PROGRESSI E DIFFICOLTA' NEL CAMMINO VERSO LA STABILITA' E LO SVILUPPO




Carlo Azeglio Ciampi



I mercati dei cambi
Anche nell'anno che volge al termine i mercati dei cambi sono stati segnati dalla forza del dollaro. Dopo un indebolimento nel primo trimestre, la valuta americano ha ripreso la suo ascesa, a ritmi talvolta convulsi. Rispetto alla media delle altre monete, il rialzo è stato dell'8 per cento nel corso dei primi dieci mesi del 1984; dal 1980 esso ha raggiunto il 37 per cento. l'ulteriore apprezzamento del dollaro è avvenuto nonostante la dilatazione del disavanzo della bilancia dei pagamenti americana di parte corrente. Quest'anno lo sbilancio sfiorerà i 100 miliardi di dollari, contro i 42 del 1983. La forza del dollaro è dunque riconducibile agli ingenti afflussi di capitali negli Stati Uniti, che trarranno nuovo stimolo dall'abolizione della "witholding tax" e dall'emissione di titoli espressamente destinati a non residenti. I differenziali dei tassi di interesse in favore del dollaro, che si erano ridotti negli ultimi mesi del 1983, sono tornati ad ampliarsi nel 1984. Negli Stati Uniti la sostenuta domanda di credito da parte dei privati, connessa con la ripresa economica, si è sommata alle esigenze di finanziamento del disavanzo pubblico. A settembre il prime rate, in aumento dall'inizio dell'anno, superava il 13 per cento e il tasso sui federal funds eccedeva di quasi due punti il livello raggiunto nel dicembre del 1983. Queste variazioni al rialzo avvenivano mentre il tasso d'inflazione restava pressochè invariato, sul 4,5 per cento. In ottobre si sono avuti segni di attenuazione; il prime rate è disceso al 12 per cento e il rendimento del federal funds è tornato sui livelli della fine del 1983.
Il sistema bancario americano, a differenza del passato, è dal marzo del 1983 prenditore netto di fondi all'estero. Questa condizione atipica è dovuto anche a un piú contenuto aumento delle attività sull'estero, in relazione alle difficoltà finanziarie attraversate da numerose economie in via di sviluppo. Gli accadimenti negli Stati Uniti hanno posto gli altri Paesi di fronte all'alternativa fra il sostegno alla domanda interna e la difesa contro l'inflazione importata. In Europa e in Giappone la risposta all'ascesa del dollaro non è consistita nel l'inasprimento delle condizioni monetarie. I tassi di interesse su quei mercati hanno mostrato una relativa stabilità. Un loro aumento avrebbe interrotto la moderata ripresa in atto. Le recenti vicende confermano che i mercati valutari, se lasciati a se stessi, sono esposti nel breve periodo a forte erraticità e, nel lungo periodo, a deviazioni del cambi dai livelli ritenuti compatibili con condizioni di equilibrio negli scambi di beni e servizi.
Dall'inizio del periodo di fluttuazione, le oscillazioni dei corsi delle monete sono state piú frequenti e ampie di quanto previsto dai fautori del sistema dei cambi flessibili. Esse si sono accentuate dopo il 1980. In assenza di interventi stabilizzatori che si inseriscano in un insieme coordinato di politiche economiche nei diversi Paesi, i mercati reagiscono agli impulsi in misura eccessiva. Fluttuazioni così rilevanti e una struttura di tassi di cambio non correlata alle condizioni delle variabili economiche fondamentali in ciascun Paese non sono senza conseguenze per l'economia mondiale. l'effetto netto di variazioni del cambio di segno opposto e di eguale ammontare è inflazionistico, a causa di rigidezze e asimmetrie, istituzionali e di mercato, nella formazione del prezzi interni. L'incertezza sull'andamento dei prezzi relativi frena gli investimenti e disturba l'allocazione delle risorse. Le alterazioni nei rapporti concorrenziali rilanciano le spinte protezionistiche; attualmente, queste stanno rafforzandosi proprio negli Stati Uniti, dove i produttori avvertono il peso di un dollaro sopravvalutato. Se è vero che non sussistono le condizioni per un ritorno a un sistema di cambi fissi, è manifesta l'inopportunità che si prolunghi l'attuale fase di erraticità e di distorsioni nei rapporti fra le monete. Occorre ricercare soluzioni basate sul riconoscimento della interdipendenza delle economie, e quindi su un coordinamento che iscriva la cura del cambio nella piú ampia strategia di politica economica seguita da ciascun Paese.
Questa ricerca è in atto all'interno del Gruppo dei Dieci. Per statuto, il Fondo Monetario Internazionale ha compiti di sorveglianza sulle politiche di cambio dei Paesi membri. Ma l'attuazione delle disposizioni statutarie è stata sinora carente, allorquando si è trattato di passare da un'impostazione a livello di singola economia a una che affrontasse il problema del coordinamento internazionale delle politiche. L'Italia si è fatta promotrice, nell'ambito dei Sostituti del Gruppo del Dieci, di un'iniziativa intesa ad avviare l'esame su base multilaterale delle interazioni e delle compatibilità fra le politiche economiche del principali Paesi, in funzione di una maggiore stabilità dei cambi. Si fa strada, sia pure tra difficoltà, l'esigenza di rafforzare l'azione di sorveglianza del FMI e di coordinare piú strettamente, in tema di politica del cambio, l'opera di questa istituzione con quella dell'OCSE.
