§ I SETTORI CHE GUARDANO AL FUTURO

IL NUOVO CICLO




Giuseppe De Rita



C'è una confusione dannata nell'interpretazione dell'attuale fase del sistema economico italiano. Non solo c'è, infatti, la divisione fra coloro che parlano di "ripresina" con un tono quasi incredulo e coloro che con più coraggio parlano di "ripresa" per poi magari distinguersi fra chi pensa ad una ripresa stabile e chi invece la pensa fragile e destinata a rientrare. Ma a queste due grandi posizioni si aggiungono posizioni ancor più polarizzate, fra chi ritiene addirittura che siamo ancora nel buio pesto - anzi in ulteriore avvitamento - e chi pensa invece che siamo in una fase così promettente da offrire un "nuovo ciclo", solo che si sappiano sfruttare le occasioni esistenti.
Buio pesto, ripresina, ripresa fragile, ripresa stabile, nuovo ciclo. Questa la gradazione delle posizioni degli osservatori di cose economiche, con enfasi differenziate a seconda anche della psicologia dei singoli. C'è onestamente da perdersi, magari facendo polemica con chi la pensa diversamente in base alle proprie impressioni ed informazioni, tutte in fondo però riferite al contingente ed ai dati di qualche mese, se non addirittura di qualche settimana. Ed il dibattito economico resta prigioniero degli schemi degli ultimissimi anni, tutti appiattiti al presente.
Sarà per reazione a tale appiattimento, oltre che per prigionia inconsapevole in una maschera interpretativa, che sono ottimista. Io ritengo che sia giusto arrischiare l'affermazione che "siamo in un nuovo ciclo", cosa evidentemente più impegnativa che parlare di sola ripresa, magari con tutti i dovuti, prudenti distinguo.
Già mi sento fischiar le orecchie dai tanti "ecco il beota., " che seguiranno alla lettura della frase precedente. Ma spero di poter essere giustificato, se non perdonato, per una così gratuita avventatezza, se dico che l'affermazione che siamo in un nuovo ciclo viene da due vincoli di etica professionale dell'osservatore quotidiano di cose italiane, che cerco faticosamente di essere.
Il primo vincolo viene dalla considerazione, banale ma non tanto, che agli osservatori non si addice più che tanto la prudenza. L'avventatezza è per essi un peccato d'orgoglio; ma l'appiattirsi al presente è peccato di accidia intellettuale. Pesare con il bilancino i sintomi positivi e/o negativi della congiuntura è compito certo essenziale e di indiscutibile serietà, ma bisogna pur indicare qual è la logica di movimento su cui si muove il sistema: restando ai sintomi, si rischia di far solo aggiustamenti puramente congiunturali, senza respiro politico: respiro che solo può venire dalla capacità - e dal rischio - di capire la traiettoria dei fenomeni. Pur non avendo mai apprezzato i catastrofisti di professione, preferisco la loro denuncia di una traiettoria di avvitamento alle prudenti distinzioni fra ripresina e ripresa fragile.
Ma perché il vincolo di ricercare ed esprimere la traiettoria su cui si muove l'attuale momento economico diventa vincolo ad affermare che siamo più in un nuovo ciclo di sviluppo che in una congiuntura congiunturale? Ripresa o ripresina? So essere abbastanza autocritico per sapere che questa affermazione è frutto, se non di una fuga in avanti, certo di una personale tendenza a vedere più la "punta della freccia" dei fenomeni che la freccia stessa (più la traiettoria, appunto, che gli attriti e le resistenze). Ma proprio la consapevolezza di questo limite mi lascia tranquillo nell'esprimere il mio pensiero e le ragioni che mi ci spingono.
La prima ragione è legata alla valutazione degli anni passati. Il nostro ultimo ciclo di sviluppo è stato quello fra il 1978 e la prima metà del 1980; breve nella sua durata, ma forte del fatto che in esso giungeva a completamento l'effetto della "cluster" (o combinazione forte di fattori) che aveva caratterizzato gli Anni '70: sviluppo della piccola imprenditorialità (industriale, artigiana, terziaria), sviluppo della cultura mercantile del mondo imprenditoriale, espansione dell'occupazione non istituzionale, intrecci fra diversi settori nella vitalità del localismo, intreccio di diversi redditi nella ritrovata funzione economica della famiglia, sviluppo di schemi organizzativi, decentrati e semplificati, crescita di una forte esteriorizzazione delle funzioni aziendali e di una miriade di aziende di servizi terziari più o meno avanzati. Questa "cluster" di sviluppo (che era presente, nelle forme più primitive, nell'economia sommersa degli anni fra il 1970 e il 1974) ha segnato tutto il decennio trascorso, come dimostra il raffronto fra i risultati dei censimenti del 1971 e del 1981; ma alla fine del 1980 aveva in coscienza dato tutto quel che poteva dare.
