Il nuovo Sud col
suo antico rosario di domande inevase ed il nuovo Nord stretto nella
morsa dei sussulti rigeneratori della dinamica d'impresa guardano
entrambi con sofferta indulgenza a chi detiene compiti e responsabilità
di direzione politica. Siamo ormai tutti coinvolti, talmente coinvolti
nella ricerca di un nuovo schema di valori, di un nuovo assetto economico-produttivo,
di un nuovo modello di organizzazione sociale da indurci a riporre
tra le anticaglie della nonno le minute vicende corporative e di contrada
che popolano quotidianamente la vita del "Palazzo".
Ahimè, la nuda sequenza dei fatti è molto distante da
una visione progettuale d'assieme a un tempo concreta e suggestiva
che una rinnovata organizzazione del mercato richiederebbe. Da qui
l'esigenza di elevare nel tono e nei contenuti la tensione morale
del momento politico, situandola "ultra partes" almeno nelle
decisioni di maggiore interesse generale (le scelte per il Sud scaturenti
dalla definizione del modello di società postindustriale che
si vuole accreditare sono sicuramente tra queste).
Quest'appello può sembrare patetico o retorico, in realtà
esprime l'ansia di mutamenti reali nella condizione politica e parlamentare,
preliminari ad ogni iniziativa volta a promuovere e muovere le pedine
del gioco complesso che alimenta la ricerca degli equilibri di lungo
periodo. L'attuale travaglio investe il Nord come il Sud anche se
il conformismo intellettuale e la strategia dei potentati economici,
più inclini ad accettare lo status quo e dunque una visione
statica della geografia dello sviluppo, possono indurre a trovare
soluzioni differenziate, ratificando ancora distinzioni di ruolo tra
attori e comprimari.
La tentazione di interpretare l'innovazione tecnologica come fattore
di stabilizzazione è forte. Ma l'obiettiva funzione sociale
del "fare politica" non può prescindere da questa
nuova occasione storica per dare alla sua azione una palese coloritura
dirimente le antiche e costose diseguaglianze. Se si radica la convinzione
comune di considerare tutti protagonisti in pari grado dell'onere
a tutti incombente nella costruzione di un modello di sviluppo diffuso,
nuovi spiragli si aprono sul fronte della produzione legislativa e
del ruolo dell'impresa. Spazzando via un dogma antico ed ancora vitale,
il sottile e cinico "distinguo" tra sistema e sottosistemi,
foriero di ulteriori esasperazioni sia al Nord che al Sud. Spazzando
via la logica disarticolante dei provvedimenti tampone (i limiti finanziari
imposti all'attività di liquidazione della Casmez sono noti)
e l'ossessiva gimcana dei minuti compromessi a basso costo inquinanti
intenzioni e metodi di lavoro su tutto l'arco della politica industriale.

Si attendono poche, chiare e suggestive idee-guida che verosimilmente
portino la riflessione politica ad esercitare la sua tradizionale
funzione di proposta nel segno di una organica riorganizzazione del
mercato e quindi aperta a fenomeni naturali di penetrazione finanziaria
e di irradiamento dei centri di ricerca di nuove unità produttive
e di stimolanti attività d'impresa verso il Mezzogiorno.
Le molte facce della questione meridionale per molti versi sono lo
specchio riflettente i guasti prodotti dalla turbolenza che il diverso
atteggiarsi della questione settentrionale di volta in volta ha generato.
Ed è proprio la tematica dello sviluppo tecnologico e delle
conseguenti modifiche di struttura che ora ha investito con accenti
più gravi le aree del Settentrione a rendere caduchi i valori
di egemonia del sistema primario, avendo portato allo scoperto tutte
le disfunzioni implicite nella esasperata concentrazione territoriale
della base produttiva. L'approccio al problema del nuovo ordine economico
va quindi affrontato con meno sussiego verso gli schemi tradizionali
imposti dalle politiche dei fattori e dei settori, ricercando discipline
di supporto per l'attività d'impresa più flessibili
e aderenti all'evoluzione spontanea del mercato che per suo conto
non trova più favorevoli condizioni di espansione nelle aree
superindustrializzate.
Occorre rimestare con sapienza e lungimiranza gli aspetti economici
e finanziari con le valutazioni di ordine strategico nel contesto
di un disegno politico globale, promotore di uno sviluppo diffuso.
Percorrendo questa via l'astratto richiamo al mercato unitario diventa
impegno concreto, si personalizza in iniziative imprenditoriali sempre
più ramificate dando impulso ad una partecipazione meno distaccata
e conflittuale del mondo del lavoro ai nuovi meccanismi con cui s'intende
accompagnare il rilancio delle attività produttive.

Fattore trainante resta comunque l'azione statale di proposta e di
coordinamento e sotto il profilo della qualificazione dello sviluppo
il ruolo esercitato dalla domanda pubblica. Esso sarà tanto
più apprezzato se riuscirà a stimolare in pari grado
un processo selettivo degli impieghi ed una equilibrata diffusione
territoriale delle attività d'impresa, secondo uno schema di
allineamento tendenziale dei valori regionali espressi dal prodotto
per abitante. All'egemonia del sistema primario, sorretta ancora da
ragioni di opportunismo convenzionale, si deve contrapporre una nuova
leadership che a livello politico e manageriale sia portatrice di
valori e strumenti operativi realmente unificanti. E' questo l'humus
con cui modellare le scadenze prossime, piano triennale per il Mezzogiorno,
legge organica per l'intervento straordinario, leggi generali d'incentivazione,
e quelle più remote, relative ai grandi progetti di riforma
attesi sul più vasto orizzonte economico e istituzionale. Per
dare con spirito di servizio chiare regole procedurali al riordino
del frammentato e distorto circuito della crescita. Per sfatare l'ineluttabilità
delle diseguaglianze di orwelliana memoria.