Nonostante gli elevati livelli di reddito e di ricchezza, gli Stati Uniti continuano ad assorbire risparmio dal resto del mondo, attuando tecniche di finanziamento che riducono il ricorso all'intermediazione bancaria internazionale, e in particolare all'euromercato. L'obiettivo è quello di stimolare la domanda estera di titoli di stato americani, per abbassarne i rendimenti e contenere il costo del debito. Ma se contemporaneamente non viene perseguita la riduzione del disavanzo federale, per l'economia mondiale tenderà a prevalere, nel piú lungo periodo, l'effetto negativo del drenaggio di fondi. Di qui l'importanza che anche alla politica economica degli Stati Uniti si applichi l'azione di riscontro e di raccordo in sede internazionale.
La fase di ascesa del dollaro ha coinciso con il piú lungo periodo di stabilità che il Sistema Monetario Europeo abbia conosciuto dalla sua istituzione. L'ultimo riallineamento risale al marzo del 1983. La forza del dollaro, riverberandosi in primo luogo sul marco tedesco, ha costituito indirettamente un elemento di coesione nello SME. Ma un ruolo fondamentale è stato esercitato dai progressi compiuti dai Paesi membri del Sistema verso piú equilibrate condizioni interne ed esterne. Nel 1982, il tasso medio di inflazione nella CEE fu del 10 per cento, con un divario di circa 12 punti fra l'economia a piú alta e quella a piú bassa inflazione. Nell'anno in corso il tasso medio è inferiore al 7 per cento e il divario massimo è sceso a 8,5 punti. Le partite correnti della bilancia del pagamenti hanno segnato miglioramenti rilevanti. Nel 1982 tre Paesi della CEE ebbero avanzi correnti; gli altri accusarono disavanzi compresi fra l'1,6 e il 10, 1 per cento del prodotto interno lordo. Nel 1984, i Paesi in avanzo sono rimasti gli stessi, ma i disavanzi degli altri saranno compresi fra lo 0,4 e il 4,7 per cento del prodotto.
L'esperienza dello SME offre utili elementi al dibattito sui modi di accrescere la stabilita del sistema monetario internazionale. l'armonizzazione delle politiche monetarie è stata ricercata anche in funzione di una appropriata struttura dei cambi. Gli interventi sui mercati delle valute sono stati opportunamente inseriti nella linea di politica monetaria prescelta, affinchè combinandosi si rafforzassero reciprocamente. Nelle relazioni di cambio all'interno dello SME sono stati evitati fenomeni di erraticità. Questa esperienza conferma che la presenza delle Banche Centrali sui mercati esercita un'influenza stabilizzatrice e favorisce l'ordinata attuazione di correzioni nella parità, che gli andamenti di fondo delle economie dovessero rendere necessarie.
La maggior coesione delle monete dello SME, data la limitata dimensione dell'area economica europea, non può evitare che nel mondo i mercati dei cambi siano sempre piú influenzati da operazioni finanziarie o di pura speculazione, slegate dal commercio internazionale. l'instabilità dei corsi, in presenza di una politica di astensione delle autorità americane da ogni intervento equilibratore, amplia gli spazi per operatori fortemente propensi ad assumere rischi in orizzonti temporali anche brevissimi. In questo quadro di accresciuta alea nelle relazioni fra le principali monete e il dollaro, le banche devono improntare a cautela i loro comportamenti. Ancor piú che in passato, gli amministratori bancari devono vigilare affinchè la propria azienda, anche nelle sue diramazioni estere, rifugga dall'assumere rischi la cui entità non sia valutabile sulla base di elementi analitici. le occasioni di profitto devono essere ricercate affinando i servizi resi alla clientela, piuttosto che perseguendo un'espansione indifferenziata delle contrattazioni, con gradi di rischio crescenti. Fra le qualità professionali dell'operatore in cambi, la prudenza rappresenta il parametro ultimo di riferimento nel valutare l'opportunità di compiere negozi che pure siano consentiti dalle norme valutarie e dalle stesse disposizioni interne della banca.
L'ampio dibattito in corso, che impegna organismi internazionali e le autorità dei maggiori Paesi, dovrà permettere di progredire nel coordinamento delle politiche economiche. Dal consolidamento delle basi decisionali e da una piú precisa definizione del ruolo stabilizzatore delle autorità trarranno vantaggi i mercati dei cambi.