Nei tre anni successivi, fino all'autunno dell'anno scorso, abbiamo quindi dovuto fare i conti con un grosso processo di riaggiustamento e di ristrutturazione. Non c'è stato soggetto dell'economia reale che non abbia risistemato il proprio assetto di crociera, dalla più grande impresa italiana (che ha ristrutturato tecnologie, struttura produttiva, utilizzo del personale, organizzazione, rapporti sindacali) al più piccolo negozio qualunque di generi alimentari (che anch'esso, nel suo piccolo, ha cambiato stigliatura ed organizzazione di vendita ed ha risparmiato sul personale e sulle logiche di approvvigionamento), passando per milioni di situazioni aziendali, i cui responsabili avevano capito che la razionalizzazione era una condizione essenziale per sopravvivere e, al momento opportuno, ripartire. Il processo di razionalizzazione, nei tre anni, è stato così duro e diffuso che una riaccelerazione, alla prima occasione buona, era facilmente prevedibile, visto che, come ho scritto in un'altra occasione, "la riaccelerazione ci sarà, visto che il grosso processo di consolidamento e di razionalizzazione ci rende un pò come cani da caccia, magari dimagriti, ma più scattanti ed acquisitivi".
La riaccelerazione c'è stata, o almeno è cominciata dalle ultime settimane del 1983 e sembra svilupparsi in questo corso di anno. Chi guarda ai dati, ma ancor più chi gira per seminari aziendali di congiuntura o per aree economiche periferiche, si accorge che il clima è di una realtà composita, ma in velocità. Sarebbe errato dire che tutto il sistema è in riaccelerazione, perché ormai forse siamo così segmentati che riesce difficile fare addirittura valutazioni di settore e di comparto, tanto è vero che all'interno di uno stesso settore o comparto ci sono aziende che vanno benissimo ed aziende che sono ancora in fase pesante; ma, nel complesso, si avverte chiaro il fatto che lo sviluppo produttivo di alcune aree locali mostra una forza di spinta addirittura inaspettata ("roba da '79", mi sento talvolta dire). Si tratta delle aree di tipo monosettoriale, che rispetto alle aree polisettoriali (più articolate nei paesi e nelle vicende) avevano sentito di più la decelerazione del 1980-81, ma sentono con altrettanta immediatezza la ripartenza del sistema produttivo locale. Il clima che si respira nelle situazioni più significative dell'economia reale è quindi nel complesso (e non solo sugli indicatori di punta, tipo la dinamica del comprensorio di Prato o del comparto del cartone da imballaggio, i due indicatori che negli ultimi anni hanno sempre funzionato) più che buono, al di là direi delle cifre ufficiali, che pure sono abbastanza eloquenti (aumento delle esportazioni, miglioramento dell'indice della produzione industriale, ecc.)
Restano le zone d'ombra: i settori strutturalmente in crisi (siderurgia, cantieri, chimica) ed il riaggiustamento delle migliaia di piccole imprese cresciute troppo in fretta negli Anni '70 e che non hanno ancora potuto o saputo fare ristrutturazioni. Sono zone d'ombra che fanno opinione anche giornalistica, ma sono realtà che fanno parte di cicli e combinazioni di sviluppo dei decenni precedenti e di cui dobbiamo digerire la coda: cosa faticosa, certo, ma che non tocca, dal punto di vista qualitativo, l'attuale riaccelerazione, se questa riaccelerazione ha qualità, ha capacità cioè di diventare nuovo ciclo.
Ed eccoci al punto. L'attuale riaccelerazione è frutto di una nuova "cluster (di una nuova combinazione forte di fattori) di sviluppo, o è una fiammata transitoria delle "cluster" passate, in particolare di quella degli Anni '70? Io ritengo che siamo in presenza di una combinazione nuova, con fattori nuovi: alta tecnologia di processo, alta informatizzazione e talvolta telematizzazione della produzione dei servizi, organizzazione lucidamente articolata (e non puramente decentrata, come nel precedente decennio), esteriorizzazione di molte funzioni per poter disporre sempre e comunque del meglio in termini di input, occasione di segmenti medio-alti del consumo e del mercato internazionale, alta produttività del lavoro, razionalizzazione forte della logica di commercializzazione nazionale ed internazionale, articolazione multidimensionale dei circuiti finanziari, ripresa della qualità e motivazione dei manager (dopo la forte dimensione imprenditoriale, in alto, e sindacale, in basso, del decennio precedente). Posso aver dimenticato qualcosa, ma chiunque abbia occhi per vedere potrà - guardandosi attorno - accorgersi che, dove tali fattori esistono e si combinano insieme, anche parzialmente, le cose vanno bene, si tratti di imprese grandi o medie o piccole, o si tratti di arte di antica o nuova industrializzazione. E potrà anche accorgersi che l'effetto diffusivo e imitativo, nei confronti dei fattori indicati, è molto forte. Se la decelerazione tiene, la "cluster" nuova di sviluppo si diffonderà rapidamente.
Per questa ragione ho parlato, e preferisco parlare, di nuovo ciclo più che di ripresa e ripresina, che è qualcosa di nuovo - e su questo bisogna ragionare e pensare - anche se siamo ancora a ciò che ho prima chiamato la "punta della freccia" (ma che, credo, non è più soltanto punta, è qualcosa di più). Ciò è importante, specialmente sul piano politico, dove si deve lavorare anche sulle traiettorie future, oltre che sulla sistemazione del presente; e dove quindi ragionare in termini di nuovo ciclo è essenziale, per capire cosa si dovrà fare "dopo la politica dei redditi", dopo la fase di sistemazione e controllo del presente.

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