NOTA AL TESTO




Sebastiano Martelli



Questo romanzo (racconto lungo) inedito di Palumbo è emerso da un primo inventario dei molti materiali narrativi conservati nell'archivio privato dello scrittore a Rapallo. Le diverse, molte stesure dei romanzi editi occupano certamente il posto più consistente tra questi materiali, ma non mancano molti altri riferibili a momenti e passaggi diversi del suo iter narrativo: dalle prime prove giovanili di teatro in poesia [Masaccio (1950), "poema drammatico in quattro atti", coevo del Rasputin, tragedia in cinque atti pubblicata nel 1950] ai primi tentativi di romanzo [Ho trovato un eroe (1952); La via verso se stesso (1952); Gli appunti di Tell (1953); Noi non siamo tarati (1954)], di cui Palumbo pubblicò solo pochissime pagine (in "Rapporti", n. 4, dicembre 1974, pp. 357-367), fino all'ultimo romanzo inedito, Quattro donne, cui Nino ha lavorato dal 1974 al 1979.
Gli Anni Sessanta si rivelano per Palumbo anni di intensa e tormentata progettazione: dai tentativi legati alla "trilogia" di Pane verde a quelli di romanzo "resistenziale", Notturno sul forte Olivetta, che si interseca con altri due blocchi di romanzo degli stessi anni, Massimo - Evemarie, Ermanno - Marika. Nel 1967 progetta di fondere in un unico romanzo, l'erba della memoria, tutti e tre questi blocchi, ma l'idea rimane senza seguito.
Agli stessi anni va datato un altro racconto lungo inedito, Semorile, che traeva spunto da vicende e personaggi reali del periodo bellico in Liguria, sui quali Palumbo aveva compiuto una intensa opera di documentazione e ricostruzione di testimonianze ampiamente verificabile tra le sue corte. Tra la fine degli Anni Sessanta ed i primi Anni Settanta sono databili i molti materiali relativi ad un altro romanzo Carità Vecchia (o Trinità Vecchia), in cui Palumbo progettava di far confluire anche un altro blocco Per Angela (1969-70), strutturato in forma diaristica e carico di lacerti autobiografici.
La sistemazione filologica e critica di tutti questi materiali non sarà impresa di poco conto per diversi motivi: i vari progetti si intersecano continuamente, si accavallano, si scompongono e ricompongono in più riprese nel corso di un trentennio di intensa attività. Né va trascurato che l'analisi di questi materiali inediti getta ineliminabili illuminazioni critico-testuali sui romanzi e racconti editi, nati anch'essi negli stessi anni dal tormentato laboratorio palumbiano. Dal tutto emerge inoltre una impressionante macerazione di scrittura, testimoniata tra l'altro dalla molte stesure dei romanzi editi: anche una prima superficiale collocazione tra queste stesure rivela un progressione testuale di grosse proporzioni, scandita da profonde e spesso radicali mutazioni strutturali e formali.
Tutto ciò mi pare offra qualche prima indicazione sui termini da cui partire per continuare e necessariamente rinnovare il discorso critico su Nino Polumbo. Non credo che tale discorso possa spostarsi di molto da certi risultati ormai acquisiti - dove non mancano tra l'altro molti monotoni cliché critici che hanno fortemente condizionato la fortuna dello scrittore - se prima non si procede ad una ricomposizione critico-testuale dei materiali inediti ed editi dello scrittore pugliese, se non si ricostruisce l'iter testuale del suo trentennale lavoro, veicolato da una testarda "vocazione" letteraria, da un peculiare "destino" della scrittura, lungo gli accidentati, sofferti percorsi di quell'"unico" personaggio palumbiano che ha alimentato e piegato i suoi "ferri del mestiere" fino all'ultimo giorno.