La congiuntura internazionale
La ripresa dell'economia mondiale, iniziata l'anno passato, si è irrobustito nel 1984. In Europa essa si è avviata piú tardi; il tasso di sviluppo è inferiore a quello giapponese e, ancor piú, a quello statunitense. la fase ciclica in corso riflette e conferma, anche per altri aspetti, la presenza nelle economie europee di elementi di debolezza nel tessuto produttivo e di rigidità nel mercato del lavoro. Negli Stati Uniti l'espansione ha interessato tutte le componenti della domanda interna, gli investimenti in particolare. Dagli ultimi mesi del 1982, il grado di utilizzo della capacità produttiva è cresciuto rapidamente e il tasso di disoccupazione è sceso di 3 punti. l'intensità della domanda interna e l'ulteriore erosione della posizione concorrenziale derivante dall'apprezzamento del dollaro hanno provocato, come già si è detto, un rilevante peggioramento della bilancia commerciale. In Europa, con l'eccezione del Regno Unito, la componente estera ha fornito il contributo maggiore alla formazione del reddito, sulla spinta dell'espansione americana. la ripresa non è stata tuttavia sufficiente a migliorare la situazione depressa del mercato del lavoro. Un progressivo attenuarsi delle tensioni sui prezzi è stato realizzato in Europa, in particolare nella Germania Federale, e ancor piú in Giappone, nonostante il piú rapido aumento dell'attività economica. la situazione di eccesso d'offerta di lavoro e le aspettative di piú bassa inflazione hanno moderato l'aumento delle retribuzioni. Un forte sviluppo della produttività, associato alla ripresa produttiva, ha ulteriormente contenuto l'ascesa dei costi e dei prezzi. Recenti calcoli dell'OCSE indicano che l'apprezzamento del dollaro ha prodotto all'interno degli Stati Uniti, attraverso i soli impulsi diretti, una riduzione dell'inflazione di circa un punto nel 1982 e di altrettanto nel 1983. Negli altri Paesi industriali, le conseguenze inflazionistiche del l'apprezzamento del dollaro sono state mitigate dall'andamento, dapprima stazionario, poi flettente, dei prezzi in dollari delle materie prime.
L'abbassamento strutturale dell'elasticità della domanda di inputs rispetto ai livelli produttivi; la minore richiesta di materie prime, imposta dagli elevati tassi d'interesse reali; il rafforzarsi della relazione inversa tra prezzi dei prodotti primari e corso del dollaro, anche in seguito all'intensificata concorrenza tra Paesi esportatori di materie prime con un elevato debito estero: questo complesso di elementi ha allentato il legame esistente tra l'evoluzione ciclica della domanda mondiale e quella del prezzi in dollari dei prodotti primari. Le politiche economiche restano improntate alla cautela in Europa e in Giappone, dove condizioni monetarie restrittive continuano ad affiancarsi a indirizzi tesi a ridurre strutturalmente i disavanzi di bilancio. Negli Stati Uniti, al contrario, la finanza pubblica ha stimolato la crescita. Solo di recente il Congresso ha approvato provvedimenti diretti a contenere, nei prossimi anni, il disavanzo federale, con effetti peraltro che si prevedono limitati. In assenza di una manovra di bilancio correttiva, la politica monetaria difficilmente potrà divenire meno rigida; gli alti tassi di interesse americani continuerebbero a vincolare le politiche economiche degli altri Paesi, con effetti particolarmente gravi per le economie in via di sviluppo piú indebitate. Il disavanzo corrente con l'estero di queste economie, pur se dimezzato rispetto a due anni fa, rimane elevato. Il rapporto fra oneri per il servizio del debito e ricavi da esportazioni si è ridotto, anche in virtú delle rinegoziazioni concluse con il sistema bancario privato. Ma i finanziamenti concessi dal mercato internazionale del capitali sono rimasti relativamente modesti e sarebbero risultati ancora minori, se non fossero state raggiunte intese con il FMI, sotto la cui egida sono stati approntati importanti "pacchetti" di sostegno.
Le istituzioni internazionali, e in particolare il FMI, hanno operato attivamente, sia impegnando proprie risorse, sia favorendo l'afflusso di capitali privati a medio e lungo termine. La capacità di finanziamento del Fondo rimane elevata, sebbene nell'ultima riunione del Comitato interinale siano stati leggermente ridotti i limiti di accesso alle sue risorse per il 1985. La situazione debitoria resta tuttavia preoccupante. Essa si configura come un problema di lungo periodo. I Paesi a piú alto debito sono chiamati, in condizioni sociali ed economiche molto difficili, a ulteriori rilevanti sforzi per correggere i disavanzi con l'estero. Le soluzioni tecniche dovranno ricercarsi e attuarsi tenendo conto delle specificità di ciascuna economia. Gli uni e le altre non potranno avere efficacia se, su scala internazionale, mancherà il sostegno di una crescita equilibrata del reddito e degli scambi.
Piú in generale, anche se con tempi e intensità diversi da Paese a Paese, la composizione della domanda e la struttura devono completare il processo di adeguamento a un sistema di prezzi relativi profondamente mutato. Solo in tal modo il rientro dall'inflazione potrà rivelarsi duraturo.

