L'illustrazione
dei soli problemi delle Banche Popolari sarebbe limitata e parziale,
se non fosse inserito nell'intero contesto del sistema creditizio
italiano. Si tratterebbe di un discorso che può essere paragonato
ad un tempio senza cupola.

Numerosi sono gli organismi centrali di categoria: nel 1939 fu creato
l'istituto Centrale delle Banche Popolari e nel '45 la Centrobanca.
Nel 1960 venne fondato la Società Fiduciaria per l'assistenza
alle Banche Popolari; nel 1968 la Società Italiana per il Leasing-Italease;
nel 1976 la Società di Factoring delle Banche Popolari-Factorit;
nel 1978 l'Italaudit, emanazione della Centrobanca e nel 1979 il Cefor
per la formazione del personale delle Banche Popolari. Nel 1950 fu
istituita la Confederazione Internazionale del Credito Popolare, che
favorisce un collegamento internazionale all'opera delle "Popolari".
La collocazione e l'ottica internazionale proietta su un piano più
vasto i principi della solidarietà e della collaborazione.
Attraverso tali Istituti, si attua l'arricchimento ed il potenziamento
finanziario delle Banche Popolari, con una integrazione funzionale
ed operativa. Viene offerto un pacchetto di servizi con un'assistenza
anche centralizzata per coprire tutti i fabbisogni della clientela:
dal credito agrario ed industriale a breve termine ai prestiti a lunga
scadenza. La concessione del credito viene resa, pertanto, più
ampia e produttiva di effetti.
Le Banche Popolari si pongono come cerniera tra le due fasce delle
aziende di credito pubbliche e private. Il Comitato interministeriale
del credito e del risparmio le ha definite, infatti, aziende non di
lucro, ma con funzione di carattere eminentemente sociale.
Dal punto di vista funzionale, le "Popolari" sono istituzioni
al servizio delle economie e delle comunità locali, delle piccole
e medie imprese, dell'artigianato e dell'agricoltura. Esiste un processo
di interazione tra Banche Popolari ed ambiente di cui valorizzano
le risorse umane e materiali, garantendo un valido meccanismo di accumulazione
e di sviluppo, di progresso e di stabilità sociale. le "Popolari"
si qualificano come banche della persona e del territorio in cui operano.
Sono state definite "missionarie" del risparmio in quanto
a diretto contatto con le radici primigenie di questa preziosa materia
prima.
Esse debbono conciliare il fenomeno della despecializzazione ed universalizzazione
bancaria con la necessità di mantenere e ravvivare le connotazioni
peculiari, la "specificità" delle "popolari".
La categoria rivendica, quindi, un ruolo originale, anche se, come
le altre banche, sul piano funzionale, anche attraverso gli organismi
centrali di categoria, possono svolgere tutte le forme di attività
creditizia, compreso il parabancario e l'attività sull'estero.
La loro validità, come banche locali, in un sistema economico
pluralistico, decentrato, capillare, con una serie di centri decisionali,
gli uni indipendenti dagli altri, è ribadita dal fatto che
esse hanno spazio irreversibile, anche in un sistema di automazione
avanzato. La coerenza e la compatibilità delle scelte delle
"popolari", per l'instaurazione di un nuovo rapporto banca-mercato,
poggiano su sostanziali mutamenti che riguardano principalmente i
seguenti temi:
a) Approccio al mercato di tipo "differenziato", con adeguate
strategie di marketing. Una scelta, questa, che dipende dalla specificità
di ciascun istituto; in particolare dalle risorse attuali e prospettiche
sulle quali esso può contare, dalla composizione quali-quantitativa
del mercato e dalle caratteristiche della concorrenza.
b) Recupero dell'intermediazione attraverso l'offerta di un "pacchetto"
composto di prodotti finanziari puri (depositi ordinari, certificati
di deposito, impieghi) e da servizi adeguati alle esigenze dell'utenza.
c) Le tecnologie riguardanti il trattamento dell'informazione rappresentano
un aspetto molto importante da tenere in considerazione nella gestione
delle "Popolari". Le scelte di meccanizzazione, ovviamente,
debbono essere adeguate alla dimensione ed alle esigenze operative
della banca e dell'utenza, evitando investimenti che non diano adeguati
ritorni in termini di profittabilità e sfruttando razionalmente
tipi di automazione tramite "centri consortili esterni"
o "misti", allorchè quelli in "proprio"
non consentano l'eliminazione delle diseconomie ed il conseguimento
di più alti livelli di efficienza.
d) Adeguate forme di cooperazione debbono essere favorite specialmente
sul piano funzionale ed operativo, in situazioni in cui le problematiche
non sono gestibili a livello di singola banca.
e) Man mano che si estende il quadro di cooperazione è importante
valutare la possibilità di partecipare ad iniziative non bancarie.
