CAPITOLO
I
Arrivò
a Milano nel primo pomeriggio dell'ultimo dell'anno, con un permesso
di quarantotto ore solamente.
A casa furono contenti, specie la madre. Almeno per una notte avrebbe
dormito di nuovo nel letto ad una piazza e mezza, vicino all'altro
figlio. E anche Gianni era contento. Anche se umida e fredda era sempre
la sua stanza. Tre mesi erano già passati negli androni della
caserma, sulla branda, lui, un numero di venticinque allievi nello
stesso corridoio. Adesso il silenzio delle quattro pareti, la vecchia
scrivania nell'angolo vicino alla finestra, la piccola libreria coi
pochi libri, potevano far dimenticare Corno, la salita della Camerlata,
la caserma, i colleghi e la guerra.
Abitava in via Lentasio, all'ultimo piano di una vecchia casa, che
poteva avere più di cent'anni. Le persiane e le porte non chiudevano
più e gli intonaci erano tutti scrostati. Adesso poi il padrone
di casa si giustificava che non si doveva assolutamente parlare di
riparazioni. Dopo, a guerra finita. Ma col piano regolatore già
in progetto di buttar fuori quegli inquilini da case popolari e di
rimettere tutto a nuovo: in fondo, più centro di quello! Una
zona tranquilla, raccolta, antica, a pochi passi da Piazza del Duomo.
E lui lo sapeva, come lo sapevano il padre e la madre e l'altro fratello.
Ma la guerra aveva bloccato passato e presente: li aveva disancorati
dal passato, che avevano costruito giorno per giorno con pazienza
e capacitazione, e li aveva indotti a vivere alla giornata, nel presente,
in attesa che tutto si risolvesse in pochi mesi, come era ripetuto
dai giornali. In fondo la Francia era stata già occupata (ma
alcuni dicevano invasa) e il resto sarebbe stata una passeggiata per
gli stati d'Europa. No, non ci credeva lui a queste cose e, quando
le sentiva ripetere da qualche collega, si ritirava nel suo guscio,
si arricciava tutto, e constatava che per il momento l'unica vera
realtà era stato un cambiamento di stato per lui e per la sua
famiglia.
La sera, dopo la cena che la madre aveva preparato proprio per lui,
all'improvviso decise di uscire. Verso le dieci erano esauriti gli
argomenti e i vecchi avevano concluso che sarebbe stato meglio andare
a dormire. Due ore in più di riposo avrebbero fatto bene a
tutti. Gli auguri se li sarebbero rinnovati il mattino appresso. Ma
in ognuno c'era una grande malinconia. Che avrebbero potuto augurarsi
per il nuovo anno, il 1942? La fine della guerra! il ritorno di Gianni?
Erano fatti che trascendevano le loro volontà. Per adesso la
cosa migliore era andare a mettersi in letto. Le lenzuola si sarebbero
presto riscaldate col calore del corpo, e non sarebbe stato necessario
mettere qualche altro pezzo di legno nella stufetta in cucina. Anche
perché il giorno appresso sarebbe dovuta andare di più.
Rimase per molti secondi vicino al portone, a scrutare il buio. Non
vi era più abituato. la neve caduta abbondante nella mattinata
era ghiacciata, ma percepiva lo sfrigolio dal mucchio a lato del marciapiede.
Non camminava nessuno: pareva un angolo di città morta, abbandonata,
coi buchi scuri dei balconi e delle finestre di fronte, con le facciate
immobili e non rischiarate neppure dalla neve della strada.
Andare verso il Naviglio, ancora più verso il buio, oppure
verso la Piazza del Duomo? Verso la piazza: ma non per la gente. Era
la vecchia strada e per andare all'ufficio e per andare alla scuola
serale. Quanto tempo prima? Appena pochi mesi, eppure sembrava così
lontano.
Questo delle quarant'otto ore era il primo vero permesso. Altri di
poche ore alla domenica, se li era presi da. se stesso. Alle dodici
e mezzo c'era libera uscito e durava fino alle dieci di sera. Egli
si portava alla stazione di Camerlata e saliva sul primo treno che
passava.
Andava dai suoi. Non aveva nessuna ragazza con cui doveva vedersi.
la madre non si era ancora abituata all'idea che egli fosse soldato.
Il padre e il fratello cercavano di nascondere il piacere di rivederlo
e l'ascoltavano con interesse quando lui riepilogava le fatiche della
settimana. Portava il pacchettino della biancheria sporca e ritirava
quello della pulita. La madre glielo preparava già dal sabato,
sicura che non sarebbe mancato. Così le poche ore le passava
coi suoi. I soliti argomenti. Si faceva dire dalla madre come se l'era
cavata quella settimana col tesseramento, con le code davanti alle
botteghe, e dal padre se c'erano state incursioni aeree. A Corno pensava
continuamente a loro. Era come un'ossessione. Adesso dovevano fare
più sacrifici per far bastare lo stipendio che dall'ufficio
di lui passavano direttamente a loro. Non era diminuito, ma era appena
sufficiente quando lui era in casa e non c'era la guerra. La madre
tentava di rassicurarlo, ma lui era convinto che non bastasse. Straordinari
adesso non ne poteva fare. Eppure erano così comodi quegli
incerti per le spese che nascevano improvvisamente. Non poteva d'altronde
privarsi dalla decade, una miseria, per passarla alla madre.
Era la guerra: e la maledisse anche quella sera.
In piazza Verziere c'era un po' di movimento: gente che ritornava
a casa o che aspettava il tram. Ma lui camminava e non badava a nessuno.
S'era tenuto gli scarponi militari e i piedi affondavano di più
nella neve. Ma non era come per le scarpe borghesi, che s'inumidivano
presto e facevano gelare i piedi.
In tre mesi non gli era venuto mai il desiderio o il bisogno di uscire
mezz'ora prima da casa. Non ci aveva pensato. A militare la vita era
dura, specie per uno come lui che non godeva di privilegi e protezioni
da parte dei superiori. Il vitto era scarso e doveva bastare quello
che gli passava la cucina della caserma. Potevano non pensarci i colleghi
che ricevevano i pacchi da casa, con meticolosa periodicità
e che riuscivano ad ottenere turni di servizio ridotti o a saltarli
addirittura. Il furiere chiudeva tutti e due gli occhi e non vedeva
i loro nomi sull'elenco degli allievi. Ma per lui e per qualche altro
allievo la cosa era diversa.
Faceva veramente freddo e ogni tanto si convinceva che era meglio
ritornare a casa. Ma il desiderio di camminare e di pensare era più
forte. Camminare e pensare; pensare e camminare. Casi da anni. Pure,
quella sera era diverso. Camminare e riepilogare, e in quel buio i
ricordi venivano più freschi e attuali alla mente, macina-pensieri.
In Piazza del Duomo voci dei giovani che desideravano far festa, nonostante
la guerra. Li intravedeva in lontananza, ombre fra la ombre, sotto
i portici settentrionali. Pochi ragazzi che ogni tanto davano fiato
alle trombette di carta o sparavano qualche petardo, nonostante fosse
severamente vietato.
Imboccò Via Orefici, e subito girò la traversa. Di nuovo
nessuno e il buio più completo.
Aveva lasciato la caserma arrabbiato e con una punta di odio, verso
i colleghi e la vita militare in genere. Questo sentimento, che si
era attutito nel pomeriggio, adesso era di nuovo vivo. Natale l'aveva
sacrificato per alcuni colleghi raccomandati. E questi, di ritorno
dalla licenza, avevano raccontato le loro avventure con particolari
più ampi delle altre volte. Aveva voglia lui di cercare di
non ascoltarli. Le ripetevano a voce alta, modulata, con le parole
adatte a ricreare l'atmosfera per ciò che avevano fatto. A
lui pareva che fossero andati a casa solamente per riprendere le vecchie
abitudini, per rifarsi del tempo perduto e divertirsi come avevano
fatto fino al momento della partenza per la caserma. Balli di frodo,
pranzi come ai vecchi tempi e divertimenti. Ognuno s'industriava a
raccontare i momenti più salienti delle proprie giornate, dei
propri amori, con particolari che davano fastidio, più che
le altre volte. Ed erano gli stessi colleghi che si erano trovati
la camera, ove tenevano gli abiti borghesi e andavano e riposarsi
durante la libera uscita.
La posta, un grosso buco nero, e alcuni fattorini dei telegrammi sul
portone. Passò oltre. Anche per loro non vi era Capodanno.
Qualche risata arrivò fino a lui. Meno male che sapevano ridere
ancora! S'inoltrò per un vicoletto che portava in piazza Sant'Ambrogio
e poi per un altro ancora.
Le conosceva ad occhi chiusi quelle strade, strette, buie. Per anni
tutte le sere l'avevano portato alla scuola.
Negli anni precedenti non aveva partecipato mai a feste, a balli,
a trattenimenti; né aveva mai aspettato lo scoccare della mezzanotte
di un ultimo dell'anno. Gli era stata preclusa la possibilità
di conoscere una gran parte della vita. Era vissuto sempre su uno
spicchio di mondo, al di là ed al di qua del quale non sapeva,
se non per sentito dire, ciò che esisteva.
Da poco s'era procurato il posto d'impiego e temeva di perderlo. Per
arrivarci aveva lottato parecchio e da solo. Lavorava solamente lui
e aveva a carico il padre e la madre. Il fratello, molto più
giovane, stava terminando gli studi inferiori.
Quando i colleghi e le colleghe d'ufficio attaccavano a parlare di
politica e si accaloravano, lui continuava a lavorare, fingendo di
non ascoltare neppure ciò che dicevano. Gli importava solamente
una cosa: non andare a fare la guerra. E quando gli chiedevano la
sua opinione, diceva che la sua politica consisteva nella busta che
al ventisette gli davano. Con quella la sua famiglia poteva tirare
avanti alla meno peggio per trenta giorni, e basta. I colleghi, tutti
più anziani, gli davano del prosaico, dell'insensibile ai destini
della patria, ma lui non ribatteva. Tanto, la politica che essi facevano,
stando seduti dietro i tavoli, pronti a immergersi nel lavoro se fosse
spuntata la testa del capufficio, era così facile! Facevano
congetture a volte sballate, a volte anche sensate. Egli sorrideva
dentro di sè. Il calzolaio dal quale aveva lavorato come fattorino
molti anni prima, una volta aveva gridato ai suoi compagni: "Cari
miei, bello è l'amor di patria, bella è la libertà,
finchè la pancia è piena, la cosa può passare,
ma se d'amor di patria dovessimo campare, mi sbatto contro il c...
la patria e la libertà". E questo ritornello se lo ripeteva
fra sè qualche volta.
Nell'intimo però sentiva di amarla la sua terra, ma come amava
la sua mamma. Povera donna, aveva sempre spaccato il centesimo in
quattro per farlo bastare, e si toglieva il pane di bocca per darlo
ai figli, sempre, da quando erano stati piccoli. La libertà,
la patria! E la fame, e la miseria?
Aveva cominciato come fattorino di calzolaio, poi era passato impiegato
in una ditta privata e da qualche mese, col diploma di ragioniere,
era entrato in quell'ente parastatale.
Ma per sette anni coi libri sotto il braccio se n'era andato a scuola
alle otto e mezzo di sera e ne era uscito a mezzanotte, passando proprio
attraverso quelle stradette. Aveva lottato col sonno moltissime volte,
specie la prima ora. La stanchezza della giornata e lo stomaco caldo
l'invitavano a chiudere gli occhi. Si sentiva gli spilli negli occhi,
intorno alla palpebre, e un bisogno doloroso di dormire. Ma si rigirava
sul banco, apriva gli occhi, come a dilatarli, e quando non riusciva
ancora, si alzava in piedi e rimaneva così per qualche minuto.
I professori lo conoscevano e non dicevano niente. Preferivano lui,
che per non appisolarsi si alzava e li seguiva così, ad altri
giovani che anche al primo banco avevano chiuso gli occhi e svegliarli
sarebbe stato inutile o peccato.
Poi a casa cercava di studiare fino alle due, per preparare qualche
compito. E perché prendesse meno freddo, si ficcava tutto nel
letto, lasciando fuori solamente la testa e le mani. La luce proprio
sul libro, per non dare fastidio al fratello che gli dormiva vicino,
studiava, si portava avanti. Non era mai sicuro di avere qualche ritaglio
di tempo il giorno appresso, per colmare i vuoti, imparare, prepararsi.
Questa lotta era durata sette anni e ogni volta era arrivato alla
primavera sfinito. Ma non si era dato per vinto. Altri tre mesi, altri
due mesi, un altro mese e poi qualcuno di riposo. la carne gli doleva,
le giunture gli facevano male e la testa se la sentiva vuota, piena
di dolori come lame che l'attraversassero improvvisamente. Ma non
diceva niente. Doveva riuscire: bisognava raccogliere le ultime forze
e arrivare alla fine.
Ce l'aveva fatta. Piano piano era riuscito a mettersi alla pari con
i ragazzi che studiavano solamente di giorno.
Ne aveva avuta di volontà i Certe volte era convinto di poterla
misurare a metri o a chilogrammi. Una forza dentro per riuscire, una
caparbietà che avevano i presupposti in alcuni complessi che
lo tormentavano. Riuscire a cambiare stato per sé e per la
sua famiglia. Istruirsi, e migliorare. Riuscire, riuscire: era un
ritornello che gli era suonato dentro sempre, gli aveva dato a voi
te gioia e a volte dolore.
E col titolo era stato veramente qualcuno? No, si era sentito quello
di sempre. Era arrivato da molto lontano, ma il titolo non gli aveva
dato alcun piacere. Si era iscritto all'Università. Dopo la
laurea, chissà, forse sarebbe stato un poco contento. L'essenziale
era continuare a studiare, a prepararsi, a migliorare per sé
e per i suoi vecchi.
Ed invece ecco che all'Olimpia un grosso gerarca fa il "discorso"
agli universitari che gremiscono il teatro. Tutti giovani che non
sanno cosa significhi lavorare di giorno e studiare la notte. All'invito
rispondono che son pronti ad andare a combattere, come vuole il Duce,
il grande capo, l'uomo della provvidenza. Gridano evviva alla guerra
e cantano inni di morte per i nemici. L'ironia della vita!
Chi la fa poi la guerra?
Così anche lui aveva ricevuto la cartolina precetto, di volontario
universitario, e la destinazione per il momento era stata Corno.
La rabbia e la rivolta gli ritornavano dentro. Non aveva nessuno con
cui sfogare e la sua ribellione era diversa da quella di qualche altro
collega.
Si domandò ancora una volta se non era egoismo il suo.
- "Ma come, gli uomini stanno morendo, e tu metti avanti la tua
famiglia? Ma che uomo sei?"
No, non era egoismo! Aveva le sue giustificazioni, le sue attenuanti,
le sue difese. Le solite, ma sempre valide.
A tredici anni aveva cominciato a lavorare, ma già prima aveva
conosciuto la fame e la miseria. In sette anni s'era portato avanti
colla forza del disperato. Perché una guerra adesso doveva
mandare a monte i suoi sacrifici, le sue rinunce, le sue prove, e
anche le sue aspirazioni, i suoi bisogni i Non l'aveva mica voluta
lui la guerra. Se gli avessero domandato il parere, avrebbe risposto
che per lui riuscire a vivere era già una guerra. Né
si sentiva di andare a combattere contro uomini, che non conosceva,
molti dei quali avevano sofferto come lui. No, il suo egoismo era
una difesa, alla quale aveva diritto.
Ma di questo diritto non sapeva servirsi. Meglio, non gli era possibile.
Nella caserma era un numero, e basta. I compagni poi, i camerati,
erano così lontani. Pensavano al fregio d'oro da mettersi al
bavero, al V. U. da attaccarsi sul polso della giacca. Per loro la
vita militare era un pretesto per una nuova avventura, dopo le molte
vissute da borghesi, da quando avevano messo il piede nelle scuole,
giovanissimi. Da casa ricevevano assegni e pacchi con ogni ben di
dio, e guardavano dall'alto in basso Gianni e gli altri colleghi,
che giravano alla larga quando in camerata li vedevano sventolare
l'assegno e buttarsi sopra i pacchi.
No, quella non era vita. Quei figli di papà passavano le ore
scherzando fra loro: si giocavano gli assegni e non facevano che parlare
delle loro ragazze, compagne di scuola e di divertimenti, che gli
scrivevano spessissimo e venivano anche a trovarli.
Ma c'era un'altra verità. Lui era veramente solo, e lo era
sempre stato, Non aveva mai avuto amici, amiche e non ne aveva. Mai
un gesto amichevole, un'attenzione qualsiasi. Non aveva avuto mai
il tempo per guardarle le ragazze, per far loro capire che ne sentiva
il piacere, il desiderio. Che poteva dire lui alle ragazze? Mica le
parole che dicevano gli altri giovani, parole quasi sempre prive di
significato. Lui le parole inutili non le conosceva, ed a parlare
di cose serie alle ragazze, specie quando sono molto giovani, si fa
ridere, si dà una brutta impressione.
Era un complesso, ma non lo voleva ammettere se non in certi momenti
solamente, quando cioè si accorgeva che tutti gli sforzi che
faceva per non esserne succubo erano inutili; se non quando cioè,
stanco di darsi delle giustificazioni, che poi erano nel contempo
lotte, si dava per vinto. Sì, avesse vissuto una fanciullezza
come quella di tanti altri bambini, avrebbe avuto il carattere un
poco più aperto, più espansivo, avrebbe guardato con
meno pessimismo alla vita. Ma adesso c'era la guerra, c'era il buio
e in caserma aveva lasciato colleghi che non se ne preoccupavano per
niente e si erano sbizzarriti a raccontare mirabilia consumate durante
le feste. E lui era solo, era stato sempre solo; e se era salito di
qualche gradino, era salito per non morire fattorino e per far stare
un pò meglio i suoi vecchi e se stesso.
Lentamente rifece tutte le strade che per sette anni, per nove mesi
ogni anno, lo portavano alla scuola. Ogni strada, ogni svolta, ogni
angolo, aveva un ricordo. Pensieri fatti, persone incontrate e che
lo avevano colpito, occhi di botteghe chiuse e che aveva cercato d'immaginare
che cosa contenessero; portoni illuminati, in fondo ai quali aveva
visto la porticina del portinaio e del quale qualche volta aveva sentito
lo scatto del campanello. Tutto ritornava nella mente. E, in rifrazione,
il mondo che conosceva da poco, che aveva cercato già prima
di congetturare con la mente, di crearsi, per inserirlo in quello
in cui aveva vissuto: il mondo che da soli tre mesi gli si era aperto,
e che in certi momenti aveva l'impressione di odiare da sempre.
Andò fin dietro la porta della scuola. Una porticina scura,
a due battenti. La toccò, una volta, due volte, come ad accertarsi
che fosse veramente la porta oltre la quale c'erano delle aule dal
pavimento di legno sporco, vecchio e dal tanfo di umido. Ogni sera,
appena vi era entrato, aveva dovuto stringere il fiato e abituare
il naso a quell'odore. Banchi vecchi, pieni di nomi ed anche di frasi,
scritte, intagliate dagli studenti del mattino, da quegli studenti
che erano considerati i rifiuti delle scuole statali, e che i genitori
s'intestardivano a far studiare, perché nella vita un pezzo
di carta era necessario più di qualsiasi altra cosa.
La toccò ancora una volta e vi tenne la mano contro. Una carezza,
una benedizione? E perché no? Un atto di sentimentalismo a
cui ci si può abbandonare, quando i ricordi si sono affollati
con più foga nella testa, ma del quale non ci rendiamo conto.
Subito dopo sorrise amaro. Le dette un'ultima occhiata e se ne tornò
indietro.
Perché i pensieri cambiassero, prese altre strade: abbandonarsi
al caso, senza perdere l'orientamento, poteva distrarlo, calmarlo,
prepararlo al riposo nel letto, da cui da tre mesi era lontano.
CAPITOLO II
Procede lentamente.
E' incuriosito di vedere dove sbucherà la viuzza nella quale
è entrato da qualche momento e che incomincia alla fine di
un altro budello un pò più lungo. Non ricorda neppure
come si chiama. Eppure è in centro e chissà quante volte
vi è passato. Quel buio rende così simile e così
probabile tutto. Un buio più fitto adesso perché la
stradetta è incassata fra case alte, senza cielo. S'è
alzato anche il vento, non forte ma freddo, che taglia la faccia.
Sente dei passi, pestati sulla neve? Sarà qualcuno che, temendo
di scontrarsi con lui, desidera far sentire la propria presenza. Ma
subito una tossettina, procurata con un raschiamento della gola, gli
dà come un allarme. Una, Liù, una Yucci in questa stradetta.
Sa che il posto dove si raccolgono dopo essere state buttate fuori
dalle case, il luogo dove si decidono ad andare in su e in giù
per delle ore, è al Verziere, il marciapiede che gira torno
torno al mercato della frutta e verdura. E qualcuno l'ha intravista
anche quando è uscito un'ora prima. Sa che le propaggini si
trovano fino all'imbocco della Galleria del Corso, o verso il vecchio
Ospedale Maggiore, col caffè e i piccoli ristoranti annidati
lì vicino, nelle viuzze dalle pietre sconnesse e nelle case
vecchie di secoli. Ma in quella stradetta in un altro lato, opposto,
di Piazza Duomo, a un'ora circa dal Capodanno, con quel freddo e la
neve ghiacciata per terra, non possono esservi Yucci o Liù.
Si ferma un momento e poi decide di attraversare i due metri di strada
e di portarsi sull'altro marciapiede. Ma una voce, a pochi passi,
esce smorzata dal buio.
- "Scusi, signore, mi fa accendere? Signore! Aspetti...: un fiammifero".
La voce è vicina. Vede una forma più buia del buio.
Può avere la sua stessa altezza.
E' sul punto di scendere il marciapiede e di tirare diritto. Non si
sbaglia.
E' un'altra Carmen, che d'estate, una sera di tre anni prima, l'aveva
fermato sul marciapiede di Piazza Verziere.
Ma no, perché tirare diritto? Scambiare qualche parola, un'ora
prima di un ultimo dell'anno forse può far bene a lui stesso
e a lei. Glielo darà il fiammifero e alla luce le farà
capire che non è lui quello che deve cercarsi.
- "Sì, un fiammifero. Se lo trovo". E li cerca.
La donna gli si è fatta più vicina, ma rimane a mezzo
passo di distanza. La voce giovane, quasi puerile, di Gianni l'ha
un pò disillusa.
Li trova e prova ad accendere. Il vento dell'imbocco del vicolo arriva
con un uggiolio smorzato.
- "E' una parola accenderlo!" dice, sentendo il silenzio
della donna. Prova ancora, ma anche il secondo fiammifero si spegne.
- "Ha le mani fredde anche lei?" La voce è già
un pò più sicura. Si avvicina di un altro piccolo passo
e quasi lo sfiora.
- "Non sono le mani fredde. E' questo vento, che quando arriva..."
- "Taglia la faccia, vero?" E' contenta d'aver trovato un
argomento cui attaccarsi.
Gianni mugola un si, e prova ancora. Ma non riesce. - "Non è
possibile, con tutto la più buona volontà". - "Scusi,
visto che è molto gentile, vengo. Qui c'è un portone,
può accendere". Lo prende per il polso e lo tira.
Gli ha preso il polso, perché al buio è stato la primo
parte del corpo che ha incontrato. Ma voleva prendere la mano o il
braccio.
Gianni si lascia tirare. Vede avanti a sé un'ombra, che si
muove nell'ombra nera della notte, e le va dietro.
- "La guido io. Qui c'è un gradino. Stia attento. Ecco.
Così." Sono dentro il portone, chiuso a metà.
- "Sente che non c'è più vento?". Gli preme
impercettibilmente con le dita sul polso e lo lascia.
Gianni subisce la piccola pressione senza reazione. Frega un altro
fiammifero sulla scatola.
- "Ecco, a lei."
La donna cerca intanto un argomento, ma non ne trova. Eppure non le
riesce mai difficile. Ha intravisto il giovane al lampo del fiammifero
e ha capito a volo che forse perde tempo. Un minorenne, un ragazzino
che sta andando a casa e s'è fermato per educazione. Ha fatto
male. Ma al buio non poteva mica indovinarlo. Però, dal momento
che ha incominciato, perché non tentare lo stesso? Chissà?
Ma bisogno dirgli qualche cosa che possa anche andar bene per un giovane.
- "Con questo oscuramento ... " comincia e avvicina la sigaretta
fra le labbra. Ma il fiammifero si spegne. "Oh! arriva l'aria
anche qui". La voce è di rammarico. "Mi dispiace.
Deve fare più attenzione. E' difficile accendere per gli altri".
Gli si fa vicinissima e si apre il pellicciotto. "Provi, ora.
Riuscirà".
Al naso di Gianni arriva un profumo dolciastro, di confetti di carnevale.
Ma non prova fastidio, come la prima volta, quando Carmen appena in
camera fece per abbracciarlo. Lo zolfo subito lo annulla.
La donna tiene la sigaretta fra le labbra e con tutte e due le mani
indugia sulle falde del cappotto aperto. Vuole che Gianni le guardi
oltre che la faccia, anche il corpo, almeno il seno e le gambe. Se
glieli guarda, le sarebbe più facile tentare un inizio. Invece
Gianni la guarda solamente in faccia, intensamente, come se voglia
fissarsi i lineamenti di lei. è giovane, molto giovane di sicuro,
e gli pare anche bella. Se la vedesse di giorno, sia pure in quella
viuzza, sicuramente non la prenderebbe per una come Carmen o Liù.
Gli occhi sono neri, molto neri, i capelli neri, le occhiaie scure,
incavate, ma non stonano con la linea degli zigomi quasi appuntiti,
o colle labbra grosse e di un rosso carico e lucido.
- "Grazie" e soffia sul fiammifero che è quasi alla
fine. "Un buona boccata con questo freddo fa bene". Aspira
a lungo facendo luminoso il punto di fuoco, e aspetta che Gianni parli,
dica qualche cosa.
Ma Gianni sta zitto. Deve salutarla e riprendere la sua strada. Ma,
che dirle? Alle altre donne, quando qualche volta l'avevano fermato
e gli avevano chiesto il fuoco, gliel'aveva dato, ma nello stesso
tempo aveva avuto la presenza di spirito di dire subito con un sorriso
di intesa: "Scusa, sai, non ho tempo di venire con te. Sarà
per un'altra volta". La donna aveva risposto al sorriso e non
aveva insistito. Aveva detto solamente: "Grazie, amore".
E gli aveva dato un mezzo saluto con un ammiccamento d'occhi.
- "Dove vai?" gli domanda improvvisamente la donna, richiudendosi
il cappotto e facendo per prima il passo verso l'uscita del portone.
- "Io? Ma, non lo so. Giravo ... "
Escono sul marciapiede.
- "Mi vuoi fare compagnia, musetto? Sono sola sola ... "
E tira due tre boccate di seguito. Aspetta più tranquilla.
Ha già capito che Gianni è un timido, che va preso con
modi diversi dai soliti. Ma chissà perché, anche lei
si sente un poco timida.
Gianni sorride. Anche lui è solo, tremendamente solo.
"Beati quelli che non sono mai soli". Ha parlato a mezza
voce. In quel momento vuole prendere in giro se stesso, come conclusione
di un discorso incominciato da tempo, ma del quale non ricorda l'inizio.
La donna fa finta di non sentire.
- "Allora, musetto?" Gli cerca la mano. la trova questa
volta e gliela preme. Prova un a gradevole sensazione. le sue dita
sono fredde, ghiacciate e la mano del giovane è tiepida. Non
gliela lascia. la tiene, facendo errare le sue dita sul dorso, come
a cercare qualche ulteriore dose di tepore.
Gianni non è capace di darle una risposta neppure adesso. Non
è nelle sue abitudini e nel suo carattere. Mai umiliare la
gente, anche se se lo merita! Mai umiliare, per non soffrire dell'umiliazione
che può infliggere. Prenderla con le buone, come a farla ricredere,
e indurla a non insistere. Riepiloga quanto ha in tasca. Non è
difficile: poche decine di lire.
- "Guarda, non è possibile: non ho soldi".
La donna non gli lascia la mano.
- "Quanto hai, amore?" Butta la domanda, con trascuratezza,
come se la somma non le importi eccessivamente. Agli altri avrebbe
parlato diversamente, avrebbe chiesto subito cosa volevano darle,
ma la reticenza, l'inflessione di voce di Gianni le consigliano questa
tattica.
"Molto poco. Scusami". E sorride, Gianni, ma in modo che
ella senta. "E' così..."
- "Ci mettiamo d'accordo", dice la ragazza. Gli preme un
po' di più le dita sul dorso della mano e gliela lascia piano
piano. "Con me tutti si accordano".
Solo adesso si accorge che la mano di lei è gelata. Non ha
neppure i guanti. Si domanda da quanto tempo può essere lì.
Forse da ore. Ma poi chi può passare da quel budello, di notte,
e a qualche ora dal Capodanno? Però lei dovrebbe immaginarlo,
e non starsene al freddo in su e in giù sul marciapiede. E
se non fosse passato lui? Sono lì da circa dieci minuti e nessuno
è passato ancora. Lontano si sente ogni tanto qualche vocìo,
qualche schiamazzo, ma è gente che vuole aspettare la mezzanotte
a tutti i costi, e non pensa di inoltrarsi in quella viuzza e cercarsi
una donna.
- "Guarda, non posso proprio". Tenta con la voce più
affettuosa possibile Vuole che la donna capisca e gli dica: "Scusa,
sarà per un'altra volta, allora".
- "Ce ne stiamo al caldo, e passiamo assieme l'ultimo dell'anno"
invece dice, come non abbia sentito. Gli ha ripreso la mano e gliela
stringe. "Ci stai, musetto?"