L'economia italiana
Nel 1984, l'economia italiana ha ripreso a crescere, dopo un triennio di ristagno e di recessione. Secondo le stime piú recenti, il prodotto interno lordo dovrebbe aumentare del 2,8 per cento, un tasso moderato eppure superiore a quelli dei maggiori Paesi europei. Per la prima volta da undici anni, nel settembre scorso, l'aumento dei prezzi è sceso sotto le due cifre; dal dicembre del 1983 all'ottobre del 1984 il tasso di incremento del costo della vita, calcolato sullo stesso periodo dell'anno precedente, è diminuito dal 12,8 al 9,1 per cento. Raffreddare l'inflazione mentre la domando interna è in ascesa ha in Italia, nell'ultimo quindicennio, un solo precedente nel 1978.
Con la produzione è tornata a intensificarsi l'accumulazione di capitale, diretta principalmente all'ammodernamento degli impianti. In diversi settori, l'industria italiana ha saputo rispondere alla sfida di una concorrenza serrata. Come in tutta l'area europeo, la risposta ha imposto al sistema il costo di una accresciuta disoccupazione, dovuta al risparmio di personale e aggravata dalla spinta demografica sul numero dei giovani in cerca di lavoro. Nel primo semestre di quest'anno la maggiore occupazione nel settore dei servizi, pur rilevante, non ha compensato le flessioni negli altri settori. Nell'industria sono aumentate le ore lavorate mensilmente per operaio, ma il calo nel numero degli addetti è stato il piú elevato dal dopoguerra. il fenomeno riflette anche gli ostacoli che le rigidità istituzionali e di mercato frappongono all'aumento del l'occupazione. L'area dei senza lavoro si è estesa e sfiora i due milioni e mezzo di persone. Sempre nel primo semestre, il saldo di parte corrente dei conti con l'estero si è chiuso con un disavanzo di 4.500 miliardi; esso si confronta con lo squilibrio di 1 .000 miliardi dello stesso periodo del 1983. le previsioni per l'intero 1984 indicano un saldo negativo dell'ordine di 2.000 miliardi, che segue all'avanzo di 1.158 miliardi dello scorso anno. l'apporto del servizi' e trasferimenti dovrebbe risultare leggermente piú elevato; il peggioramento è, quindi, attribuibile alla bilancia commerciale. il risveglio delle componenti interne della domanda ha limitato il rilancio delle esportazioni e ha elevato il volume delle importazioni, ulteriormente accresciute in valore dall'apprezzamento del dollaro. I dati piú recenti, relativi al periodo gennaio-agosto, segnalano che il disavanzo mercantile è passato da 8.200 miliardi nel 1983 a 11.000 miliardi.
Nei primi sette mesi dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 1983, la competitività, tenendo conto dell'andamento comparato dei prezzi all'ingrosso dei manufatti, è rimasta praticamente invariata nei confronti dei Paesi europei, ed è migliorato dell'1,5 per cento rispetto al totale dei principali Paesi concorrenti; in corso d'anno si è avuto, invece, un peggioramento del 2 per cento. I guadagni di competitività nei confronti dell'area del dollaro sono stati particolarmente rilevanti; la nostra posizione si è avvantaggiato nell'interscambio commerciale con gli Stati Uniti anche per la diversa condizione ciclica delle due economie, favorevole alle esportazioni italiane; il saldo è migliorato di 1.900 miliardi. L'interscambio con i Paesi della CEE ha subito invece un peggioramento di 1.100 miliardi; quello con i Paesi dell'Est di 1.300 miliardi. Nei confronti degli altri Paesi, soprattutto quelli fornitori di fonti di energia e di materie prime, il deterioramento ha superato i 2.000 miliardi. le maggiori importazioni, sollecitate anche dal ripristino di scorte, si sono avute nei settori delle fonti di energia, della chimica, della metallurgia e delle materie utilizzate nelle produzioni piú tradizionali del nostro sistema industriale.
Nell'ultimo decennio l'elasticità delle importazioni rispetto al reddito è significativamente aumentata, raggiungendo negli anni recenti un valore di 2,5 che èfra i piú elevati nelle economie industriali. La propensione media a importare, valutata a prezzi costanti, è salito di circa 4 punti, superando il 22 per cento del reddito. Vi hanno concorso tutti i tipi di prodotti, ma in maggior misura i beni di consumo finale. Le determinanti di questo fenomeno, che rende piú stringente il vincolo della bilancia commerciale, sono oggetto di approfondimento sul piano analitico.
Nel breve periodo il ricorso ai mercati creditizi internazionali concorre, insieme con l'utilizzo delle riserve ufficiali, alla copertura dei disavanzi correnti. La posizione finanziaria del Paese, al netto delle riserve auree, è passata fra il 1980 ed il 1982 da una situazione di equilibrio a un saldo negativo di 21 miliardi di dollari. Alla fine di giugno di quest'anno lo sbilancio era valutabile in 23 miliardi, pari al 7 per cento del prodotto interno lordo.