La pubblicazione di questo romanzo (racconto lungo) inedito - che fa emergere una serie di spunti interessanti ed introduce inedite ed inattese scansioni temporali della pratica narrativa palumbiano - vuole inserirsi in questa prospettiva critica e non soddisfare solo un pur apprezzabile intento di far conoscere ai lettori un lavoro inedito dello scrittore pugliese ad un anno dalla sua improvvisa scomparsa. Vuole piuttosto essere un primo momento di un disegno dai tempi necessariamente lunghi che abbia come obiettivo quella complessiva ricomposizione testuale guidato da opportuni criteri filologici, indispensabile per continuare e rinnovare il discorso critico su Palumbo.
E' un dato comune a tutti i lavori polumbiani l'estrema incertezza sul titolo da dare: è il caso anche di questo romanzo, Al cinque, che tra le carte troviamo indicato anche con un altro titolo, Notte di capodanno: sulla coperta colar rosa (=A) del fascicolo che contiene il testo qui riprodotto si legge: "AI cinque (cioè Notte di capodanno) romanzo".
Non è stato possibile rintracciare nell'archivio dello scrittore la prima redazione manoscritto del romanzo ed una eventuale copia dattiloscritta precedente al testo da noi assunto come testo-base, e sottoposto successivamente, come vedremo, a notevoli correzioni, aggiunte, espunzioni. Il testo (in VI capitoli) consta di 140 fogli dattiloscritti su carta velina da macchina da scrivere, numerati; risultano espunte del tutto o parzialmente, le pagine: 45, 46, 47, 48, 49, 74, 75, 119, 120, 121, 122, 123, 139, 140.
Le pagine espunte insieme con altri materiali: abbozzi diversi del finale e di continuazione della vicenda, foglietti sparsi con annotazioni di titoli diversi per il romanzo stesso, progetti di epigrafi, inserimenti non utilizzati, appunti vari, sono raccolti in un'altra cartella più piccola di colore rosso (=B) (è una copertina della rivista "Prove", n. 10- 11- 1962) su cui è segnato il titolo: l'erba della memoria.
In calce alla pag. 140 - ultima del romanzo ed espunta - troviamo due annotazioni di Palumbo, autografe, con pennarello colar verde:
1) "riletto tutto il 9/12/955 - da correggere moltissimo! potrebbe finire anche qui, ma sarebbe per mia pigrizia. Forza, Nino!";
2) "Ricorretto dal 29/11 al 30/12/1961. Da continuare e limare ancora, e modificare anche! ".
Dunque alla fine del 1955 Palumbo fa una prima rilettura del testo dattiloscritto. Ma a quando risale la prima redazione manoscritta, che non è stato possibile rintracciare tra le corte dello scrittore?
Alcune indicazioni ci vengono dai materiali sparsi, raccolti nella seconda cartella (B). Si tratta di tre brevi abbozzi di finale - continuazione del romanzo: a) "Adesso fa piano Gianni ... " incipit di un abbozzo di finale- continuazione: Gianni ritorno all'osteria all'indomani, Capodanno del 1941, per consegnare alla Ginetta (è il nome della prostituta poi modificato in quello di Milena) le trenta lire promesse la notte precedente. In calce alle sei cc. manoscritte con penna biro, si legge: "S.M. 2/3/55, ore 9-10,30".
b) "La via deve essere questa ... " incipit di un'altra variante del finalecontinuazione: Gianni ritorna all'osteria- albergo dove ha trascorso la notte con la prostituta, ma non la trova. In calce alle cinque cc. manoscritte (stessa corto e stesso inchiostro) è annotato: "S.M. [ore] 11-12 del 3/3/55".
C) "Gianni da recluta non incontrò più la Ginetta", incipit di una terza variante del finale continuazione del romanzo. Gianni non incontra più la Ginetta (Milena) né il giorno dopo né nei successivi rientri a Milano durante il servizio militare. La rivede dopo sei anni sui marciapiedi del Verziere ormai invecchiato ed intristita; le offre una sigaretta, ma lei non lo riconosce. Né lui ha l'animo di farsi riconoscere, lui ormai "impiegato che era diventato un giovane fatto, con la testa quasi senza capelli ed anche un poco grasso". In calce all'ultima delle quattro cc. manoscritte è segnato la data: "S.M. 3/3/55, ore 11-12".