Di muoversi non gli riesce, di parlare neppure. Il contatto della
mano, palma contro palma, è affettuoso, desideroso di calore,
di simpatia, e la prospettiva di passare l'ultimo dell'anno con una
ragazza giovane, bella, comincia a tentarlo. Ma, e perché poi
no? Avrebbe fatto gli auguri allo scoccare della mezzanotte ad una
donna che non conosceva e se li sarebbe fatti fare. I colleghi hanno
raccontato tante cose che si possono fare a mezzanotte, quando si
spengono le luci e ci si augura il buon anno. A lui è stato
sempre negato anche ciò. Questa donna, poi, è un po'
come lui. Sola. Passarlo insieme può significare anche aiutarla
a vincere il senso di pessimismo, di vuotezza, di cupezza, da cui
si è presi quando ci si sente soli. Ma ha veramente pochi soldi
in tasca. E lei vuole essere pagata, anzi solamente a questa condizione
è disposta a mettere fine alla sua solitudine. Non gli dispiace
che lo voglia. Deve vivere anche lei: e questo purtroppo è
il suo lavoro. Ma per lui, il dirglielo di nuovo, se mai il mercanteggiare
sul prezzo, è penoso, gli dà un senso di grande umiliazione.
- "Come ti chiami?" le domanda per prendere tempo.
- "Milena, amore".
Se avesse detto solamente Milena, sarebbe stato più contento.
Quegli appellativi, "amore", "musetto", gli danno
fastidio. Sì, Milena l'ha pronunciato con voce smorzata, più
per sottomissione che per mestiere. E gliene è grato. Intanto
lei gli tiene ancora la mano e gli fa sentire il contatto più
perché le venga un po' di calore, che per solleticarlo, per
tentarlo veramente.
- "Milena? E' un bel nome! Milena... Mila... Mila."
Gli viene il dubbio che non sia il vero nome. Ma è solo per
un momento. No, Milena non ha alcuno scopo di dirgli un nome di mestiere.
In San Pietro in Pantano, nelle case ciò è possibile,
è normale anzi, ripetono i colleghi quando s'accendono intorno
a questi argomenti, e ognuno vuoi dimostrare di saperne più
degli altri. Le donne vogliono conservarsi integro il nome di ragazza
una volta per bene, e, nelle case dove vanno, si fanno assegnare un
nome qualunque, come d'arte, Yucci, Carmen, Liù. Lo portano
per il tempo in cui vi rimangono e lo riprendono quando tornano. Sa
infatti che Defendi aveva insistito una volta, e una donna gli aveva
confidato che il suo nome non era quello stampigliato sul cartoncino
dietro la porta, e gridato dalla padrona o dalle maitresses. E l'aveva
pronunciato quasi con pudore, come se svelasse un segreto. Sono nomi
semplici, proprio di ragazze per bene, che si pronunciano senza civetteria.
Quelli d'arte invece sembrano quasi più belli, più completi,
e anche più adatti ai corpi, ai visi coi quali si portano da
una poltrona all'altra, e tentano i clienti. Lo ripetono questo nome,
a voce alta, perché gli uomini anche da quello si sentano invogliati
a scegliere ed a portarsele in camera.
- "Ti chiami proprio Milena?" domanda.
- "Sì, amore. Allora, andiamo?". E tenta di tirarlo.
- "Te l'ho detto: ho pochi soldi. Non sei capitata bene".
La donna non si fa illusioni sulla possibilità di agganciarlo.
Tuttavia per non continuare a rimanere sola, tenta ancora. La mano
lui gliela lascia, e lei sente che non è di quelle mani inerti
che volentieri si abbandonano anche quando il mestiere imporrebbe
di trattenerle. Un tepore le si propaga per il corpo e ne ha proprio
bisogno.
- "Non dire bugie. è l'ultimo dell'anno. Tutti hanno più
soldi in tasca". Cerca di ridere. "Sono un po' furba anch'io,
cosa credi? Perché dite tutti che siete a bolletta? Se guardiamo
nel portafoglio, poi troviamo quello che troviamo".
Ma Gianni deve avere solamente ciò che gli hanno dato al mattino
in fureria, prima di consegnargli il permesso. Anzi gli hanno trattenuto
una ventina di lire per alcune spese, che non ha potuto rifiutare.
- "Non mi piace dire bugie. Purtroppo è la verità".
- "Quanto mi dai?"
Cerca di portargli la mano fra la pelliccia, al caldo, fino al petto.
Vuole farglielo sentire, come a saggiare il prodotto. L'abitudine
la sta riprendendo. Meglio tentare tutte le carte, che rimanere sola.
Se le desse un somma ragionevole, ma sì, accetterebbe, pur
di chiudere in qualche modo la giornata.
Gianni sente solamente il tepore. Non si azzarda a toccare, a palpare,
a soppesare, come ha sentito che si fa nelle case dagli uomini, in
piena sala, sotto le luci multicolori. Gli sono parsi così
sciocchi, così imbecilli quegli uomini: seduti nelle poltroncine,
si tengono proprio vicino alle gambe il corpo della donna, e con le
dita dilatate provano, saggiano il petto, le anche, le gambe. Le donne,
in piedi, ridono e l'incoraggiano, fingendo qualche volta di provare
solletico. Sanno che si deve partire di là, per indurli a salire.
E accompagnano l'incoraggiamento con parole triviali, che fanno parte
del gergo del mestiere. Milena gliela tiene sotto la mammella la mano,
e lui non la ritira., Sente il tepore, ma non prova alcun solletico.
Anzi, se lei non gliela spingesse, sarebbe più contento, si
sentirebbe più uomo.
- "Sono arrivato da Corno qualche ora fa, in permesso",
dice, per chiarire di più che non ricorre a bugie. Tenta di
liberare la mano, convinto che Milena capisce. Da un soldato non si
può pretendere molto. Nelle case i militari pagano metà
tariffa, perché si sa che non dispongono di molti mezzi.
C'è il dileggio, la presa in giro da parte delle donne; ma
è tenuto a fior di labbra, con sguardi che esse si scambiano
quando sono scelte da quei ragazzi sempre impacciati, ed essi o non
se ne accorgono o fanno finta. Le donne, con qualche parolina tenera,
se li prendono per mano e li precedono per le scale, ma fanno anche
a tempo a bisbigliare alla donna addetta alla cassa qualche considerazione
sulla fortuna riservata proprio a loro. Perché, rifiutare di
salire a fare l'amore coi soldatini, è severamente vietato.
Qualche donna qualche volta l'ha tentato, ma ha rischiato di farsene
accorgere dalle guardiane e di passare dei guai. Può addirittura
perdere il lavoro in tronco. E le ragazze non vogliono assolutamente
correre questo rischio. Un mese, due mesi di lavoro assicurato le
garantisce contro le preoccupazioni economiche e finanziarie.
"Vieni, tesoro!" si limitano a dire. "Ma dobbiamo fare
presto". E così gli fa già capire che, se non le
avessero scelte, sarebbe stato meglio per loro stessi più che
per le ragazze.
"Sei soldato?" domanda Milena e gli allenta la mano. "Cosa
sei: ufficiale?" - Per adesso sono soldato. Sto frequentando
il corso". Non è per niente orgoglioso di dirlo; ma, per
la verità dei fatti, non si sente di mentire.
Milena sorride. Incontrare un ragazzo forse neppure maggiorenne, proprio
all'ultimo dell'anno! Ma forse un po' di soldi li ha in tasca, se
è allievo ufficiale. Non tutti possono andare a fare l'ufficiale.
E questo le da un po' di speranza.
- "Allora sei più giovane di quanto credevo". Gli
riprende la mano e gliela tiene. "Quanti anni hai?"
- "Vado per i diciannove".
- "Diciannove anni!" esclama Milena. Nella voce c'è
meraviglia e anche dolore. Ma a Gianni pare dispetto. Non dice niente.
Aspetta che gli lasci la mano e lo saluti.
Invece Milena riporta la mano al petto e gliela spinge contro decisamente.
-"Guarda, mi dai duecento lire e stiamo assieme".
Duecento lire?! E chi le ha duecento lire? Allora, ciò che
ha cercato di farle capire, non è servito a niente? Sì,
non sono poi tante. Ma non le ha, anche se rifà i conti. Deve
aspettare dieci giorni, lavorare come soldato allievo per dieci giorni,
per avere al mattino dell'undicesimo giorno duecento lire.
- "Non posso!" dice, dopo un tempo che gli pare lungo. Teme
che Milena si arrabbi e l'investa improvvisamente di parole poco gentili.
E ritira la mano.
Ma Milena non reagisce. Dice solamente, cercando di conservare lo
stesso timbro di voce:
- "Che? Ti sembrano tante? Son niente, tesoro, niente! A te,
perché sei soldato. Meno di cinquecento non le prendo".
Prova piacere che la Milena trovi uomini che le danno fino a cinquecento
lire. Non ci sono uomini che nelle case non badano per niente alla
tariffa e danno dieci, venti volte il prezzo stabilito? Se gliele
danno, bene per le donne. Sono riuscite a farsele avere e se le meritano.
è convinto che le donne meritano tutto ciò che chiedono
e anche di più, infinitamente di più. Anche se qualche
collega in caserma dice che quelle donne sono i "vampiri"
degli uomini, e che tutto ciò che prendono va a finire nelle
tasche di qualche ruffiano. In fondo danno il proprio corpo, sia pure
per qualche momento? Gli uomini cosa danno in contropartita? Alcuni
biglietti da dieci o da cento. L'uomo, una volta che si è servito,
paga e se ne va e non ci pensa più. Ma per le donne la giornata
continua, e di quello che è stato pagato, solo una parte, molto
piccola, finisce nel loro portafoglio. le spese della casa non finiscono
mai; ed è naturale che cerchino di farsi dare dai clienti quanto
più è possibile. Non possono trattenere per loro ciò
che l'uomo versa in più della tariffa. la padrona ha i suoi
informatori, fra gli uomini che salgono con le donne, e le ragazze
preferiscono dividere tutto l'importo, piuttosto che perdere l'ingaggio.
Ma per lui anche adesso la questione e un'altra.
- "No, guarda, Milena... io... vorrei ... " le parole non
gli vengono. Deve solamente dire che non le ha, e non sa come. Aguzza
l'orecchio, fiuta l'aria e cerca di sentire se col vento arriva la
voce o il passo di qualcuno. Gli lascerebbe il posto e Milena non
si arrabbierebbe.
Ma la donna si accorge che corre il pericolo di perderlo. Oltre al
quarto d'ora già consumato in parole, c'è il rischio
di doversi ritirare senza aver concluso proprio niente per questa
notte.
- "Questo è l'ultimo dell'anno. Non voglio stare più
a gelare. Vieni!" Gli prende la mano e lo tira verso il lato
opposto del portone.
Gianni per un momento non oppone resistenza, ma poi si ferma e la
costringe a fare altrettanto.
- "Dove andiamo?"
- "AI cinque. Guarda: qui c'è un'osteria. Andiamo di sopra.
Ci penso io. Vieni". E lo tira ancora.
Fanno quattro passi, lei sempre un po' più avanti di Gianni.
Ma proprio vicino alla porta, ben mimetizzata, egli si ferma di nuovo.
Milena dà le spalle alla porta e aspetta, tenendogli sempre
la mano. la speranza le cresce. Sente che deve avere ancora qualche
momento di pazienza. Cederà. Se lui insiste è perché
è timido, forse non è neppure mai andato con donne.
Si tratto di lavorarselo. Ma non come si lavorano gli altri uomini.
Non le capitavano facilmente dei giovani, così timidi, così
buoni e remissivi poi, mai.
Gianni guarda tutta l'ombra di lei e anche un poco dei suoi lineamenti
e si domanda ancora come farle capire che non le ha queste duecento
lire. Se tira le cose per le lunghe, la donna si arrabbierà
veramente. Ha fatto male a farsi tirare fino vicino alla porta. Avrebbe
dovuto tener duro.
- "Ti do cento lire"; dice risoluto, sicuro che la donna
l'avrebbe lasciato senz'altro.
La voce di Milena ha un'incrinatura.
- "Cento lire?!" l'investe. "Ma per chi mi hai presa?
Son giovane, sai? Tocca qui! Tocca, tocca! Senti?" E porta la
mano di lui ai seni, contro, due, tre volte, e poi alle cosce, alle
gambe, tenendosi aperto con una mano il pellicciotto.
- "Ma non è perché non te le meriti ... "
tenta Gianni mentre la mano continua a passare del tutto inerte.
- "Mi hai visto quanto hai acceso il fiammifero?!" continua
la donna, con voce ancora alta. "Son giovane, sai, e anche bella!
Vieni nel portone, amore, accendi un altro fiammifero e guardami bene".
Si richiude il pellicciotto e cerca di trascinarlo verso il portone.
Gianni la trattiene. Gli dispiace quella scena.
- "Ma non si tratta di questo ... " comincia. "Ascolta,
Milena ... " -"Accendilo qui allora, tesoro, accendilo!
Prova!"
Ha abbassato un poco la voce e aspetta. Intravede il giovane muoversi
irrequieto ed è sicura che capitolerà. Ma deve dimostrarsi
ancora un pò arrabbiata.
Invece Gianni si sente avvilito. Non lo capisce neppure Milena.
- "Ma ti dico che non è per questo!" dice di nuovo
e le mette le mani alle braccia come ultima prova di sincerità.
Le mani entrano appena nel pelo del pellicciotto. Sente due braccia
tenere, di poca carne. "Ho visto che sei carina, e sei anche
gentile, ma io ... "
- "Cento lire! " fa Milena, interrompendolo, e come se ciò
che lui sta dicendo non sia rivolto a lei. "Nemmeno la Nave Scuola
le prende cento lire! E quella lì ha cinquant'anni! Cento lire!
A me!". E si libera della stretta.
- "Ci vediamo un'altra volta", dice calmo Gianni e considera
chiusa la chiacchierata. Le cerca la mano per salutarla, augurarle
il buon anno e andar via.
Ma la donna non si dà per vinta. Gli tiene la mano, la porta
di nuovo al suo corpo e gliela fa scivolare ripetutamente sopra.
- "Guarda, senti? Questo è mio. Senti come è duro?
E palpa qui, palpa! Queste gambe sono mie, amore!" ripete intanto
con una calma un po' tradita dal suono della voce, e gli tiene la
mano ferma contro la coscia, decisa a lasciargliela attaccata fino
a quando non gliel'avrebbe toccata, sentita.
- "Ma di questo io non dico niente!" tenta Gianni, e cerca
di ritirare la mano. - "Le senti?" continua invece Milena.
"Queste cosce sono di vergine ancora! Cento lire! Un po' di coscienza!
Tocca, tocca!" La voce è concitata: di offesa ora; e a
scatti i movimenti della mano che guida quella di lui.,
- "Non c'è bisogno, ti dico" fa Gianni e per la prima
volta preme la mano. "Ma guarda, Milena, il fatto è che
... " tenta ancora. Uffa, come dovrebbe farglielo capire?
- "La conosci la Nave Scuola! Quella prende cento lire! Quella!
E non vorrai paragonarmi a lei!"
La Nave Scuola, un donnone sfiorito, che passeggia nelle ore di punta
per il Corso Vittorio Emanuele e anche per i Portici, e che cerca
di procurarsi qualche cliente. E' considerata una sfrontata dalle
altre donne, perché non si vergogna di battere il centro, e
di darsi un sacco di arie, mentre poi finisce coll'accontentarsi di
pochissimo, anche di poche lire, e senz'altro di meno di ciò
che si paga nelle case, per tariffa. Per lei, tutto ciò che
è lasciato è perduto. Abboccano solamente i forestieri,
piuttosto anziani, specie al sabato, giorno di mercato. Un tempo forse
anche carina; ma adesso molto grossa e gonfia. Con un po' di cosmetici
e con vestiti di tinte vivaci, se ne sta ferma vicino a qualche vetrina,
specie di gioielleria, girata a guardare e ad invitare i passanti
piuttosto d'età.
- "Guarda, ti giuro che se li avessi te li darei! Ti giuro che
te ne darei anche trecento. Per questo dico che è meglio che
ci vediamo la prossima volta". Ritira la mano con risolutezza
e le chiude il pellicciotto.
Ma Milena non capisce. E ancora convinta che il giovane ha parlato
così per la timidezza: per questo ha ritirato la mano, e prima
non ha voluto toccarle il corpo come avrebbero fatto gli altri uomini.
Giura poi. Be', sì, per questo c'è un po' da credergli.
Gli altri uomini non giurano. E se è lei a farli giurare, sa
già che giurano così, tanto per farla contenta, ma che
non è vero. E lei lo sa e finge di crederci, facendoci dietro
una mezza risata. Questo giovane veramente non deve averle le duecento
lire. Ma qualche cosa di meno sì: meglio insistere ancora quindi,
prima di passare ad una cifra più bassa. Da cento a duecento
ci gioca un lenzuolo intero da cento.
- "Va là!" fa, spingendolo un po' al gomito. "Dammele
queste duecento lire e stiamo assieme. Non far lo spilorcio. è
l'ultimo dell'anno. Ti faccio divertire come dico io. Mi piacciono
i giovani come te. Li tratto bene".
- "Ma come ti devo dire che non le ho?". E' seccato. "Credi
che non te le darei, se le avessi?"
Ma Milena incredula e divertita lo tira ancora.
- "Ho in tasca centrotrenta lire. Neanche una lira di più".
Ha fatto il conto. E' uscito dalla caserma con centocinquantadue lire
in tasca. Il
biglietto del treno: otto lire. No, prima uno e cinquanta al barbiere
della compagnia, e otto per il biglietto: nove e cinquanta. A Milano,
cinquanta centesimi il biglietto del tram: dieci lire. Ne restano
centoquarantadue. Due lire di
francobolli. Va bene. Sigarette per il padre? Cinque lire. Centotrentacinque.
Cinque lire per un cartoccio di salame e formaggio alla borsa nera,
per regalo
alla madre. Resto: centotrenta.
- "Se vuoi quelle ... "
Almeno adesso Milena avrebbe detto che l'avrebbe aspettato un altro
giorno. Invece lo tiene ancora per la mano e gli passa le dita sul
dorso senza parlare. Arriva il rumore d'un passo. Il vento lo porto
nitido, cadenzato, come se a camminare sia un uomo-altissimo con un
piede su un marciapiede e un altro sull'altro.
Gianni pensa che è una buona occasione per la donna.
- "Te le avrei date" dice. "Oltretutto perché
mi spiace passare per spilorcio. Non lo sono mai stato. Senti questi
passi. Arriva qualcuno. Abbordalo. Te le darà. lo passerò
a trovarti la prima volta che verrò a Milano. E ti dimostrerò
che non sono uno spilorcio". Libera la mano e la spinge piano
piano verso la direzione del rumore dei passi, contro il vento.
Milena invece rimane ferma. Guarda solo un momento nella direzione
che le viene indicata. Oltre al fatto che le brucia ricominciare un
approccio, con tutti i rischi conseguenti, si preoccupa di non prendere
il vento in faccia.
- "Centotrenta lire!?", piagnucola. "Tutti a me capitano
quelli a bolletta?! Porco ... ". E' sul punto di mettere fuori
una bestemmia, ma si ferma. "Be', scusa, ho deciso di non sacramentare
più. è difficile perdere il vizio. Da questa notte ho
deciso. Ma, amore, ho bisogno di venti lire solamente per la camera!
Che cosa mi rimane? Centodieci lire?! Sono donna da centodieci lire
io? Tutti me le danno ad occhi chiusi cinquecento. Dai, tesoro! Un
po' di coscienza! Hai sentito che ti do io? E a letto poi ... "
Gli ha ripreso la mano e cerca d'introdurgliela di nuovo sotto il
pellicciotto. Ma Gianni oppone resistenza e lei gliela tiene solamente.
Pensa che sia tempo di ridurre ancora un po' la domanda. I minuti
passano e il freddo le aggriccia la pelle dandole i dolori per tutto
il corpo.
- "Almeno dammene centottanta! Ti faccio divertire e mi dai centottanta
lire, va bene? Un chilo di burro alla borsa nera, sai cosa costa oggi?
E devo mangiare anch'io, porco di un... Be', scusa, stava per venir
fuori lo stesso. L'abitudine. Ma siete voi che ci fate bestemmiare,
brutti sporcaccioni! Andiamo con centottanta?"
L'uomo sta passando sul marciapiede di fronte. Può ascoltare
chiaramente. Per questo Milena ha scondito di più la cifra,
e ha tirato fuori quel "brutti sporcaccioni", sicura che
agli uomini fa piacere di essere chiamati così per confidenza.
- "Allora, musetto?"
- "Poteva essere una buona occasione" fa Gianni. "Potevi
forti avere anche trecento lire da quello lì".
- "Non me ne frega niente. Ho freddo e non voglio aspettare più.
Dammele tu centottanta e andiamo".
- "Non lo vuoi proprio capire? Ho centotrenta lire solamente,
neanche una lira di più".
- "E contala giusta!" Lo spinge all'altezza della spalla,
con una nuova confidenza che a lui da fastidio. "All'ultimo dell'anno
tu hai centotrenta lire solamente? Va la, mi vuoi far fessa. Di che
non me le vuoi dare! Vieni!" e lo tira. - "Te lo posso giurare",
ripete Gianni, ma sicuro di parlare a vuoto.
- "Sei giovane, ma la lingua ce l'hai già umida in bocca!
Avanti, tirale fuori. Non ti pentirai! Andiamo!" Milena gli pare
che usi la stessa confidenza che nelle case e le stesse parole. Ma
lui non è capace di adoperare lo stesso linguaggio, né
gli stessi modi. Tante volte ha sentito come le donne trattano gli
uomini: in modo confidenziale, addirittura sfrontato, gli uomini subito
si uniformano e rispondono, rincarando la dose certe volte. E le donne
le gradiscono queste risposte: si trovano più a loro agio e
apprezzano di più gli uomini perché questi colpi di
botta e risposta, sguaiati e triviali, facilitano poi in camera il
dialogo e l'accoppiamento. Certo, non con tutti adoperano queste maniere,
né tutte l'adoperano allo stesso modo; ma è vero che
pare ottengano più successo gli uomini rudi, i più triviali
che, quando per esempio la donna gli caccia la mano fra le gambe e
gli dice la parola sconcia, lui le caccia pure la mano fra le gambe
e, ridendo, risponde con una parola più sconcia. Le altre donne
guardano e ridono e seguono con gli occhi i due, che prendono le scale
delle camere. E dallo stesso contagio sono presi gli altri uomini
che, seduti, hanno assistito alla scena. Ognuno vorrebbe trovarsi
al posto dello sporcaccione fortunato. Forse s'illudono di saper cacciare
meglio la mano fra le gambe e dire parole più sconce, e con
gli occhi invitano qualche altra donna a fare altrettanto con loro.
Ma Gianni, quando ne ha sentito parlare, tutte le volte ha provato
fastidio, meglio, ripugnanza. Lui crede ancora alla dignità
della donna anche se, appena vestita, caracolla intorno alla scala
e coi veli sfiora le gambe e le facce degli uomini. E crede anche
alla dignità dell'uomo, anche se si trova lì anche lui
a scegliersi la femmina.
- "Allora! Dammene centocinquanta e non se ne parla più!"
Cerca di sbottonargli il cappotto. Gianni per il primo bottone non
reagisce, ma al secondo le prende la mano e gliel'allontana.
- "La prossima volta. Ciao Milena" dice.
- "Ma dove vai?" fa la donna ridendo. "Vieni qui, come
sei malmostoso! Centocinquanta lire!". E lo tira con forza, fin
dietro la porta dell'osteria.
E' più che mai convinta d'aver concluso il patto. E il pensiero
di avere a che fare con un giovane timido la stuzzica anche. Si sente
a suo agio e non le dispiace di passare un'ora con uno sbarbatello.
Forse non deve essere neanche brutto. Quando lui ha acceso il fiammifero,
ha appena intravisto due occhi che la guardavano: ma non ha fatto
a tempo a dare un'occhiata alla faccia e al corpo, come è solita
fare. Uno sguardo d'assieme, subito, le da la possibilità di
catalogare il cliente e generalmente non si sbaglia. A Gianni quella
specie di commedia dà sempre più fastidio. Milena deve
avere una testa ben dura.
- "Lo vuoi capire che non le ho!?" grida appena si ferma
e la donna si gira. Manda un lungo sospiro. Ma sentendosi respinta
violentemente la mano e indovinando la rabbia di Milena, continua
più persuasivo, amichevole come prima: "Aspetta qualche
altro, Milena. Ti sei fatta scappare un'occasione poco fa". Gliela
prende lui e gliela stringe. "Buona notte e auguri. Verrò
a trovarti. Ma non essere arrabbiata con me. Ciao".
Ma Milena trattiene di nuovo la mano.
- "Ma non me le merito almeno centocinquanta lire, musetto?".
Pare che pianga. "Hai sentito che tette che ho e che cosce? Prova,
tocca ancora. Dai non si sformano, senti?". Ma la mano di Gianni
trattiene quelle di lei.
- "Se voi in via Disciplini, duemila devi tirarne fuori, per
gambe come queste! Li ti danno la poltrona, ti fanno aspettare e poi
ti fregano. Due coperte: l'una sull'altra prima. E devi dire grazie.
Le conosco io le donne di via Disciplini, di via San Pietro. Solamente
una è più giovane di me. Le altre son vacche come la
Nave Scuola. E tutte lesbiche, tutte; senz'eccezione! "
Gianni non ne può proprio più. Prova dispiacere e anche
rabbia adesso. Gli nomina via Disciplini, via San Pietro; ma lui non
c'è mai stato in quelle case. L'amore è caro veramente
e se n'è tenuto alla larga. Ma gli hanno detto che lì
ci sono donne per bene, che ci vanno non per guadagnarsi da vivere,
ma solo per soddisfarsi i capricci. Ma non dice niente. Aspetta che
la donna si colmi. - "Me le dai queste centocinquanta lire?"
Si è già dimenticata della sfuriata. Gli mette le mani
ai fianchi sul cappotto e glieli stringe, cercando d'avvicinarselo
al petto.
- "Sai che non la vuoi proprio capire? Credi che sia proprio
un bambino?"
La voce vuole essere arrabbiata, ma evidentemente non gli riesce,
perché Milena ride.
- "E che cosa sei scorbutico? Va la, andiamo! Non te ne pentirai!"
- "Arrivederci" fa, liberandosi. "Domani, se passo
di nuovo con le centocinquanta lire. Lasciamo andare".
Dice una bugia. La sera appresso a quell'ora sarebbe stato bello e
disteso sul pagliericcio della camerata, fra il russare dei colleghi
e l'odore dei panni militari o le storie su quelle ragazze, bisbigliate
da una branda ad un'altra da qualche collega che, con nostalgia o
per far rabbia agli altri, ricordava le proprie avventure.
- "Aspetta ti sei offeso, amore?". Gli cerca la faccia con
le dita fredde. Trova prima il bavero del cappotto, poi tocca il collo,
poi finalmente gli zigomi. Gliel'accarezza. E' calda ed è sul
punto di lasciargliela; ma sentendo che lui non reagisce gliela tiene
e dilata le dita fina a prendergli il mento, che stringe per qualche
momento.
Gianni lascia fare. Sono fredde le mani, ma fini, delicate. Non devono
essere simili alle mani delle donne delle case. Manone, paffute, che
ogni tanto aveva sentito che si passavano sulle carni, schiaffeggiandosele
mentre le fanno vedere agli uomini. Specialmente sulle cosce o sul
sedere se le passavano le mani, o sotto i seni a farseli ballonzolare
mentre ammiccano agli uomini. Milena ha dita affusolate e il palmo
piccolo e liscio. Le sopporterebbe ancora, ma sente dei nuovi passi.
Le prende la mano e gliela abbassa.
- "No, senti: arriva qualcuno. Prova con lui. Ciao. E auguri"
dice, tenendosela nella sua. Fa un passo indietro. Ma Milena lo trattiene
ancora.
- "Vieni qua, dove vai?" La voce non è dolce. Trattiene
a stento la rabbia. "Sono stanca di prendere freddo, lo vuoi
capire? Altro che scarognata! Una nottata per centotrenta lire! Che
roba! Se lo sanno le altre, mi sputano in faccia. E tu non lo dire
a nessuno". Poi un poco più dolce: "Perché
sei un soldatino, sto qui a perdere il tempo con te. Andiamo. Mi dai
centotrenta lire e paghi
tu la camera".
- "Io! Ma lo sai " ha anche Gianni la voce dura.
C'è una nuova possibilità a portata di mano e la donna
insiste con lui! Non gli è capitato di dover sostenere una
lotta così lunga per il prezzo, neppure la prima e unica volta.
Una domanda da parte della Carmen, cento lire e un'offerta da parte
sua di settanta. E subito un accordo su ottanta, proposto dalla stessa
donna, dopo che gli aveva dato un'occhiata. Senza parlare la spinge
nella direzione dell'uomo. Può essere uno che cerca veramente
compagnia e che non baderebbe al prezzo. Un altro solitario, ma con
mezzi, a differenza di lui. Ma Milena non si muove.
- "Se l'ordini tu, te la fa pagare dieci lire quello lì;
se l'ordino io, mi frega venti lire", dice conciliante.
L'uomo s'avvicina e lui la sospinge di nuovo per il gomito.
- "Non ho una lira di più" dice in fretta. "Ti
prometto che vengo a trovarti quando ho le duecento lire. Eccolo.
Abbordalo. Noi rimaniamo amici. Dai, non farlo passare. Te li darà".
La spinge più deciso, cercando di liberare tutte e due le mani
che lei gli ha preso. Si sente veramente amico, un vecchio amico,
al quale sia permesso dare un consiglio.
- "Dai che sei in tempo!"
Ma Milena lo tiene stretto. L'uomo si ferma un momento proprio di
fronte a loro. Forse incuriosito, forse rammaricato che una donna
c'è, ma sta impegnandosi con un altro.
Si forma di nuovo un silenzio rotto solamente dal vento. Le mani di
Milena stringono di più quelle di Gianni. L'uomo, accortosi
di essere di troppo, riprende a camminare, cercando di cadenzare il
passo come prima. Appena si è allontanato, Gianni tira le mani
risoluto, ma Milena gliele tiene.
