DOMANDE "MONTAGNE" E RISPOSTE "TOPOLINI"




Luigi Lombardi Satriani



A rispondere all'articolo di Giorgio Bocca, si corre il pericolo di apparire meridionale o, ancor peggio, meridionalista permaloso: esponente, quindi, di quella provincia addormentata e ritardata cui il brillante opinion leader non ha mai risparmiato i suoi strali. Se poi, per avventura, ci si trova a operare in una delle Università meridionali chiamate in causa da Bocca, si corre il rischio di presentarsi come "testa d'uovo", appunto, canalizzando su di sé l'ironia e l'avversione tipiche dell'antintellettualismo strisciante che pervade, specialmente oggi, la società italiano. Eppure, proprio perché apparentemente problematico e coraggioso, il pezzo di Bocca sollecita alcune considerazioni, emblematico, com'è, di una maniera di pensare particolarmente diffusa anche o soprattutto? - in ambito progressista.
Bocca è troppo abile per cadere nelle maglie razziste della Lega Lombarda, firmataria di un volantino che gli appare "decalogo allucinante di antimeridionalismo": affermazione incontestabile, dati i precetti da esso dispensati. Quel condensato di puro razzismo dà lo spunto a Bocca per parlare di tracce di antimeridionalismo da lui trovate in diverse regioni e che dovrebbero porre delle domande non facili. E sembra, dapprima, che Bocca se le ponga, queste domande, ed è egli stesso a proporre: "Lasciamo perdere gli scambi giornalistici di ironie e di luoghi comuni... ecc.", e, seriosamente, invita a parlare di "cose serie", di venire "al cuore della questione", che egli localizza con baldanzosa sicurezza: "L'eclisse totale, la disparizione, il vuoto della cultura meridionalistica". Parte a questo punto una sintetica ricostruzione di tale cultura e delle sue facce, informativa e analitica l'una, propositiva l'altra, prima che di essa venisse registrata, per la penna di Bocca, la sua disparizione. "Domande grandi come le montagne" premono su Bocca, come su tutti noi, ed egli ne elenca alcune, che sottolineano nodi nevralgici della vita meridionale e dello sviluppo del Paese, dando sempre per scontato che dinanzi a essi la cultura meridionalistica taccia.
Tale silenzio è affermazione del tutto gratuita da parte di Bocca, che, anche se scrive non tutto ma di tutto, può non conoscere, nella loro completezza, le innumerevoli analisi della realtà meridionale, dei suoi mali, dei suoi "vizi", delle cause di essi, del loro rapporto con lo sviluppo della società italiana apparse in questi anni. Sarebbe agevole, e persino un pò ridicolo nella sua superfluità, elencare indagini e iniziative, volumi e convegni, riviste e dibattiti, e così via, che, a opera degli esponenti di quegli ambienti accademici colpiti, secondo Bocca, da totale afasia o di altri, sono stati dedicati alla realtà meridionale e ai processi che ne caratterizzano, nel bene e nel male, la vita tormentata. Compresa, certo, la mafia, e senza cadere nell'errore di considerarla soltanto causa, ma analizzandola anche come effetto di un complesso di cause socio-economiche e politiche, indagata dall'interno del Meridione, in cui dispiega la sua virulenza, e non soltanto esorcizzata moralisticamente attraverso la condanna.
Ma a che servirebbe una elencazione siffatta? Per intendere occorre voler intendere, senza impegnarsi a ritrovare nella realtà preselezionata la conferma, comunque, dei propri giudizi e pregiudizi. La cultura meridionalistica ha aggiornato le sue analisi, in una realtà che è cambiata e in cui l'intreccio di vecchio e nuovo forma amalgama di difficile, ma pur sempre possibile, comprensione e ha elaborato, a partire da tali analisi, proposte, culturali e politiche.
Forse che per essere ritenuti esistenti e loquaci, occorre partecipare alle liturgie politico-culturali del Palazzo o della cultura urbano-centrica? A mero titolo esemplificativo, proprio recentemente "I problemi di Ulisse" hanno dedicato un numero monografico a "La questione meridionale", a cura di Paolo Alatri, con scritti di intellettuali e di politici, impegnati "per operare a conoscere la realtà di oggi", come Giuseppe Galasso ha intitolato il suo intervento; "Quaderni calabresi" porta avanti da anni un progetto - politico e culturale - di ricomposizione dell'identità meridionale, analizzando e intervenendo sulla mafia, come sulle situazioni prodotte dalle alluvioni e dal terremoto, come sul progetto della centrale a carbone a Gioia Tauro, e così via: ne è parziale testimonianza il volume apparso per la Jaca Book, "Le ragioni della mafia". Dall'enorme disgregazione in atto nel Mezzogiorno si sono levati cori di denunce, di proposte politico-culturali per una inversione di tendenza. Oltre a un meridionalismo lamentoso, c'è, dunque, un meridionalismo critico col quale, comunque, occorre confrontarsi.
Anche se Bocca non ha notizia di tali iniziative, non ha saputo della Conferenza Nazionale del Mezzogiorno - svoltasi per iniziativa del ministro per il Mezzogiorno - e delle analisi in essa presentate e discusse? E sì che in essa i termini - economici, sociali, culturali e politici - della "crescita squilibrata" del Mezzogiorno e della sua "non crescita" sono stati affrontati e approfonditi "con diversità di taglio" da relazioni e interventi, che hanno comunque concorso a delineare il quadro della situazione. Bocca non ha mai seguito le inchieste sul Sud fatte - e non sono che esempi tra i tanti possibili -, con accenti diversi, sul "Corriere della Sera" dai suoi colleghi Alfonso Madeo e Giovanni Russo? Non ha altra constatazione da fare che quella del silenzio della cultura meridionalistica o della latitanza dell'opposizione meridionale? La vocazione a registrare, nuovo ufficiale di stato civile, date di nascita e di morte delle culture, ancorchè meridionalistiche, è la più consona al prestigioso giornalista?
Ma forse Bocca per una tale informazione, anche se rapida, non ha né tempo, né voglia; viene qualche volta nel Sud - può capitare anche a un brillante giornalista -, ma è troppo occupato a coltivare la sua irritazione, per le conversazioni insulse nelle quali viene suo malgrado coinvolto o per l'assenza di lampade sul tavolo nella stanza dell'albergo dove si è fermato - come gli è accaduto nell'estate 1981 (e di cui ci ha accuratamente edotti dalle colonne dell'"Espresso") -, per guardarsi realmente attorno. E per tentare di comprendere. E così le "domande grandi come le montagne", quand'anche giustamente sollevate, restano senza possibilità di risposta, e Mezzogiorno è Giorgio Bocca continuano a rappresentare realtà reciprocamente incomprese. Con grave danno per il Mezzogiorno e, forse, con qualche danno per Giorgio Bocca, se non altro per la completezza della sua intelligenza delle cose. la vita contemporanea è talmente complessa e il ritmo degli avvenimenti - dai processi di crescita a quelli di erosione del tessuto socio-culturale, da quelli di progressiva liberazione dell'uomo dalle innumerevoli forme di schiavitù a quelli degenerativi - talmente intenso che non si ha alcun obbligo di interessarsi anche della questione meridionale. Ma, come ci ha avvertito un filosofo di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. E dire che, non operando in Uni, versità silenziose, questo filosofo poteva essere inteso. Anche da Giorgio Bocca.

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