§ MERIDIONALISMO E ANTIMERIDIONALISMO

QUESTIONE CHIUSA, QUESTIONI APERTE




M.C.M.



"Possiamo sostenere" - scrive Gabriele De Rosa - "che la lezione del meridionalismo, che si fregia dei nomi prestigiosi di Pasquale Villari, Franchetti, Sonnino, Fortunato, Nitti, Salvemini, Gramsci, Sturzo, sia esaurita? Il meridionalismo è stato sempre, almeno dalla caduta della Destra storica, fra il 1874 e il 1876, e gli Anni Cinquanta di questo secolo, l'elemento più importante del dibattito politico, la linea rossa che ha attraversato la ricerca dei limiti dello sviluppo della nostra democrazia, delle carenze dei meccanismi generali di accumulazione della ricchezza del Paese, delle incertezze e delle ambiguità della classe politica che ha presieduto alle scelte fondamentali della politica economica. Ma oggi, confrontando i temi, i problemi, le visioni dei meridionalisti classici con la realtà economica e sociale del Mezzogiorno di questi anni, è lecito chiedersi quanto della vasta letteratura politica ed economica, da Fortunato a Dorso a Sturzo, è ancora vitale. Il che vuoi dire chiedersi se i termini storici della cosiddetta questione meridionale siano rimasti gli stessi individuati dai nostri classici o se non siano mutati, al punto da fare dubitare dell'esistenza stessa, oggi, di una questione meridionale, come specificità, eccezione storica-spaziale nel contesto dello Stato unitario".
La risposta della rivista "Ulisse", che ha raccolto un dibattito svoltosi a Palermo, non da luogo a dubbi: anche nella diversa impostazione delle valutazioni storiche, tutti gli intervenuti si sono dichiarati d'accordo su questo dato: i termini della questione meridionale sono profondamente mutati rispetto alle esigenze e alle richieste dei meridionalisti classici. Non c'è più una questione demaniale, la "fame di terra" non è più una costante della civiltà contadina, è profondamente cambiata la stessa società, che non può più considerarsi "contadina" tout court, non esiste una questione di liquidazione del latifondo. La politicizzazione dei contadini tra il primo e il secondo dopoguerra, ha precisato Rosario Villari, ha provocato non solo il superamento delle vecchie strutture politiche meridionali, basate sul clientelismo e sul personalismo, ma anche l'intervento straordinario dello Stato e le leggi di riforma agraria.
Per quel che riguarda la struttura agraria, "non è contestabile il giudizio di Manlio Rossi Doria ( ... ) di un Mezzogiorno che fra il 1950 e il 1970 si è dimostrato nel tuo complesso capace di uno sviluppo produttivo "tanto consistente da risultare pari, anzi superiore, a quello realizzato dall'agricoltura del Nord e del Centro".
Momento essenziale di questa trasformazione è stato l'esodo rurale del dopoguerra. che ha sconvolto l'antica immagine di un Mezzogiorno prevalentemente agricolo e più o meno uniformemente arretrato". logico, dunque, che l'immagine dato da Rossi Doria "dell'osso e della polpa del Sud" vada rivista e corretta alla luce della nuova realtà.
L'"osso" rappresenta le aree meridionali interne, montane e collinari, pari al 75 per cento del territorio del Sud; la "polpa" si allarga nelle fasce costiere, generalmente pianeggianti, più fortunate, più mobili, più dotate, "a cominciare dalla fine del XVIII secolo in poi, quando il divario talvolta antagonistico, tra pianura e montagna, incominciò ad attenuarsi".
Tutto questo, comunque, non significa che la questione sia risolta.
Dice De Rosa che "se vasti processi di modernizzazione hanno investito il Mezzogiorno e se si può definire conclusa la fase dello sviluppo spontaneo della produzione agricola, è anche vero che da qualche anno il processo di sviluppo ha urtato contro "nodi" e "strozzature" che rischiano di bloccare la formazione di un'agricoltura ancora più redditizia. Ciò che importa rilevare è che i termini del problema agricolo nel Mezzogiorno sono cambiati, se non si sono addirittura rovesciati, con l'eccessivo frazionamento della struttura fondiaria. Allora, occorre porre la parola fine alla storia di un Mezzogiorno contadino, e trasferire il discorso nell'ambito dei problemi propri di un'economia fortemente urbanizzata, dipendente ormai dai fattori tipici di una società moderna, dove l'industria, a tutti i livelli, con le sue incessanti innovazioni tecnologiche diventa la forza trainante di ogni modernizzazione?".
Certo, i testi classici del pensiero meridionalista non danno più alcuna risposta ai problemi del nuovo Sud, profondamente diverso da quello delle lettere del Villari, delle denunce antigiolittiane e antitrasformiste di Salvemini e di Sturzo; e Franchetti e Sonnino non potrebbero più parlare di "patti leonini" imposti dai proprietari terrieri, né Gramsci potrebbe rinnovare gli appelli per un'alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud contro il blocco degli agrari. C'è un distacco storico dalla lezione meridionalistica classica, anche se ancora non si può parlare di un suo totale esaurimento: nel senso che sopravvive l'insegnamento a considerare i problemi del Sud nel contesto di un rinnovamento generale della cultura politica delle classi dirigenti. E per diversi