- "No, non mi lasciare", fa con una voce bassa. "Lo
vedi come sono scarognata? Me le porti domani?"
- "Che cosa?"
- "Le venti lire". -"Domani?".
- "Domani mattina, sì, musetto. Verso le undici mi trovi
qui. Se mi giuri che me le porti, saliamo. Vieni, andiamo!".
Lo tira risoluta. Gianni si sente privo di volontà e si lascia
tirare.
- "E va bene! Alle undici domani passo di qui" gli esce
dalla bocca. Ma ha l'impressione che abbia parlato un altro. Poi si
riscuote e si domanda come farà. Si ferma e tenta ancora l'ultima
resistenza.
- "E se non ci sei!"
- "Ci sono sì! E se no, aspetta qualche minuto. Vuoi dire
che sono di sopra. Ricordati: "al cinque". Non ti puoi sbagliare.
Mi aspetti qualche minuto tesoro?".
Gianni controlla. Forse fino alla mattina appresso qualche cosa potrà
succedere. Che cosa? Ma sì, qualche cosa. Meglio è non
pensarci più adesso.
- "Aspetterò", dice con un tono allegro che non si
conosce.
Si sente imbecille come quegli uomini delle case. Ma non ne prova
vergogna. Si è come svuotato. Subisce. E domani si penserà.
- "Ma non farmi il bidone", raccomanda la donna e ride anche
lei. Gli prende il mento e glielo stringe.
- "Non te lo farò".
- "Me lo giuri?"
- "Te lo giuro!"
- "Bravo. Ti credo". Gli prende la mano e se lo tira.
Gianni, buono buono, le va dietro. Non pensa già più
alle venti lire. Proprio come se non si tratti di un impegno per cui
ha giurato. E' demoralizzato.
Fanno l'uno dietro l'altro qualche passo e sono di nuovo dietro la
porta. Milena l'avrebbe spinta e sarebbero stati dentro. Ma Gianni
vuole fermarsi. Si sente improvvisamente liberato dal torpore. Preferisce
dire alla donna che, per il tempo che le ha fatto perdere, è
disposto a darle venti-trenta lire, purchè non insista ancora,
non lo metta nella condizione di assumere un debito che non potrà
pagare in alcun modo.
Milena non gliene dà il tempo. Sul punto di spingere la porta,
si è fermata e si è girata.
- "Patti chiari, amore, all'una scendiamo!" gli fa, con
voce ancora allegra, come se ciò che sta dicendo è una
cosa risaputa, normale, su cui non si deve neppure tentare di discutere.
- "All'una?! "
E s'accorge che anche a lui sta succedendo qualche cosa di simile
a ciò che ha sentito raccontare. Una scenetta comica o grottesca,
a seconda del punto di vista da cui la si osserva o la si giudica.
Nelle case, la donna scende avanti. Bestemmia a fior di denti contro
l'uomo che le viene dietro, si avvicina alla padrona e le riferisce
che il "signore" (e l'indica con gesto rimarcato) non vuole
pagare quanto hanno pattuito. Il "signore", che si è
trattenuto a mala pena fino a quel momento, congestionato, sbotta
e in presenza di tutti conferma di non voler pagare, perché
la colpa è della donna.
- "Dovevo rimanere un'ora: questo era il patto!" si giustifica.
- "Bè, non siamo stati un'ora?" mentisce la donna
e finge di controllare l'ora sull'orologio grande alla parete.
- "No, trentacinque minuti", ribatte l'uomo e fa vedere
il suo orologio al polso.
- "Ma che vuoi?! T'ho fatto fare quello che hai voluto? E cosa
sono cinque minuti, pidocchio?!" sbotta la donna.
Allora si accende il solito battibecco. Interviene flemmatica la padrona,
o la sua aiuto. Prende la donna per le spalle e la spinge apparentemente
con garbo, nella sala grande.
- "Non voglio storie nella casa! Vadi di là, signorina!"
E la donna saltellando per frenare la spinta, fa a tempo a lanciare
all'indirizzo dell'uomo qualche altra parolaccia ("pezzo di culatone",
o "pederasta", oppure "cornuto"), in modo che
lo senta. Poi la padrona, avocando a sé tutta la questione,
invita il cliente a seguirla e se lo porta nel suo ufficio, dove l'indurrà
a scendere all'accomodamento.
- "Perché, amore?" si sente domandare. "E che
vuoi che facciamo di più?" Milena ha un tono di voce mezzo
canzonatorio e mezzo agro.
- "Ma io credevo ... " tenta Gianni. Ma Milena non gli dà
il più piccolo segno d'incoraggiamento! "Ma non so ...
", conclude.
- "Ehi! dì! sono le undici, lo sai? Ti faccio divertire
per due ore, che vuoi di più per centocinquanta lire!"
dice risoluta.
Le undici veramente sono passate da parecchio. Ma Gianni pensa che
è opportuno non farglielo rilevare.
"Ma io credevo proprio ... ", ritenta.
"... di rimanere fino alle undici di domani, tesoro?!" Milena
pronta.
"Se non fino alle undici, potresti farmi restare almeno fino
alle sei".
"Ma tesoro!" ride Milena. Gli prende la mano e gliel'accarezza.
"Ho diritto anch'io di dormire, di riposare, no?". Ha un
accento melato, da giudiziosa. "Non ti pare?".
Gianni non risponde. In fin dei conti, centocinquanta lire (e tante
bene o male avrebbe dovuto pagarne) non sono mica un soldo. In Chiaravalle,
in Pantano, per tre ore, se si fosse deciso ad andare, avrebbe pagato
circa due terzi di quel prezzo. Con centocinquanta lire, altro che
avrebbe potuto pretendere! Sì, non è proprio lo stesso
caso. Milena non è proprio una di quelle donne, ma in fondo
visto che lo tratta male, meglio a dirglielo chiaro e netto o ad andarsene.
Sta diventando per lei una questione di puntiglio quasi. Proprio come
uno di quegli stupidi punti lì da cui si lasciano prendere
gli imbecilli che scendono le scale, piano piano, dietro le donne,
e si fanno sacramentare appresso. Ma per fortuna Milena interpreta
il silenzio diversamente.
- "Andiamo, vieni. Ti faccio divertire, e all'una ci lasciamo",
dice con la voce di prima.
Non vuole opporre resistenza, ma almeno potersi fermare fino alle
quattro. Sarebbero stati circa cinque ore. Sarebbero potute bastare
per conoscersi un pò, e non avere l'impressione di essere stato
con una donna perché se l'è pagata. L'amore non gli
interessa. Forse non l'avrebbe fatto neppure. Dipende dalla corrente
di simpatia che avrebbe saputo suscitare in Milena. Parlare, far parlare,
e convincerla di quello che lui desidera dalla donna. E se Milena
capirà, se sarà un pò diversa dalle altre donne,
l'amore avrà uno scopo e lo farà. Poi sarebbe tornato
a trovarla ancora. Non più come lo sconosciuto che si sente
fermato e che deve stare a pattuire il prezzo per mezz'ora. Quando
sarebbe scappato a Milano, le avrebbe fatto visita. Gliel'avrebbe
detto tutte le volte quando sarebbe tornato, lei l'avrebbe aspettato
e l'avrebbe amato. Ma innanzi tutto è necessario crearlo questo
clima.
- "Milena, stiamo almeno fino alle quattro", la prega. -
"Ma a far che?" domanda seccata Milena.
- "Ma... così".
- "Dai, non fare il pignolo. Vedrai che dopo un paio di ore avrai
sonno anche tu".
- "Di questo non ti preoccupare. Per me sono sicuro che non avrò
sonno". - "Ma dì, sei stato mai con qualche donna
tu?". Più che incuriosiva, si sente preoccupata.
- "Mah, credo di sì ... " farfuglia.
- "Davvero? Oppure hai aspettato l'ultimo dell'anno per venire
a farti sverginare?". Arriva una nuova ventata. Gli prende la
mano e gliela tiene. "Dai andiamo. lascia fare a me".
CAPITOLO III
Milena spinge
la porta, ma è chiusa dal di dentro. Ha un piccolo moto di
dispetto, ma subito stringe la mano a Gianni per rassicurarlo.
- "Un momento, amore. Adesso verrò". E bussa piano
piano. - "Che via è questa?
- "Via Falcone. Come non lo sai?" -"Via Falcone!"
- "Non sei di Milano?"
- "L'ho fatta chissà quante volte!"
- "All'angolo, lì, svolti a sinistra, e sei in Piazza
del Duomo. E' facile. Ma come mai non viene ad aprire?". E bussa
di nuovo, più forte. "Mi fa gelare anche lui".
- "E quest'osteria come si chiama?
- "Al cinque. Ma non c'è bisogno che te lo ricordi. è
l'unica, proprio di fronte alla chiesa. Guarda, di la, c'è
la porta d'ingresso di San Satiro. Ma questo disgraziato che fa? Se
n'è andato a dormire?!". E bussa ancora più forte.
"Quando non ne hai di bisogno, è qui e quando invece deve
far presto, non sente". Ma cambia tono. Gli stringe sempre la
mano: meglio, con le sue dita fredde preme il palmo di Gianni. "Vedrai
che tutte le volte che verrai a Milano, verrai a trovare Milena. Tutti
i miei clienti mi cercano. Una volta che sono stati con me, non mi
fanno più le corna. Di pericoli con me non ce n'è. Ci
tengo più io".
- "E perché no? Al cinque! Tutte le volte, so dove trovarti:
verrò".
- "Grazie musetto".
Ma nessuno viene ad aprire a Milena bussa e scuote la porta.
- "Ma dobbiamo entrare proprio di qua?" le domanda, ma per
curiosità.
- "Sì; amore, facciamo prima". Picchia ancora e forte.
"Ma non si sarà mica addormentato veramente? Strano, è
sempre sveglio, peggio d'un gatto la notte! Per la scala interna arriviamo
prima e c'è un po' più di luce. lo passo delle ore al
buio qua fuori, però non ci vedo niente lo stesso. Certe volte
vado a sbattere contro qualcuno senza volerlo".
- "Bisogna stare attenti".
- "Altro che! Fai presto a cadere, a farti male, e non ti paga
mica il governo. Ma forse sta arrivando". E bussa piano questa
volta.
Si sentono dei passi lontani, di piedi trascinati per terra, e alcuni
colpi di tosse catarrosa. Poi un paletto di ferro striscia per un
momento e la porta si apre. - "Ah, sei tu?"
Ma Milena neppure risponde: rimane nel vano della porta aperta a metà
e attende che l'uomo si faccia di lato per passare.
Gianni, dal marciapiede si sporge per vedere l'uomo. Non è
mai entrato in un'osteria vera e propria e di essa ha un'idea tutta
particolare. Crede che si diano convegno non solo i fannulloni, gli
scansafatiche, ma anche quegli uomini che poi la sera e la notte svolgono
attività di ladri e rapinatori. Ce ne sono di osterie vicino
a casa sua, il vecchio centro, il primo nucleo abitato di Milano,
e molte volte si è fermato fuori qualche momento, sempre pronto
a proseguire, se gli avessero chiesto perché sta guardando
nell'interno. in qualcuno ci sono anche delle donne sedute in compagnia
di uomini, o sole, e ogni tanto qualcuno esce sulla porta, guarda
da un lato e dall'altro e poi finge di accorgersi di lui e gli chiede
se vuole salire con lei. E lui tira via, facendo col dito un cenno
di diniego. E se c'è passato di sera, quando andava a scuola,
ha sentito odore acre di aceto e di fumo venir fuori assieme ad un
vocìo indistinto e a fiotti di luce gialla densa, come di nebbia
illuminata.
- "Buona sera, Romeo," si decide a dire Milena.
- "Buona sera a te". La voce dell'uomo è roca e se
l'è dovuta schiarire due o tre volte prima di rispondere.
Piuttosto grasso e basso, molto bruno, nonostante il cerchio di capelli
solo intorno alla testa, può dimostrare una cinquantina d'anni.
Si fa di lato e aspetta vicino alla porta aperta, non preoccupandosi
della luce che corre per una larga fascia nella strada, né
del vento che va ad agitare la carta posta sulle scansie come frangia
ritagliata e ricamata.
- "Andiamo su" dice Milena e tira per un momento Gianni.
Non guarda neppure l'oste. Da solo un'occhiata d'insieme alla sala
come a sincerarsi che non ci sia proprio più alcun avventore.
L'uomo risponde con un mugolìo, seguendola con gli occhi; poi
chiude la porto con calma.
Gianni ha detto anche lui "Buona sera" e ha cercato di guardare
bene l'oste e di farsi guardare. Ma l'uomo non gli ha rivolto gli
occhi, neppure quando gli è passato davanti. La faccia dell'uomo
ha qualche cosa di sfuggente.
- "Buona sera" ripete Gianni con voce ben scandita. Oltre
tutto, gli pare l'unico modo per ambientarsi un po'.
L'osteria è vuota e i tavoli sono ben ordinati a lato e in
fondo alla sala. Sulla destra c'è il banco di mescita, alto,
al quale lui ci arriva appena.
- "Buona sera anche a lei" risponde adesso, mentre sale
sulla pedana dietro il banco.
Ma sì, qualche cosa di losco, di sporco ce l'ha. Come ce l'hanno
tutti questi tipi che hanno adibito le loro locande a stanze per fare
l'amore. Modo più facile e più comodo per fare quattrini.
L'aveva notato anche nei modi di fare dell'oste, la prima volta che
era salito con la Carmen al primo piano della locanda di Piazza Verziere.
Guarda meglio l'uomo, con una curiosità quasi sfrontata. E'
fermo dietro il banco, quasi sotto una luce che piove da una lampada.
Il modo di guardare è di padrone. Aspetta, passando gli occhi
da lui a Milena che gli è di fronte, al di qua del banco e
sta zitta. Allora porta lui gli occhi su Milena e vede che aspetta
a sua volta disarmata: da serva. E' giovane e veramente bella. Uno
sguardo mite, buono, in un occhio celeste.
- "Documenti?" si sente domandare dall'uomo. Si gira come
se la domanda sia stata rivolta ad un altro. Prova fastidio, quasi
nauseo. Forse perché non ha pensato a questa formalità
umiliante.
Sa che anche alle porte delle case bisogna esibire certe volte il
documento. Là c'è sempre un donnone alla porta che li
controlla, certe volte con una lente d'ingrandimento, che tiene a
metà distanza fra gli occhi e la mano tesa in basso con la
carta aperta.
Guarda l'uomo come a fargli capire che ha compiuto da un pezzo i diciott'anni.
Ma sente la voce di Milena.
- "Hai la carta d'identità, tesoro?". Ha un tono
di scusa e anche di dispetto. - "Credo di sì". E
si mette a cercarla. Poi la porge all'uomo e aspetta che la guardi,
la controlli e gliela restituisco. Ma l'oste la piega e la mette sotto
un bicchiere vuoto, sulla scansia. Allora tende la mano verso la corta.
- "Ve la restituisco quando scendete. E' lì, nessuno la
tocca", gli fa l'uomo senza badargli troppo. Poi, rivolto più
a Milena: "Accomodatevi. Prendi la cinque, Milena".
- "Va bene". Ma fa una faccia scura, per qualche momento.
"Vieni, musetto". E se lo porta per mano.
L'uomo rimane a guardarli, come se non gl'importi di quello che vanno
a fare. Aspetta che scompaiano. Milena va in fondo alla stanza e per
una porticina sale i primi gradini. Poi si ferma improvvisamente e
sporge la testa.
- "Allora, buona notte, Romeo". E riprende a salire.
- "Buona notte a voi". E' vicino alla porta d'ingresso,
e sta accertandosi d'aver chiuso bene.
Gianni dice anche un "buona notte", ma così, solo
per dovere, mentre sale un gradino dietro.
Le scale sono alte, ripide, e di pietra lucida, consumata dall'uso.
Chissà da quanti anni c'è quella locanda. "Al cinque!"
Come un ritornello se lo ritrova sulle labbra. Al cinque! Al cinque!
Milena: al cinque. E lui Milena, al cinque e lui! Che capita senza
un piano prestabilito in quel budello di strada, e adesso sta salendo
la prima rampa di scale di una specie di postribolo. E proprio di
fronte alla porta della chiesa, vecchia di secoli anche lei, quieta,
addormentata, nel silenzio della notte. Ma, chissà perché,
ci sono strade che facciamo sempre e strade che non facciamo mai!
E se mai, sono vicine, parallele! Lui per andare a scuola ha fatto
sempre Piazza del Duomo, via Orefici, eccetera, e quella stradetta,
di fianco, l'ha sempre evitata, ignorata. Eppure per quella strada
avrebbe fatto, avrebbe tagliato mica male. Forse perché è
stretta! No, non lo sa. Intanto, se l'avesse fatta, si sarebbe accorto
di quello "Al cinque", sarebbe rimasto anche lui sul chi
vive. Intanto continua a salire dietro a Milena, che procede piano.
Forse è più vecchia della casa dove abita lui, che è
quanto dire. Ma le pareti qui sono sporche, nere di polvere. Forse
dipende in parte dalla luce che cala da una lampadina incappucciato
in carta azzurrognola, sotto il soffitto del pianerottolo.
- "Sono scale vecchie, tesoro. Sta attento che, se non metti
il piede bene, puoi scivolare".
Milena sale con apparente disinvoltura, ma i gradini alti devono affaticarla,
nonostante che si aiuti al corrimano di ferro, freddo. Quando è
in cima, emette un sospiro lungo e un'esclamazione.
- "Siamo quasi arrivati, musetto".
Pare orizzontarsi e poi si dirige verso un corridoio. L'odore sgradevole
perdura, di orina ed escrementi di gatti. in fondo al corridoio c'è
una porta. Milena si ferma e guarda in alto. Si legge appena il numero
cinque.
- "Ecco, questa dev'essere la nostra. Ci leggi cinque, tu?"
Ai lati ci sono altre due porte, e Gianni riesce a leggere i numeri
tre e quattro. Pensa che forse sono occupate da donne come Milena.
Non si sente alcun rumore, né da sotto le porte filtra luce.
Al basso, l'uomo ha finito di camminare. -"A me pare che sia
cinque, anche se non si legge bene".
Milena rimane indeciso dietro la porta.
- "Proprio questa dovevano darmi! E' sempre lo stesso!"
Poi gira la maniglia e la spinge.
- "Entra, musetto".
Porta la mano a lato della porta e gira l'interruttore. La luce non
è molta neppure qui. L'odore è di tanfo, acuto, irrespirabile.
Muffa, chiuso e mobili vecchi, tarlati.
Neanche la stanza della Carmen aveva quell'odore: era grande, bianca
di calce e piena di luce. Forse perché era il mezzogiorno?
Ma no, era veramente grande e pulita. E il pavimento era di piastrelle
rosse e bianche, quasi lucide. Invece c'è un pavimento di legno,
colar terra, ingobbito, e lo sporco e la polvere, anche se non si
vedono, si possono sentire.
Milena all'odore è abituato. Ha dato uno sguardo alla stanza
e ha provato un senso di freddo acuto. E' veramente la stanza più
fredda. Dà a nord e il sole vi batte appena per mezz'ora quando
sta per tramontare. Non ha insistito coll'uomo, perché vuole
pagargliela sette lire e mezza, a costo di litigare. Ma adesso se
ne pente. Qui non ci sono neppure le comodità che nelle altre:
il paravento, un bidé, uno specchio decente. E' proprio una
stanza di fortuna, che quello strozzino dell'oste dà quando
immagina che le clienti vorranno risparmiare sul prezzo.
- "Entra amore!", dice e aspetta.
- "Prego, passa pure", risponde Gianni per prendere tempo.
E delicatamente la sospinge per il gomito.
- "Grazie, musetto. Sei gentile!". Si ferma a guardarlo
un momento ed, entrando, gli sorride. è un'attenzione cui non
è più abituata. Gli uomini appena arrivano vicino alla
porta non si fanno neppure invitare ad entrare: la precedono come
se siano di casa. Vanno subito fino al letto e con le mani e le ginocchia
lo provano.
Gianni l'ha guardata meglio. è carina. E adesso poi che ha
sorriso è anche semplice. Ha l'impressione che tutti e due
siano capitati lì per caso, per un errore e che debbano tornare
subito indietro.
Milena non sa che fare, da dove cominciare. le donne nelle case, raccontava
Costanzi una settimana prima in camerata, dispongono di stanze arredate
bene, accoglienti e anche profumate. Vi entrano per prime e sulla
porta, dando ancora le spalle all'uomo e cominciando a slacciarsi
il reggiseno, gli dicono di sbrigarsi, e di non togliersi i calzoni,
perché è inutile. Poi aspettano il cliente vicino al
lavabo, nude, con la luce che arriva da sopra lo specchio. l'uomo
è un fantoccio, un automa che si guarda nello specchio, mentre
la donna calata su di lui lo lava. Se tenta di prenderle il seno,
o di passarle le mani sui fianchi, tanto per darsi un contegno, la
donna si scosta, con la scusa di cercare il tovagliolino di carta.
Qui invece Milena l'ha guardato con simpatia e pare che gli chieda
con gli occhi di aver pazienza per questa accoglienza. A lui pare
una ragazza come tante altre, di quelle che al mattino aveva visto
raggiungere frettolose l'ufficio o il negozio.
l'occasione di farsi una ragazza, un'amica! Non gli è mai capitata!
Come avrebbe potuto? Tutto ufficio e scuola, dice la madre qualche
volta con una punta di orgoglio. E adesso la caserma e la guerra!
Ma aggiunge, "Povero figlio". Sì, altro che povero
figlio! Come sente il bisogno di avere una ragazza anche lui! E come
l'ha sentito, specialmente verso i diciassette anni! L'occhio si era
fatto attento: lo notò dentro di sé i primi tempi con
curiosità e piacere. Cercava di guardarle le ragazze, di contemplarle,
mentre il desiderio di conoscerle e di parlarle si faceva maggiore,
urgente in lui.
Vicino alla bottega di calzolaio c'era una scuola e un'altra ce ne
fu vicino all'ufficio. Quando era l'ora dell'entrata e dell'uscita
delle ragazze, egli, se si trovava fuori, si affrettava a scomparire
nella bottega o nel portone dell'ufficio. Temeva di farsi vedere.
Se mai di là poi, defilato, le vedeva passare e provava a guardare
e a scegliere quella che credeva sarebbe andata bene per lui. Il timore
di farsi vedere arrivava al punto che, quando le incontrava fuori
e non poteva nascondersi e scomparire, affondava le faccia nel libro
che si portava sempre aperto avanti. Così il momento di trovarsi
una ragazza l'aveva sempre differito, poi lentamente aveva capito
che si illudeva anche su questo ed aveva imputato la colpa alla timidezza.
Ed è arrivato a diciannove anni senza conoscere il vero amore,
senza poter trovare una ragazza che lo sproni a studiare e a lavorare,
che gli dica qualche buona parola per i suoi sacrifici, e che gli
faccia un po' di coraggio quando è depresso.
Ma Milena non ha niente della prostituta. Vorrebbe dirle qualche altra
parola gentile, ma riesce a dire solamente, un pò impacciato:
- "Con così poco non è difficile".
Entra dietro di lei e spinge la porta. Si accorge che non c'è
né la chiave né il paletto di ferro.
- "Non ti preoccupare. Non viene nessuno. Ma se vuoi, mettici
la sedia dietro. Qui siamo in Siberia". E siccome lui non sa
decidersi: "No, non mettere niente. Siamo soli quassù.
E lui sarà andato a dormire. Possiamo far ballare anche i topi.
Se Lucietta ne ha lasciato qualcuno vivo ancora. Lucietta è
la gatta, non ti credere. Non l'hai vista da basso, sulla sedia?"
- "No, non ho fatto caso. Ma non c'è nessun altro qua?"
- "No, amore. Solamente io voglio fare gli straordinari. Ma tu
non ridi mai?! Almeno così la vita è più facile.
Ma il mio lavoro è in proprio e non c'è tempo per gli
straordinari. Si deve fare quando capita. Ma ridi un poco almeno!".
- "Anche la notte di Capodanno!"
- "Anche la notte di Capodanno, amore!"
Deve spogliarsi e, al solo pensiero, le aumentano i brividi. Un letto,
qualche cosa di meno che a due piazze, e messo di traverso fra la
porto e una finestra piccolo, oscurato con dei fogli di carta di pasto.
Va al di là del letto e si toglie il pellicciotto, lo ripiega
con cura e lo pone su una sedia ai piedi del letto. Guarda il giovane
e vede che sta ancora cercando di chiudere la porta.
- "Ma mettici la sedia dietro, tesoro! Hai paura? Non verrà
nessuno".
Gianni la lascia socchiusa e guarda in giro. Non si decide ad avanzare.
Tutto sa di provvisorio, di fortuito, di luogo in cui non sarebbe
concesso fermarsi neppure dieci minuti.
- "E' un po' fredda, ma sotto ci scaldiamo, eh, musetto?"
Indica il letto e solleva un po' la coperta di seta sfilacciata, d'un
color rosa sporco, che pende senza simmetria fino a terra. Poi, le
mani ai fianchi, tenta di tirarsi su il vestito. Ma ha un brivido
e lo lascia ricadere.
Prende tempo.
- "Io mi metto di qui. Sarò più vicina a questo",
e indica un catino di smalto sbreccato per terra vicino alla finestra.
Accanto c'è una brocca anch'essa di smalto, sbreccata. Poi,
riprende tutto il coraggio, si tira di nuovo su il vestito e se lo
toglie. Dà un guizzo e mugola. Si frega le mani e poi con le
mani, in fretta, molto in fretta, le braccia, i fianchi.
- "Che freddo! Mamma mia! Mi hai fatto gelare". E guarda
Gianni.
Egli, dall'altro lato del letto, si sbottona lentamente la camicia
e non sa che cosa deve fare. Ogni tanto ha guardato Milena, ma adesso
non le alza gli occhi in faccia. Teme di vederla spogliarsi.
La delusione che ha provato la prima volta! la Carmen, appena in camera,
s'era spogliata di un capo dietro l'altro, in fretta e senza grazia,
e gli era apparso un corpo grosso, con due seni cadenti e una pancia
rotonda bassa, quasi di donna incinta. E nelle case, ha sentito ripetere,
succede lo stesso. le donne, appena chiudono la porta, si portano
le mani ai fianchi o dietro e aprono gli automatici che tengono la
gonna di veli. Rimangono ferme per qualche secondo e la gonna si affloscia
intorno alle gambe. la scavalcano e si abbassano a raccoglierla. Poi
è la volta del reggiseno, se l'hanno, e sono già pronte:
di fronte al cliente, gli ripetono di far presto.
Si trastulla coi bottoni della camicia. Sa che chiederlo a Milena
sarebbe puerile. Forse gli direbbe di fare come vuole, oppure di non
spogliarsi, oppure di togliersi solamente qualche capo.
Si sente guardato e questo fa crescere il suo imbarazzo. Finalmente
si toglie la camicia e rimane in canottiera. Milena ha un brivido
più lungo.
- "Mi fai venire freddo solamente a guardarti! ".
Gianni sorride. Nonostante queste parole, Milena non dimostra di stupirsi.
Deve continuare? Ma lei perché si è fermato e non continua?
Almeno faccia qualche cosa, entri nel letto, si muova, e non se ne
stia lì di fronte ad osservarlo.
Si soffrega continuamente le braccia, le gambe, i fianchi, e aspetta.
Teme proprio che lui si spogli completamente. In altri momenti, in
altre circostanze, non le sarebbe importato proprio niente un giovane
tutto nudo nel letto: a meno che fosse stato sporco e avesse mandato
cattivo odore. Ma adesso ha paura del freddo che lui, così
spogliato, le avrebbe propagato.
- "Ma che fai, amore? Non ti spoglierai mica tutto!".
- "Come, mi spoglio tutto!" fa e la guarda.
- "Avrai freddo, dentro, musetto, e lo darai anche a me. Almeno
avessi la maglia pesante!"
Si è sbottonata senz'accorgersene il golfino. Adesso se lo
vede aperto e si affretta ad abbottonarsi il primo e l'ultimo bottone.
Parla con le labbra così strette e gli occhi sono così
imploranti che Gianni si sente commosso. Ha ragione. Non si sarebbe
spogliato. Ed è poi quello che desidera anche lui.
- "Non aver paura del freddo" dice però, per giustificare
la canottiera. "Lo sopporto. Anzi un po' di caldo te lo darò
io". Crede che Milena sia come il fratello, col quale la notte
dorme spalla a spalla per darsi calore a vicenda, quando il freddo
è più intenso.
- "No, tesoro, dentro si gela!".
Sale con le ginocchia sul letto, ma il pensiero del freddo che l'attende
non la fa decidere.
La sottana di seta azzurra tirata fin sulle ginocchia mette in mostra
le calze di seta un po' allentate ed un po' della coscia. Rimane indecisa,
facendo scorrere gli occhi su tutto il letto.
Gianni si sta slacciando le scarpe. Si gira a guardarla e la vede
pronta per entrare nel letto. E' veramente bella: una figura alta,
magra, ma ben proporzionata. La luce cade dalla lampada al centro
del lettone, e l'illumina in pieno. Gli occhi azzurri, lucidi, i lineamenti
regolari, con la curva della mascella chiusa al mento, un po' appuntito;
i capelli scuri, quasi neri, lisci e tirati indietro. - "Anche
tu non ti spogli?" le domanda, ma come per fare una constatazione.
Milena alza gli occhi, come se si svegli.
- "Queste me le tolgo dopo" dice con voce che vuole comprensione.
Indica la sottana e il golfino. Si soffrega ripetutamente.
- "Brr.. sono gelata!"
Poi sente che lui fa cadere le scarpe e si ricorda di qualche cosa.
Scende dal letto a malincuore, va vicino al catino e aspetta.