Anche la struttura delle aziende di credito sarà chiamata infatti
a inserirsi sempre più massicciamente in un processo d'intermediazione
orientato verso forme di investimento più ampie.
f) Sempre nell'intento di individuare alcuni strumenti che dovrebbero
essere oggetto di un'attenta verifica da parte delle "Popolari",
è possibile promuovere interventi a medio e lungo termine finanziabili
attraverso risorse internazionali.
g) La ricerca di più elevati livelli di efficienza passa attraverso
un processo innovativo che vede emergere nuove funzioni manageriali,
quali il marketing, la pianificazione strategica, il controllo di
gestione e la gestione delle risorse umane.
h) Le implicazioni tecnologiche, organizzative e di "vendita"
dei "prodotti" bancari derivanti dall'innovazione sono legate
al modo in cui la banca riuscirà a "formare" le proprie
risorse umane alla "gestione del cambiamento".
Le istituzioni di credito popolare vantano un'ultra secolare esistenza:
buona parte delle loro attività è impostata secondo
le concezioni tradizionali della banca; il processo di ammodernamento
in corso deve avvenire con continuità e coerenza, e non in
forma traumatica; l'innesto di nuove metodologie di lavoro, l'applicazione
delle più avanzate tecnologie non deve mai perdere di vista
la realizzazione di un armonico equilibrio tra passato e presente
pur nella costante proiezione verso il futuro.
Ancora una volta, va riaffermato che le Banche Popolari per realizzare
mirabilmente storia e modernità debbono fondere insieme tradizione
ed innovazione, tradizione che non significa retrivo ancoraggio al
passato, ma esaltazione dei valori immanenti della categoria che ne
hanno garantito ed accresciuto il ruolo e la funzione; innovazione
che non significa spirito d'avventura, salto nel buio, ma valutazione
ed applicazione costante del progresso tecnologico e scientifico e
di tutte le conquiste che elevano l'efficienza della banca nella stabilità.
Le "Popolari", tuttavia, come è stato affermato inizialmente,
sono una componente del sistema e sono, quindi, direttamente coinvolte
nel processo evolutivo che interessa l'intera struttura bancaria.
Gli aspetti più salienti che dominano, ed in un certo senso
condizionano lo sviluppo ed il ruolo del credito, riguardano numerosi
fattori quali, innanzitutto, lo spiazzamento del sistema attraverso
il crescente disavanzo del settore pubblico e dell'indebitamento che
ne deriva, il quale, secondo gli ultimi dati, è salito, alla
fine del 1983, a 453.439 miliardi, pari all'84,61% del Pil. Da sottolineare
che, ormai, la consistenza dei titoli pubblici (BOT, CCT, BTP) ha
operato il sorpasso rispetto alla raccolta bancaria. Ancora una volta,
va ribadito che elemento essenziale per il risanamento dell'economia
italiana e l'autonomo funzionamento del sistema creditizio è
costituito da un piano pluriennale per il rientro del disavanzo pubblico.
Infatti, l'alto deficit del settore pubblico non potrà essere
riassorbito che attraverso una programmazione pluriennale, sorretta
da una solida e decisa strategia politica, ancora ben lungi dall'essere
concertata; parimenti, non è ipotizzabile un sostanziale e
rapido calo dell'inflazione e, comunque, l'accorciamento del differenziale
rispetto agli altri Paesi, senza che ne sia stata eliminata la sua
causa strutturale di fondo, per l'appunto quella del crescente deficit
statale. Conseguentemente, non è concepibile, che, nell'immediato
o nel breve termine, si posso verificare un mutamento radicale nella
politica monetaria, che continuerà ad essere protagonista ed
inevitabilmente restrittiva, specie se, come le trascorse esperienze
insegnano, non matureranno gli attesi risultati della politica di
bilancio e dei redditi.