Le condizioni dei mercati internazionali, influenzate dai problemi finanziari delle economie in via di sviluppo, sono attualmente favorevoli ai Paesi con un buon merito di credito come l'Italia; ne stiamo traendo vantaggio nel rinnovo dei prestiti. Ma l'entità del debito in essere sconsiglia di rinviare il completamento della correzione degli squilibri nei nostri conti con l'estero, ricorrendo ulteriormente al finanziamento internazionale. Al ristabilimento di una piú solida posizione della nostra economia è legata, infine, la riduzione dei vincoli ai movimenti del capitali. La politica di liberalizzazione, i cui principi sono alla base della legge valutaria in discussione al Parlamento, deve essere attuata con realistica gradualità, in modo da assicurarne la durevolezza.

Le linee della politica economica
I risultati ottenuti nel 1984 nel combinare la ripresa produttiva con una apprezzabile decelerazione del moto inflazionistico confermano la validità di un metodo, e tracciano la vie da seguire nel prossimo futuro. Si è potuto ridurre l'inflazione, senza impedire la ripresa produttiva perchè a un governo non permissivo della moneta e del cambio si sono uniti l'avvio di una politica dei redditi e il contenimento del fabbisogno pubblico. l'operare congiunto degli strumenti della politica economica accresce l'efficacia della manovra stabilizzatrice, ne limita tempi e costi, consente di raggiungere obiettivi in potenziale contrasto.
All'azione volta a regolare i redditi nominali ha corrisposto, pur nella difformità dei comportamenti, una piú estesa sensibilità al problema dei nessi tra inflazione, redditi e occupazione; sono state raggiunte significative concordanze sulla sua rilevanza ai fini dello sviluppo e su alcuni fondamentali criteri di soluzione. Nella determinazione del salario si è posta un'attenzione nuova alle compatibilità generali del sistema; si è tornati a fare riferimento alla professionalità e alla produttività del lavoro, respingendo il principio del livellamento generale. La struttura del salario viene analizzata nelle sue diverse componenti, automatiche e discrezionali, di stato e di progressione. Al centro del dibattito sta la necessità di una distribuzione meno iniqua del peso fiscale tra categorie dipendenti e lavoratori autonomi. Sul piano delle realizzazioni, attraverso decreti poi convertiti in legge, è stata predeterminata la progressione della scala mobile nel primo semestre. Ancorchè limitata nel tempo, questa misura ha contribuito a frenare i costi e a ridurre l'inflazione; non ne ha sofferto il livello delle retribuzioni per dipendente in termini reali.
Il blocco per il 1984 dell'indicizzazione degli affitti abitativi, il vincolo del 10 per cento all'aumento dell'insieme delle tariffe pubbliche del prezzi amministrati, l'attivazione di strumenti e di accordi di autodisciplina nel settore della distribuzione commerciale hanno integrato questa prima fase della politica del redditi. Alcuni fra questi provvedimenti, per loro natura, hanno effetti limitati nel tempo; il loro contributo al contenimento dell'inflazione dipende dai comportamenti che prevarranno oltre il breve periodo. Il principio di non accrescere la remunerazione reale media, pur cercando di dare spazio a diversificazioni che premino la professionalità, è stato sostanzialmente rispettato nel settore privato. Nella Pubblica Amministrazione, invece, l'aumento delle retribuzioni nominali ha superato, di circa due punti, il tasso d'inflazione. Nell'industria, i processi di ristrutturazione, in corso da alcuni anni, e un più efficiente utilizzo dei fattori, consueto nelle fasi iniziali di ripresa, hanno permesso di conseguire forti guadagni di produttività. Per l'intero 1984, l'aumento del prodotto per ora lavorata è stimato pari al 4,5 per cento e quello per occupato al 6,4.
L'incremento annuo del costo dei lavoro per unità di prodotto supererà di poco il 5 per cento, valore inferiore di due terzi a quello medio del precedente quinquennio. Il contenimento dei costi è derivato dalle componenti interne. Quelle estere, nonostante una gestione del cambio orientata ad assecondare il rientro dell'inflazione, hanno operato in senso opposto, per il forte rincaro del dollaro. L'ascesa dei costi complessivi di produzione per unità di prodotto è risultata inferiore a quella dei prezzi. I margini di profitto si sono ampliati dopo un triennio di tendenziale compressione; i profili globali hanno beneficiato dei crescenti livelli di produzione, favorendo la ripresa degli investimenti. In ogni settore, ampie ristrutturazioni sono richieste dalla pressante concorrenza internazionale, dal mutamento dei prezzi relativi, dalla instabilità della domanda finale. Lo sviluppo tecnologico le rende possibili, accrescendo al tempo stesso la flessibilità degli impianti.
La riduzione dell'intensità di capitale per unità di prodotto, che è stata realizzata nell'industria, difficilmente potrà protrarsi nel medio periodo. L'allentamento di vincolo esterno e una piena valorizzazione delle potenzialità di sviluppo e di occupazione presuppongono un deciso orientamento delle produzioni all'esportazione e un massiccio impiego di risorse in investimenti a redditività differita.
