazione, prevede all'articolo Vi che i Paesi membri possano introdurre controlli necessari a regolare i movimenti internazionali di capitali.
L'aver percorso, sia pure rapidamente, alcune fasi, vicine o remote, delle vicende economiche del nostro Paese, ha inteso mettere in evidenza il carattere di emergenza che l'istituto di emissione ha sempre attribuito agli interventi amministrativi che hanno caratterizzato, in periodi anche lunghi, la politica monetaria e quella valutaria. Mai si è inteso porre in discussione l'adesione alle scelte di fondo operate dal nostro Paese in tema di libertà degli scambi e di integrazione economica. Soprattutto nell'ambito europeo, questo obiettivo deve essere perseguito non solo con riferimento agli scambi correnti, ma anche alle relazioni finanziarie. Le iniziative prese dal nostro Paese per l'affermazione dell'Ecu come moneta europea sono coerenti con questa finalità. Apprezzabili risultati sono stati già conseguiti nel settore finanziario internazionale, nel quale l'Ecu è, dopo il dollaro, tra le principali monete di denominazione dei prestiti bancari e obbligazionari. Anche se con maggiore lentezza, l'uso dell'Ecu si sta diffondendo nei regolamenti commerciali.
E' convinzione della Banca che la libertà nei rapporti economici interni e internazionali svolga un ruolo positivo, evitando le distorsioni che si accompagnano a forme di protezione, sollecitando il processo di aggiustamento interno ed esterno, favorendo la migliore allocazione delle risorse. Nella sfera di responsabilità della Banca Centrale, l'abolizione dei massimali sugli impieghi bancari costituisce l'esempio più recente di questa filosofia. Nelle condizioni economiche generali di un Paese esistono, tuttavia, soglie critiche al di sotto delle quali si impone il ricorso a controlli settoriali, che da un lato frenino processi degenerativi e, dall'altro, consentano tempi di manovra per interventi di politica economica.
Nel 1983, come ho già accennato, è stato verosimilmente conseguito un modesto avanzo delle partite correnti della nostra bilancia dei pagamenti. Nell'apprezzarne il significato, occorre non dimenticare che questo risultato è stato raggiunto solo al termine di una lunga recessione. Inoltre, abbiamo ereditato dal triennio precedente un elevato indebitamento estero, i cui riflessi saranno avvertiti dai conti con l'estero dell'Italia per molti anni a venire. Nel 1984, i rimborsi a valere sui prestiti ottenuti in passato ammonteranno a 4,3 miliardi di dollari; nel quadriennio successivo oscilleranno tra i 5 e i 6 miliardi all'anno. Ove si tenga conto anche degli interessi, al loro livello attuale, l'onere annuo è dell'ordine di dieci miliardi di dollari.
L'inflazione è diminuita, ma resta a un livello del 13 per cento, più che triplo di quello medio degli altri maggiori Paesi industriali. E' lo stesso valore che raggiungemmo nel 1979, e sotto al quale non fummo capaci di scendere. E' stato affrontato il problema del risanamento delle finanze pubbliche, ma il disavanzo continua a rappresentare una quota del prodotto interno lordo non conosciuta da alcun altro Paese sviluppato e tale da generare un volume di attività finanziarie che pone gravi limiti a un'impostazione di politica monetaria più rispondente alle esigenze dello sviluppo economico, in un contesto di soddisfacente equilibrio interno ed esterno.
La strada del riallineamento alle condizioni economiche generali, prevalenti nei Paesi con i quali maggiori sono i rapporti economici, resta lunga e difficile. La ripresa del processo di liberalizzazione dei rapporti con l'estero dovrà dunque accompagnare, con gradualità, il riequilibrio dell'economia e il rafforzamento del sistema industriale.

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