ANTIMERIDIONALISMO E QUESTIONE MERIDIONALE




Giorgio Bocca



Il volantino è firmato da una Lega lombarda sin qui ignota ed è un decalogo allucinante di antimeridionalismo: "Non parlare con il meridionale, ti mente; non assumerlo, ti ruba dalla cassa; non riceverlo in casa, dà informazioni ai rapitori di tuo figlio; non concedergli la residenza, nella sua valigia ci sono la Mafia e la Camorra; non fidarti della sua onestà, dietro c'è sempre un parente delinquente".
Vado nel Veronese per lavoro e noto che il popolo notturno, che traccia sui muri la sue svastiche e le sue stelle a cinque punte, appare superato in virulenza e dimensioni dalla nuova specie che inveisce, rifiuta, minaccia il meridionale. Ho trovato tracce di antimeridionalismo emergente anche in Liguria, regione risparmiata dalla grande migrazione e dai suoi strascichi e conflitti, scritte antimeridionali sulle cisterne del Ponente, che pure conoscenze il lavoro di abruzzesi e calabresi. C'è antimeridionalismo in Emilia-Romagna e forte antisardismo in Toscana e nel Lazio, dopo i rapimenti, gli orecchi mozzati, i cadaveri dati in pasto ai porci.
La spiegazione più semplice dell'antimeridionaIismo attuale è la crisi economica, da cui vengono ridimensionati gli unitarismi nazionali e della classe operaia. Se a Parigi gli operai "bianchi" della Talbot assalgono a colpi di $barre gli algerini; se in Svizzera si nega il visto alle famiglie degli stagionali; se a Wolfsburg i turchi son sempre i primi a fare le valigie, può essere che l'Italia ricca guardi, oggi, con preoccupazione economica agli immigrati dal Sud e traduca la preoccupazione in pseudo-razzismo.
Ma non nascondiamoci dietro il dito del determinismo alla marxista. Per noi la questione è molto più seria, solo in parte legata agli alti e bassi della congiuntura, permanente, piuttosto, e tendente al peggio. lasciamo perdere gli scambi giornalistici di ironie e di luoghi comuni fra piemontesi "gozzuti" e "avvocaticchi mafiosi" di Reggio Calabria, sulla tempesta in un bicchier d'acqua causata dai bronzi di Riace. Parliamo di cose serie, veniamo al cuore della questione che sta in questo: l'eclisse totale, la disparizione, il vuoto della cultura meridionalistica.
Negli anni della ricostruzione e del miracolo economico questa cultura ha avuto due facce, ha svolto due funzioni: la prima, meritoria e importante, è stata informativa e analitica. Crollata la facciata unitaria del regno e della dittatura fascista, scioltosi come neve al sole il vecchio patto storico fra agrari del Sud i e banchieri del Nord, scomparso il sistema del notabilato, spentasi la specie dei baroni, una cultura meridionale viva, coraggiosa, entusiasta seguiva le avanguardie militanti del sindacato, combatteva al fianco degli zappaterra, parlava, scriveva, dibatteva raccontando la realtà meridionale, descrivendo le sue piaghe, indicando le complicità del governo e dell'Italia ricca, rivendicando responsabilità e autonomie.
La seconda faccia, la seconda funzione, quella propositiva, non era della stessa qualità, risentiva dei limiti e dei ritardi di una cultura umanistica, dava tutto per facile e per fattibile: poli industriali e irrigazione totale, autonomie funzionanti e decolli produttivi, turismo fiorente e California a Battipaglia.
Su come abbiano risposto negli ultimi trentacinque anni il governo e l'Italia ricca, le industrie private e pubbliche e gli intellettuali del Nord - a cui poi si aggiungono l'Europa e gli eurocrati - si potrà discutere a volontà, oscillando fra il patriottismo meridionale di Giacomo Mancini e il razionalismo economicista di Romano Prodi. Per grandi linee si può dire che si poteva fare meglio e dare di più, ma forse ottenendo risultati anche peggiori, perché il dato di fatto diabolico e incontestabile è questo: la valanga dei miliardi, dei sussidi, degli incentivi, delle autonomie, degli investimenti nazionali ed europei ha prodotto amministrazioni, gestioni; assetto sociale, se possibile, peggiori di quelli ereditati dal potere centralistico e nordista. La moltiplicazione del denaro si è tradotta in moltiplicazione dei consumi e dei sussidi dominati, controllati dalle organizzazioni malavitose o parassitarie, dal sistema bancario che ricicla il denaro "sporco" e investe in Bot o in Cct il denaro pubblico che le Regioni non sanno investire in modi produttivi, in ciò che produce nuova ricchezza e alza la qualità della vita.
Di fronte a questo colossale disastro, finalmente confessato anche da esponenti della classe dirigente meridionale come l'onorevole Azzaro, la cultura meridionalistica tace. Si dovrebbe dedurne che nelle Università di Palermo, Catania, Cagliari, Cosenza, Bari e Napoli non c'è più una sola "testa d'uovo" pronta ad assumersi una minima responsabilità di testimonianza e di proposizione; che negli sterminati uffici regionali e provinciali e comunali e delle varie Casse non c'è più un cittadino in grado di analizzare, spiegare, rimediare. Eppure, le domande grandi come le montagne ci sono. Come è accaduto che l'intera classe politica siciliana, dai missini ai comunisti, abbia voluto o permesso o subìto la vittoria progressiva e totale della mafia? Come è accaduto che una terra dal potenziale agricolo immenso, come la siciliana e la jonica, sia sfruttata solo in minima parte per la ragione che nessun imprenditore moderno, nessun capitalista agricolo, se la sente di accettare i rischi o le complicità malavitose parassitarie che alla Confagricoltura e al suo presidente Stefano Wallner sono perfettamente note? Come è possibile che l'intera industria siciliana, avendo alle spalle la montagna di denaro congelato nelle banche, non sia riuscita a togliersi dalla palude del parassitismo?
Certo, il mio amico Forattini ha sbagliato nettamente misura con la vignetta della Sardegna a forma di orecchio mozzato; ma i sequestri feroci di persona nella Toscana e nel Lazio li hanno portati i pastori sardi, cioè una cultura barbaricina silvo-pastorale, che in quaranta anni la classe dirigente dell'isola non è riuscito evidentemente a cambiare. E perché? Lo scambio di ironie e di invettive giornalistiche è mediocre ed inutile, siamo d'accordo; ma a queste domande "grandi come le montagne" chi deve rispondere? Noi, dell'Italia ricca, industriale, postindustriale, "gozzuti", "nemici del Sud", "asserviti alle lobbies", come dice l'onorevole Formica, solo noi, o anche i diretti interessati, anche chi vive e lavora nel Sud, anche coloro che come l'onorevole Azzaro sentono di far parte degli onesti e dei giusti?
Le nostre critiche saranno sospette, eccessive, generalizzanti, razziste, ingiuste, tutto ciò che volete. Ma volete spiegarci voi perché l'opposizione meridionale èregolarmente latitante o flebile, perché l'omertà regna sovrana, perché la rassegnazione si allarga? Lo so, spostare le montagne non è facile. Ma se esse restano dove sono, minacciose e sinistre, come stupirsi che rispuntino nel resto del Paese un sentimento, un pregiudizio, una diffamazione antimeridionali?

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