- "Fatti vedere. Vieni di qua". Gianni crede opportuno togliersi
i calzoni: in maglietta e in slip le va vicino. Lei lo guarda come
a scoprirlo per la prima volta. Gli fa, ma tanto per mascherare in
qualche modo la sorpresa che prova dinanzi al corpo di lui:
- "Ti sei tolto anche i calzoni?" -"Non avrei dovuto?"
- "No, no, hai fatto bene. Ma se avrai freddo, la colpa non sarà
stata mia. Vieni qui ora. Fammi vedere". Assume un'espressione
dura, annoiata. Lo prende per il braccio e se lo avvicina. Comincia
a guardarlo.
Gianni non ha avuto il coraggio d'opporsi. Milena ha diritto di controllare,
di vedere prima di darsi ai clienti. Rimane in piedi, e guarda i capelli
neri di Milena, che hanno improvvise lucentezze appena muove la testa.
Vorrebbe appoggiare la mano su quei capelli e accarezzarglieli. E
vorrebbe dirle qualche cosa per farla smettere, per tranquillizzarlo.
Ma forse la donna non l'avrebbe creduto. Si sarebbe insospettita,
avrebbe pensato che vuole distoglierla perché veramente ha
qualche male. Nelle case, quando le donne portano i clienti vicino
al lavabo, c'è sempre qualcuno che si permette di rassicurarle.
- "Guarda pure, però con c'è bisogno".
Ma le donne non gli credono e guardano lo stesso con meticolosità.
-"Caro te, si fa presto a prendersi una fregata! Ecco fatto!"
- "So che non ce n'è di bisogno", gli fa Milena come
per rassicurarlo, "Ma così, per precauzione. Girati più
alla luce, musetto".
Gianni si lascia fare. La donna, ginocchioni per terra e protesa col
busto più verso la luce, non smette.
Allora prende il coraggio e le passa la mano piano piano nei capelli.
Li sente lisci e caldi. Non la guarda. Guarda la parete per non vedersela
così piegata avanti. C'è sul comò uno specchio.
Si guarda dentro per un solo momento. Gli pare così ridicolo
quell'altro suo io, che ne prova rabbia e disgusto. Guarda la schiena
della donna, ma non arriva fino alle mani lei. Gli pare che stia compiendo
un'operazione disgustosa non sul suo corpo, ma sul corpo di un altro.
Milena, abbassandosi ha fatto a tempo a vedere che le ginocchia di
lui sono pulite e a sentire che dal suo corpo emana un odore di caldo
e di sano. Aveva ritenuto superfluo visitarlo, tuttavia dal momento
che si è inginocchiato, meglio andare in fondo all'operazione.
Era così difficile capitare con un uomo oltretutto un po' pulito.
Erano sporchi anche quelli che meno se lo sarebbe aspettato e l'odore
di rancido le da fastidio, anche se ha tentato di abituarsi. -"Bene,
musetto", dice alzando gli occhi fino a lui. "Ecco fatto".
Si accorge che non la guarda e ne ha piacere; ma la mano che lui le
ha tolto dai capelli vorrebbe che ci rimanesse. Fa leva sulle ginocchia
con le palme e si solleva.
Lo spinge piano piano e gli dice di ficcarsi nel letto, ma senz'andare
dall'altra parte.
Gianni la guarda un momento e lei gli sorride. Fa un salto e si caccia
sotto. - "Non troppo in là, musetto. Vieni più
vicino".
In piedi si è sbottonata i due bottoni del golfino e in fretta
se lo toglie. Poi di corsa s'infila anche lei nel letto. Batte i denti
senza interruzione. Gli si avvicina tutta, facendosi piccola il più
che può e lo attira, passandogli le braccia dietro le spalle.
- "Fa freddo, amore. Vieni vicino vicino. Oh, che gelo!"
Gianni ha fatto in tempo a vederle le braccia e le spalle bianche,
nude. Poi se l'è sentite vicine, calde, benchè Milena
tremi ed emetta brividi. Neppure adesso prova il minimo senso di erotismo.
Gli pare un fatto inverosimile essere stretto dalle braccia di una
donna. Prova una specie di pace, che da tempo ha desiderato. Capisce
che Milena l'attira perché ha bisogno di calore, ma spera che
ad un certo punto, quando non avrà più freddo, lo stringerà
per lui stesso, per le attenzioni che le dimostra. Per aiutarla a
riscaldarsi, a farla diventare quella che lui desidera, cerca di fare
aderire tutte le parti del suo corpo al corpo di lei. Vuole passarle
tutto il caldo che ha, perché cessi di battere i denti e di
rabbrividire con tutto il corpo. Non l'ha ancora stretta lui: non
gli riesce. La posizione è talmente nuova, impensata, che teme,
se tenta di rompere questo inizio. Si fa stringere e cerca di far
aderire le sue carni a quelle che Milena porge a lui, come Gianni,
ma al suo corpo, ad un corpo caldo, che può trasmettere un
po' di calore.
Nelle case, sa che le donne indicano il letto e invitano l'uomo senza
parlare a mettersi supino. Poi gli si accoccolano vicine e in quel
modo, ancora più grottesco, incomincia l'amore. Se l'uomo tenta
di toccare le spalle, le braccia, il seno gli è ingiunto di
star buono, perché col prezzo di dieci minuti d'amore non è
concesso "palpare". L'uomo, se non vuole litigare, fa ricadere
la mano sul lenzuolo e subisce le prove della donna. Chiude gli occhi
o guarda il corpo della donna destreggiare e contorcersi su di lui?
Milena gli è vicina, tutta vicina, non nuda completamente,
come le altre donne delle case, ma pure stretta a lui, anzi è
lei che lo stringe.
Dà brividi ed emette qualche mugolio, ma la considera già
un po' cosa sua, una persona sua, cui dare un po' di protezione, di
aiuto. Sa che finirà presto questo stato di possesso, ma adesso
si tratta di renderlo il più lungo possibile.
CAPITOLO IV
Milena fa forza
su se stessa per smettere di mugolare. Si accomoda un po' meglio contro
il corpo di lui e lo stringe di più per far cessare del tutto
i brividi. - "Le lenzuola sono umide, fredde: senti? Sono vicina
a te, tutta vicina. Mi vuoi? Così ci scaldiamo".
Ci mette anche un pò di civetteria, per tenerselo buono e cominciare
ad invogliarlo. Ma Gianni cerca di non badarci.
Nelle case succede che la donna d'inverno faccia aderire i seni sul
petto dell'uomo. la camicia evita di sentirli direttamente, ma quel
contatto ottiene lo scopo di solleticarlo. La donna dice anche qualche
parola civettuola, ma sempre con riferimento al freddo che sente.
Come se quello strofinio debba darle un po' più di calore.
Ma egli adesso desidera solamente scaldare, sentire cosa sua tutto
il corpo di Milena che aderisce al suo, tranne la parte inferiore.
Non lo sfiora neppure l'ombra del desiderio. Le mette le mani dietro
le spalle per darle maggior calore. Ma Milena ha un moto di brivido
maggiore e si scuote.
- "No, no, non mettermi le mani dietro la spalla! Sono fredde,
tesoro! Riscaldale prima. Si, così, brr... Si gela!".
Chiede scusa. Milena non ha capito. Quel "riscaldale prima"
gli fa credere che è disposta a subire l'abbraccio, ma a patto
che faccia passare qualche momento, prima, per dar modo alle mani
di intiepidirsi. Eppure non se le sente fredde.
Qualche momento di silenzio.
Milena si sforza sempre di non tremare. Ci riesce per poco, ma poi
riprende a tremare più di prima.
L'umido delle lenzuola le entra nelle ossa, specialmente nelle braccia
e nelle spalle. E lo sente anche attraverso la sottana di seta, che
le è rimasta in qualche parte sollevata, nella fretta di mettersi
in una posizione qualsiasi e di non cambiarla più, per fare
una buca di caldo. Rimane abbracciata al giovane, del quale sente
il calore delle braccia e del petto sulle parti gelate del suo corpo,
e gliene è grata. Altre volte, se ha abbracciato qualche corpo
di uomo, l'ha fatto controvoglia. Già lo sporco delle gambe,
i peli del petto, la predispongono male. Dalle ascelle e dal petto
dell'uomo, anche attraverso la camicia o il gilè, arriva un
odore che la nausea. E allora lentamente, armeggiando per non farsene
accorgere, si stacca e cerca di adoperare altri mezzi per solleticare
l'uomo e dargli l'illusione necessaria per farsi prendere.
Ma il corpo del giovane è pulito. Oltre che dalle ginocchia
e dalle gambe, se n'è accorta dal colore bianco degli slip
e della cannottiera. Dal petto e dalle braccia poi, le giunge un odore
di sapone al lisoformio che non le dispiace. Forse si è lavato
tutto quel mattino stesso; ma è sua convinzione che il giovane
deve essere di quelli che ci tengono alla pulizia.
Il silenzio continua, ma lei è presa dal dubbio che il giovane
si secchi. Non dice niente, nè tenta niente. E' la prima volta
che un giovane se ne stia buono e la faccia riscaldare in silenzio.
Sa di essere lei la padrona del campo. Ma sa anche che, se ne abusa
proprio al principio, corre il rischio di non arrivare fino in ,fondo.
I clienti presto o tardi, pretendono e, se non si vuole farsi vincere,
è necessario dosare le proprie forze, adoperandole a tempo
opportuno.
- "Tu non hai freddo?" gli domanda, e lo stringe per qualche
momento di più.
Dalla risposta capirà come si deve comportare e che altro dovrà
dire. - "Un poco".
Veramente, riesce a sopportare abbastanza bene non solo il freddo
delle lenzuola, ma anche quello delle braccia e delle mani di lei.
Ma non vuole umiliarla.
- "Io assai".
Si sente rincuorata dal tono gentile. Gli uomini non ammettono storie
quando sono a letto con lei. Altro che freddo! Pretendono, se mai,
che glielo faccia passare lei, servendoli presto. Sono subito bestie.
E ghignano se lei dice di aspettare qualche momento. Deve mettersi
subito al lavoro. E siccome ha freddo, deve fare un lavoro doppio
per riuscire a servirli. Va bene che si vendica come può. Appoggia
le mani gelate proprio sulle parti più calde dell'uomo e se
lui impreca gli dice di avere pazienza e di non far caso. Ma è
sempre una fatica estenuante, che alla fine la lascia illividita tutta
dal freddo e con in bocca una bestemmia a mala pena trattenuta. Per
questa notte quindi, non può capitarle di meglio. C'è
proprio da ringraziare il cielo. Prima di tutto per non aver chiuso
la giornata con un niente di fatto, e poi perchè ha trovato
un giovane bravo, quieto, timido', ma anche gentile.
- "Una sera infame. Da un'ora passeggiavo sotto. Anche questo
freddo e questo vento ci volevano. La neve s'è ghiacciata,
hai visto? Per poco non mi sono spezzata una gamba. E' stato proprio
sotto il marciapiede. Di fronte alla porta".
- "Come mai?"
- "Quando la scalogna ci si mette! Volevo avvicinare uno. La
neve era quasi all'altezza del marciapiede. Ho messo mezzo piede sopra
e mezzo sotto e pac! Se non mi fossi aggrappata a quello lì,
a quest'ora ero all'ospedale. E così chiudevo bene l'anno!
E caduto lui, però. Ma non s'è fatto niente. Ha sacramentato:
dovevi sentire! Ma che ci potevo fare? Non c'è più gente
che capisce al giorno d'oggi!".
Gianni ha tutta la testa fuori dalle coperte e fra il collo e il mento
si tiene appoggiata la testa di Milena. La massa dei capelli neri
gli dà calore. Se ne sta buono, facendosi stringere dalle braccia
di lei. le sente molli, ma calde e questo gli dà un piacere
mai provato. La voce di Milena dalle coperte arriva smorzata assieme
al fiato tiepido. attento a non perderne una, come se da queste parole
dipenda anche il piacere che gli capita. I loro corpi continuano ad
aderire, caldi.
Quest'è finalmente la prima volta che può stare così
con una donna, considerarla sua, e non fare niente. Stare abbracciati,
sentirsi vicino tutto il corpo di una donna, che cerca calore, quasi
che il calore possa cambiarsi in protezione. Vuole stringerle di nuovo
la spalla, perchè le sue mani l'avrebbero avvicinata ancora
di più. Ma lei, con voce di preghiera, ma senza ribellarsi,
gli dice ancora di no.
- "No, no le mani, per favore, amore. Tienile lontane un altro
poco. Sono fredde, capisci? Aspetta che mi riscaldo almeno un poco,
prima".
Torna a tenersele al di là della spalla di lei, parallele,
inerti. Eppure non se le sente fredde adesso, e se non glielo dicesse
lei, non ci crederebbe in alcun modo.
Rimangono così per altri minuti, senza parlare. Milena cerca
di far cessare i brividi. Si sono già un po' affievoliti; ma
nelle ossa il freddo serpeggia ancora e la scuote. Gianni cerca di
aiutarla, stringendola a sè coi muscoli delle braccia.
Comincia ad avere un'idea esatta dell'avventura che gli sta capitando.
La realtà di Milena con tutto il corpo vicino, attaccato al
suo, col caldo che gli arriva dai capelli nel collo, gli da una sensazione
mai provata, come di un piacere che mentre si prende, mentre si consuma,
si teme che arrivi alla fine, che si esaurisca. Per la prima volta
comincia a sentirsi un giovane come tutti gli altri. Sì, è
proprio lui a stare in un letto con una donna vicina, a stringersela
ed a farsi stringere. Ma sa bene che Milena il giorno dopo si lascerà
stringere da qualche altro, solo che paghi, come ha pagato lui. E
questo gli dà dolore, anche se cerca di attutirlo, di combatterlo,
dicendosi che Milena forse con gli altri non si metterà come
adesso e non li abbraccerà così. Va bene, Milena è
quella che è; ma se non sapesse il mestiere che fa, come farebbe
ad indovinarlo? Nel letto, così disarmata, così abbandonata
può pensarla e crederla una ragazza come tutte le altre, considerarla
come una delle ragazze che i suoi colleghi dicono di avere nelle loro
città. è giovane, molto giovane, può avere solamente
qualche anno più di lui, ed è carina. Chissà
quanti vorrebbero avere una ragazza con gli occhi chiari e i capelli
scuri! Non le manca niente per essere detta una bella ragazza. Forse
solo un po' più di vivacità negli occhi, di allegria.
Questo non gliel'ha visto. Se ha riso, l'occhio è rimasto sempre
velato. E può essere tristezza o rabbia o dispiacere.
Ogni tanto abbassa gli occhi il più che può, senza muovere
la testa per non disturbare la donna, e cerca di rivedere i lineamenti
di lei. Ma gli riesce di scorgere solamente la fronte e gli archi
delle sopracciglia. Gli basta. Da quelli ricostruisce tutto il volto
di lei, giovane, ben delineato. Gli prende il desiderio di baciarle
almeno la fronte, almeno gli occhi. La pelle bianca della fronte,
gli archi neri delle sopracciglia sono a qualche centimetro dalle
sue labbra e basterebbe abbassarsi appena appena per toccarli. Ma
non ne ha il diritto. Lo sente. Teme le reazioni. Ancora il diritto
non è maturato. Lei lo conosce da troppo poco, per credere
al bacio che vuole darle. Forse Milena farebbe finto di non accorgersene,
o lo subirebbe, reagendo solamente con una risata. E invece desidera
che lei capisca ciò che vuole dirle con quel bacio. No, è
meglio aspettare. Forse, quando non avrà più freddo,
si accorgerà di più di lui.
Stanno fermi, proprio fermi, cercando di respirare sincronicamente
adesso. Gianni sa anche lui che bisogna prima riscaldare bene il posto
che occupa il corpo, e poi cominciare a muoversi, a tentare un nuovo
pezzo di lenzuolo. Ingrandire la macchia di caldo, come è avvenuto
tante notti a casa sua, quando si mette a letto dopo le ore di scuola.
Lo sa anche Milena e adesso è grata al giovane che non fa alcun
movimento per annullare il tepore che stanno mettendo assieme. Anche
lei apre gli occhi ogni tanto per cercare di guardarlo, di vederlo.
Ma la penombra delle coperte glielo impedisce. Teme che sia arrabbiato,
ma non vuole cambiare posizione. Prima gli ha detto di stare buono,
e lui non ha replicato, ma forse se l'è presa. I tipi che non
parlano, che non reagiscono, ad un certo punto cominciano a darle
pensiero. Non si sa come prenderli. Quelli che chiaccherano, che dicono
anche i fatti loro, senza che lei glieli chiedo, sono noiosi, le danno
fastidio, ma almeno riesce a controllarli. Se li studia proprio attraverso
le sciocchezze più o meno grosse. lei fa finta di ascoltarle
e di berle, ma comincia a preparare i suoi piani. Passare due o tre
ore con ognuno nel letto non è cosa facile. Il tempo è
lungo. Più lungo di quello che consuma a passeggiare su e giù
per procurarsi uno di loro. E rimanere in guardia contro le loro pretese
crescenti è la maggior preoccupazione. Per questo cerca di
conoscere il carattere dell'uomo, attraverso le parole più
o meno sciocche che egli dice. C'è chi comincia subito con
le barzellette. Bisogno diffidarne. Sono i più furbi che vogliono
incantarla, per poi essere più esigenti. Bisogna quindi dare
corda, ascoltare e far finta di prenderci piacere, ma al momento buono
tirare e dimostrare di non avere interesse alle situazioni crasse
o erotiche che l'uomo sta cercando d'illustrare. Insomma smontare
il cliente, togliergli le velleità dell'iniziativa. C'è
poi chi parla del tempo, della stagione, del lavoro che fa. E questi
sono i meno pericolosi, i più disarmati. Basta far finta di
ascoltarli e ogni tanto dargli esca con qualche domanda ingenua, e
tale da convincerli che ciò che stanno dicendo è molto
interessante anche per una donna come lei. Passano a parlare degli
argomenti più svariati, e si accontentano di dare ogni tanto
una sbirciatina al corpo nudo di lei e di passarvi sopra la mano come
per negligenza. Il corpo l'hanno a portato di mano e questo li accontenta
già. Quando vorranno, potranno prenderlo. Ma anzichè
pretendere di cominciare a saggiarlo subito, preferiscono farsi conoscere
per quello che sono fuori, nella vita di tutti i giorni. E lei li
lascia dire e anche fare. Alla mano dell'uomo che scorre sul fianco
di lei, fa corrispondere una scorso sul petto di lui, ma senza togliergli
gli occhi dalla faccia, come a dimostrargli che in quel momento le
interessa più ciò che sta dicendole, all'amore vero
e proprio. E' un gioco sottile, al quale anche Milena si è
abituata lentamente. Ogni giorno impara qualche mossa nuova; perchè
ha capito subito che questo gioco nessuno potrebbe insegnarglielo.
l'ha imparato da sola e col tempo, e ormai fa parte dell'esperienza.
Sono come sfumature di un brutto gioco, vari fili di ragno che si
debbono tramare per illudere gli uomini.
Ma tutto il gioco ha un altro andamento coi timidi, con gli arrabbiati,
con quelli che si buttano sul letto e aspettano. Cosa vogliono, cosa
preferiscono? lei si trova subito a disagio, e l'iniziativa le sfugge
di mano.
Adesso il silenzio del giovane comincia a mettere qualche sospetto.
le pare si di averlo conosciuto durante la chiacchierata giù,
e poi l'ha visto alla luce e gli ha parlato, si è convinta
che sia timido. Ma che timidezza è? Uno può essere timido,
ma accumulare tanta carica dentro, da farla esplodere poi tutta assieme.
Perchè dunque non si muove, nè tenta di fare qualche
cosa? Che so, metterle di nuovo le mani dietro la spalla. Forse gliele
avrebbe fatte togliere ancora; ma almeno avrebbe dato segni di vita.
Tuttavia non se la sente ancora di togliersi dalla posizione in cui
si trova. Quel freddo tutto intorno al corpo è lì pronto
a darle nuove zannate. E il pensiero che, se risveglierà il
giovane, se lo stuzzicherò, dovrà muoversi in quelle
lenzuola umide e gelate la fa rabbrividire di più, e l'induce
a tirare i minuti.
Finalmente lo stringe un po' più forte. Sente la sua reazione
e alza la testa. Le loro labbra si trovano alla stessa altezza. Gli
butta sulla bocca il suo alito caldo e raccoglie quello di lui che
la guarda. è tranquillo. Non gli vede rabbia o dispetto negli
occhi. E' ciò che desidera. Tuttavia vuole accertarsene.
- "Che pensi, amore? Sei arrabiato? Ho ancora freddo. Parliamo
un poco e poi ti faccio fare' l'amore. Abbiamo tanto tempo".
Un'altra piccola stretta, uno sguardo affettuoso e bisognoso di comprensione,
e si rimette nella posizione di prima.
Gianni sorride, ma non risponde. Milena è ancora convinta che
lui aspetti per fare l'amore. E invece non vi pensa lontanamente.
Gli piacerebbe solamente parlare, e più, far parlare lei. Non
è uno che sappia parlare, e ha sempre paura di annoiare e,
peggio, di adoperare un modo di pensare e di esprimersi che non può
essere capito. Ma sa che col freddo difficilmente si è portati
a parlare. Le parole non riscaldano. Col freddo ci vuole il silenzio,
e, col silenzio, si può far lavorare il cervello.
Abbassa impercettibilmente la testa e le bacia la fronte quasi all'inizio
dei capelli. Subito stacca le labbra, ma le tiene vicine tanto da
sentire il proprio alito caldo calare e poggiare sulla pelle della
donna e riverberarsi intorno alla bocca. è la prima volta che
da un bacio così. E' un'altra scoperta. Ha dato un bacio come
avrebbe baciato una ragazza che fosse veramente sua. Deve essere un
grande momento quello in cui si può baciare la bocca della
donna che si ama. lo sente indistintamente, ma capisce che deve rappresentare
un momento molto importante nella vita. Si deve provare come la certezza
di essere qualcuno agli occhi di una donna, per una donna, oltre che
per se stesso.
Quando incontra una ragazza, gli capita di guardarle prima gli occhi,
e subito dopo la bocca. Capisce, meglio sente, che dagli occhi parte
il primo segno di interesse, di simpatia per un uomo, ma che solamente
le labbra possono dare la prima prova di un sentimento, possono cementare
ciò che per mezzo degli occhi si è legato.
Aspetta la reazione di Milena. Non vuole che parli, ma neppure che
abbia uno di quei moti di fastidio cui ricorrono le donne nelle case.
Desidera solamente che l'accetti in silenzio, e non gli allontani
la fronte.
Ma Milena non dice niente, nè si muove. Gli uomini hanno cercato
di baciarla su tutte le parti del corpo; ma a nessuno è venuto
mai in mente di attaccarle un bacio dove finisce la fronte e incominciano
i capelli. Sente l'alito caldo di lui e non le dispiace. L'aiuta a
prender caldo a tutta la testa. Gli occhi sempre chiusi, aspetta.
Gli ha detto di parlare, lui non ha raccolto la proposta, e allora
vuoi dire che preferisce stare così, in silenzio. Tutti momenti
buoni per lei.
Gianni intanto si chiede se deve dargliene un altro, un po' più
lungo, se mai più giù, sugli occhi. Ecco, desidera baciarla
ancora, sugli occhi, sulla bocca, ma Milena dovrebbe sentire almeno
un po' di quello che sente lui. Un desiderio grande di affetto, un
bisogno grande di colmare la solitudine in cui vive. E' tremendo essere
soli, sentirsi soli. incomincia questa notte una nuova esperienza,
e proprio con Milena perchè no? Si, sa qual'è il suo
mestiere e gli dispiace. Ma sente di giustificarla, e di poterle voler
bene lo stesso. E' tentato di dirle che l'amore non lo farà,
che sarà contento di starsene così, solo che lei accondiscenda
a rimanere fino alle quattro anzichè fino all'una, anche fino
alle tre, e faccia un po' caso a ciò che vorrebbe dirle. L'avrebbe
ringraziata, le avrebbe dato le centotrenta lire e il giorno dopo
le avrebbe portato le venti lire. Ma non sa come cominciare. Le braccia
sotto le ascelle di Milena, i muscoli del petto contro il seno di
lei, la bocca semiaperta, come piccola conchiglia che alita caldo
e se lo riprende, continua a rimuginare questi pensieri cercando di
isolare il primo che possa fare da filo conduttore.
- "Come ti chiami?", gli gorgoglia Milena dall'interno delle
coperte. - "Io? Gianni".
- "Gianni?... Giovanni?! ... Mi piace di più Giovanni".
Alza il mento fin fuori le coperte e lo guarda come se gli scopra
adesso per la prima volta la faccia, e lo fissa per un momento, negli
occhi.
Le facce degli uomini ormai le sono tutte eguali. Da tempo non le
ha più viste. Appena appena vede i loro corpi, perchè
con questi deve avere a che fare. Ma adesso riesce a vederla la faccia
del giovane. Liscia, senza una ruga, un po' affinata come un ciottolo
su cui è corsa continuamente dell'acqua, specialmente verso
il mento. Non sorride. La guarda anche lui ma non sorride. Perchè
non sorride? Non parla, non sorride. E gli occhi hanno qualche cosa
di triste, simile alla sua tristezza. Ma ha creduto che solamente
lei, che ha gli occhi azzurri, può avere l'espressione triste.
Gli occhi scuri devono essere vivi, pieni di fuoco, e invece non è
casi. Chissà se si accenderanno, se riderà.
- "Sei biondo, e hai gli occhi neri. Perchè non li hai
celesti?".
Ride, perchè spera che rida anche lui. Ma Gianni continua a
guardarla con la stessa tristezza. Vorrebbe che anche lei non ridesse.
Si è accorto che ha riso tanto per dare un tono alla domanda.
- "T'hanno tagliato i capelli assai corti. Devono essere ricci,
però, no?". Tronco un altro sorriso e si rimette come
prima.
- "Quando si va sotto, li fanno tagliare a tutti così
corti", dice solamente.
Sa che non è vero. Alcuni colleghi, per esempio, riescono a
farseli spuntare solamente. Sono quelli che la "camorra"
la possono fare.
- "A militare tutto avviene per igiene" conclude, tanto
per dire ancora qualche cosa.
Milena fa solamente un mugolio di assenso. Con un tipo scorbutico
simile è meglio parlar poco. Gli ha dato corda, e lui ha risposto
stonato. Non ha proprio capito ciò che gli ha domandato. Ne
prova dispetto.
- "Già, ma forse fanno male", dice, tanto per chiudere
l'argomento e seppellirlo.
Si sposta appena con le gambe, ma il lenzuolo umido e gelato la fa
rabbrividire. Ritorna subito nella posizione di prima.
- "Come si fa a muoversi? Questa notte è impossibile!"
Si pente di aver parlato. Chissà cosa può capire. Tutti
i tipi scorbutici si adombrano subito come i cavalli. Apre gli occhi,
solleva un pò la testa e lo guarda, ma si convince di essersi
sbagliata. Proprio non riesce a capirlo. Perchè non reagisce
come prevede?
- "Mi fai sentire le mani, amore?"
Aspetta, con la spalla un po' protesa. Ma appena Gianni comincia ad
avvicinargliele, lentamente, ma non ancora del tutto a contatto, da
un piccolo grido. Ancora fredde. Prova di nuovo rabbia, ma con se
stessa questa volta. la paura del freddo si èimpossessata di
lei. Al solo pensiero le viene da tremare.
- "Per favore, amore, tienile lontano ancora un po'. Sono fredde.
Capisci? Ho preso tanto freddo da questa mattina. Brr... proprio da
questa mattina doveva cadere la neve? Ci frega sempre la neve. Non
ha riguardo per noi".
Gianni ha già allontanato le mani, e cerca coi muscoli delle
braccia e del petto di stringerla di più.
- "Sì, sì, stringimi più forte. Così
non mi vengono i brividi". Gli si stringe anche lei e sta buona
buona.
Gianni le poggia il mento sulla fronte e le dà un po' di calore.
Capisce che col freddo le donne non lavorano molto, e che esse preferiscono
la bella stagione. Gli uomini le cercano di più e anche il
lavoro si svolge in altre condizioni. Un vestitino, un paio di scarpe
possono bastare; mentre d'inverno la roba da mettersi addosso non
è mai abbastanza.
- "Lavorate di meno?" le domanda.
- "Quasi niente. Gli uomini girano di meno. Hanno paura di passare
per le strade piccole. E quelli che ci capitano, non si fermano. Andare
avanti e indietro... e per ore... La sera poi, con quel l'oscuramento
... "
La voce è lamentosa, ma anche un po' arrabbiata. Parla a tratti.
Comincia la frase e poi lascia che la finisca lui mentalmente, con
quello che ci vuole mettere. Questo può servire anche ad indurlo
ad avere pazienza. In fondo anche loro possono pretendere un po' di
comprensione. Non sono mica delle bestie e basta. Va bene che fanno
quel mestiere e che sono considerate dei rifiuti della società,
ma un po' di comprensione non si deve negargliela.
Gianni vorrebbe dirle qualche cosa, ma anche questa volta gli pare
che le parole non avrebbero il significato che sente dentro. Altro
che se le merita le duecento lire. Oltre tutto, a differenza delle
donne, che d'inverno stanno al caldo, nelle case, e il lavoro, sia
pure ridotto, è sempre assicurato.
Milena certe volte deve aspettare ore prima di procurarsi un cliente.
Già è difficile per le donne che girano per il Verziere
e agli angoli della galleria, figurarsi poi in quella strada buia
e stretta.
Qualche volta si è sentito chiamare. Tornava da scuola. Provava
dolore, proprio come se anche lui contribuisse ad aumentarle la loro
condizione. Neppure si accorgevano che era giovanissimo, lo tentavano
per abitudine, perchè cessasse l'attesa, al freddo, alle correnti
d'aria e chiudessero una buona volta quell'altra nottata. Certe volte
attraversava i portici. All'estremità, verso gli ultimi archi
prima di arrivare alle strade laterali, piene di bar e di pensioni,
a gruppi, le donne chiacchieravano e fumavano: chi con le gambe larghe,
chi dritto e tutta chiusa in se stessa, chi appoggiata al muro. Ma
appena sentono i passi di qualcuno si ricompongono, come i soldati
alla vista di un ufficiale.