aspetti, aggiunge De Rosa, "la riflessione di un Nitti sul ruolo dello Stato nella politica di sviluppo o le elaborazioni di Sturzo sul funzionamento delle autonomie e più ancora sulla formazione di una coscienza più civile e democratica delle borghesie meridionali restano ancora fondamentali e vitali". Dunque: "Non si tratta di mettere una pietra sopra il patrimonio culturale del meridionalismo classico e di accantonarlo definitivamente, ma di prendere atto delle trasformazioni avvenute e di individuare le vie di un'altra ricerca, che deve consentirci un'appropriazione più aggiornata, più verificata nella realtà, nei temi che caratterizzano una diversa attualità non tanto della questione meridionale, quanto di questa storia moderna del Mezzogiorno, senza i contadini e senza la fame di terra".
l'analisi storica ha dunque cancellato la consunta immagine di un Sud come mercato di consumo e di un Nord industriale protetto. Solo un'antropologia culturale in ritardo - d'altro canto - può ritenere che esista ancora il Sud magico, "coacervo di arretratezze contadine e precapitalistiche", immobilizzato nella stanca formula del "Cristo si è fermato a Eboli" o in quella del tarantismo demartiniano. I problemi che affliggono le aree meridionali, per lo meno quelle del Mezzogiorno occidentale, sono emblematizzati dalla criminalità organizzata, estesa peraltro in tutta Italia. Ma nessuna tentazione di identificare questione meridionale e questione "Mafia-camorra-'ndragheta", perché "il Mezzogiorno odierno è una realtà ancora più complessa di quella che potevano pensare i meridionalisti classici, e la mafia odierna è un male, un fenomeno terrificante e avvilente, che mette a rischio le ulteriori possibilità di modernizzazione dell'economia del Mezzogiorno. la sua forza di penetrazione 5 tale da essere capace di inceppare o di condizionare negativamente, di bloccare e distorcere l'ascesa produttiva del Sud".
Nessuna consolazione con la criminalità finanziaria del Nord. Un male non serve a scacciare l'altro. E Giuseppe Galasso ha giustamente insistito sugli aspetti politici del fenomeno mafioso, "sui rischi di cedimento al compromesso da parte di certe aree locali e nazionali della classe politica. La mafia si comporta come un'organizzazione di potere finanziario tecnicamente evoluta, che chiede spazio per i suoi traffici immondi e oscuri, e io chiede con il peso delle sue filiazioni aperte e sotterranee, interne ed esterne, che operano a tutti i livelli". Il pericolo incombe, e non è valutabile solo nei termini di una pura e semplice questione repressiva: Asso può incidere, e già in effetti incide, sulla stessa vita economica del Mezzogiorno, sulle sue possibilità di ulteriore sviluppo, sui sentimenti e sulle psicologie degli stessi ceti borghesi più attivi e capaci. la sfiducia, il disincanto, la rassegnazione sono veleni che agiscono all'interno di tutte le strutture produttive, private e pubbliche". Ma incide anche su un modo, esterno, di intendere il Mezzogiorno e i meridionali, come dimostrano le recenti polemiche, religiose e/o persino razziste, che si sono sviluppate oltre la linea gotica, e che le prese di posizione degli opinion makers hanno portato a livello di polemica intellettuale, senza tuttavia contribuire a risolvere il problema di fondo: che resta quello della mancata integrazione tra le "due Italie". Un problema che, probabilmente, sarà destinato ad acuirsi, proprio in virtù dello sviluppo del Sud, dei costi di questo sviluppo, della meridionalizzazione della popolazione italiana, dell'affrancamento economico e civile, della rinascita politica e culturale del Mezzogiorno. Così, se spiriti attenti e sensibili accoglieranno questo processo, che non può non essere esponenziale, con un senso di sollievo, visto che se ne avvantaggerò - trasformandosi - tutta la società italiana, altri vedranno in quel processo un pericolo incombente e disgregatore di antichi privilegi o di vecchie condizioni. Nessuno si fa illusioni: lo spirito antimeridionale è destinato a crescere nei prossimi anni, collegandosi strumentalmente agli "apporti" negativi, quali la criminalità organizzata, i sequestri di persona, lo spaccio della droga; o opponendo situazioni di fatto (Bagnoli contro Cornigliano; sviluppo della Puglia contro decadenza della Liguria; incentivi al Sud contro disincentivi nel Nord, ecc.). Forse, è l'ultima barriera discriminante, da superare col gelo della ragione, e in stretto rapporto con chi, "dall'altra parte" pensa e agisce in termini di continuità della storia unitaria e di negazione dei particolarismi regionali e locali. A questo crediamo che tendano, pur nella diversità di impostazione dei discorsi, gli scritti che riportiamo: di Bocca (La Repubblica), di Camon (il Giorno), di Giovanni Russo (il Corriere della Sera), di Lombardi Satriani (il Mattino). Essi aprono un dibattito che, anche al di là delle polemiche - o forse grazie proprio alle polemiche - va fatto, approfondito e superato. Perché solo superandolo, come dato di chiarificazione morale e storica, potremo trasformare in Paese una federazione di contrasti.

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