Come cambia lo
spirito del tempo! E come è necessario, per un giudizio equilibrato
sulle nuove circostanze, non perdere di vista il quadro globale e
saper approfittare della memoria storica! Può ben dirsi che
la "base", come si dice, delle potenti Gewerkschaften tedesche
- i sindacati della Germania Federale - non approvi l'accordo faticosamente
raggiunto dai suoi rappresentanti, dopo un mese di latta durissima
per le 38 ore e mezza settimanali.
Ma non bisognerebbe dimenticare che, centocinquant'anni fa, nell'Inghilterra
ancora coloniale, era ritenuta una grande vittoria operaio l'aver
stabilito in dodici ore la giornata lavorativa dei ragazzi al di sotto
dei quattordici anni. Guardandosi alle spalle, il movimento operaio
odierno, al di là delle divisioni contingenti, può essere
orgoglioso delle conquiste ottenute. La giornata lavorativa che un
tempo era di sedici, quattordici ore, è giunta oggi in molti
casi al di sotto delle otto ore. E sono cresciuti in concomitanza
i provvedimenti legislativi di natura sociale.

In quei mirabili capitoli dodicesimo e tredicesimo del Libro primo
del "Capitale", che mi ostino a considerare l'atto di nascita
della sociologia industriale, Marx non si stanca di insistere sull'importanza
dell'accorciamento della giornata lavorativa, ma mette inoltre in
rapporto diretto il tempo di lavoro e la velocità delle macchine.
Che senso ha ridurre la giornata lavorativa, se poi aumenta la velocità
delle macchine al di là dei limiti umanamente tollerabili?
Ciò era soprattutto vero allora, quando donne e bambini, manodopera
docile, erano in maggioranza impiegati nell'industria tessile. Con
una preoccupazione pedagogica che non si sospetterebbe nel fondatore
del materialismo storico, Marx sottolinea la "desolazione intellettuale
prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi
in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore". Sono
queste preoccupazioni a farci capire che, prima di essere ideologia
e struttura organizzativa specifica, il movimento operaio è
un'esperienza esistenziale, un atto di solidarietà.
Oggi la situazione, dopo duecento anni di lotte, si presenta radicalmente
mutato. E' caduta la concezione biblica del lavoro come espiazione
e pena. Si va profilando una concezione ottimistica, positiva, che
scorge nel lavoro umano l'occasione di un'espressione dell'individuo,
di un suo apporto unico alla convivenza di cui è parte. Ciò
che agli occhi del benpensanti di oggi appare scandaloso, vale a dire
che i giovani non cerchino e non accettino qualsiasi lavoro, bensì
solo quello che corrisponde ai loro bisogni espressivi, che consente
loro di esprimere al meglio le loro doti, la loro personalità,
è in realtà uno stimolo profondo di progresso per tutta
la società. Con la rivoluzione telematica, fondato sull'elaborazione
rapida dei dati e la loro trasmissione istantanea a distanza, scompare
la tuta blu e fa il suo ingresso, al posto del proletariato classico,
l'operatore in camice bianco, lo specialista di informatica e di elettronica.
Non si creda con ciò che i problemi si risolvano automaticamente.
Richiedono un supplemento di istruzione, di flessibilità e
di dinamismo, una responsabilità aggiuntiva sia da parte degli
operai che degli imprenditori.

l dati visualizzano l'orario settimanale secondo i principali contratti
di categoria. Ma una cosa sono i contratti, un'altra la pratica. Su
base annuo, ad esempio, le ore possono mediamente essere di più,
se si considera il lavoro straordinario, o essere di meno, se "depurate"
dall'assenteismo o dalle assenze per motivi vari.
Quel che è certo, è che adesso si lavora quasi la metà
rispetto ai tempi dei nostri bisnonni. Per loro, circa 3.000 ore annue,
contro le nostre 1.600-1.700. Fatta la tara delle assenze per motivi
diversi, siamo sulle 36 ore medie settimanali (38 per i metalmeccanici).