Un'altra variante si trova tra i materiali sparsi espunti o non utilizzati: si tratto di pagine dattiloscritte (sempre su carta velina) con inchiostro rosso, numerate da 12 a 19. Potrebbe trattarsi di pagine superstiti di una prima redazione dattiloscritta, precedente a quella da noi assunta come testo base e che testimonia proporzioni molto più ridotte del romanzo: un racconto sulle venti cartelle tutto centrato sull'ultima parte dell'incontro con la prostituta e modellato su forme linguistiche, strutturali e stilistiche di accentuato realismo mimetico. Vi compare un estenuato prolungamento dell'incontro notturno con la prostituta, con toni estranei a quelli assunti successivamente dal romanzo dopo le notevoli correzioni e le molte aggiunte, frutto delle due revisioni del '61 e del '62. In linea è invece il finale contenuto nella citata pag. 140, poi espunta, del testo dattiloscritto: "Così, come prima, stettero l'uno vicino all'altro. Lontano gli ultimi colpi dei petardi si andavano spegnendo e all'orologio fuori suonarono dodici colpi e un quarto".
Dunque gli elementi esterni ed interni verificabili ci indicano che la prima stesura del romanzo va retrodatata almeno agli inizi del 1955.
Nel novembre del 1961 Palumbo riprende in mano il testo del romanzo e ne comincia una attenta revisione: sull'angolo in alto a sinistra della prima pagina del testo dattiloscritto è annotato con una biro di colore rosso: "correzione iniziata il 29/11/1961". Come ci indica l'Autore nella già citata notazione in calce alla pag. 140, questa revisione termina il 30.12.1961.
Una nuova rilettura è iniziato da Palumbo nel marzo del 1962; gli interventi sono notevoli: correzioni, tagli, espunzioni, aggiunte. Da segnalare in particolare queste ultime, manoscritte, numerate e collocate su foglietti alla fine di ogni capitolo. La numerazione delle aggiunte rinvia ovviamente a quella via Le date di stesura sulle aggiunte ai sei capitoli vanno dal 79.3.1962 al 19.4.1962.
Le due revisioni del '61 e del '62 modificano notevolmente la resa del testo, che raggiunge alla fine una certa compattezza, pur lasciando ancora insoddisfatto l'Autore.
Il passaggio dal perfetto al presente, Gianni S. modificato in Gianni, "la Ginetta" in Milena, l'eliminazione di molte espressioni gergali del mondo della prostituzione, i tagli di numerosi inserti e prolungamenti descrittivi indicano specularmente il tentativo di un contenimento del realismo e naturalismo largamente egemoni nella scrittura della prima redazione. Ma di conseguenza si sposta anche il centro genetico della narrazione: dalla prostituta al protagonista maschile.
In realtà era forse per quegli anni il massimo punto di equilibrio che Palumbo poteva raggiungere tra le due diverse progettualità all'origine del romanzo, e che rinviano a due filoni della pratica narrativa palumbiana, che dalla prima metà degli Anni Cinquanta conducono a Domanda marginale ed all'ultimo romanzo (inedito) Quattro donne.
Gianni S. dalla prima redazione di Al cinque, poi divenuto semplicemente Gianni con le correzioni successive, è una altra incarnazione di quell'unico personaggio palumbiano, Marco, in cui filtrano palesi o nascosti, reali od onirici, lacerti autobiografici dello scrittore.
L'alter ego seguito nella sua tranche de vie dai racconti (La mia università) a Pane verde, dai tentativi narrativi della "trilogia" alle stratificazioni del flashback di Domanda marginale, alle scansioni dell'educazione sentimentale dello stesso protagonista nell'ultimo romanzo Quattro donne.
Il primo capitolo di Al cinque apre rapidi ma precisi squarci su questa tranche de vie di Marco (Gianni): il destino di immigrato a Milano, suo e dalla sua famiglia, il primo lavoro come fattorino di calzolaio, poi impiegato in una ditta privato, la dura scuola serale, il diploma di ragioniere, l'impiego in un ente parastatale. Ed ora il servizio militare da allievo ufficiale a Corno.