Non si passano neppure più la voce, l'hanno ascoltati tutte
quei passi e si mettono in movimento. Si tratta di saper fare prima
e meglio. Improvvisamente l'amicizia, lo spirito di solidarietà
finisce. Di fronte alla possibilità di afferrarsi un cliente
e di conchiudere una giornata, dimenticano che fino a qualche minuto
prima hanno parlato di guai comuni e si sono fatte coraggio. Sta per
sopraggiungere il possibile cliente. Chi non sa fare prima e meglio,
corre il rischio di tirare le due o le tre, vicino alle sale da ballo,
ad aspettare gli ultimi frequentatori. Si disperdono, a ventaglio,
e ognuna pare che prenda una direzione. Ma subito convergono verso
il punto dal quale arriva il rumore dei passi. E in pochi attimi si
rimettono in ordine i capelli, le labbra e anche il cappotto. Chi
si presenta spavalda e subito rivolge l'invito e si apre il cappotto,
chi fischietta e guarda il cliente con gli occhi allungati fino alla
punta; e chi finge l'ultimo pudore, mettendosi a camminare avanti
all'uomo, come se non faccia parte delle donne che lo stanno importunando.
Quando poi egli è passato, tornando a raccogliersi e a continuare
la chiacchierata senza riferimento alla marcia d'avvicinamento di
poco prima, e se mai, qualcuno, inascoltata, nè chiedendo di
essere ascoltata, lancia una bestemmia per la paura del lavoro che
non avrebbe trovato.
Ma tuttavia quelle donne frequentano il centro e le probabilità
sono maggiori, anche adesso che c'è l'oscuramento e gli uomini
sono alla guerra. In quel budello invece chi può passare? Proprio
chi sa che anche lì si possono trovare delle donne, o qualcuno
come lui che vi capita per caso. Milena allora perchè non tenta
il centro? Oppure è stata scacciata! le donne su questo sono
risolute. Difendono la propria zona con tutte le forze e, a chi vi
capita per tentare, rendono la vita tanto impossibile che alla fine
la nuova arrivata deve cambiare luogo, oppure rimanere al margine
della zona d'influenza e come una cagna frustata, prendersi ogni tanto
anche gli sberleffi che le lanciano in coro da lontano.
- "Da quanto tempo lavori?".
Si tiene stretta la donna, la guancia sui capelli, e alla voce cerca
di dare un tono disinteressato, come le stia facendo una domanda proprio
perchè lei ha proposto di parlare un po', prima di fare l'amore.
Milena ride appena, ma senza mostrare di sentirsi vittima. Che strana
domanda rivolge. Con tutti gli argomenti di cui possono parlare, le
domanda ciò che proprio pochi si sono presi la briga di sapere
in cinque anni di quel mestiere. Ma non le spiace. Se gliel'avesse
domandato un altro, o in un altro momento, gli avrebbe riso in faccia,
e gli avrebbe risposto che non sono affari suoi. Ma .adesso perchè
non rispondergli. Oltre che nei modi, anche nelle parole ci mette
tanta attenzione. Senz'altro è di una timidezza simpatica,
che piace, che avvicina le persone.
Il freddo non le è diminuito, ma comincia a sentire il primo
vero tepore. Parlare del suo mestiere all'ultimo dell'anno può
essere anche un buon segno. Chissà che le è riservato
per l'anno nuovo. Ha fatto uno strano sogno e poi nel pomeriggio ha
visto passare tre carabinieri. Due carabinieri portano buono, ma tre
no. Qualche cosa deve succederle, ne è sicura. Non è
che creda ciecamente alla superstizione, ma neanche a farlo apposta,
quando sogna o vede qualche cosa che la madre le ha insegnato abbia
una certa rispondenza con gli avvenimenti, per tutto il giorno rimane
in guardia a spiarne la conferma, e purtroppo in un modo o in un altro
la trova sempre. Perchè, c'è sempre qualche cosa che
va meglio o peggio in un giorno, e proprio a seconda di ciò
che ha visto e ha sognato. Quel mattino ha sognato di trovarsi in
un mare, molto mosso, onde altissime. L'hanno buttata giù da
uno scoglio. E non si ricordava chi. Annaspa a fior d'acqua, cerca
di chiedere aiuto, ma quelli che la guardano non fanno niente per
aiutarla. Ma si accorge che non va a fondo. Annaspa continuamente,
ma riesce a tener fuori quasi tutta la testa.
Questo il sogno.
E ha concluso che ci dovrà essere qualche cosa di triste per
lei, ma che tutto andrà a finire bene. Non è affogata.
Si è salvata. Però qualche cosa deve succederle. Ci
ha pensato al mattino e per tutto il pomeriggio. Da quando ha cominciato
a fare la spola nella via, aspetta di trovare la rispondenza in qualche
fatto che le capiterà, e nell'attesa ha spiato anche qualche
altro elemento da aggiungere al sogno. E ad un certo punto ha visto
passare tre carabinieri. Perché non due? Due: sicurezza. Ma
tre, sono qualche altra cosa, che non sa bene. Allora la fiducia si
è un po' affievolita, ma ha cercato di non pensarci più.
E c'è riuscita. Ma verso le nove, se n'è ricordata e
ha stabilito che il sogno e i carabinieri l'hanno avvertita che questa
sera chiuderà con un niente di fatto. Poi c'è stato
il giovane e tutto ritorna al punto di prima. Ma proprio la domanda
di lui adesso può avere qualche relazione col sogno e con i
tre carabinieri? Intanto un fatto è certo. La nottata non si
è chiusa con un niente. Quando proprio non ne poteva più
di aspettare e si stava decidendo ad andarsene, le è capitato
quel giovane. Cioè è rimasta a galla, chiedendo aiuto
fino a quel momento, e alla fine uno è venuto a darle una mano.
Insomma la giornata non è affogata nel niente. Poi il giovane
non è come tutti gli altri. Ma questo è in relazione
ancora col sogno, oppure già coi tre carabinieri?
Come parlargli del suo mestiere, può essere in relazione col
sogno e coi tre carabinieri.
Ha preso l'abitudine di dare la colpa alla madre per la sua superstizione
e di prendersela con lei se il sogno o non ha verifica, oppure, se
l'abbia, le ha arrecato dispiacere o dolore, come succede la maggior
parte delle volte. Dice che se la madre non avesse continuato a raccontarle
i sogni al mattino, e la sera a metterli in relazione con ciò
che le era capitato durante la giornata, lei non ne sarebbe stata
contagiata. Infatti, se il sogno era di quelli che devono apportarle
qualche gioia, l'aspetta per tutto il giorno, quasi con trepidazione
morbosa, e se poi non le capita niente, alla sera ne è delusa,
amareggiata, e si chiede perchè non le é successo ciò
che avrebbe dovuto succederle. E, arrabbiata, se la prende con la
madre, mentre giura che non ci farà più caso. Ma se
poi la stessa notte il sogno le annuncia qualche cosa di triste, da
temersi, per tutto il giorno seguente rimane in guardia, non solo
ad aspettare questo qualche cosa di triste, di doloroso, ma anche
per prevenirlo come meglio potrà. Ma anche allora se la prende
con la madre che, colla paura con le ha propinato, non la fa più
vivere tranquilla. Sono insomma piccole trovate, cui si è abituata
a ricorrere tutti i giorni, per poter sopportare con più o
meno spirito di rassegnazione la vita che vive.
Rimane abbracciata al giovane. Solamente tira un po' fuori la testa
e lo guarda. Gli sorride di nuovo ed è contenta che non le
sorrida, ma continui a guardarla e ad aspettare serio.
- "In questo mestiere?" domanda. "Sono vecchia ormai.
Cinque anni. Ma mica sempre: avevo smesso circa un anno fa".
- "E poi?"
- "E poi? Mah! Ho ricominciato da capo. Ed eccomi qui".
Sbircia di nuovo Gianni, ma lui guarda oltre la sua testa, la coperta
rossa. Perchè non la guarda almeno? Prova di nuovo dispetto,
ma non dice niente. Aspetta.
Gianni invece vorrebbe sapere di più; ma non vuole fare domande.
Almeno gli avesse detto perchè ha smesso e poi ha ricominciato.
- "E' stato per la guerra?", domanda.
- "La guerra? Anche per la guerra". Ma perchè non
la guarda? Lo scuote appena. "Allora che hai da guardare sempre
la coperta? Stai parlando con me sì o no?". Ha un brivido
lungo, da farla tremare tutta per qualche momento. "No, no, non
avvicinare le cosce, tesoro. Sono fredde. Abbi ancora pazienza! ".
Gianni chiede scusa e ritrae di nuovo le gambe a qualche centimetro
di distanza. Non l'ha fatto apposta. Ha voluto solamente cambiare
un po' posizione. Da quando si sono messi nel letto, sono rimasti
così. Ma non è facile. Tutto lo sforzo deve farlo il
tronco superiore del corpo, che aderisce tutto al petto della donna.
Milena gli sorride.
- "Vuoi fare l'amore subito, tesoro?".
- "No, no. Stiamo ancora così. Non ti preoccupare".
-"Grazie. Ma non vorrei ... ".
Lui le sorride appena e questo basta per convincerla che glielo dice
sinceramente. Lo stringe e gli mette di nuovo la testa nel collo.
- "Sei bravo".
- "Ci vuoi poco".
E' molto contento che gli abbia creduto e le è grato della
stretta.
CAPITOLO V
Milena si va facendo
un'idea sempre più chiara di Gianni. E capisce che veramente
non vuole ancora fare l'amore. l'ha visto da come ha allontanato le
gambe. Un movimento di scatto, proprio di chi s'accorge di avere provocato
un atto che non avrebbe voluto. E questo le ha fatto molto piacere.
è proprio bravo. Sì, educato, fine, come è difficile
trovare anche nei giovani. Si vede che prova un po' di vergogna, ma
misto a piacere.
Giovani come lui non dovrebbero però andare a finire con donne
come lei. Dopo glielo dirà. Quando il ghiaccio si sardi rotto
veramente, gli chiederà perchè è andato alla
ricerca di una donna, be', sì, come lei, e poi gli dirà
che farà bene a starsene lontano, a non frequentarle. E' così
facile prendersi un guaio! E poi, fare l'amore con una di loro che
piacere può provare con uno come lui, fine, educato, e poi
così giovane. è meglio trovarsi una ragazza per bene,
una donna fuori di quell'ambiente, volerle bene e farsene volere.
E se ha desiderio di fare l'amore, lo faccia con una per bene, lontano
dai postriboli e dalle donne come lei. Non si farà più
vedere? Pazienza. Perderà un cliente. Ma ci sono tanti uomini
che ormai sono abituati a cercare di loro, perchè non convincere
di star lontano almeno chi se lo merita? Ma forse la fidanzata ce
l'ha lui, e non riesce a fare quello che farà con lei adesso:
e anche per questo è timido. Ma forse le spiace che abbia la
fidanzata. Chissà se se lo merita. Se è così
delicato nei rapporti d'amore, deve essere delicato anche in tutte
le altre manifestazioni. La invidia. Vorrebbe incontrarli qualche
mattina, per conoscerla e per constatare come stanno l'uno vicino
all'altra. Capirebbe subito se è tipo che faccia per lui. Le
sa giudicare subito le donne lei, molto prima e più sicuramente
che gli uomini. E se è adatta per lui, be', sarebbe contenta
e non la invidierebbe più. Ma a lui raccomanderà di
non andare più a donne. Si possono fare tante cose con le proprie
ragazze; non c'è mica bisogno di fare l'amore come si può
fare l'amore con una come lei. Ci si può baciare e stringere
e rimanere stretti e sentirsi più felici di quando si sta sopra
una donna come lei, che allarga le gambe e diventano bestie per qualche
minuto, così senza alcun vero intimo piacere. Almeno quando
due si amano, i sensi se ci sono hanno una giustificazione. E' come
la continuazione dei baci. Ma se lui questo non lo può ancora
fare con la sua ragazza, non vada a cercarsi una come lei. Che può
sentire? Meno che se abbia tenuto le gambe fra le gambe della sua
ragazza e, ad un certo momento, come per un bacio più lungo,
abbia sentito un brivido corrergli per la spina dorsale e la saliva
aumentare nella bocca e darla alla donna e prendere quella di lei,
cercando di frenare nella stretto i brividi che anche per la spina
dorsale di lei corrono fino al seno. Quello è l'amore, solamente
quello, e a lui lo dirò, se non proprio così, se non
proprio tutto così, con altre parole, anche poche, tanto da
dissuaderlo a tornare, a cercarsi un'altra donna carne lei. Perchè,
se prende l'abitudine, va a finire male. Diventa come tanti uomini,
uno sporcaccione, uno schifoso, sì, proprio come una di loro
visto in uno specchio. E da loro sarebbe disprezzato e trattato come
sono trattati i trivialoni che pagano per godere. Forse questa è,
se non la prima, una delle prime volte che va con una donna. E' un'abitudine
che sta prendendo proprio perchè adesso è a soldato,
fuori di casa, in un ambiente di comunità. Forse sono i compagni
più anziani a stuzzicarlo, ad aizzarlo: le capisce lei queste
cose. Avviene lo stesso per le donne quando sono in compagnia. Anche
se una non vuole farle certe cose, ci sono sempre le altre che la
stuzzicano, la punzecchiano, e tanto si adoperano che la fanno cadere.
Per questo non ha voluto mai andare a lavorare nelle case. C'è
stato per quindici giorni e basta: all'inizio della carriera. le anziane
se la mangiarono in quindici giorni. Pareva che non avessero aspettato
che lei. Ognuno aveva da consigliarle qualche cosa, da farle provare
qualche cosa. E lei a mala pena riuscì a tenerle a bada. Ma
quando scaddero i quindici giorni, non volle rimanere. Meglio rischiare
fuori tutti i pericoli e le contrarietà., piuttosto che diventare
depravata come loro. Lo stesso deve essere per lui. E così
giovane, così inesperto, che possono addestrarlo come vogliono.
Così si rovinano i giovani, specie quelli timidi, riservati.
Ormai li conosce gli uomini lei, come conosce le donne. E così
facile parlare del male, metterlo nell'orecchio di chi non lo conosce,
e lentamente fargli sentire piacere a commetterlo. Solamente dopo
si capisce, quando non se ne può fare più a meno.
Gliele dirà tutte queste cose, dopo avergli fatto fare l'amore.
Perchè l'amore glielo farà fare. Non potrà rifiutarglielo.
Ma se dipendesse da lei, non glielo farebbe fare. E non per non dargli
il suo corpo. Ci perde così poco. Ma proprio per cominciare
a fargli provare la prima rinuncia. Quello che vorrebbe fare con lei,
non è indispensabile. Domani sarà il primo dell'anno
nuovo. Non mancano poi tante ore. Telefoni alla ragazza, vada da lei,
e con lei faccia ciò che possono fare due innamorati. Potesse
farlo lei. Se qualcuno andasse a trovarla e le facesse gli auguri,
e l'abbracciasse e la baciasse come una ragazza per bene. Altro che
dare il suo corpo, sempre, a tutti quelli che vanno a trovarla, o
che lei si cerca! Un uomo tutto per sè, come quando aveva diciassette
anni e aveva creduto che si potesse dare il corpo proprio come la
bocca. O almeno come un anno prima, quando aveva trovato quell'uomo
cui aveva creduto di nuovo e che le aveva bruciato quell'altro poco
di bene di cui si sentiva capace. Ma se per lei è tutto finito,
se per lei si tratta adesso di andare a finire più o meno peggio,
per lui è differente. lontano dalle donne come lei prima di
tutto, e si accontenti della sua ragazza: un bacio, un semplice bacio,
può valere più di un amore goduto su un letto che costa
dieci lire.
A quanti anni ha incominciato la Milena?, si domanda Gianni intanto.
Per le case l'età minima è diciotto; ma fuori non c'è
età. Quindici, sedici, diciassette. Anche Milena può
aver incominciato all'età in cui le ragazzine passano dalle
scuole inferiori al quelle superiori, quando cioè non sono
più ragazze, ma non ancora signorine. E allora quello che hanno
detto i suoi nuovi colleghi è veramente possibile. le prime
avventure le hanno avute con le loro compagne.
Ma se Milena ha incominciato da cinque anni non deve essere poi così
giovane come sembra. Cerca di fare dei conti. Ammesso che abbia cominciato
a diciassette anni, adesso dovrebbe averne ventidue. Si è giovani
a ventidue anni. Si può ancora desiderare un uomo tutto per
sè, un fidanzata, un marito. Chissà se Milena è
pentita d'aver cominciato questo lavoro. E perchè l'ha incominciato?
Ma adesso, a causa della guerra, le donne sono ricercate al posto
degli uomini, negli uffici, negli stabilimenti, dovunque. Se volesse,
potrebbe anche lei lavorare come lavorano altre donne, anzichè
prendere freddo e fermare gli uomini e mendicare le cento o duecento
lire. Se la conoscesse un po' di più, glielo direbbe. è
ancora in tempo: non dia più il corpo, non si avvilisca. è
così giovane ancora, così carina, non le sarebbe difficile
trovare un lavoro onesto e guadagnare discretamente. Al lusso, per
quel che può vedere, non è molto attaccata. Se lo fa
per vivere, qualsiasi lavoro può andar bene. Stare a chiedere
a un uomo di non avvicinare le mani fredde o le gambe o i piedi, essere
alla mercè di lui per qualche biglietto da cento è senz'altro
più umiliante di qualsiasi lavoro. Gliel'avrebbe detto con
le parole più convincenti. Lei non crederà alle sue
parole, forse gli riderà in faccia. Ma qualche parola rimarrà
in lei, e poi qualche altra volta gliene dirà delle altre.
E chissà, forse alla fine l'avrebbe convinto.
La sente vicina al suo corpo, sente la testa di lei sul suo collo,
e prova una tenerezza nuova. Dirle, poterle dire: "Guarda, Milena,
cambia. Per te ho questo lavoro. Da domani potrai lavorare come le
altre donne. Non è un disonore il lavoro, tranne che il tuo.
Qualsiasi cosa tu potrai fare, ti darà piacere, ti farà
contenta. Solamente questa specie di lavoro ti umilia. Cambia. Da
domani puoi fare questo lavoro". E darle un lavoro tale da vederla
contenta.
Ma lui è un povero diavolo, che a mala pena si è fatto
da sè un pezzo di strada, che adesso è solamente un
numero in una grande caserma. E Milena fra qualche ora non si ricorderà
neppure di essersi tenuta fra le braccia il suo corpo. "Come
siamo proprio soli, e non possiamo aiutarci in nessun modo! Cresciamo
con la solitudine e non possiamo fare niente per liberarcene!".
Alza la testa e le bacia la fronte. Solamente questo può fare,
senza correre il rischio di essere preso per illuso o per scemo o
per pazzo.
Ma Milena non capisce neppure adesso. Spinge prima la fronte contro
le labbra di lui, come per dimostrargli che gli è grata del
bacio, poi mentre alza la testa e gli sorride, gli avvicina le cosce.
lo fa piano piano, come se tema già il freddo che si deve prendere.
Gliele tocca e gliele tiene vicino qualche secondo. Poi, rabbrividendo,
gliele allontana.
- "Proprio non ce la faccio, amore! Volevo dimostrarti che sei
caro e che ho piacere di sentire le tue gambe vicino alle mie, ma
non ci riesco. è più forte di me". Scambia lo sguardo
di lui per rimprovero, e per rimediare domando: "Ma tu come fai
a non avere freddo? Non ti sei lamentato neppure una volta.
Non tremi, non hai un brivido. Perchè non mi spieghi come fai?
Dimmelo, sì, dimmelo, amore! ". Gli sorride e rimane in
attesa.
Gianni non saprebbe spiegarglielo. Si sente le gambe calde e basta;
come si sente tutto il corpo caldo. Forse dipende dal fatto che ha
camminato a lungo. No, non è questo. Il freddo non lo soffre.
Non l'ha mai sofferto. Ci dovrebbe mancare anche il freddo, soffrirlo,
nella sua fanciullezza! Se no, come sopportare le sere lunghe e le
notti d'inverno nella stanza dove ha dormito col fratello? Sì,
dormivano assieme, ma perchè non c'era posto per due letti.
E si davano caldo a vicenda. Specialmente verso il mattino, quando
si dorme e non si dorme, se ne stavano a spalla a spalla, proprio
cercando il caldo attraverso tutte le parti delle spalle. Era passata
quasi tutta la notte ed il caldo del corpo si era consumato nella
loro stanza che dava a nord e non vedeva mai il sole. lui, solamente
verso l'alba, quando i piccioni sotto la grondaia, sopra la stanza,
cominciavano a richiamarsi, a tubare, sentiva un po' di freddo. Ma
neanche freddo vero e proprio. il desiderio che continuasse il tepore
di prima. Allora lui e il fratello aderivano per tutta la spalla e
si scambiavano le ultime dosi di caldo. E intanto il cervello cominciava
a mettersi in movimento, a funzionare. Un'altra giornata, chiusa l'altra
appena all'una o alle due. il cervello cominciava a girare come le
ruote delle campane della chiesa di Santo Stefano. I compiti da preparare
per la sera: quelli di italiano, di storia, di matematica, di diritto.
Tentava il primo ordine nella testa, con l'ultimo tepore della notte
e il primo freddo del mattino, il breve esame della sua posizione
di studente di scuola serale, ma esame importantissimo, indispensabile,
vitale. Della vita di lavoro che fra qualche ora avrebbe dovuto riprendere,
non si ricordava ancora. In ufficio, appena dietro il tavolo, sapeva
ciò che doveva fare. Ma adesso il suo dovere di studente gli
chiedeva momenti di raccoglimento. E, subito dopo, i primi tentativi
di ricordare ciò che la sera gli era stato spiegato. le prime
prove sulla memoria, nel suo cervello. E finalmente, cercando di muoversi
il meno possibile per non svegliare del tutto il fratello, la luce
vicinissima al cuscino, il quaderno o il libro aperto sotto gli occhi,
cominciare a guadagnare tempo, a rendere buone, far fruttificare quelle
ore del mattino. Le gambe, il corpo cercavano il caldo della notte
fra le lenzuola, nella posizione in cui era rimasto fino allora, come
a succhiare tutto il caldo che per quattro cinque ore gli avevano
dato, le mani fuori, ma il meno possibile, quanto potesse bastare
a tenere aperta la pagina.
- "Ci sono abituato, per questo non lo soffro", si limita
a dire, perchè non creda che voglia vantarsi e umiliarla.
Milena lo stringe di più e sorride. è simpatico anche
così, senza ridere mai. simpatico per il modo di guardare e
di parlare. E se fosse un altro glielo direbbe. Ha detto solamente
che al freddo è abituato. Mentre lei non si è ma] potuta
abituare. E non se ne vergogna. Ma se uno avesse cercato di scherzarci
sopra o di prenderla in giro, le avrebbe fatto rabbia. Non tutti si
sanno abituare al freddo. Quelli che non sanno cosa significhi, ridono
del freddo degli altri. Però un altro con la scusa del freddo
che non soffre le avrebbe detto della suo vita, di ciò che
fa e di come vi reagisce, in casa, fuori. Lui invece ha detto che
si è abituato. E basta.
- "Eh, sì, a Corno farà più freddo ancora.
Ma è sempre un freddo diverso. secco. Fa meno male. Qui ti
entra dentro e non se ne va più neanche col fuoco. è
l'umido che arriva fino alle ossa. lo non lo posso soffrire questo
freddo. L'odio. Milano è una città infame. Per noi poi!".
La testa sempre vicino al collo di Gianni, cerca di non fare movimenti.
- "Non è così, amore? lì è la neve
che ti salva. Ma qui guarda che ti fa la neve. Subito si ghiaccia
e l'umido ricomincia per settimane, per mesi. Te lo senti addosso,
da per tutto. Quasi quasi ti invidio che non lo soffri". Non
alza la testa neppure adesso. Aspetta qualche momento e poi domanda:
"Mi senti, oppure ti dà fastidio che parlo di queste cose?".
Gianni la stringe un po' di più. la capisce, lo sa. A star
fermi per la strada, l'umido entra di più nella carne, nelle
ossa e corrode. Uno può mettersi in corpo ciò che vuole,
ma camminare avanti e indietro per ore non bastano le maglie, i vestiti
pesanti. Povera Milena! Sente il corpo di lei minuto, fragile. Proprio
un cosino infreddolito fra le sue braccia calde. Non la carne calda
di una donna, tutta pronta per darsi e per ricevere l'amore di un
uomo, ma un corpo tenero, impaurito. E non ha che ventitrè
o ventiquattro anni. Per il suo verso, anche lei può dire di
essere già vecchia. Altro che non contano gli anni. Si può
essere vecchi anche avendone ventiquattro di anni e giovane avendone
cinquanta o settanta. Dipende proprio dallo spirito che è logorato
dalla vita che si conduce. Altro che non credere a chi dice di sentirsi
vecchio, di essere vecchio! l'intensità o la violenza che la
vita esercita dispoticamente, sul fisico e sul morale, compiono questa
distruzione. Altro che pose, o altro che storie! Ma è un peccato
che questo avvenga. Sì, proprio un'ingiustizia! Che può
avvenire, e la colpa è degli uomini.
"Da quanto tempo fai questo lavoro?". Sta per dire "mestiere",
ma fa a tempo a trattenersi. "Scusa, sai ... " aggiunge,
per parare una reazione di lei. - "Figurati! Quale? Questo? Cinque
anni, amore. Sì, sono già parecchi. Anche se a confronto
di quelli delle altre sono ancora alle prime armi".
- "Fai a tempo a trovarti un uomo, a sposarti".
- "Chi dice di no?". Ma nella voce ha un'ombra di sarcasmo.
"Adesso poi che siete tutti in guerra! No, amore. Non ti prendo
in giro. Forse lo troverò. Ma è così difficile!
Gli uomini girano intorno a noi come i mosconi intorno al miele".
- "Capisco".
Milena pare che non voglia dire più niente, e Gianni invece
sente di più il bisogno di sapere di lei.
- "Ma l'anno passato stavo per finirla", dice Milena all'improvviso.
- "E poi?"
- "Ma quello chissà se era matto o mezzo scemo. Valli
a capire gli uomini. Eppure me ne sono capitati, da cinque anni a
questa parte". Se ne sta buona buona, e parla piano, la testa
vicina al collo di Gianni.
- "Ma a te non interessano queste cose e a me fanno venire la
malinconia. meglio che facciamo l'amore e non se ne parla più".
- "Ma fa freddo ancora. Riscaldati ancora un poco. Non ho fretta.
E poi ciò che dici m'interessa, mi aiuta a conoscerti. Scusa,
Milena ... "
- "Figurati!"
- "Mi pare di conoscerti da molto tempo".
- "Ma ci sei già stato con me? Non credo! lo sono un po'
fisionomista. Va bene che di uomini ne ho passati tanti; ma uno giovane
rimane impresso anche senza volerlo. Quando sei venuto con me?".
- "No, non sono mai stato con te. Dicevo per dire. Non mi so
spiegare".
- "E quello è il guaio!", si solleva appena e lo
guarda allarmata. "Dì, non avrai anche tu i numeri nella
testa?"
- "Quali numeri?"
- "Ah, be'! Perchè non ci casco più!". E si
rimette nella posizione di prima, ma ancora diffidente.
- "A me faceva piacere sapere della tua vita di questi anni,
così. Anche tu devi averne sofferte parecchie! Non ho numeri
nella testa".
- "Scusa, musetto. Ogni tanto mi prendono i cinque minuti. Per
la seconda volta l'anno scorso, no, due anni fa, mi fidai di un uomo,
e ci ho lasciato le penne".
- "Mi dispiace".
- "Cose che capitano! Si dice! Ci credetti, nonostante che questo
mestiere in quattro anni mi avesse fatto aprire gli occhi abbastanza.
Aveva i numeri nella testa, dico io: mi seppe prendere e io come una
ragazza di quindici anni mollai. Stupida, cretina! Noi siamo furbe,
ma voi quando vi mettete! Non dico te, musetto. Ma cambiamo discorso.
Ce l'hai tu la fidanzata?"
- "No, no, continua".
- "Ma ce l'hai la fidanzata?".
- "No, non ce l'ho".
- "Male! Dovresti fartela e stare alla larga da noi".
- "Continua quello che stavi dicendo, se non ti spiace".
- "E va bene, ma poi mi devi dire veramente se ce l'hai o non
ce l'hai una ragazza. Ma non fu come la prima volta a diciott'anni.
Se avesse tentato come il primo, non ce l'avrebbe fatta. Non avrei
abboccato. Non ero preparata: per questo ci cascai. Proprio così!
Dicono che noi la sappiamo lunga. Altro che! e gli uomini? Ci cascai
proprio quando credevo di essere più in guardia". Si ferma
e alza gli occhi fino a quelli di Gianni. Vede che la guarda e sorride.
lo stringe qualche momento di più e gli appunto un bacio, una
virgola, sul mento. "Musetto, mi fai ricordare queste cose all'ultimo
dell'anno. Mi porterà male". E ride di nuovo.
- "No, ti porterà bene. Le stai dicendo ancora nell'anno
vecchio. L'essenziale è che cominci bene quello nuovo: si dice".
- "Ma tu ci credi?".
- "Io no. Ma può darsi che per te sia diverso. Anzi vedrai
che sarà così. Allora?"
- "Allora?! Brutto muso. Ma perchè vuoi sapere queste
cose?". - "Ma, così! Mi pare che così ti conosca
di più".
- "E dagli! Tu mi nascondi qualche cosa e io come una stupida
ci casco. Perchè io sono stupida".
- "Ma no, scusa".