In più occasioni ho avuto modo di rilevare come la formazione di risparmio lordo si sia ridotta, rispetto al prodotto, dal valore medio del 23 per cento dell'inizio degli Anni Settanta al 18 del triennio 1981-83; ciò è avvenuto soprattutto per il dilatarsi del disavanzo corrente della Pubblica Amministrazione. E' una tendenza che le esigenze dello sviluppo e dell'occupazione impongono di rovesciare.
I gravi squilibri nei conti pubblici rendono inconciliabili l'intensificazione degli investimenti e l'equilibrio dei conti con l'estero. Le valutazioni ufficiali indicano in 95.800 miliardi il fabbisogno del settore statale per il 1984. Il dato consuntivo potrà essere minore. La crescita del fabbisogno dovrebbe in ogni caso risultare inferiore a quella del reddito: è un risultato positivo, che interrompe una serie preoccupante. Le dimensioni del fabbisogno e della distruzione di risparmio da parte dell'operatore pubblico restano, tuttavia, eccezionalmente elevate, e altri significativi indicatori continuano a dare segnali negativi. In percentuale del prodotto, il disavanzo complessivo della Pubblica Amministrazione, al netto delle partite di natura finanziaria, segna un aumento, con e senza le spese per interessi; quello di parte corrente, pari al 6 per cento nel 1983, potrebbe superare il 7 per cento quest'anno: la maggiore formazione di risparmio del settore privato è stata ancora una volta in parte assorbita dalle spese pubbliche correnti, a scapito del l'accumulazione di capitale. Alla fine del 1984 il debito pubblico risulterà cresciuto del 22 per cento circa, otto punti in più del reddito nominale.
Nel corso dell'anno, la politica monetaria e quella valutaria hanno accompagnato la ripresa, secondo una linea di disinflazione attenta a prevenire il riaccendersi di spinte speculative e le aspettative di un rimbalzo inflazionistico. L'andamento del tassi d'interesse reali è stato tale da lasciare margine al ricupero ciclico della redditività netta degli investimenti e da sostenere al tempo stesso la propensione al risparmio finanziario. Dal dicembre scorso, la lira si è deprezzata del 12 per cento rispetto al dollaro, e dell'1,5 nei confronti delle valute comunitarie.
Nel primo semestre la graduale discesa del tassi d'interesse nominali, consentito dalla decelerazione dell'inflazione, è stata assecondata dalle diminuzioni del saggio ufficiale di sconto attuate in febbraio e in maggio.
Sino alla primavera lo sviluppo dei finanziamenti al pubblico, del credito totale interno e della quantità di moneta restava entro le linee programmate. Dall'aprile la dinamica creditizia accelerava sensibilmente. Mentre l'espansione monetaria continuava a mantenersi inferiore all'aumento del prodotto in termini nominali, quella dei finanziamenti al pubblico, pur depurati degli effetti statistici connessi con la rimozione del massimale, eccedeva gli obiettivi indicati all'inizio dell'anno. Particolarmente rapida appariva la crescita degli impieghi bancari, il divario rispetto a quella della moneta confermava il formarsi di squilibri nei rapporti con l'estero.
Forte domanda di credito, tassi d'interesse nominali superiori a quelli internazionali e aspettative di stabilità della lira nel sistema monetario europeo inducevano le aziende di credito ad accrescere l'indebitamento netto all'estero. Nei mesi di maggio e giugno, esso aumentava di 3.500 miliardi e poneva problemi di controllo del credito nell'immediato, e del mercato dei cambi in prospettiva: veniva stabilito un limite massimo alla posizione debitoria netta sull'estero delle banche.
Nel corso dell'estate, l'espansione creditizia e il disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti continuavano a superare le previsioni. Particolarmente rapida risultava la crescita dei prestiti bancari in lire. La domanda di impieghi, oltre che ad alimentare transazioni correnti e investimenti fissi e in scorte superiori alla attese, era diretta all'acquisizione da parte delle imprese di attività finanziarie su larga scala; veniva soddisfatta a tassi d'interesse decrescenti, con costi per le imprese ulteriormente ridotti dal margine di denunciabilità fiscale degli oneri finanziari consentito dal ricupero dei profitti. Ma la stesso offerta di impieghi era sollecitata dalla liberalizzazione di un mercato costretto per anni da vincoli amministrativi e quindi alla ricerca di nuovi assetti, in un sistema bancario che vede strutturalmente intensificarsi i fattori concorrenziali.