Una vita segnato come da una "censura", un'infanzia ed un'adolescenza non vissute: tra miseria, emigrazione e studio caparbio per raggiungere la sua uscita di sicurezza, si erano consumati i primi vent'anni della suo vita: "Gli era stata preclusa la possibilità di conoscere una gran parte della vita. Era vissuto sempre su uno spicchio di mondo, al di là ed al di qua del quale non sapeva se non per sentito dire ciò che esisteva".
Quella sera dell'ultimo dell'anno in una Milano triste e freddo, è viatico della tristezza e solitudine che Gianni (Marco) si porta dentro come segno indelebile della sua storia di vita. Quasi necessariamente quella solitudine triste lo spinge verso i luoghi - templi della più appariscente tristezza e solitudine, come a ricercare gogoliani "fratelli d'anima", in quella notte gelida del tempo di guerra, carica di premonizioni, di silenzi emarginanti.
L'incontro tra Gianni e Milena in quelle ultime ore di un anno (1940) che sta per finire, è l'incontro tra due solitudini, tra due tristezze, chiuso da quell'abbraccio finale carico di accorata "disperazione".
Siamo dunque ad un'altra tappa dell'" educazione sentimentale" di quell'unico personaggio palumbiano Marco, ormai approdato a Milano dopo l'emigrazione dal Sud (Pane verde), dopo la dura adolescenza tra lavoro e studio (il nuovo alloggio, La coperta del padre, La mia università e gli altri materiali che avrebero dovuto fondersi nel secondo tempo della "trilogia" di Pane verde).
E poi ancora Marco giovane impiegato, mentre la guerra incombe e viene chiamato alle armi (quello che doveva essere il terzo tempo della "trilogia" di Pane verde. Marco ormai giovane alle prese con la sua "educazione sentimentale" e con le scelte di vita).
Sono lacerti esistenziali e narrativi per i quali Palumbo ricerca una sistemazione organica, strutturale e formale a più riprese, e che si ripresentano continuamente come fantasmi rimossi, ombre che chiedono di vivere, di essere rappresentate. Seguiranno Palumbo incessantemente anche dopo la rinuncia alla "trilogia" di Pane verde: a volte saranno lacerti parziali che si incuneano come stratificazioni in una più complessa geologia narrativa, proiezioni oniriche, flash-back, come in Domanda marginale (l'episodio della carrozza, l'adunata); altre volte negli ultimi anni della vita di Nino, riemergeranno come ombre ingigantite che chiedono un estremo sforzo per farle rivivere: è questo l'ultimo romanzo inedito, centrato, come indica uno dei titoli scelti dallo scrittore - Novembre 1939 - Febbraio 1941 -negli anni della educazione sentimentale del protagonista, scandito dagli incontri con quattro donne. Sono gli stessi anni di Gianni protagonista di Al cinque.
Il secondo filone della ricerca narrativa palumbiana, che confluisce in questo romanzo, data anch'esso, come si evidenzia, dagli Anni Cinquanta. Ed è questo uno tra i dati critico-testuali più interessanti che emergono dal testo qui edito.
In calce al testo stampato di Domanda marginale, Palumbo aveva segnato due date di composizione e rielaborazione del testo: 1967-1971; 1978. Sembra da ciò potersi desumere che l'idea di un romanzo sul mondo della prostituzione (la vicenda di Katia ed Ines) vada datata alla seconda metà degli Anni Sessanta. In realtà dalle carte dello scrittore emerge una vicenda scrittoria con scansioni cronologiche molto diverse, che illuminano percorsi finora sconosciuti dell'iter narrativo palumbiano e necessariamente vanno ad incidere sensibilmente sulla lettura della poetica palumbiana e sui referenti testuali coagulati in particolare, ma non solo, in Domanda marginale.
Fin dagli Anni Cinquanta (1953-1955) nel laboratorio palumbiano circola il progetto di un romanzo sul mondo della prostituzione: i due blocchi narrativi che rientrano in questa progettazione vanno assegnati proprio a questi anni: a) Al cinque - Notte di capodanno; b) Ninfe macabre e bambole viventi.