- "Non lo sono? Sarà, ma io mi conosco. E se no, stavo
qui con te adesso? Figurati! Non so ragionare, non so fare i miei
calcoli, i miei interessi. Un'altra al mio posto sarebbe una signora
in questo momento. Fessa! Fessa! Me l'hanno detto. Ma, va bene! Ma
come fai a cambiarti? Poi mi dirai tu stesso, visto che vuoi conoscermi.
E' così?"
- "Sì".
- "Era un uomo, diciamo, per bene. Ma va fidarti! La prima volta
non mi volle toccare. Mi disse solamente di parlare, su per giù
come mi hai detto tu poco fa. No, non E''arrabbiare! Scherzo! Dì,
non stai neanche allo scherzo tu? E ridi un poco! Su! Ah, così!
Ma mi raccomando: non sforzarti! Se no ti rovini le mandibole! Dunque,
lui aveva tanti pensieri e io potevo distrarlo. E come una scema ci
credetti. Ma non sapevo di che parlargli e glielo domandai, e lui
mi disse di stare zitta, di mettermi vicina a lui e di non dir niente.
Roba da non credere, ma quando ci penso, dico che era matto, sì
quello era matto. Va be', così feci. Ma dopo un po', fu lui
a cominciare a parlare, a dirmi di lui. Era solo, aveva una ragazza
che l'aveva lasciato e non sapeva più dove era andata, aveva
una merceria, ma di essa non gli importava più niente. lo ero
stanca. Quel giorno avevo lavorato assai, e per riposarmi lo invogliavo
a parlare. Intanto l'osservavo, proprio come tu stai facendo adesso
con me ... ".
- "No ... ".
- "Non dire storie. lo so, me ne accorgo. Ma non fa niente. Mi
piaceva... E io ti piaccio?"
- "Si ... ".
- "Oh, musetto! Come l'hai detto deciso!". E lo stringe.
"No, non ti prendo in giro. Son domande che non dobbiamo fare".
- "Sì, mi piaci, Milena. I tuoi occhi ... ".
- "Vedi, vedi?! Cominci a prendermi in giro, e senza ridere neppure
un momento. Sei pericoloso! Va bene. Vuoi che vada avanti?".
"Si".
"Oh! Vedi che sai essere deciso! Lui, dopo quattro ore, si rivestì
e mi domandò quando poteva rivedermi. Niente amore, niente
di niente, neppure un tentativo. Tu invece vuoi fare l'amore, vero
musetto? E ridi! Te lo faccio fare, te lo faccio fare!".
- "Che gli rispondesti?".
- "Quando aveva voglia, sapeva dove trovarmi. E lui, a bruciapelo,
mi fece la proposta di andare a stare con lui. Perchè? Così,
aveva bisogno di una ragazza per parlare, per vedersi e stare insieme.
"Ma non mi conosci!" gli dissi. Non gliene importava. Disse
che non era ricco, ma neanche povero. Aveva una merceria piuttosto
modesta: poteva darmi da vivere. Se mi accontentavo.
E io accettai, senza neppure domandare di fare la prova. Forse si
stancherà, mi dissi, e amen. Che ci perdevo ad accettare? Cominciava
l'autunno. Almeno sarebbe passata la brutta stagione. Andai a stare
con lui".
- "Come si chiamava?".
- "Anche il nome vuoi sapere! Mario. Abitava in una casa, modesta,
vicino al Giambellino. Molto vicino alla bottega. Un quartiere nuovo.
le cose strane che capitavano nella vita! E più strano ancora
che te le sto a raccontare. Sono una stupida! Basta! Non dico più
niente!".
Adesso è Gianni che le porta la mano al viso e l'accarezza,
piano piano, lungo l'orlo del mento, e poi le dà un bacio sulla
fronte.
- "Sì, accarezzami. Quando il diavolo E''accarezza, Vuoi
dire che vuole l'anima! Ma io non ce l'ho più l'anima!".
Gianni smette e ritorna come prima. - "Non E''arrabbiare, musetto.
Non volevo offenderti. Pensavo ancora a lui. Per un mese non mi toccò.
Non guardava neanche il mio corpo. Quando mi parlava, subito mi toglieva
gli occhi di dosso. E mi convinse che si fidava di me. Mi raccomandò
solamente di non andare con nessun uomo fino a quando rimanevo con
lui. Me lo fece promettere. E io mantenni la promessa. Non ci voleva
molto. Ero casi nauseata degli uomini che non ci pensavo neanche.
lui mi passava per fare la spesa. Mica tanto, ma bastava, e io ero
contenta. Mi comprò anche dei vestiti. Pensa non volle che
andassi a ritirare la mia roba. la lasciai tutta nella camera dov'ero
in affitto: da una mia amica, guardarobiera al cinema Ambasciatori.
Figurati io: non insistetti. Telefonai a Rito e dopo qualche giorno,
almeno per assicurarla e per non farla stare in pensieri. "Metti
tutta assieme la mia roba e tienila lì". Non mi voleva
credere. "Stai attenta", mi ripeteva al telefono. "Tu,
nonostante tutto, sei giovane". "Non ti preoccupare. Tengo
gli occhi aperti!". Eppure! Be' pazienza. le dissi anche d'affittarla
la stanza, e contro la scaramanzia ci feci la fica greca. Povera Rita!
Certe volte a che cosa ci attacchiamo! Quanto più siamo contenti,
tanto più ci vogliamo difendere dagli invidiosi. Tu credi al
malocchio?".
- "Mah! Forse si, e forse no. Dipende ... ".
- "Vedi?! Anche tu, come me. E' così! Ma mi fa piacere
che la pensi così anche tu. Si fa presto a dire fregatene,
oppure che vuoi che ci faccia il malocchio... Eppure: io ho passato
dei guai sempre per colpa degli altri".
- "E poi?".
- "Ti piace, eh, e va bene. Ma sì, casi ci riscaldiamo
bene bene prima. Questa è ancora una Siberia! Facevo una vita
che mi pareva un sogno, una pacchia! Mi ci abbandonai e cominciai
a sperare che durasse il più a lungo possibile. Stavo provando
la vita dell'amante. Non ero capitata proprio bene, ma non mi lamentavo.
Assai meglio che stare quassotto. Lui era buono, tranquillo, e mi
rispettava. Mai che alludesse al mio passato, a dove m'aveva conosciuta
e come. Insomma mi stavo rimettendo nel l'ingranaggio. Una cosa che
non avevo sperato più. Non è difficile ritornare nell'ingranaggio
però. Può capitare dall'oggi al domani e tu non te ne
accorgi, per così dire. E quando pensi al cambiamento, E''accorgi
che è già passato del tempo, una settimana, un mese.
Ma basta! Guarda che dovevo dire questa notte, e proprio a te che
non conosco neppure! Vediamo di fare quest'amore e non se ne parli
più. Uh! che freddo, porco giuda!".
- "Aspetta, Milena. Stiamo così bene. M'interessa! ...
". -"Bravo, casi poi ci ridi sopra!".
- "No, no ... ".
- "Ma che te ne frega delle mie storie?! Mi fai venire la rabbia.
Ma mica tu; per quello che mi sto ricordando. Eppure io avevo paura
che tutto andava a finire male. Avevo tanta paura che cercavo di non
pensarci. Tornare indietro è tremendo. E' come trovarsi di
nuovo nei giorni della miseria e della fame dopo che non si soffrono
più. Te l'immagini?"
- "Io sì: il ricordo dei pasti saltati o appena consumati
rimane e si ha sempre paura che il ricordo si tramuti in realtà".
- "Tu con poche parole le cose le sai dire.. Bravo! Proprio così.
lo invece faccio fatica a parlare. Eppure ho fatto fino alla quarta
complementare. Va bene che mi manca l'esercizio, e poi con chi posso
parlare?!".
- "E poi?".
- "Aspetta. Vuoi vedere che adesso devo stare agli ordini? Va
be'. Mario però non m'avrebbe mandata via, se io mantenevo
la promessa. Niente più uomini. Figurati! A me non erano mai
interessati, tranne uno, il primo, un poco. Che Dio lo stramaledica
anche questa notte, all'ultimo dell'anno! Va be'. A digiuno di uomini:
ne potevo fare benissimo a meno! Aspettavo che lui mi volesse, mi
prendesse. Capisci? Che storia stupida, a ripensarci. Va be', uscivo
il meno che potevo. Non mi importava niente, di fuori. Scoprivo un
mondo nelle tre stanze piccole. Mobili comuni e senza gusto, ma cominciavo
a considerarli un po' casa mia, come avviene in pensione quando ci
si ferma per molto. Potevo spostare, dare un ordine diverso alle cose
e lui pareva contento. Non mi diceva niente dei cambiamenti, ma da
come guardava, o dimostrava d'accorgersene, capivo che non gli dispiaceva.
Se m'avesse dato tempo quel pazzo! Se non fosse stato così
stupido! Ma no, la colpa fu mia. Minchiona! Ci metti il sentimento
e ti fai fregare. E noi dobbiamo ragionare sempre! Ma vedi come è
facile dopo. Ma il fatto è che siamo di carne e ossa anche
noi, cristo buono! Un cuore ce l'abbiamo anche noi, anche se questa
vita te lo riduce a una pietra! Volevo dimostrargli che potevo essere
una ragazza per bene, che sapevo essere una donna di casa come tante
altre. Mi sentivo buona, come non mi capitava da quattro anni. Che
può fare la felicità! Mica la grande felicità,
ma quella che porta una donna verso un uomo e viceversa. Siamo fatti
per stare assieme, e quando siamo santi e quando siamo bestie! Ma
tu sei giovane e non le sai ancora queste cose. Non E''arrabbiare.
Visto che ti piace sentirmi parlare, fammi sfogare. Bene! In centro
non venivo più. Mi seccava incontrare qualche cliente, oppure
qualche compagna. Eppoi non ne sentivo il bisogno. Se questo centro
non ci fosse mai stato, un'altra ombra non sarebbe venuta ad aggiungersi
a quelle causate dalle mie paure. Ma non potevo distruggerlo. Tutto
si può distruggere tranne le macchie che lasciamo con le nostre
azioni.
Ma rimanerci lontano lo potevo. Bastò che trovassi un altro
centro. Perchè siamo noi che ci creiamo il centro, sempre noi,
con le nostre azioni, con la nostra volontà. Me lo creai nel
rione. Bastò qualche giorno e cominciarono a chiamarmi signorina
Milena. Capisci? La gente! Mi faceva piacere però. E cominciai
a crederci anche io. Poteva essere veramente l'inizio di una nuova
vita. Chi non ci conosce, non sa di quanto rispetto siamo degni veramente.
Tu, se non m'avessi trovata qui vicino, in piazza, in una via qualsiasi
m'avresti preso per quella che sono?".
- "Veramente no".
- "Grazie. Eppure adesso sono cambiata. Questo lavoro consuma.
Ci fa diventare magre, brutte: io lo so! Be', i negozianti non sapevano
chi ero: mi salutavano e mi servivano bene. E li contraccambiavo.
Rispettare e farsi rispettare: non è difficile. Tutto comincia
da un certo punto: vita onesta, sul binario delle convenzioni degli
uomini. E rimanerci non è difficile: dipende da noi stessi
oltre che dagli altri. lo avrei voluto rimanerci e facevo di tutto.
Ma dipendeva anche da lui. Ma avrebbe dovuto durare tanto almeno,
da abituarmi a questa vita. Dopo, un nuovo cambiamento avrei potuto
anche affrontarlo e non sarebbe stato un ritorno alla vita di prima.
Lui non mi parlò più della ragazza che l'aveva lasciato.
Ma vedevo che soffriva molto e lo lasciavo in pace. Non m'importava
sapere niente di lei. Era una cosa che non mi riguardava. Neppure
per semplice curiosità. Non volevo sapere neppure perchè
l'aveva lasciato. Fatti loro di prima. lo ero entrata in quella casa
e basta. Lui m'aveva raccomandato di non andare con nessun uomo e
io avevo promesso; ma io non avevo raccomandato la stessa cosa a lui.
Facesse quello che voleva. Non m'interessava.
Di lui non sapevo quasi niente. Non aveva parenti vicini, non aveva
amici, la merceria l'aveva avuta dal padre alla morte, ma non ci aveva
fatto niente per rimodernarla. S'accontentava di guadagnare quel poco
che gli bastava per tirare avanti e non si preoccupava del giorno
appresso. La sera mi portava al cinema del rione, ma non sempre: ce
ne stavamo a casa, a sentire la radio. Proprio come due amici o clienti
di una stessa pensione. Vedi? Anch'io ho il mio romanzo. Ma la vita
di ognuno di noi è un romanzo. E tu non l'hai?".
- "Te la dirò un'altra volta. Adesso continua tu".
- "Ci prendi gusto, eh? Casi poi lo vai a dire agli amici, in
caserma. E io ci faccio una bella figura. Più fessa di quello
che sono!".
- "No! no!".
Lo dice con tale veemenza e sincerità che Milena si scosta
e lo guarda. Poi scoppia a ridere e si rimette nella solita posizione.
- "Ti credo, musetto! E poi a chi fregheranno i fatti miei? Te
li dico tanto per dire. Il tempo dobbiamo pure farlo passare, visto
che il caldo manca ancora".
- "Ma a me interessa!".
- "Lo so, lo so. Non capisco il perchè, ma l'ho capito.
Va bene! Tienili per te, però. Tanto posso starti a raccontare
una storia inventata. No? che ci credi che non siamo capaci?".
- "Sì, si ... ".
- "Quando ci mettiamo, vengono fuori dei veri romanzi. Ma no,
a te sto dicendo le cose come andarono. Visto che ho cominciato. Pensa
che non l'ho visto più. Ma sarà vivo, altro che! Mi
scopri come donna dopo tre mesi e volle fare l'amore. Oh! quei tre
mesi mi erano serviti per rimettermi in carne. Quando sei stanca di
uomini, tre mesi di riposo ti passano come una convalescenza. lo a
certe donne farei fare il lavoro che facciamo noi, mica per tanto,
ma per un paio di mesi, e poi vedrai che la voglia di trovarsi il
maschio le passa. Mi sentivo bene come quando avevo diciassette anni.
Nessun dolore per il corpo, come mi succede anche adesso quando mi
alzo la mattina tardi o al pomeriggio. Cerco di scacciare la stanchezza
e i dolori nella carne, nelle ossa, come posso, ma niente da fare".
- "Ci vuole più riposo".
- "Bravo. E il lavoro chi lo fa? lo so bene io! E lo seppi bene
in quei tre mesi! Che fessa che fui! Potevo essere una signora anch'io,
modesta ma signora, e detti un calcio alla fortuna, come disse poi
la mia amica, l'affittacamere. Bevevo tanto caffè. E adesso
neppure più quello. Era la mia medicina: mi svegliava, mi faceva
passare i dolori, anche se era solamente un palliativo. Adesso poi
coi surrogati, hai voglia a bere acqua tinta! Scommetto che è
più buono quello che danno a voi."
- "Anche il nostro non sveglia per niente. A volte sa di cicorie,
a volte di olio di ricino".
- "Sì, io ho perduto la mia medicina col caffè.
Altro che guerra! DI, non sei mica uno di quelli che vogliono la guerra?!
Allora scusa!".
- "No, puoi stare tranquilla!".
- "Sai, perchè, io rispetto le idee degli altri, e se
ho detto che non la voglio è per la vita da cani che io devo
fare. Perchè la guerra poi può essere anche giusta,
che ne so io? Se la fanno vuoi dire che deve essere fatta."
- "Va avanti, scusa. Intanto il caffè-caffè non
ce l'hai più".
- "Proprio casi! Metto stanchezza su stanchezza un po' tutti
i giorni, e poi arrivo che devo passare a letto ogni mese due o tre
giorni. I dolori ai reni, per la schiena, nella pancia sono tali che
devo rinunciare ad uscire".
- "Ma non puoi andare da un medico?".
- "Io la so la mia medicina. Il riposo. Lo vidi in quei tre mesi".
- "Sì, ma il medico ... ".
- "Sono andata e ci vado! E anche lui ripete che, più
delle punture o delle medicine, mi farebbe bene un riposo più
sostanzioso e metodico, e anche un vitto più abbondante. Come
dire raccomandati alla Madonna o ai Santi! E aspetta. Mi metto la
ricetta in tasca e prometto di riposare di più. Di mangiare
di più, non ne parliamo! Niente da fare: caro mio, di questo
sporco lavoro non posso fare a meno. Ma dopo quei tre mesi non sentivo
più i dolori. Il primo mese che ero con lui rimasi a letto
solamente un giorno, e la sera, verso l'ora in cui ritornava, riuscivo
ad alzarmi e a fargli trovare la tavola preparata. Mario non s'accorse
di niente e io, dopo, me ne tornai a letto. Negli altri mesi non ci
rimasi neppure per un'ora. Non mi sembrava vero. Mi sentivo bene,
insomma, da per tutto, e forte, sana, come una ragazzina. Quello che
ero io a diciassette anni!
Mario mi domandò all'improvviso se volevo fare l'amore. Ne
fui contenta. Me lo domandò quasi con vergogna, come se mi
domandasse un grosso piacere. Eppure allora non ci feci molto caso.
Volevo dimostrargli di quanto gli ero riconoscente nell'unico modo
che mi era concesso. Mentre se ne stava nel letto e non si decideva
ancora ad avvicinarmi, cercò di scusarsi perchè mi faceva
fare l'amore. lo aspettavo e lo guardavo per fargli capire che mi
faceva piacere e che gli ero grata. Ma notai qualche cosa d'anormale
nei suoi occhi, come quando era stato con me la prima volta. Ma quandò
cominciò a baciarmi, con delicatezza, con timidezza, sulle
labbra, sul collo, sugli occhi, parve anche a me di sentire qualche
cosa per lui. Mah! Forse affetto. lui non abusava di me.
Ne avrebbe avuto diritto, lo sapevo, e non mi sarei rifiutata. Mi
trattava come una donna cui si vuoi bene e si rispetta. Per questo
sentii di volergli bene, un bene ancora tutto pieno di ragionamento,
come un dovere di bene. Fu delicato come se stesse compiendo un rito,
al quale da tempo si era preparato, e non mi dette il tempo di dimostrargli
ciò che sentivo per lui e di quanto gli ero riconoscente.
Subito dopo l'amore mi domandò di nuovo scusa. lo tentai di
parlare, di rassicurarlo, ma non me ne dette il tempo. Rimase vicino
a me e, fissando il soffitto, mi disse che se avevo un mio uomo, col
quale desideravo vedermi, lui, sia pure a malincuore, mi dava il permesso
di andarmene. Ma se volevo rimanere con lui, mi domandava di non vederlo.
Il suo chiodo: non voleva essere ingannato. Che non manifestò
chiaramente, ma che mi fece capire finalmente abbastanza bene. Evidente
che il ricordo dell'altra era ancora vivo, ma non mi arrabbiai. Le
capisco ormai queste cose io! Il primo uomo crediamo di odiarlo e
invece rimane vivo in noi per anni di seguito!
Mario disse che non aveva il diritto di tenermi per lui, solamente
perchè mi dava da mangiare e da dormire e che era disposto
a rinunciare a me prima che io glielo dicessi o conducessi una doppia
vita, con lui e con l'altro. Un chiodo fisso insomma! E io a rassicurarlo
che non avevo nessuno, proprio nessuno, e che non ne dubitasse. Gli
dissi che non avevo intenzione di trovarmene uno, dal momento che
lui m'aveva presa con sè, e che con lui mi trovavo bene, proprio
perchè era buono e gentile. Sarei rimasta se gli faceva piacere,
e mi sarei sforzata di capirlo di più, di conoscerlo di più,
per farlo sentire meno solo.
Così passarono altri mesi. Lui sempre di poche parole, ma affettuoso,
buono, certe volte anche premuroso; io a cercare di capire i suoi
gusti, i suoi pensieri, perchè l'ombra che ogni tanto gli vedevo
negli occhi, sulla fronte, agli angoli della bocca, scomparisse del
tutto.
Se ne andarono l'inverno e la primavera: per cercare di condensare,
se no stiamo qui fino a domani mattina. Al principio dell'estate,
mi fece la proposta di sposarlo. Non me l'aspettavo. Una sera. Con
poche parole. Ma secondo lui la vita che facevamo poteva essere già
di marito e moglie. Ormai non poteva cambiare più niente. Mi
disse che, se ero disposta a sposarlo, avremmo potuto farlo anche
fra qualche mese. Ma, almeno per sbaglio, avesse detto una volta che
mi voleva bene! Va bene che non accennò mai alla mia vita di
prima! lo invece avrei voluto discuterne, almeno parlarne a lungo,
anche per convincermi e per convincerlo di un passo così importante.
Non è mica una cosa da niente un matrimonio i Perchè,
se ha da essere una catena e basta, preferisco questa qui; almeno
sono libera e non devo avere un altro peso. Ma sentivo di volergli
bene. Mica ero innamorata, ma gli volevo bene perchè aveva
una casa, era buono, e mi trattava come una ragazza per bene. Va bene:
gli dissi di sì, ma ci pensasse ancora. Tanto che ci perdevamo?
Avremmo potuto rimanere così per qualche altro mese e poi,
se lui era ancora dello stesso parere, potevamo sposarci.
- "Ma l'idea di essere sposata non ti faceva piacere per niente?".
- "A me no. Mi lasciava indifferente. Forse anche a te sembrerà
strano ma è così! Per me era un fatto già eccezionale
essere passata dalla vita di prima a quella di adesso, ma la paura
che finisse mi rimaneva dentro, anche se volevo convincermi che col
matrimonio tutto sarebbe stato morto e seppellito. Eppoi, in certi
altri momenti pensavo a me sposata e mi veniva da piangere, per la
rabbia quasi. Il pensiero del matrimonio l'avevo avuto a diciassette
anni e durò per un anno! Avevo speranze, sapevo aspettare!
Ma poi seppellii tutto e ogni giorno sempre più a fondo. Quattro
anni di questa vita fanno a tempo a distruggere tutto! Avrei voluto
abituarmi di nuovo all'idea del matrimonio un po' ogni giorno. Durante
i mesi che avevo passato con lui, non mi era mai venuta l'idea che
questa convivenza avrebbe potuto cambiarsi in matrimonio. Ero, mi
consideravo una mantenuta, come tante altre. Presto o tardi lui avrebbe
potuto stancarsi e darmi il benservito. Ed ero così scema che
non avevo fatto niente per evitare questo. Al posto mio altre donne
si sarebbero preoccupate di consolidare la posizione, avrebbero adoperato
tutte le loro arti per legare sempre più l'uomo e diventare
esse le padrone del campo. lo invece no, un po' per il mio carattere,
un po' perchè lui non me ne dava la possibilità. Una
storia complicata che, se non fosse toccato proprio a me, direi che
è inventata.
Lui, sì, cercò di rassicurarmi che ci aveva pensato
parecchio e che ormai era sicuro di ciò che mi proponeva. "A
quarant'anni, quando si decide una cosa, non ci si torna più
sopra", disse, e io ormai avrei dovuto conoscerlo e saperlo.
Va bene, convenimmo di sposarci al principio dell'inverno. Senza cerimonia.
Preparare le carte e sposarsi: una mezz'ora da perdere. Poi lui sarebbe
andato ad aprire il negozio e io sarei tornata a casa. Forse un pranzo
un po' diverso dai soliti. A lui piace così, e figurati a me.
Ma, siccome non era scema del tutto, capivo che alla base doveva esserci
sempre l'ombra dell'altra. Non gli dissi niente. Oltre tutto, anche
per me il rito del matrimonio era una semplice formalità. Da
quel momento sarei stata sua moglie e tutto sarebbe andato avanti
come prima.
Adesso lui era affettuoso, anche quando faceva l'amore. Di un'affettuosità
tutta nuova, di timidezza e di delicatezza che non mi dispiacevano.
Anche se capivo che se l'era imposta. Perchè, l'ombra dell'altra
rimaneva fra noi. Ma non gliene parlai ancora. Preferivo far passare
il tempo, abituarlo all'amore con me, sicura che solamente così
l'avrei avvicinato del tutto. Non per niente avevo fatto quattro anni
di questo mestiere. A qualche cosa almeno serviva! Tu sei giovane,
ma ti renderai conto come tutto dipende da noi, dalla donna. E' così,
non lo dico mica per vantare la nostra categoria! l'uomo s'attacca
al corpo della donna e lo preferisce, proprio grazie alla bontà
e alle attrattive che il corpo sa dare.
Io allora avevo ventidue anni e lui quaranta. Non è una grande
differenza e a me non faceva impressione per niente. Ma lui ogni tanto,
dopo avere fatto l'amore, mi domandava se non mi sarei pentita di
averlo sposato. lo lo rassicuravo. Ed ero sincera, Stancarmi di lui?
E come avrei potuto? Ero troppo stanca dell'altra vita, troppi anni
ci avevo passato dentro per pensare che quella di adesso, a lungo
andare, mi avrebbe causato una nuova stanchezza. Di una forma di vita
ci si stanca solamente quando non si sono conosciute le altre forme.
E per me tutte le forme erano senz'altro migliori di quella di prima.
Avevo diciott'anni in meno di lui? E che significava? Non avevo più
l'esatta cognizione dei miei anni. Proprio così! Non ero più
giovane, come si può essere, come ci si deve sentire a ventidue
anni. In quei quattro anni le mie sensazioni avevano fatto come un
salto, passando dalla prima giovinezza all'età matura. Mi sentivo
donna, e donna più che fatta. Riuscivo a intravedere la giovinezza
nelle altre ragazze della mia età, riuscivo a capirla nelle
altre quando le vedevo, ma la mia non la intravedevo più, nè
l'avrei più capita. Adesso ero contenta di rimanere in questo
stato il più a lungo possibile, vicino a un uomo che ne aveva
diciotto più di me, ma che sarebbe stato lo stesso se ne avesse
avuto trenta di più o dieci di meno. Mi ero affezionata a lui
proprio come un cane al padrone: la questione degli anni non m'interessava,
bastava l'affezione.
In agosto, al dieci, andammo al mare. In un piccolo paese dell'Adriatico.
Misano, mi pare. Non sapevo che c'era già stato. Me ne accorsi
quando arrivammo: dal padrone dell'albergo. Quando mi vide con lui
fece la faccia meravigliata. lo niente. Ma lui se ne accorse e, cercando
di vincere il disagio, mi presentò per la nuova fidanzata,
presto moglie. E l'albergatore cercò di rimediare, parlando
subito di altro. lo conosceva da molti anni. Assegnò a lui
la camera degli anni precedenti, e a me quella della ragazza: in mezzo
una porta di comunicazione.
Avrebbero dovuto essere quindici giorni di riposo, di felicità.
lo ero partita sicura che lì lui si sarebbe avvicinato totalmente
a me. Saremmo rimasti assieme per molte ore, e il luogo, il clima,
l'ambiente avrebbero contribuito a far crollare le ultime barriere.
Invece furono quindici giorni di rabbia per me e di disperazione per
lui. Non usciva mai dalla stanza, e altrettanto volle che facessi
io. Mi concedeva solamente il tempo di andare alla spiaggia, prendere
un po' di sole e fare il bagno. Mi controllava con l'orologio questo
tempo. Ma io, per farlo contento, non dicevo niente e qualche giorno
trovai anche qualche scusa per non andarci. Ma mi resi conto che avevo
da fare con un tipo un po' (un po'? un po' troppo i) toccato. Nella
stanza voleva che rimanessi sdraiata sul letto in mutandine e reggiseno.
E va bene! Lui si sedeva nella poltrona ai piedi del letto e mi guardava.
E io pazienza. Le persiane appannate. Certe volte faceva finta di
dormire, certe volte di leggere qualche giornale illustrato. Rinunciai
a domandargli il motivo. Me l'aveva ordinato con tale voce la mattina
del secondo giorno, che non avevo voluto neppure spiegazioni. Le intuivo.
Non era difficile. Quattro anni del mio mestiere non erano passati
inutilmente. Era capitato che qualche cliente non voleva altro da
me se non che me ne stessi nuda sul letto. E lui stesso, quando era
stato con me, era rimasto per tutto il tempo a guardarmi, a sfiorarmi
con le mani qualche momento, dicendo parole che dovevano avere qualche
significato solamente per lui. Avevo dovuto far fatica per non scoppiare
a ridere.
Allora: lui mi guardava e io mi rendevo conto che in lui si svegliavano
ricordi respinti inutilmente. In certi momenti vedevo che gli veniva
rabbia per tutto il corpo, in certi altri gli occhi, tutta la faccia
mi facevano paura. Mi fissava e pareva che stesse per cominciare a
parlare, ma di cose cattive, che avrebbero dovuto farmi male. Se tentavo
di muovermi, di alzarmi, di avvicinarmi per distrarlo, lui mi diceva
di non muovermi, di rimanere ancora così. Ogni tanto poi si
avvicinava e mi guardava dai capelli ai piedi, come a cercare qualche
cosa che aveva perduto sul mio corpo. Mi passava la mano da per tutto,
lentamente, tranne che sul seno e sul sesso, ma sempre come se avesse
voluto aggiungere le parole alle carezze. lo allora cercavo di attirarlo,
accarezzandolo anch'io, ma lui si allontanava subito, come se si svegliasse,
e arrabbiato di essere stato svegliato. Però subito mi domandava
scusa con mezze parole, e se ne andava nella sua stanza, per ritornare
dopo dieci minuti, oppure dopo un'ora, e ricominciare da capo".
- "Strano davvero questo tuo uomo! ".
- "Ti pare? Ma dovevi sentire ciò che mi disse l'albergatore,
quando riuscii a farlo cantare. le cameriere erano andate a dirgli
delle scene addirittura che avvenivano in camera e nei corridoi. Ma
la ragazza pare che era una puttana più di me".
- "Allora?".