Negli attivi bancari, l'espansione degli impieghi avveniva, sino a giugno, in sostituzione di titoli pubblici. in luglio l'accelerazione si estendeva ai depositi, suscitando la preoccupazione che anche gli aggregati monetari tendessero a superare il limite programmato. Dall'inizio dell'anno alla fine di agosto, la crescita dei finanziamenti al pubblico e quindi quella del credito totale interno, corrette per gli aggiustamenti contabili degli impieghi bancari e depurate dalla stagionalità, avevano assunto la tendenza che le portava a superare di 4,3 e di 1,2 punti i limiti annui indicati nel settembre del 1983, rispettivamente pari al 12,3 e al 17,4 per cento. L'accelerazione era interamente dovuta agli impieghi bancari, cresciuti del 21,5 per cento in ragione d'anno. Gli aumenti della moneta e della base monetaria erano rispettivamente dell'11 e del 9,5 per cento. Considerato l'evoluzione della domanda interno e quella dell'interscambio commerciale, la prosecuzione della ripresa e l'ulteriore discesa dell'inflazione rischiavano di essere compromesse da deviazioni troppo ampie dell'espansione del credito dal sentiero prefissato. E' pur vero che il reddito e gli investimenti in termini reali crescevano in misura superiore alle previsioni iniziali; ma la tendenza del credito all'economia eccedeva nettamente anche i nuovi limiti, spostati verso l'alto per tener conto del maggior sviluppo reale. Un segnale netto e una misura restrittiva, temporanea quanto più pronta ed efficace, dovevano essere specificamente rivolti al sistema bancario. Rimosso il massimale sugli impieghi, la regolazione dei finanziamenti al pubblico è ora affidata a un più intenso utilizzo dello strumento della base monetaria e a una maggiore mobilità dei tassi d'interesse, le cui variazioni sono rese più pronte da modifiche nelle condizioni del credito di ultima istanza.
All'inizio di settembre il tasso ufficiale di sconto veniva portato dal 15,5 al 16,5 per cento. Nelle aste immediatamente successive a quella data, i tassi di rendimento offerti sui BOT a 3 e a 6 mesi venivano elevati di circa mezzo punto; una variazione di poco inferiore veniva applicata alla prima cedola delle nuove emissioni di CCT. Le condizioni di offerta dei prestiti bancari tra l'ultima decade di agosto e di settembre hanno presentato un rialzo dei tassi medi di 0,6 punti, con una soluzione di continuità nella tendenza flettente che era in otto. Alla riunione del Comitato Internazionale per la Programmazione Economica di fine settembre, che precede l'approvazione governativa della Relazione previsionale e programmatica, venivano sanciti i nuovi limiti di crescita degli aggregati monetari e creditizi per il 1984: il tasso di sviluppo dei finanziamenti al pubblico veniva portato dal 12,3 al 14,3 per cento. E' compatibile con questo nuovo obiettivo un aumento dei prestiti bancari del 18 per cento, al netto degli aggiustamenti contabili. L'espansione del credito totale interno potrà giungere al 19 per cento; uguale incremento è previsto per le attività finanziarie. Il rapporto tra ricchezza finanziaria dell'economia e prodotto interno lordo si aggirerà alla fine dell'anno sul 125 per cento, un valore di 5 punti più elevato rispetto a quello già eccezionalmente alto, raggiunto nel dicembre del 1983.
Una valutazione degli effetti della manovra del tasso di sconto non è ancora possibile, anche perchè voci di reintroduzione del massimale sugli impieghi, del tutto prive di fondamento, hanno ulteriormente sospinto, alla fine di settembre, l'offerta di credito e l'intermediazione bancaria, alterando il significato delle informazioni statistiche. La formazione negli ultimi due mesi di un fabbisogno dello Stato inferiore alle previsioni implicite nella stima annuo di 95.800 miliardi ha consentito in ottobre una lieve diminuzione del rendimento delle nuove emissioni di titoli pubblici. la condizione dell'economia continuo a richiedere tassi d'interesse che inducono a una propensione al risparmio finanziario sostenuta e moderino la domanda di fondi da parte delle imprese. Soprattutto, si fa ancora più urgente la necessità di ridurre il disavanzo e di frenare la dinamica del debito pubblico. Lo stato del conti pubblici rende più pressante il fabbisogno di risparmio e restringe lo spazio di manovra della politica creditizia. L'onere per interessi di un debito pari al 90 per cento del prodotto interno lordo peserebbe sulle finanze dello Stato, anche se l'incidenza del debito fosse stazionaria. Ma se, come avviene, gli squilibri esistenti imprimono al debito una dinamica fortemente ascendente, l'ambito entro cui la politica monetaria si adopera per conciliare sviluppo e stabilità si restringe e rischia di annullarsi. E' uno illusione pensare che la politica monetaria stessa possa allargarlo. Da una maggiore creazione di base monetaria l'inflazione e la crescita potrebbero non subìre conseguenze nell'immediato; ma, oltre il breve periodo, l'economia troverebbe nell'abbondanza di liquidità e di credito la condizione permissiva per degenerare in rinnovato deprezzamento del valore interno ed esterno della moneta.