Anche questo secondo blocco di romanzo inedito trovasi tra le carte dello scrittore: è un ms. autografo di 134 fogli, scrittura fitta a tutto foglio, sul recto, ma con alcune integrazioni sul verso; non è datato. Da alcuni elementi esterni si può fissarne la composizione all'autunno del 1953. Qui il racconto del protagonista, il suo incontro col mondo della prostituzione, è trasferito quasi totalmente all'interno delle case chiuse, che rimangono invece sullo sfondo in Al cinque quasi come contrapposizione alla "professione libera" di Milena. Quali sono le due idee motrici che all'interno di questa progettualità narrativa continuamente si incontrano, si intersecano, si separano, lungo un percorso narrativo che dagli Anni Cinquanta conduce a Domanda marginale?
Si tratto di due diversi filoni narrativi che rinviano anche a due diversi modelli di romanzo, a due diverse tipologie di scrittura. L'uno, che per comodità di esplicitazione critica possiamo definire realistico, un romanzo sul mondo della prostituzione nel quale vanno a convergere diverse motivazioni: vittime e carnefici di una condizione umano, micro-storie di emarginazioni sociali e di stratificazioni di classe, "intoppi" e "macine" di destino individuale. L'altro filone, quello della "memoria", più intensamente autobiografico, che da Pane verde e dai racconti di La mia università arriva fino all'ultimo romanzo ancora inedito, Quattro donne. E' il romanzo di Marco, della suo tranche de vie dall'infanzia meridionale all'emigrazione a Milano alla sua sofferta adolescenza e giovinezza nella grande città, alla maturazione delle sue "vocazioni", alla lotta contro i suoi "intoppi", alla suo educazione sentimentale ed oltre lungo le toppe di una memoria-storia dove autobiografia e fantasia, realtà e sogno, lacerti di vita e proiezioni oniriche, scrittura e vita si intersecano continuamente. Ma ci sono delle zone di frontiera memoriale e scrittoria dove i due filoni si incontrano alimentando progettualità di romanzo unificante in cui tentare di fluidificare due "memorie" diverse e di conseguenza due stratificazioni diverse di scrittura.
L'incontro con il mondo della prostituzione divento allora - sull'onda anche di lacerti esistenziali rimossi nella memoria collettiva di una generazione, ma reali e non concellabili - segmento significante della tranche de vie di Marco e delle sue altre successive incarnazioni nella scrittura palumbiana, a cominciare dal Gianni di Al cinque - Notte di Capodanno.
Bisogna risalire a questa frontiera scrittoria per capire le vicende testuali dei progetti narrativi di Palumbo, dai due romanzi inediti, Al cinque e Ninfe macabre e bambole viventi, alla mancato "trilogia", a Domanda marginale, a Quattro donne, come pure ad altri progetti interrotti di romanzo negli Anni Sessanta.
A Palumbo l'unificazione dei due filoni gli si rivela necessaria, incalzata da ragioni di poetica e di memoria, ma difficile da realizzare sul piano della struttura e della forma del romanzo da fare. Su questo spazio-tempo di un progetto unificante, a più riprese si arrestano i tentativi di Palumbo. Ritorno allora il progetto di una separazione tra i due filoni: nei primi Anni Sessanta riprende tra le mani il tentativo del romanzo di confine, Al cinque, e lo sottopone ad una profondo revisione. Ma il risultato ancora non lo convince: anche dopo la secondo revisione del '62 rimane incerto ed oscillante tra le due diverse ipotesi di romanzo. In una lettera a Carlo Salinari del 22 giugno 1962 Palumbo scrive: "Sto scrivendo un altro romanzo ma sono ancora nella fase della prima stesura e quindi non è caso di parlarne (sulle cose e le condizioni delle donne oggi che battono il marciapiede ancora). Per la trilogia vado invece prendendo appunti ancora" (Cfr. S. MARTELLI, Il Carteggio Palumbo-Salinari, in Le stagioni di Nino Palumbo, Foggia, Bastogi, 1983). Negli stessi mesi, in una intervista a Ugo Canonici, afferma: "Ho continuato a lavorare e lavoro ancora adesso ad un altro romanzo che ebbe la prima stesura, come racconto, cinque anni fa [ ... ]. E' prematuro parlarne. Posso dirle, che molto probabilmente lo finirò prima del resto della trilogia... [ ... il titolo?] è provvisorio: per adesso "L'erba della memoria" ("Corriere Meridionale", 15-22 luglio 1962).