- "Va bene. Non mi domandava più se ero contenta, se stavo
bene. Non si accorgeva di me, se non quando, entrato nella mia stanza,
non mi prendeva per mano, mi portava vicino al letto e mi aiutava
a togliermi la camicetta e la gonna. lo che ormai lo sapevo, volevo
aiutarlo, far prima, anche per non sentire le sue mani; ma lui non
me lo permetteva. Voleva far da solo. Mi spogliava lentamente, girandomi
attorno e guardandomi e una volta in reggiseno e mutandine m'indicava
il letto dietro le spalle e mi faceva capire di andarci. Poi, seduto
ai piedi del letto o nella poltrona vicina, ricominciava quella specie
di adorazione che mi dava sempre più fastidio e che non capivo
ancora del tutto. Finalmente il pomeriggio del decimo giorno parve
svegliarsi. Già al mattino qualche cosa d'insolito avevo potuto
notare in lui. Fu gentile, buono, premuroso. Mi domandò se
avevo dormito bene, se ero contenta di essere al mare con lui. lo
ne ero meravigliata, ma gli risposi affettuosamente, dicendo di essere
contenta di trovarmi al mare e con lui. Dicevo una bugia, ma pazienza.
Tutti i dubbi però che nutrivo scomparvero immediatamente.
Sulla faccia di lui non vedevo nessun'ombra, mi pareva addirittura
un altro. Mi parlò di nuovo del matrimonio e ne fui contenta;
parlò anche di progetti, ma come ne può parlare un innamorato.
lo lo ascoltai, gli risposi, e lui parve gradire le mie risposte.
Mi baciò finanche, cosa che in nove giorni non aveva mai fatto.
Ma quando fu l'ora di andare alla spiaggia mi disse che avrebbe preferito
non venirci ancora. Ma si scusava. Mi disse di andare da sola, e lui
m'avrebbe aspettata a casa. lo tentai di dirgli che non mi premeva
e che mi sarei fermata volentieri anch'io a casa. Ma lui insistette
tanto, che per non contrariarlo, ci andai. Per un momento gli vidi
l'espressione dei giorni precedenti negli occhi. Ma tornai presto.
Ci stetti meno di un'ora. Avevo deciso di chiarire tutto con lui.
Avevo paura, ma dovevo farlo parlare. E il momento poteva essere adatto.
A casa lo trovai sul mio letto. Al buio non mi accorsi che era nudo.
Appena mi avvicinai alle persiane per aprirle un po', lui mi pregò
di non toccarle, e di avvicinarmi. Mi attirò con le mani, lentamente,
come se per tutto il tempo non avesse aspettato altro. Quando gli
fui vicino, senza alzarsi, cominciò a spogliarmi. Non disse
una parola. Mi liberò di tutto questa volta, e mi attirò
sul letto. Non parlò neppure adesso. Cominciò ad accarezzarmi
come non aveva fatto mai, a baciarmi, da per tutto, sempre più
furiosamente. lo, accaldata dal bagno, e anche da questa improvvisa
forma di amore, cercai di contraccambiargli le carezze. Ma lui sommessamente,
ma con autorità, mi disse di no: dovevo stare buona, accettare,
subite; faceva lui, voleva far solamente lui. Mi arrabbiai, ma cercai
d'accontentarlo lo stesso. Ma la partecipazione di poco prima non
c'era più. lui me l'aveva distrutta. Subivo le sue carezze,
i suoi baci da per tutto e basta.
Finalmente quando parve sazio di quella specie di libidine volle fare
l'amore. Gli occhi glieli vedevo e non glieli vedevo, ma non mi sembrarono
i soliti. Era trasfigurato. Mi strinse, cominciò a mugolare,
ad emettere singulti, poi chiamò due volte "Luciana, Luciana",
emise un guaito più lungo, e si afflosciò.
In quel momento, stupida che non ero stata altro, capii! Rabbia e
schifo! Brutto porco e cornuto della malora! Lo respinsi con tutte
le forze. Lui cercava di rimanere aggrappato ancora, senza parlare,
ma io mi aiutai con le braccia e con le gambe. Ci riuscii. Non disse
ancora niente. Vicinissimo al letto aspettò. Mi alzai senza
guardarlo e andai a lavarmi. Mi vestii e preparai la valigia. All'una
c'era un treno. Facevo appena in tempo. Quando fui pronta gli ordinai
di darmi mille lire, e lui disse che il portafogli era nella sua stanza.
Ci andai, presi un biglietto da mille e rimisi il portafogli nella
tasca della giacca. Ritornai nella stanza, presi la valigia e senza
salutarlo me ne andai. Mi parve che sul letto stesse piangendo. Ma
non ebbi pietà: una cosa mi saliva dallo stomaco e, se non
andavo via, non so che gli avrei detto.
Il giorno dopo ripresi il mestiere. Neppure la roba andai a ritirare.
I miei vecchi abiti li avevo lasciati nella casa della mia amica:
tornai e per fortuna trovai libera la mia parte di camera. E da allora
eccomi qui".
- "E lui poi?"
- "Vada sulla forca! Quando penso al modo di far l'amore, mi
vengono ancora delle vampate di rabbia. A me è capitato di
sentirmi dare i nomi più strani dagli uomini, mentre fanno
l'amore. Ma era differente! Con quelli rido e li accontento. Ma, amore,
non vorrai anche tu che dica le parole più strampalate! No,
tu non sei il tipo. Poi sei giovane. Ma quelli li accontento, che
ci perdo? Pagano, gli fa piacere. E prosit. Tanto quando sono da me
possono grugnire come vogliono, a me non fa nè caldo nè
freddo. E se gli fa piacere, li faccio anch'io! Fanno proprio come
le bestie e io, per gioco certe volte e certe volte per rabbia, per
farli fare prima lo faccio anche. li imito come si fa coi gatti o
coi cani. Poi paga e se ne va e io non ci penso più fino alla
prossima volta. Ma con quel cornuto la cosa era diversa. Dopo un anno
si decideva a far la bestia con me e credeva di farla con l'altra!
Passa per la bestia: in fondo mi sarebbe piaciuto. Lo consideravo
già mio e quindi certe cose si possono anche fare. Ma che lui
mi fa fare da Luciana, noi Vada ad impiccarsi lui e lei, e mi lascino
in pace". Si lascia andare e allenta la stretta. "Hai visto
quanto ho parlato? Ma sì vada veramente sulla forca. E non
parliamone più". E tace, cogli occhi chiusi. Desidera
solamente assaporare il caldo che adesso c'è, stare buona,
farsi accarezzare, e far passare ancora un po' di tempo. Soprattutto
far passare il tempo.
Quando si desidera che passi, che voli, allora è lento, è
assurdo, è inconcepibile. Quando invece si vogliono assaporare
tutti i secondi, tutti gli attimi, a ora i secondi stessi sono subito
inghiottiti, distrutti.
Fino a quando è per la strada, alla ricerca del cliente, il
tempo vola, passano le ore e l'amaro cresce in bocca. Quando poi è
in camera, come non finisce mai la mezz'ora, l'ora o le ore. Sempre
così. Qualche donna è capace di addormentarsi con gli
occhi aperti. Non è una storia. I clienti vogliono gli occhi
aperti, e le donne hanno imparato a tenerli aperti, nonostante il
sonno. E una questione di abitudine come tante altre. l'essenziale
è stare zitte, far parlare loro, i clienti; che si illudono
di essere ascoltati, solo perchè vedono gli occhi della donna
aperti e che li guardano. le donne sanno anche sorridere qualche volta,
ridacchiare, ma sempre a sproposito; e gli uomini non si domandano
mai che cosa c'entri quel sorriso, quel riso. Lo prendono per eccentricità
della donna, per atto di simpatia, per uno dei modi di partecipare
alle sciocchezze che essi stanno dicendo. Si può dormire con
gli occhi aperti, insomma, e in nessun posto lo si può riscontrare
meglio che nelle camere di quelle donne, attraverso gli specchi sotto
il baldacchino o lungo la parete a fianco del letto. Basta guardarsi
in quegli specchi e guardare la donna per convincersene. Due corpi
nudi, l'uno vicino all'altro; ma uno svogliato, rilassato, che dorme,
nonostante gli occhi socchiusi o aperti che fissano il corpo nello
specchio, e la mano che passa svogliata sulla pancia, sulle mammelle,
come a scacciare il solletico che non c'è, ma solamente a dare
una cadenza, una nenia alla noia che il cliente vicino, piegato, le
crea intorno e che la imbeve, la assorbe tutta.
Fra poco sarà la mezzanotte appena. E fino all'una come avrebbe
potuto tenere a bada un uomo, anche se è giovane e timido e
paga centotrenta lire?
Comincia a pensare al modo di compiere il lavoro. Ce ne sono tanti,
ma li scarta ad uno ad uno. Questa volta nessuno va bene. Non è
un cliente di riguardo, ma deve fare in modo lo stesso che sia contento
e che se ne vada con un buon ricordo di lei.
Gianni, lo sente, le sta vicino e la guarda e l'accarezza con timidezza.
Non sono le solite carezze, neppure dei soliti timidi. C'è
qualche altra cosa che non sa spiegarsi, che non sa definire.
Se se ne fosse andato adesso, lui l'avrebbe ricordata così,
e sarebbe anche tornato forse. Si tratta quindi di farglielo fare
questo amore, ma in modo che sia la continuazione naturale di queste
carezze. Ma sa che è difficile, anzi addirittura impossibile.
Non farglielo fare l'amore? No, non è possibile. Dovrà
farglielo fare, anche per giustificare il prezzo che ha contrattato.
Sulle venti lire non fa assegnamento. Sì, il giovane pare un
ragazzo per bene, gentile, educato e deve esserlo veramente. Ha anche
giurato. E a lei tutto ciò fa piacere. Pure, non si fa illusioni.
E non perchè tanti, che hanno giurato, poi non si son fatti
più vedere. lei, appena li saluta dopo l'amore, se ne dimentica
addirittura e, se a tutti dice di portarle il giorno dopo la differenza,
venti lire, trenta, certe volte anche cinquanta, l o dice solamente
per far credere che se le meriti veramente quelle venti trenta cinquanta
lire in più, e che non credano che valga poco solo perchè
prende di meno. E' una specie di tattica. Non ne ha molta, nè
man mano che l'esperienza aumenta ne adopera della nuova. Non è
fatto per la tattica, come le altre donne. Oltretutto, l'ambiente
in cui svolge il suo lavoro non le ha fatto mai scuola. la tattica
in parte dipende dal carattere dell'individuo, si acquista man mano
che il carattere si svolge, cresce, e proprio con gli anni; ma in
parte dipende dall'ambiente in cui si vive, si deve vivere. Sono gli
altri e le altre cose che ci circondano che ci affinano e ci insegnano
ad avere tatto nei rapporti con gli altri uomini e con le cose. Milena
non ha molta tattica, da suddividere in tante piccole tattiche. Ma
ha quella del prezzo. Vi è ricorsa fin dalle prime volte, da
quando cioè si è resa conto che il suo corpo vale più
di quanto gli uomini sono disposti a darle. Tutti vorrebbero prenderla
addirittura per niente; come se il suo corpo non sia una merce in
commercio come tutte le altre. Subito la sviliscono, con la bocca,
mentre già con gli occhi e con le mani vanno soppesando il
rendimento. Non c'è stato mai uno che le abbia detto subito
che il suo corpo vale e che non si deve contrattare. Tutti cominciano
con un risolino di disprezzo. Quando poi finalmente il prezzo è
stato fatto, il risolino scompare e si legge nei loro occhi i lampi
del furbo che crede di avere fatto un buon affare e di saperla lunga.
Sempre così. Pensano che, essendo merce che si offre, si possa
prendere per poco o addirittura per niente. Così dal primo
momento ha dovuto agguerrirsi e combattere prima di tutto per il prezzo.
Siccome poi ad un certo punto non è possibile spuntare di più,
perchè mentiscono di non averne di più, lei finge di
crederci e si fa promettere che glieli porteranno il giorno appresso.
Così dà l'impressione che si accontenta del prezzo,
ma che il suo corpo senz'altro vale di più; e, con l'abitudine,
si illude che ciò sia vero, pur sapendo che la differenza non
la prenderà mai più.
Quello che le manca insomma è il sapersi imporre, il sapersi
far valere. Si nasce con questa prerogativa, come tante altre. C'è
chi, pur essendo una nullità, riesce ad imporsi, a dare a credere
di valere, di essere prezioso, insostituibile, e che il mondo va avanti
perchè nell'ingranaggio c'è proprio lui come pezzo principale.
C'è chi invece sa di non valere niente, di essere un peso per
se stesso e per gli altri. E c'è chi, pur sapendo di non essere
una nullità, non sa far niente per farsi un po' di strada,
e di convincere gli altri che qualche cosa vale, e che basta dargli
credito per poterlo dimostrare.
Milena appartiene a questa categoria. Sa di avere un corpo discreto,
di essere bella, ma sa anche di non essere capace di farlo valere.
Se qualche volta tenta, subito si disarma. Non vuole combattere contro
gli uomini, preferisce subirli, limitandosi a parare i colpi più
duri che essi tentano di infliggerle. E, a differenza delle sue compagne,
non invidia, o vede di malocchio, quelle che riescono ad imporsi,
a far fessi gli uomini e a far fortuna. Per lei le ragazze per bene
sono solamente un pò più fortunate delle altre, e non
dice, come dicono le sue compagne, che quelle sono bagasce come loro,
solamente che sanno camuffare questa loro qualità. Non si è
smaliziata, non si è svegliata, come si sono svegliate le altre,
e quando le danno della stupida, non se la prende, alza le spalle
e basta. Ma non ci crede però. è sicura di non essere
stupida; è quella che è e basta, e non vuole essere
quella che le altre desiderano. Tutta questione di temperamento; si
ha voglia di dirsi che bisogna cambiarlo, che bisogna uniformarlo
alle circostanze, all'ambiente col quale si entra in contatto. Non
c'è niente da fare. Quelli che girano intorno alle circostanze
e non si fanno trovare sprovveduti sono i più fortunati, e
lei lo riconosce e in fondo in fondo lo ammira; ma fare come loro,
girare anche lei e presentare sempre la faccia agli avvenimenti e
adattarli a lei, anzichè adattarsi ad essi, non è per
le sue forze, per la sua mentalità, per il suo carattere. Bisogna
farsi furba, le dice qualche compagna; bisogna tenere gli occhi aperti
e saltare sulle occasioni e prenderle in pugno e non lasciarsele scappare.
Niente da fare. Manda gli accidenti alle occasioni, come li manda
agli uomini, perchè per lei le occasioni, gli avvenimenti,
l'ambiente, sono sempre e dovunque gli uomini, tutti gli uomini. L'unica
cosa che vorrebbe, ma così, come un miracolo, è di non
aver mai conosciuto l'uomo, mai. E siccome questo ormai non è
più possibile, pazienza. Vivere bisogna, che si viva e amen.
Quando poi pensa un po' di più alla furberia delle altre, constato
che non lo sono mai del tutto e che, almeno in qualche cosa, sono
sciocche o stupide come lei. Prova a trovarne almeno una che sia furba
integralmente e che veramente la sappia lunga ma non le riesce. Che
vale infatti essere furba con tutti gli uomini, metti il caso, e poi
essere stupida, essere sciocca con uno solo, con quello che chiamano
del cuore e che è sì veramente furbo e le fa fesse continuamente?
Almeno è meglio non vantarsi di essere furbe, o addirittura
cercare di non esserlo. Tanto, tutta quella furbizia accumulata ogni
giorno attraverso i mille rapporti con gli uomini è bruciata
dal rapporto col vero furbo, il magnaccia, il lenone, l'unico che
fa da padrone su di loro.
E per questo suo carattere non ha amiche, e non ne ha mai avute. Le
altre, che si danno convegno nell'osteria o lungo il marciapiede e
come lei tentano gli uomini, non sono sue amiche vere e proprie. Ha
fatto capire subito che vuole essere lasciata in pace e che le lascia
in pace, e le altre col titolo della grandona la fanno cuocere nel
suo brodo. Ma logicamente questo, seconda loro, va solamente a scapito
di lei stessa. Infatti fra loro si aiutano, si danno una mano, anche
nel lavoro. Quando qualche cliente, di quelli più rammolliti
o più sadici e pervertiti, desidera due donne in camera, non
c'è pericolo che chiamino lei. Qualche volta lo tengono a bada
fino a quando un'altra del gruppo si è liberata, pur sapendo
che lei è seduta al tavolo giù, o è all'angolo
della strada e non ha incominciato ancora la giornata. Oltretutto
le manca l'affiatamento per questa specie di lavoro a due con un uomo.
Una cosa simile avviene anche nelle case, e le donne dalla camera
telefonano alla padrona e le dicono di far salire quella con la quale
c'è già una lungo intesa. E i rapporti nelle cose avvengono
proprio come nelle stanze dell'osteria. Quella che fa venire in camera
la collega, oltre allo scopo di dare del lavoro ad un'altra (generalmente
il prezzo è diviso in parti uguali, salvo patti diversi stipulati
precedentemente), generalmente è spinta dal desiderio di starsene
sul letto proprio con questa amica. E la presenza dell'uomo è
solamente il pretesto ufficiale, legale, perchè ciò
avvenga anche di giorno. E questa perversione non manca neppure fra
le sue colleghe, sia pure in misura minore, grazie proprio al minor
lavoro che svolgono e alla mancanza di comodità.
I primi tempi qualche allusione fatta da loro non è servita
a niente. Le hanno chiesto se le piacciono le donne e se ha provato
a far l'amore con loro, oppure se vuole andare ad aiutarle se si presenterà
qualche cliente buono. E quando lei ha troncato in modo brusco le
domande e le proposte, le colleghe e anno detto che è ancora
giovane e che lentamente si sarebbe fatta come si sono fatte loro,
e che è una stupida ancora perchè non conosce il vero
piacere. Il risultato ad ogni modo è stato che le hanno affibbiato
il nome di grandona e che non l'aiutano per niente.
L'unica amica, ma anche questa non proprio vera amica, è la
donna presso cui vive. Si vedono di rado, perchè hanno orari
di lavoro molto diversi; ma quando s'incontrano parlano del più
e del meno, come se i veri argomenti li abbiano esauriti tutti qualche
momento prima. La donna è stata anche lei una come Milena,
ma dice che la fortuna ad un certo punto l'aveva assistita. Aveva
trovato un uomo che faceva la maschera ad un cinema del centro e si
era innamorato di lei. Le aveva proposto di vivere con lui e di andare
ad aiutarlo di giorno a scopare e pulire il teatro. Lei era già
sui quarantacinque anni e faceva quel mestiere da oltre venticinque.
Anzichè ridursi nei cinema ad avvicinare gli uomini e mettergli
le mani fra le gambe, per prendere una lira, due lire e col pericolo
d'incappare in quelli della questura, preferì accettare la
proposta.
Non si trovò male e, dopo cinque anni di convivenza, con l'aiuto
di lui riuscì a farsi assumere come guardarobiera dello stesso
teatro. Posto che occupa ancora, nonostante la morte del suo uomo,
che non si è peritata di chiamare e di far passare per suo
marito. Di giorno quindi va sempre a scopare e a far pulizia, e la
sera aspetto dietro il grande banco che i signori e le signore le
consegnino i soprabiti, e gli ombrelli e i cappotti.
Milena l'ha conosciuta appena arrivata a Milano e da allora è
rimasta con lei, tranne i mesi passati con quella specie di uomo di
Mario. Vanno d'accordo, proprio come due persone che, non vedendosi
molto spesso, non hanno tempo per discutere e per impicciarsi dei
fatti dell'altra.
CAPITOLO VI
Un'altra preoccupazione
la morde. Fatto l'amore, dovrà alzarsi e lavarsi. Cioè
andare al catino vicino alla finestra, prendere freddo di nuovo e
con molto pericolo. Nè potrà farne a meno. Passa già
dei brutti momenti, quando le sue cose non si presentano con la solita
regolarità. Soffre le pene dell'inferno e per le medicine si
è rovinata la salute già abbastanza. Ha una paura matta
di rimanere incinta. Per questo, subito dopo l'amore, respinge il
cliente, corre al catino e si lava. Hanno voglia loro di dirle che
non sa trattarli bene, e che li rovina proprio sul più bello.
Le fregature poi le prende lei, e ormai non vuole più rischiare.
Salta dal letto come una gatta ferita e corre al catino e si lava
e rilava. Allora dimentica anche il freddo, se è d'inverno,
e pensa solamente al pericolo che per un'altra volta forse è
scongiurato.
Un figlio regalatole da uno di quei tipi coi quali si unisce per mezz'ora,
per un'ora? Ma neanche a pensarlo! Allora sì che li ammazzerebbe
gli uomini! Già sente l'odio ricrescere, quando s'avvicina
il giorno dei fianchi indolenziti e i reni spaccati. Rimane in guardia
contro il male. Sono giorni neri. Altro che sentire l'odio contro
gli uomini. E se il giorno che deve essere quello stabilito passa,
e passa anche quello successivo, allora ricorre a tutti i mezzi. Si
strapazza, proprio come una bestia, e proprio con quegli uomini che
più sente di odiare. E se neppure questo serve, si fa fare
le solite punture dall'affittacamere, per tre giorni di seguito, e
in quei tre giorni, pur sentendosi male, non smette di strapazzarsi
nell'altro modo, maledicendo intensamente gli uomini, tutti gli uomini,
mentre essi sul suo corpo provano piacere e credono che lei sia così
depravato da partecipare intensamente all'amore che essi le danno.
Ormai è abituata a queste prove, a questi periodi, a questi
strapazzi, e cerca di prevenirli in tutti i modi. E meglio scontentare
il cliente, meglio perderlo se mai, che non togliersi il pericolo
dentro di lei. Ha dato del disgraziato a chi se ne sta supino sul
letto ad aspettarla, oppure a guardarla in quella posizione così
sgraziata che da fastidio finanche a lei stessa. A qualcuno gliel'ha
anche detto, ma l'uomo l'ha preso come un complimento e si è
sentito più imbecille del solito. E non gli è venuta
per niente non la paura, ma la semplice idea che potrebbe lasciare
una parte di quella sua virilità, di quella sua imbecillità
ad una ragazza giovane, che si chiama Milena e che fra qualche momento
non rivedrà più. Continua a guardarla, in quella posizione
scomoda e antiestetica, oppure se ne rimane supino e si passa le dita
sul petto o sul corpo, come a benedirlo di essere stato ancora capace
di tanto.
Ma uscire dal letto adesso col freddo che ancora sente le sembra impresa
disperata.
- "Ti piace Corno musetto?". è una domanda a freddo,
di quelle che si adoperano per riempire i secondi, dopo l'amore, mentre
l'uomo si abbottona i calzoni, s'infila la giacca o il cappotto. le
fanno anche nelle case le ragazze, quando non hanno voglia di accendersi
la radio e di sentirsi qualche nota di musica, oppure non hanno voglia
di canticchiare, di fronte al cliente, oppure, con la mano sulla maniglia,
di ricordargli di far presto e che i calzoni se li può abbottonare
mentre scende le scale. Una domanda a freddo, con cui desiderano camuffare
la fretta e mostrare un po' di gentilezza, alla fine, dopo che hanno
bistrattato il cliente, concedendo poco nell'amore, e con cui desiderano
anche promettere un trattamento migliore la prossima volta, se nella
sala la sceglierà di nuovo.
- "La conosci?", domanda Gianni a sua volta.
- "Ci ho abitato tanti anni. Sono di Corno, musetto". La
voce ha un lievissimo tremito, come le sia venuta fuori la confessione
di un grosso peccato.
- "Oh, bene!". E ne è contento, improvvisamente contento:
come se questa coincidenza annulli il vuoto, il freddo che prima ha
sentito nella domanda di lei. "E' una bella città, tranquilla,
pulita. Mi piace".
- "Anche a me piaceva". Sorride disarmata.
E' la sua città, e la propria città è come la
propria madre, bella, affettuosa, anche se qualche volta ci ha fatto
piangere, ci ha fatto soffrire.
- "Poi ero giovane... e ero anche bella...". Lo guarda e
smette di sorridere. Il vecchio sogno, la nostalgia che le è
entrata dentro improvvisamente, e senza esserne preparata, e la realtà,
a portata di mano, tutta intera!
Quando si pensa alla propria città da soli, non si sorride,
si soffre dentro e la si abbraccia nel ricordo come una persona cara,
irrimediabilmente perduta; quando invece si parla di essa, si è
presi dalla nostalgia, da una gioia malinconica, come per una persona
cui si vuole bene e che presto si potrò rivedere, riabbracciare,
risentire propria. Per questo gli uomini non parlano molto della propria
città, se per un motivo o per un altro hanno dovuto allontanarsi,
emigrare, lasciarla, e la pensano solo in certi momenti, quando hanno
accumulato una buona forza di rassegnazione, perchè la nostalgia,
il dolore non scavi e non porti via se non la dose di rassegnazione
solamente.
- "Anche adesso sei giovane e bella...".
Si ferma. Anche le parole bisogna saperle dire, bisogna saperle fare
entrare nella testa, e nel cuore di chi le ascolta. E lui non ne è
capace. Non le ha mai dette a nessuno, ad alta voce. Ha sempre temuto
di far ridere, di essere preso in giro. Anche adesso, se le dicesse
che gli piacciono i suoi occhi, i capelli neri, lisci, che direbbe
Milena? Dovrebbe dirglielo con altre parole, proprio perchè
attraverso le parole ricercate si convinca della sua sincerità;
ma non ne trova, non ne ha. Gli occhi neri, vivi, i capelli neri,
lisci: chissà quanti gliel'hanno già detto!
Si limita a guardarla. Accarezza con gli occhi la fronte e gli occhi
di lei e non arriva neppure alla bocca. Come altre volte, quando con
un po' di coraggio, anzichè sfuggire l'incontro con qualche
ragazza per la strada, anzichè correre e nascondersi, la guarda
appena, facendo altalenare gli occhi dalla faccia di lei, a tutto
l'aria che la contorna. E' la fuga degli occhi da ciò che gli
fa piacere guardare, ammirare, a ciò che forma un alone intorno.
Come a trovare una scusa, se la ragazza vuole rimproverarlo di averla
guardato, per essersi permesso di fissare i suoi occhi, sugli occhi,
sulle ciglia, sul naso, sulla fronte di lei. E qualche volta che ha
incontrato gli occhi della ragazza, quasi incuriositi, o per niente
seccati, ne ha provato piacere. Ma è stato troppo tardi per
guardarla ancora. la ragazza ha proseguito per la sua strada e lui
è rimasto a pensare allo sguardo che gli è stato dato.
Milena pare capisca solo per un momento, come se sia in sogno. Lo
guarda un po' incredula, un po' contenta, un po' riconoscente. Ma
poi subito si sveglia e interpreta lo sguardo di lui, e anche le sue
parole, come uno dei modi per invitarla all'amore, la richiesta del
possesso, sia pure condita con un pizzico di sentimentalismo. Ci sono
dei tipi cui piace prepararsi a fare l'amore, prendendo le cose alla
larga, come se abbiano bisogno di crearsi l'atmosfera. Ma solamente
la prima volta, a diciassette anni, ci è caduta come una stupida.
Non aveva capito che cosa volessero significare gli sguardi dell'uomo
e le sue parole. Poi altri uomini l'hanno guardata come il primo e
hanno detto parole più o meno simili, guardando e palpandole
il seno, il sedere, le gambe. Ma ormai li conosce e sa che cosa vogliono
e perchè vogliono prepararla.
- "Dite tutti così, voi uomini! Credete che ci faccia
piacere, e ce lo dite. Ma noi sappiamo che cosa volete voi in cambio".
Ride per niente arrabbiata e guarda Gianni. Ma si accorge di essersi
sbagliata.
- "E' la prima volta che l'ho detto. Te lo posso giurare!".
Milena rimedia subito. è sincero, e ne è contenta. Finalmente
uno che gliel'ha detto senza alludere al suo corpo.
- "Hai ragione, musetto. Volevo scherzare".
Se lo stringe un momento di più. Si accorge che il giovane
è ancora un po' avvilito e le spiace; ma è meglio non
farne più parola.
- "Eh, sì, sette anni fa ero una ragazzina da guardare
dietro".
- "Ma anche adesso... sei carina.... hai gli occhi neri... belli....
e i capelli belli ... ".
Glieli accarezza ancora con gli occhi, per un momento, e poi la guarda
per vedere se anche lei lo guarda. Ma Milena non si muove.
- "Tu mi vuoi prendere in giro! Ma una volta!".
- "No, non scherzo, Milena. Sei bella ancora. Puoi essere sicura.
E mi dispiace che ti ho conosciuta qui, in questo modo".
Milena non dice niente. Non ride neppure. Rimane con la testa vicino
al collo di lui.
Gianni allora, facendosi improvvisamente coraggio, prova a metterle
di nuovo le mani dietro le spalle e a stringerla. Vuole solamente
dimostrarle che ciò che ha detto è vero, e non ha altri
modi per farglielo capire. Le parole, sì, in certi momenti,
specialmente in certi momenti, non possono essere dette. Bisogna lasciarle
a chi ne sa fare un buon uso, un grande mercato. Lui è povero
anche di parole. Forse la povertà delle parole è conseguenza
della povertà dei quattrini. I suoi colleghi, quelli ricchi,
hanno una disinvoltura, non sono mai impreparati: sicuri di se stessi,
s'impongono sempre. Il riso sulle labbra, negli occhi, nei gesti,
tutto sembra facile e possibile per loro. Basta volere e tutto riescono
ad ottenere. Ma alla base c'è la loro ricchezza, le possibilità
che i loro genitori hanno trasmesso come un'educazione cui lentamente
si sono abituati, da quando sono stati bambini e si sono trovati coi
loro piccoli amici ed amiche. Ma lui? Ha osservato da lontano il mondo
in cui essi sono cresciuti, se l'è costruito mentalmente, come
s'è costruito mentalmente i giocattoli di cui essi disponevano.
No, può provarle solamente che dice la verità, stringendola
con pudore.
Milena non reagisce, non dice ancora niente. E rimangono così
in silenzio, per qualche secondo. Poi lei si sposta appena, alza la
testa e guarda sulla sedia proprio vicina alla sponda del letto.
