CHE FARE PER I DISOCCUPATI




Paolo Savona



Che cosa si può fare concretamente e che cosa si può quindi promettere ai nostri due milioni e 650 mila disoccupati "ufficiali" e cassintegrati? Di questa moltitudine sappiamo ormai quasi tutto. Essi sono stati scrutati e soppesati da ogni punto di vista. L'ultima radiografia porta un nome illustre: l'Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana. In questo studio l'analisi della domanda di lavoro e della situazione femminile è eccellente.
Il dibattito in materia oscilla tra la tentazione di spiegare il fenomeno come assenza di flessibilità del mercato del lavoro (gli economisti usano chiamarla disoccupazione neoclassica) e carenza di domanda aggregata (o basso livello di attività produttiva, o disoccupazione keynesiana). Probabilmente le due cause concorrono, ma cresce la coscienza che la prima pesi più della seconda. In questo dibattito, però, il passaggio dalla diagnosi alla terapia fa venire in mente il noto detta che in epoca di carestia si moltiplicano i falsi profeti.
In tutti questi anni l'espulsione della forza lavoro dall'agricoltura è continuata in Italia più intensamente di quella dall'industria. La pubblica amministrazione ha rappresentato la principale contropartita occupazionale; in minor misura lo sono stati anche il commercio, il turismo e il credito. Tutti questi settori hanno però bisogno di ristrutturarsi non meno dell'industria e tardano a farlo solo in quanto settori protetti legalmente o non esposti di fatto alla concorrenza internazionale, capaci quindi di trasferire i maggiori costi sui prezzi.
Dietro l'uso di questi settori quale sbocco occupazionale, vi è perciò il rafforzamento della rendita parassitaria ed il peggioramento delle prospettive del paese. Se vi è qualcosa che può essere fatto per il futuro dell'occupazione è appunto quello di non portare a carico di questi settori, così come essi sono oggi strutturati, la soluzione anche di parte del problema; né forzare tutti gli altri a tenere, in nome della difesa dell'occupazione, combinazioni produttive di capitale e di lavoro inefficienti. Politiche di questo tipo possono essere suggerite solo da chi ha vocazione al "caporalato" di triste memoria, mai estirpato dalla nostra cultura.
Il problema sociale si affronta in modo falsato se si carica sulle spalle delle imprese un onere di mantenimento dell'occupazione esuberante o improduttivo. Occorre invece garantire per i disoccupati i mezzi di sussistenza e i mezzi di formazione, così contribuendo alla ricostituzione di una elasticità senza abusi nell'uso e nel costo del lavoro, oggi resa possibile rispetto al passato dalla coscienza dei diritti dell'uomo e dalla vigilanza esercitata dai mass media. Nell'interessante lavoro curato da De Michelis si testimonia che il costo per la collettività degli attuali disoccupati già raggiunge l'imponente cifra assoluta di diecimila miliardi di lire, che tuttavia incide meno di un decimo nel deficit pubblico e un trentesimo della spesa statale. Nello stesso lavoro si accredita inoltre la ben nota tesi del professar Umberto Colombo che negli anni '90 occorrono tre milioni di nuovi tecnici per affrontare le esigenze della moderna tecnologia.
Per garantire i mezzi di sussistenza a due milioni e 650 mila disoccupati e cassintegrati attuali basterebbero circa sedicimila miliardi annui nell'ipotesi si garantiscano 500 mila lire al mese a ciascuno. Non si può invece valutare con altrettanto precisione il costo per assicurare ad essi i mezzi di formazione, ma non è da escludere che un più accorto uso finalizzato delle Università potrebbe garantire la copertura del fabbisogno necessario per cogliere le opportunità d'impegno indicate da Colombo. D'altronde la disoccupazione si concentra nei giovani e l'Università o la scuola media superiore sono il luogo naturale di loro formazione.
Supponendo di destinare un contributo aggiuntivo di tremila miliardi alla formazione, si renderebbero a tal fine necessari 1,5 punti di Prodotto Interno lordo per non far gravare sul settore produttivo il problema sociale della disoccupazione.
Questa soluzione eliminerebbe ogni scusante per il mantenimento delle inefficienze (soprattutto nel settore pubblico e parapubblico) e indebolirebbe la forza degli intermediari che vivono sulla disoccupazione senza alcun interesse ad eliminarla.
Come evitare gli abusi e il rafforzamento delle tendenze al parassitismo impliciti dalla proposta? Introducendo il principio che lo Stato concede il sussidio a chi accetta di attendere con profitto ai corsi di formazione dei nuovi tecnici "avanzati" o di prestare forme di servizio civile, quali l'espletamento di pratiche burocratiche, la custodia dei musei, la vigilanza del traffico, la prestazione di assistenza civile e sanitaria, eccetera. Questa soluzione equivale a introdurre quella flessibilità auspicata da molti, ma nell'universo colpito dalla rigidità del mercato del lavoro, ossia i disoccupati. la straordinarietà della politica andrebbe sancita dando il coordinamento dell'uso di questa ingente massa di persone ad un commissario per la disoccupazione, che potrebbe essere intravisto nell'attuale Ministro della Protezione Civile.
Tamponato il problema sociale, emergono nella loro interezza tutti gli altri, senza la "confusione" del problema sociale: completamento della ristrutturazione dell'intera economia, bonifica del bilancio pubblico e della finanza relativa, deregolamentazione del mercato del lavoro, razionaIizzazione del mercato dei capitali e dell'intermediazione in generale. Compiti certamente di non facile soluzione, ma che lo sarebbero assai di più se mantenuti nell'equivoco della priorità delle istanze sociali da soddisfare.

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