Il romanzo-racconto lungo in questione è molto probabilmente sempre lo stesso, Al cinque - Notte di Capodanno, oggetto di due diverse ipotesi-progetto di romanzo.
Alla prima soluzione - di cui si parla nella lettera a Salinari - vanno riferiti certamente i molti ritagli da quotidiani su fatti di cronaca nera legati al mondo della prostituzione, conservati in una cartella a parte e che vanno dal 15.8.1962 all'8.11.1964.
La seconda ipotesi - prospettato nell'intervista - muove invece verso una dilatazione della storia di Gianni (Marco) fino a recuperare in pratica il terzo tempo della "trilogia" di Pane verde.
In conclusione emerge una sorta di scacco, di impossibilità a realizzare il progetto di romanzo unificante che contemporaneamente si riverbera sulle ipotesi dei due filoni separati. Tra le motivazioni all'origine di questo scacco reiterato, io credo che abbiano avuto un ruolo non secondario certe ragioni strutturali, formali, vere e proprie opzioni narrative, tipologie diverse di scrittura e modelli diversi di romanzo veicolati dai due filoni di ricerca e progettualità narrativa. Ed è questa una specola estremamente significante perché illumina decisamente lo status complessivo della poetica palumbiana negli Anni Sessanta ed anche oltre: è dopo la pubblicazione di Pane verde che Palumbo avverte di dover mettere in discussione le sue forme narrative; sia quella "memoriale" del romanzo e dei racconti meridionali, sia quella realistica di Impiegato d'imposte e del romanzo sulla prostituzione, come poi dei due incompiuti di taglio "resistenziale". Tutto ciò in concomitanza anche con gli stimoli critici esterni che gli vengono dal dibattito sul romanzo, assai vivace per tutto quel decennio.
Le giornate lunghe saranno il primo approdo ed Il serpente malioso l'ultimo e più radicale tentativo di rinnovamento e rifondazione delle proprie forme narrative.
Domanda marginale è anche sintesi peculiare della tormentata progettualità narrativa degli Anni Sessanta cui si lega via via, attraverso le revisioni strutturali e formali degli Anni Settanta, tutto lo sviluppo ultimo della poetica palumbiana, segnata da un pessimismo totale che veicola una riscrittura ideologica del romanzo stesso. Un'analisi attenta di questo romanzo ne fa emergere le diverse stratificazioni di scrittura: quella realistica (il romanzo sul mondo della prostituzione) quella memoriale (flash-back sull'adolescenza con l'episodio della carrozza e della sfilata); quella onirico-psicanalitica (il sogno delle tre donne ed il sogno finale). Stratificazioni disintegranti - per voluta scelta formale - l'unità del romanzo, ma coagulantisi poi intorno al personaggio protagonista, la cui centralità fisiognomica ed ideologica va decisamente modificandosi attraverso le varie stesure del romanzo.
Il protagonista di Domando marginale nel mentre riplasma le ultime proiezioni di vita dell'unico personaggio palumbiano, ormai al consuntivo della propria maturità, diviene anche metafora dell'"uomo senza qualità", dell'uomo medio della nostra società contemporanea in una condizione di vuoto, di assenza di speranze e di calore umano, di indifferenza, di privazione di rapporti umani autentici, di morte spirituale, una condizione di disperazione rappresa. Ad alimentare questa metafora si incunea il "pessimismo totale" che segna gli ultimi anni della vita di Palumbo: la volontà di opporsi alla "macina" della vita e di questo tempo degradato che stiamo vivendo, in lui aveva ormai lasciato il posto ad una rappresa, disperata amarezza.

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