Le prospettive
Gli indicatori congiunturali più recenti confermano la prosecuzione di una espansione economica a ritmo moderato, eppure associata a un disavanzo non grave, ma significativo nella bilancia dei pagamenti correnti. In questa situazione, le possibilità di sviluppo per il 1985 sono condizionate in primo luogo dagli andamenti dell'economia internazionale. Si attende una decelerazione della crescita negli Stati Uniti, non pienamente compensata dall'aumento dell'attività economica nei Paesi Europei. I tradizionali mercati di sbocco delle merci italiane dovrebbero presentare uno sviluppo inferiore, come già nel 1984, a quello della domanda mondiale e una concorrenza che si teme possa spingersi fino a produrre cali dei prezzi dei manufatti. la crescita della domanda e quella della produzione dipenderanno così dalla difesa delle condizioni di costo e di prezzo, su cui si fonda la competitività.
Il tasso d'inflazione eccede ancora ampiamente quello degli altri Paesi industriali. Il ricondurlo nel 1985 al 7 per cento è l'elemento centrale della manovra disegnata nella Relazione previsionale e programmatica. l'obiettivo non è realizzabile se ci si affida alle tendenze in atto; il suo conseguimento richiede interventi correttivi e comportamenti coerenti.
Le retribuzioni tendono a eccedere il limite del 7 per cento, in conseguenza dei contratti già stipulati e degli automatismi in essere. La crescita della produttività subirò un rallentamento dopo l'accelerazione ciclica nella fase di avvio della ripresa. Il contenimento entro il limite suddetto delle remunerazioni dei pubblici dipendenti è essenziale perchè l'espansione dell'intera spesa pubblica di parte corrente possa essere mantenuta, come previsto dal progetto di legge finanziaria, entro il tasso d'inflazione programmato. Un tale comportamento influirà positivamente sulla dinamica dei redditi nel settore privato.
E' tempo di tradurre in pratica alcune concordanze generali in tema di riforma della struttura del salario; le soluzioni tecniche possono essere varie, ma la diversità di opinione su questo aspetto non deve impedire che, attraverso il confronto, si compiano le necessarie scelte. Una diffidenza reciproca rischia di rendere impossibili ulteriori progressi verso la stabilità monetaria, inducendo gli imprenditori a formare i prezzi in base a previsioni di costi elevati e le organizzazioni sindacali a privilegiare, nella difesa del salario, gli aspetti nominali rispetto a quelli reali. Una volta riattivate, azioni e reazioni possono avvitarsi di nuovo in spirali perverse, di cui è facile perdere il controllo.
La creazione di posti di lavoro esige che venga mutato le tendenza, sinora prevalsa, di ripartire i frutti della ripresa interamente fra le aziende e i già occupati.
La legge finanziaria e il bilancio per il 1985 indicano obiettivi validi, inquadrati in un disegno pluriennale di risanamento. Per la loro realizzazione occorre in primo luogo evitare, come fu possibile lo scorso anno, i ritardi connessi con il ricorso all'esercizio provvisorio.
Un fabbisogno statale per il 1985, prossimo in valore a quello ufficialmente previsto per il 1984, di per sè è conferma di un graduale ridimensionamento del peso del settore pubblico nell'utilizzo delle risorse finanziarie; esso assume poi significato nella misura in cui sia la risultante di mutamenti di fondo nell'evoluzione delle componenti del bilancio statale. Alle proiezioni al 1988 e alle linee di azione prospettate dalla Banca nel maggio scorso è seguito un dibattito che ha dato conferma della necessità di operare, in una visione di medio periodo, sia nella direzione di frenare l'espansione della spesa pubblica al di sotto di quella del reddito sia nel senso di accrescere e perequare la pressione tributaria. Sono state altresì approfondite le connessioni degli indirizzi di politica dei redditi con la politica dei tributi e con lo stesso governo della spesa pubblica di parte corrente.
Gli obiettivi di politica monetaria sottoposti al Comitato Interministeriale di Politica Economica indicano, nell'ipotesi che il reddito nominale superi del 10 per cento il livello del 1984, un incremento del credito interno al settore produttivo pari al 12 per cento nel corso dell'anno e una previsione di crescita della quantità di moneta sostanzialmente in linea con quella del reddito. Questi obiettivi sono stati formulati supponendo una piena realizzazione della manovra di politica di bilancio e di regolazione del redditi; l'orientamento che essi esprimono sarà perseguito anche qualora l'attuazione degli interventi in tali campi dovesse essere incompleta.
Ma lasciare di nuovo il controllo del ciclo alla politica monetaria significherebbe rinunciare consapevolmente a finalità da tutti condivise. Equivarrebbe di fatto a subìre i costi di un'inflazione elevata e di un bilancio pubblico che sottrae risparmio al l'investimento, ed accettare, infine, minore sviluppo e minore occupazione. Sarebbe amaro disperdere, proprio quando risultati significativi, anche se parziali, sono stati raggiunti, i frutti di anni di impegno nel cammino verso la stabilità.
A mano a mano che si intacca la pietra dura dell'inflazione, l'impegno richiesto è maggiore perchè gli ulteriori progressi sono legati alla rimozione delle cause strutturali e istituzionali; ma il ricupero di una moneta stabile appare sempre più una meta possibile, anche se difficile. La nostra società ha mostrato di saper superare passaggi non meno ardui; è di tutti noi la responsabilità del successo.


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