- "Scusa, amore, aspetta. Prendo il golfino, e me lo metti sulle
spalle; così tu tieni le mani per bene e non mi fai freddo".
Gianni la trattiene. Non vuole che, mettendo il braccio fuori e cambiando
posizione, prenda freddo. Allunga la mano e tira lui il golfino sul
letto. Lo apre dietro le spalle della donna e ci appoggia tutte e
due le mani aperte.
- "Va bene, adesso?".
- "Sì, sì, grazie, amore. Stringimi pure".
E lo stringe anche lei. "Hai il petto caldo, ora lo sento bene.
Ma carne fai a non avere freddo? Sì, tu sei giovane. Ma sai,
non tutti resistono al freddo. lo, per esempio, sono stata sempre
una freddolosa. Da quando ero bambina correvo sempre vicino alla stufa.
Una volta poi ci andai sopra. Roba da poco. Ma non la perdetti l'abitudine.
Per me ci vorrebbe sempre l'estate. Il caldo non mi dà fastidio
per niente. Lo sopporto assai bene. Lavoro anche meglio e mi stanco
meno".
- "Adesso sta zitta e riprendi caldo come prima". E le dà
un bacio piuttosto
lungo sulla fronte.
Possano dieci minuti, in silenzio. Poi lui prende ad accarezzarle
il mento, gli zigomi, la fronte, gli occhi. Si decide all'improvviso,
vincendo l'ultima riluttanza, e anche se teme sempre che lei ad un
certo momento scoppierà a ridete. Milena invece con gli occhi
chiusi si lascia accarezzare. è veramente diverso dagli altri.
Non va a toccarle il seno o i fianchi o il sedere; non spinge con
le gambe, con le cosce. Si accontenta di sfiorarle la faccia e i capelli
come se tema di farle male. Gli altri le strizzano i capezzoli, tutto
il seno e lei deve gridare per farli smettere. Che gusto provano a
farle male? E glielo domanda. E quelli ridono divertiti e ricominciano,
e lei deve tentare di allontanarli con la mano e cercare di rimediare
passando al finto attacco. Gli tocca lei il seno, gli passa la mano
contro il pelo del petto e gli dice anche parole che servono ad affrettare
il momento del piacere.
Ha gli occhi chiusi, ma sente che Gianni li tiene aperti e le guarda
le parti della faccia che le tocca.
Chissà, forse è solo a Milano, non ha famiglia? Lei
ha temuto di non combinare niente questa notte, perchè gli
uomini nelle feste solenni sono presi dalle famiglie, dai loro affetti.
Solamente chi è veramente solo può farsi abbordare e
salire in camera con una donna come lei. Tutte le feste è così.
Per questo per lei, per loro, non devono mai arrivare. E per questo
le sue amiche non si son fatte vedere dopo cena. Una famiglia ce l'hanno
e stanno facendo al caldo l'ultimo dell'anno. L'amico, il compare,
il ruffiano? E va bene: anche quello può essere buono in certi
giorni dell'esistenza. è sempre u n diversivo. E poi per le
sue amiche quelli sono i loro uomini del cuore. La fanno ridere, ma
deve riconoscere che almeno con loro possono stare assieme dopo questa
specie di lavoro, e sentirsi protette. Picchiate? Va bene, anche picchiate
possono sentirsi il maschio alle spalle che le difende, specialmente
in certi momenti. Lei invece! Se non fosse così diffidente!
Dio buono, uno bravo, possibile che non lo possa trovare? Ma no, tutte
storie. Si attaccano come piattole, carne sanguisughe, ma sono avanzi
di galera, magnaccia. Sanno fare, non c'è che dire. Sanno incantare,
non è nata più ieri ormai. Sanno filare l'amore e intanto
ti buggerano. No, non vuole cascarci. Meglio così. Solo? Sola.
Ma fino a quando? E che ne sa. Forse quando finirà la guerra,
sarà un'altra vita. Anche per lei. Non lo dicono, non si sente
ripetere anche dai giornali? Lavorerà così, adesso,
e poi, finito il cataclisma, vita nuova. Può darsi che cambierà
anche per lei, per gente come loro. Un lavoro onesto, in una fabbrica,
in uno stabilimento, in una famiglia. La guerra mangia uomini e anche
donne; forse per chi rimarrà ci sarà lavoro. Anche per
lei. Via quella tessera che ha nella borsetta e che odia. La sua anima
dannata in quella tessera. Tutte le volte che deve prendere la trousse,
la mano e gli occhi cadono su di lei! Da bruciare, da distruggere.
Libretto sanitario! Lei hai il numero 10628. Il numero 10628, rilasciato
il 15 dicembre 1935. Esatti esatti, cinque anni. Dio buono, cinque
anni con questo libretto dei servizi di profilassi sociale. Lo conosce
a memoria. Profilassi sociale. Ma che sociale? E società questa?
Fanno parte della società gli uomini che vanno con lei? La
nota a pie' di pagina: "conservare gelosamente questo libretto
(maiuscolo) che dovrà essere presentato ad ogni visita medica.
Non distruggerlo per nessuno motivo". Il suo libretto della messa!
No, non mescoliamo il sacro e il profano, anche se qualche volta ha
servito anche qualche cliente che puzza lontano un miglio di sacrestia.
La firma dell'ispettore dermosifilopatico, il timbro della prefettura,
e la carta d'identità, altro documento da tenere sempre con
sè. Culo e camicia col libretto.
- "Milena Raboni, di Corno, come ti sei ridotta!".
Ma finirà. Brucerà il libretto. No, l'andrà a
consegnare in Prefettura. "Non so più che farmene. Lavoro.
E' finita".
Senza volerlo stringe Gianni, apre gli occhi e gli sorride. Un momento.
Subito li richiude e si rilascia.
- "Amore ... ". Non continua: vorrebbe domandargli perchè
lui non è a casa, ad aspettare l'ultimo dell'anno.
- "Dimmi ... ".
- "Niente, niente!".
Le dita di Gianni continuano a sfiorarla, e lei prova un grande benessere,
dentro, come di una tranquillità e felicità insieme,
improvvisamente venute a galla da antiche profondità. Se le
carezze di quelle dita potessero continuare, se potesse tenere gli
occhi sempre chiusi, al caldo e non parlare, non sentire niente, e
non pensare a tutto ciò che l'aspetta fuori, stare solamente
così e basta! Si fa ancora più piccola e se ne sta buona,
con gli occhi sempre chiusi.
Lui continua a sfiorarle il mento, e a passare le dita sull'orlo delle
ciglia, come a mettergliele in ordine. E' bello accarezzare un volto.
Prova una cosa strana dentro. Ma ha sempre paura che la donna, da
un momento all'altro, apra gli occhi e gli chieda se non basta ormai.
E per questo cerca di toccarla il meno possibile. Sì, solamente
passare la mano, e non sempre nella stessa parte, come se anche questo
possa darle fastidio. il mento, la fronte, il naso, gli angoli della
bocca, e gli occhi, e poi di nuovo il mento, la fronte e le altre
parti, come per una circolarità indispensabile a far durare
questa specie di incantesimo, e come per un ritmo concesso alle dita
e azionato da una parte del cuore sempre in guardia, per non causare
in lei delle reazioni. Milena è bella. La vede bella e merita
di più di quel letto, di quella stanza, di quel catino nell'angolo
della finestra. Ma come dirglielo, e poi in fondo perchè dirglielo?
Se non riderà, soffrirà. E anche il riso sarebbe una
forma di sofferenza. Che può fare lui per modificare la condizione
di lei? Le parole, anche se le dicesse, non bastano mai; specie quando
dentro qualche cosa s'è chiuso alla speranza e la vita passa
nel nero della realtà. Meglio accarezzarla, farle sentire così
che le è veramente vicino, anche se è uno sconosciuto,
e fra qualche ora se ne andrò per la sua strada.
Poi, temendo che lei dica che è stanca di sentirsi le dita
in faccia, gliele toglie, le sfiora con un bacio la fronte e riporta
la mano dietro la spalla.
Le dita incontrano i bottoni del reggiseno, e Milena crede che voglia
sbottonarglielo. Lo guarda e si accorge che Gianni con gli occhi le
chiede scusa.
- "Sto bene così, amore", dice tuttavia. "Aspettiamo
ancora un poco. Comincio adesso a prendere veramente caldo. Tu sei
caldo qui e anche qui". E gli tocca il petto e le gambe. "Ma
se io mi muovo, prendo freddo. Faccio aria e prendo freddo".
E senza aspettare che Gianni le dica qualche cosa, immersa di nuovo
ormai nella sua realtà, continua: "Non lo senti lo stesso
il mio senino? Guarda, aspetta". Si stacca da lui appena appena,
si tira su la sottoveste, tutta avanti, se la rimbocca, e lo riabbraccia
in modo da fare aderire al corpo di lui le nuove parti nude. "Va
meglio, così, tesoro?".
Gianni non risponde. Subisce la stretta e non dice niente. Ma prova
dispiacere. Le gambe calde di Milena aderiscono alle sue e gli danno
un tepore fastidioso e allettante nello stesso tempo. Gli risvegliano
i sensi e gli dà fastidio far sentire che in lui non c'è
quasi più niente di quello di prima. E oltre il fastidio, altri
pensieri, nuove considerazioni. Lui in quel letto, lì, a pochi
minuti della mezzanotte, con una donna giovane vicina. La parole di
Milena e il contatto del corpo di lei adesso bastano per farlo passare
da un atteggiamento di sentimentalità ad uno di attesa di possesso.
Per non sembrare timido, meglio, per vincere il senso di timidezza,
si aggrappa alla scusa del reggiseno. - "Mi piace sentirlo nudo".
Si meraviglia del suo ardire e attende la reazione della donna. Ma
Milena sorride e apre gli occhi.
- "Sei simpatico, musetto! Aspetta e poi me lo toglierai tu stesso".
Gli appunta un bacio sul mento, un momento e di sfuggita come se tema
di sporcarlo di rossetto, e richiude gli occhi.
Gianni è contento e non dice niente. Il sentimento si mescola
così bene al desiderio, che l'attesa del possesso stesso trova
una giustificazione nelle parole con cui ha dimostrato a se stesso
di saper vincere la timidezza.
Ma Milena interpreta diversamente il silenzio.
- "Hai fretta, tesoro? Abbiamo tempo. Stiamo bene, qui, no?".
E senza dargli tempo tira su ancora un po' la sottoveste, e la accartoccia
alla bella e meglio sotto il seno. "Così mi stai più
vicino ancora. Voglio accontentarti. Vedrai. Sei un bel musetto e
buono. Così non mi farai le corna le altre volte. La Milena
;vuoi bene ai giovani". E gli attacca un bacio, come il primo,
ma sulle labbra. Sensualità non ce n'è, ma neppure amore.
Solo desiderio di tenersi buono il cliente, e non solo per questa
volta, ma anche perchè ritorni ancora.
- "Non preoccuparti".
Vuole alludere alle movenze della pancia e del seno di lei contro
il suo corpo. Lui le sente sforzate, finte, e vuole che non continuino,
che lei se ne stia buona come prima. Il desiderio del possesso, proprio
in conseguenza di questa finzione, è già rimandato indietro.
Ma Milena lo fraintende.
- "Lo so che verrai ancora! No, musetto?". E al mugolio
di risposta, conclude: "Vedrai, a Corno ti ricorderai assai di
me". Lo stringe forte e spinge le gambe, e non cessa fino a quando
non sente che anche lui risponde allo stesso modo.
Ecco che crolla l'immagine che poco prima s'è costruita di
lei. Pure non dice niente. Si lascia stringere e subisce la pressione
delle gambe e del seno. Ma il groviglio della sottoveste, ad un certo
momento gli dà fastidio e cerca di rimuoverla.
- "Aspetta", dice. "Scusami". E porta la mano
da dietro la spalla sotto il seno di lei.
Milena crede che voglia indurla a togliersela. Un po' indispettita
si scosta, si siede sul letto, e cerca di togliersela in fretta e
furia.
- "Va bene, così, amore?", poi fa, tornandogli vicino
e rabbrividendo. - "No, scusa, Mevo solamente sistemare la sottoveste,
perchè ... ".
- "Adesso va bene?", l'interrompe la donna.
- "Ma ... ".
Ad un orologio molto vicino fuori, cominciano a battere i colpi. Lei
li sente e gli mette la mano alla bocca già rabbonita.
- "Non parlare. Suona l'orologio". Ascolta. "Sarà
mezzanotte?" poi domanda, prima che i colpi finiscano, e ci mette
una punta di apprensione, come se sia stata sorpresa impreparata dai
colpi.
- "Manca ancora un quarto. Ecco qui l'orologio". Ma Milena
finisce lo stesso di ascoltare.
- "Sì, manca ancora un quarto. Son suonati i tre colpi
piccoli!". La voce è di nuovo calma, tranquilla. Lo stringe
come prima, forte, per qualche secondo. "A mezzanotte facciamo
l'amore, eh, amore? Sta buono per un quarto d'ora ancora. Vuoi? Mi
piace stare al caldo, così. Qui il sole non arriva mai, neanche
l'estate. Prima della guerra lui accendeva la stufa e l'aria era un
po' tiepida almeno, ma chi te lo passa il carbone adesso?" E
cerca di far aderire perfettamente le parti del corpo a quelle di
lui. Gianni si lascia stringere e stringe anche lui. Se ne starebbe
buono anche per più di un quarto d'ora. Questo modo di rimanere
stretti così gli mette dentro una gioia grande, mai provata.
Così devono volersi bene gli innamorati, gli amanti. Casi gli
allievi fortunati devono starsene stretti con le loro ragazze. Solo
che essi devono potersi dire anche delle cose che non si riferiscono
al freddo, alla stanza umida; si sussurrano delle parole di amore,
che sono diverse dalle paroline e dai guaiti smorzati, con cui Milena
intercala ogni tanto il suo discorso.
Ma Milena scambia la stretta per un progressivo e naturale sviluppo
d'amore e non fa niente per aiutarlo a completare l'illusione di stringere
un corpo di donna che abbia piacere di essere abbracciata. Ad un certo
punto anzi, cerca di assecondare di più quel principio di erotismo,
ma di farlo durare nello stesso tempo almeno una parte del quindici
minuti.
- "Sì, amore, stringimi, così", dice. "Stringimi
pure di più; ma ogni tanto fammi respirare". E appena
lui allenta la stretta: "Come sei bravo! Ecco, così mi
piacciono i giovani". E lo stringe lei per un momento più
forte, perchè capisca che non lo dice per prenderlo in giro.
Ma si accorge che lui la guarda un po' diffidente.
- "Qualche minuto ancora, musetto, e ti faccio fare l'amore.
Sei caldo come una stufa". E pensa che deve parlare ancora per
tenerlo e bada. "Parlami di te. Sei un militare. Vi fanno lavorare
tanto? E da mangiare come si sta? E' vero che sono sempre tubi o cipolline
in brodo? E trippa con patate o spezzatino di gatto?".
Non le importa quello che domanda e non le spiace che lui risponda
solamente con gli occhi. Non ha argomenti buoni, solidi, meglio, non
li cerca neanche. Chiedergli perchè non è stato a casa
coi suoi? Sì, è una domanda che l'interessa; ma, e se
gli darà dispiacere, e la nottata prenderà un'altra
piega? Non ha voglia di immalinconirsi. Forse lui aspetta solamente
questa domanda per dirle i casi suoi. Meglio continuare sul quel tono,
di riempitivo, che lascia alla fine i sentimenti e gli umori come
prima.
- "Ma almeno non avete da fare code. Nè da comprare alla
borsa nera. Tua madre lo saprà che significa, specie con questo
tempo. Tu ce l'hai la mamma, no?". E' contenta dei cenno affermativo,
e volendo far credere che non l'ha domandato apposta, conclude: "Be',
vorrei trovare anch'io ogni giorno un piatto di minestra e qualche
altra cosa di caldo, anche se è brodaglia".
Si affloscia come se non abbia più niente da dire.
"E ti sapresti accontentare?" le domanda, sperando che lo
guardi. Ma Milena è assente, lontana.
Segue qualche momento di silenzio.
- "E chi non si accontenterebbe, tesoro? La borsa nera, le code,
i bollini. Caro mio; lo sappiamo noi donne, che dobbiamo arrangiarci
ogni mattina. Ci metterei la firma io, anche per una brodaglia sicura!".
Chiude gli occhi e lo stringe forte come a scacciare questi pensieri:
"Ma ora faremo l'amore, tesoro, e non se ne parla più".
Gianni subisce la stretta. Ecco un'altra faccia della realtà
dolorosa e grottesca nello stesso tempo. Milena se lo tiene stretto,
lo solletica con le gambe, con la pancia, col seno, sta per fargli
fare l'amore e intanto pensa a come fare per alimentarsi, a come lottare
ogni giorno per procurarsi una pietanza, qualche cosa di caldo, anche
se brodaglia. Perchè Milena deve, come tutte le donne del popolo,
compresa la sua mamma, andare a fare le code fuori delle botteghe
dalla mattina molto presto e aspettare, con qualsiasi tempo. E qualche
cosa comprarla anche dai borsaneristi, lo stesso panettiere o salumiere
o macellaio che non guardano in faccia nessuno, che in nome di un
rischio reclamano denaro contante e sempre maggiore. La sua mamma
poi non ha neppure il più piccolo mezzo per comprare alla borsa
nera; deve bastare in casa sua solamente ciò che porta dopo
le ore di coda. Ogni giorno si priva lei stessa di una parte per darla
al padre, e più, al fratello, giovanissimo e che deve crescere.
Lei ormai la sua parte di vita l'ha vissuta, ma il figlio non ancora,
ha diritto più di lei stessa: è nell'età dello
sviluppo, e studia e le energie le consuma più di lei. E Milena
come riesce a rimediare? Ha un figlio, una madre, un padre, cui pensare?
Perchè non glielo dice? Deve chiederglielo lui? No, meglio
non fare queste domande. Acuiscono la disperazione, rendono gli uomini
più aggressivi, li fanno imprecare, e non modificano di un
millimetro lo stato in cui si vive.
Più che gridare, bisogna agire, e agire significa rivoltarsi
contro la condizione della società in cui si è costretti
a vivere. Il fatto che si è rammaricata e che l'ha quasi invidiato,
è la prova che la cinghia la tira anche lei. Ma tutti gli operai,
gli impiegati, la tirano la cinghia; solamente quelli che si definiscono
furbi, i parassiti della società, non la tirano. Sente di disprezzarli.
Ma a che serve il disprezzo? Dovrebbero conoscere il valore del disprezzo,
mentre essi conoscono solamente la vita comoda, l'abbondanza, anche
adesso, e ridono se mai delle risse che spesso avvengono fuori la
latteria, o dal panettiere.
Milena apre gli occhi e incontra quelli di lui. Non capisce perchè
la guardi così, ma sente che sta pensando al qualche cosa di
triste. Chissà, forse della sua famiglia, della sua mamma.
- "Che pensi, musetto?". E prima che lui risponda: "Sei
sotto da molto?". - "Da tre mesi".
- "E' proprio poco!" Lo stringe e chiude gli occhi per un
momento. Non vuole scivolare in un argomento malinconico per il giovane.
Non ha ancora trovato uno che sia contento di essere stato chiamato
alle armi. "La parco naia" la chiamano tutti, tranne quelli
che sono dell'idea di "lui" e che sono sicuri di rimanere
imboscati a Milano stessa in qualche ufficio militare o nella Unpa.
Sono tutti giovani che hanno lasciato la casa, il lavoro e che non
sanno dove andranno a finire. Per la patria. E gli altri la patria
non la conoscono? L'hanno solamente sulla bocca, per far fessi i poveri
disgraziati che un giorno hanno ricevuto la cartolina precetto e son
dovuti partire. La devono abolire la guerra, per sempre; devono mandare
solamente quelli che vogliono provare che significa. Ma meglio non
pensarci.
Fa un ammiccamento che vuole essere un segno di civetteria e di furbizia.
-"Scommetto che è la prima volta che vieni a casa...".
Il resto della frase "... e che avrai una grande voglia di fare
l'amore" la dice con la mano che camicia a scorrere sul fianco
di lui e poi sulle gambe e lungo la spina dorsale. Lo solletica con
le dita e lo prepara all'amore lentamente, con comodo. Cogli altri
clienti la cosa è differente. Per questo le sta diventando
sempre più simpatico. Non pretende le porcherie come gli altri;
anzi pare che provi ritrosia per le carezze, per il solletico. Non
si ferma neppure quando Gianni tenta di farla smettere.
- "A casa ci vengo quasi tutte le domeniche. Per qualche ora,
ma ci vengo". - "Ah sì? Allora sei fortunato!",
fa solamente e continua a far passare la mano su tutto il corpo, lentamente,
quasi a sfiorargli le carni, proprio come prima aveva fatto Gianni
sulla sua faccia. Ma senza l'attenzione, la premura affettuosa di
lui. La lascia scivolare, quasi con noncuranza, per una inveterata
abitudine. Sa che l'effetto non mancherà. Se mai non subito.
Questo è uno dei modi per preparare i clienti. Uno dei più
semplici, dei meno faticosi, anzi senz'altro il più semplice.
E con lui va benissimo. E' giovane, non deve avere molta esperienza
in fatto di donne, nè è di quei tipi già smaliziati,
nonostante la giovinezza.
- "Allora, verrai a trovarmi ancora, musetto?"
- "Credo di sì" fa Gianni e lascia fare ancora. I
sensi non si armano. Osserva con mente fredda l'armeggìo della
donna. Anche lei è simile a tutte le altre donne della case?
Mentre fanno quello che sta facendo Milena in silenzio, mentre stanno
per darsi, e per fare l'amore, o guardano la medaglietta al collo
del cliente, e gli chiedono chi gliel'abbia regalata, oppure si fermano
a domandare se è d'oro l'anello o la catenina al polso, oppure
se sono nèi tutti quei segni scuri che si vedono sul corpo.
E' l'abitudine: la testa segue i propri pensieri, anche quando parlano
per dimostrare ai clienti che sono presenti, lì vicino a loro.
L'armeggìo continua. La mezzanotte sta per scoccare, e Milena
ha promesso che a mezzanotte gli farà fare l'amore. Adesso
gli accarezza anche il petto, passa le dita fra i peli e gli tasta
gli preme i capezzoli, ma sempre senza parlare. Tiene gli occhi chiusi
e fa tutte queste cose. Poi apre gli occhi e lo guarda intensamente.
C'è nel fondo degli occhi qualche cosa di caldo, di affettuoso,
misto a sensualità.
- "Amore", dice e gli passa una mano dietro la nuca e gliela
tiene, allargando le dita a sentire i capelli corti di lui. Gli tocca
con la punta delle labbra la punta del naso e chiude gli occhi, come
per scacciare un ricordo che improvvisamente le è venuto. Poi
li riapre e, togliendo la mano dalla nuca, lo abbraccia stretto.
- "Come sei caldo ora, amore". Lo stringe più forte
ancora. "Caro il mio soldatino, biondo, coi capelli a spazzola,
gli occhi neri e tanti peli sul petto. Dì, non li avrai anche
dentro i peli?" e ride forte, falsamente divertita, vedendo la
faccia seria del giovane. "Vuoi fare l'amore, tesoro?".
E se lo stringe per un altro momento forte.
Se non ci fosse questa stretta, Gianni le direbbe che preferisce starsene
buono ancora per un po' e poi tornarsene a cosa. Ma ha l'impressione
che Milena stringa il corpo di una persona cui desidera volere bene.
Gli pare la stretta di una povera disperata. E lui che si sente anche
un povero disperato, la tiene, gliela contraccambia, facendole capire
che desidera volerle bene non come tutti gli uomini quando pagano
le donne, ma come un giovane che non ha mai conosciuto un amore.
- "Oh, che tesoro!". Si fa più vicina ancora. "Senti?
Cominciano a sparare i petardi. E' quasi mezzanotte. Un altro anno
che se ne va, amore. E non sappiamo niente di quello che verrà.
E io sono qui con te. Non dimenticarlo, amore. Milena è qui
con te. Se ne va un altro anno, e tu stai per volermi bene, per farmi
godere".
Scoppia a ridere, di un riso isterico, a mala pena trattenuto. Lo
ricaccia dentro subito. Il giovane la guarda serio, meditabondo, e
riprende l'inflessione di voce di poco prima.
- "Tu non ridi? Perchè non ridi mai? Hai voglia di fare
l'amore?! Ma, sì, adesso lo facciamo. Quando è fatto,
è fatto. lo lo so. In certi momenti è anche bello. Aspettiamo
la mezzanotte. è la prima volta che mi capita di stare a letto
con un uomo a mezzanotte di Capodanno e di fare l'amore, mentre il
fottuto dell'anno vecchio se ne va. Dì che è fottuto,
no? Si dice che porto buono. Tu che ne pensi? Almeno a me. Speriamo".
E ride di nuovo, come prima, istericamente.
Non riesce a controllarsi. è ricaduta nello stato d'anima di
prima, di quando ha chiuso gli occhi, dopo aver tenuto le dita dilatate
sulla nuca e fra i capelli di Gianni. E' rivolta, è repulsione,
è bisogno di sfogo. E proprio questo giovane, buono, remissivo,
timido, gliela dà la forza e il coraggio. Ma perchè
non è come gli altri, perchè se ne sta zitto e aspetta,
non la prende e la far star zitta?
- "Fotterò per tutto l'anno", continua. "Mi
porterà buono. Sto per fare l'amore con un soldatino biondo,
con tanti peli qui, mentre suona la mezzanotte. Mi avrà portato
buono e farò molti soldi anch'io. E quando verrai a trovarmi,
ti farò un prezzo speciale, eh, amore?!". Ride più
dimessamente, come se improvvisamente la carica si stia esaurendo.
- "Senti Milena ... ", comincia Gianni, accarezzandole la
guancia.
Vuole dirle di calmarsi e di stare buona. Aspetteranno la mezzanotte
l'uno vicino all'altra, e si scambieranno gli auguri. Gli pesa possedere
il suo corpo, solo perchè deve pagare centotrenta lire. Ma
Milena non gli da tempo di continuare. Prende le sue parole per un
invito.
- "Aspetta. Mi devi togliere questo. lo mi ricordo". Gli
prende la mano e gliela accompagna ai bottoni del reggiseno. "Aiutami,
tesoro, ma non fare molt'aria".
Mentre Gianni, come un automa, sbottona i bottoni, lei accompagna
ogni movimento con la voce.
- "Ecco, fa piano. Aspetta. Prima il bottone di sopra, così,
poi l'altro. Così. Tira su. Ecco. Ora giù. Mettilo sotto
il cuscino. Si mantiene caldo. Ecco così! No, no, il golfino
me lo lasci un altro poco. La lana tiene caldo".
Gli si stringe tutta vicino fino a schiacciarsi contro. Poi, sfiorandogli
con le guance ripetutamente il collo, i muscoli delle braccia e del
petto, emette un fiotto di parole, di frasi, ma con voce calda, di
sensualità e di affetto assieme.
- "Ora sono tutta tua, amore. Senti come è bello il mio
senino? E' caldo. Va bene col caldo dei tuoi peli, delle tue gambe,
del tuo pancino. Così, amore caro. Come sei tutto fuoco. Mi
piaci sai? Perchè non parli? Sì, continua a stare zitto.
Ma io la sento la tua voce. Tu mi vuoi dire che mi vuoi bene, vero
amore? Sì così, stringimi forte e io ti credo. Tesoro,
caro! Senti che stanno sparando? .Adesso di più. Eppure è
vietato. Ma gli uomini a Capodanno non pensano che è vietato.
Almeno a Capodanno ridono. Rideremo anche noi, eh, amore? Stringimi
forte sempre. Così. Poi per un altro anno piangeremo. E va
bene. Ma forse non piangeremo, vero tesoro? Questo amore ci porterà
buono. Porterà buono anche a te, vedrai. Oh, amore! Vieni.
Vieni sopra. Ma non fare freddo. Aspetta, mi sposto più in
qua, così prendo tutto il caldo del tuo posto. Così.
Guarda l'orologio, tesoro. Quanto manca a mezzanotte?". Si ferma,
gli prende il polso, lo guarda e continua, riprendendo a strofinargli
le guance dove capita e a stringerlo: "Quattro minuti, no, tre.
A mezzanotte in punto facciamo l'amore, eh, tesoro? Sei caro!".
Gli dà una stretta più forte col braccio, perchè
anche lui la stringa forte. "Festeggiamo anche noi l'ultimo dell'anno,
eh, amore? Ecco, così, come sei bravo! Stringimi. L'anno venturo,
all'ultimo dell'anno, a quest'ora, ti ricorderai di Milena, che ti
volle bene veramente?". Dice le ultime parole in soffio. Poi
più calma: "Fa piano, piano, adesso, tesoro. Fammi godere,
ma senza farmi male. Sparano ancora, senti? Sparano. Sei giovane e
caldo e ti chiami Gianni. Gianni, Giovanni! Ricordati di Milena, allora,
Gianni! Ma non farmi male. Suona mezzanotte, senti? Suona e sparano
di più! Amore! Così, casi, amore! è mezzanotte
e Milena è tutta tua, sì, tutta tua! Così, caro,
caro, amore! ". Gli cerca le labbra, gliele prende e aspetta
che anche lui gliele baci.
E' un bacio lungo, vivo, caldo. "Auguri, tesoro, per un nuovo
anno. Che porti qualche cosa di buono, a me e a te!". Lo stringe
sempre forte, guardandolo negli occhi.
- "A te, auguri, Milena! A te, tanti!". Fa per baciarla
di nuovo, sulla bocca, ma lei scosta un po' la testa, di scatto.
- "Baciami sugli occhi, amore! Sugli occhi, così, baciami
così, baciami così,
La bocca no. Adesso non più. Amore mio, amore caro!".
Lo stringe ancora una volta, forte, fino alla disperazione e poi allenta
la stretta, mentre tira su col naso per rimandare indietro il groppo
di pianto.