Un altro fattore riguarda la graduale emarginazione del ruolo centrale
della banca di allocatrice degli investimenti produttivi. Tale pericolo
è strettamente collegato a quello dello spiazzamento, in quanto
la crescente invadenza del settore pubblico ha gradualmente limitato
le risorse che affluiscono al finanziamento dell'economia reale.
Gli impieghi economici del sistema creditizio rappresentavano nel
1970 il 67% dei depositi, mentre oggi costituiscono soltanto il 42%;
per contro, gli investimenti in titoli che, nel 1970 erano l'8-9%
al 31.12.1983 sono saliti al 42% dei depositi stessi. Inoltre, specie
negli ultimi anni, la banca si è trovata ad operare in un quadro
economico fortemente deteriorato e con alto grado di rischio nell'attività
bancaria. Significativa espressione di questa peggiorata situazione
operativa è l'andamento delle sofferenze, che, alla fine del
1983, con 10.696 miliardi rappresentavano il 6,6% degli impieghi.
Nel 1982 tale percentuale era al 5,4% e nel 1981 al 4,5%. Al 31 giugno
1984, la consistenza delle sofferenze è salita a 13.419 miliardi,
pari al 6,9%.
Altra caratteristica qualificante dell'evoluzione del sistema creditizio
è il fenomeno della disintermediazione, che ha assunto, ormai,
connotazioni strutturali e appare, nel breve termine, difficilmente
reversibile. Nel 1975, la raccolta costituiva l'80,69% del PIL; nel
1983, tale rapporto è sceso al 69,46%. Espressi in lire 1975,
i 372 mila miliardi di depositi del 1983 si riducono a 108 mila miliardi,
cifra che poco si discosta dai 101 mila miliardi di raccolta di quell'anno.
in termini reali, la crescita del risparmio gestita dal sistema è
insignificante.
Si aggiunga che, specie nell'ultimo triennio, gran parte dell'aumento
della raccolta è avvenuto negli ultimi mesi; nel 1983 su 43
mila miliardi d'incremento globale ben 40 mila miliardi, pari al 91%,
si sono verificati nel solo mese di dicembre, a comprovare che la
maggior aliquota della crescita è dovuta alla capitalizzazione
degli interessi e non all'afflusso di risparmio fresco vero e proprio.
L'emorragia dei depositi trova rispondenza nella posizione occupata
dalla raccolta nella consistenza e nei flussi delle attività
finanziarie: essa è scesa, sempre alla fine del 1983, rispettivamente
a livelli del 44,5% e del 38%, dopo aver toccato punte del 62% e 75%
nell'anno 1975 ed essersi mantenute su quote sempre assai elevate.
Oltre che dalle note cause dell'inevitabile ricorso dello Stato a
nuove e crescenti emissioni di titoli pubblici e dal permanere di
una politica monetaria sostanzialmente restrittiva, la "fuga"
dal deposito è favorita dall'elevata tassazione degli interessi
sugli stessi, dall'offerta al risparmiatore di nuove attività
finanziarie più allettanti, dalla scarsa efficacia di politiche
aziendali rivolte a contrastare il declino della raccolta, attraverso
un impossibile aumento dei tassi od una differenziazione della remunerazione
in relazione alla diversificazione temporale delle varie forme di
acquisizione di risorse.
Puntualmente, nel corso del 1984, si è verificato un decremento
dei depositi da 372.240 miliardi al 31.12.1983 e 360.500 miliardi
al 31.8.1984. L'incremento su base annua (agosto 1984 su agosto '83)
è sceso al 9,98%. La disintermediazione, dunque, è una
condizione, un vincolo, da cui non può prescindere, nel prossimo
futuro, qualunque manovra che si ponga come obiettivo la salvaguardia
dell'efficienza allocativa della funziona bancaria, compatibilmente
con l'equilibrio finanziario ed economico della gestione. Gli spazi,
pertanto, per le scelte di uomini, di rischio, di settori operativi
e di attività produttiva continuano a permanere molto angusti
per il sistema creditizio. Entro questo stretto sentiero va inserito
e spiegato il fenomeno della disintermediazione bancaria.