Il
sistema economico appare attraversato, sia a livello nazionale che locale,
da vasti processi di trasformazione. In esso fenomeni evolutivi di grande
rilevanza si scontrano con profonde contraddizioni esterne ed interne.
Nuovi strumenti di analisi si impongono, mentre anche il modo di porsi
dei soggetti sociali è destinato a cambiare radicalmente.
Dalla capacità di comprendere il nuovo e di adeguare la propria
presenza dipenderà probabilmente il ruolo dei soggetti sociali,
istituzionali ed economici, nei prossimi anni: agenti di sviluppo o
gestori del sottosviluppo.
Il SISTEMA ECONOMICO
VERSO MODELLI POST-INDUSTRIALI
Volendo isolare,
nell'epoca attuale, il fenomeno a più alta incidenza in termini
di organizzazione dei rapporti di produzione, questo va individuato
nella formidabile accelerazione del processo tecnologico, autentico
detonatore di una nuova rivoluzione che ormai investe globalmente
il sistema economico internazionale, spinto verso traguardi di costante
innovazione, ma anche segnato da forti divaricazioni.
La correlazione fra livelli di produzione e livelli occupazionali
è definitivamente caduta, mentre la capacità di produrre
tecnologia delimita la linea di demarcazione fra sviluppo e sottosviluppo
e caratterizza la società proiettata verso traguardi post-industriali
tendenti a gestire informazione e know-how. Accentuata specializzazione
tecnico-scientifica ed economico-terziaria ed emarginazione della
cultura medio-generica contraddistinguono, in tale contesto, il mercato
del lavoro, mentre una nuova emergente divisione internazionale del
lavoro accentua la funzione guida delle nazioni sviluppate. All'interno
di queste, tuttavia, il divario fra aree centrali ed aree periferiche
riemerge in maniera virulenta, presentando, peraltro, delle specificità
nuove rispetto alle problematiche preesistenti.
LE TRASFORMAZIONI
DEGLI ANNI '70
Durante gli anni
'70, l'economia mondiale ha evidenziato una radicale trasformazione,
quale non si era avuta, probabilmente, dall'epoca del taylorismo.
L'irruzione delle nuove scienze, dalla elettronica, all'informatica,
ha provocato una sostanziale riproposizione della organizzazione interna
del sistema economico. In esso il controllo del processo tecnologico
e lo sviluppo della funzione terziaria sono emersi come prerogative
essenziali delle aree centrali, mentre il processo produttivo, in
quanto espressione secondaria, subiva una graduale espulsione verso
le aree periferiche.
L'Europa in generale, e l'Italia in particolare, investite dagli effetti
delle crisi energetiche e segnate dalle gravi conseguenze del fenomeno
inflattivo, evidenziarono, rispetto agli Stati Uniti ed al Giappone,
una secca perdita di velocità nella corsa dello sviluppo tecnologico.
Attraversato da impellenti esigenze di decentramento produttivo e
di ristrutturazione delle attività industriali, ed assillato
dalla grave crisi della grande industria privata e pubblica, il sistema
economico italiano evidenziò tuttavia nella "vitalità
lenticolare" - espressasi nel fenomeno del localismo e manifestatasi
sull'intero territorio nazionale - un nuovo modello di sviluppo che
portava alla ribalta i sistemi di piccole e medie industrie fortemente
innovative ed ancorate alla vocazione produttiva locale ed attutiva
gli effetti della crisi generale e della recessione.
Il ripiegamento della grande industria, in presenza dello sviluppo
del localismo, dirottando l'approvvigionamento di tecnologie e beni
di investimento all'estero, determinò una ulteriore riduzione
della offerta di occupazione e vanificò qualsiasi opportunità
di impiego a più elevato specializzazione che avrebbe dovuto
compensare, almeno in parte, la crescente espulsione di manodopera
generica.
Il grave fenomeno della disoccupazione e della contrazione di attività,
ma anche lo scollamento fra scuola e mondo produttivo, affondano probabilmente
le radici nella involuzione del sistema economico italiano proprio
degli anni '70 e solo in parte compensata dal dinamismo e dalla crescita
del localismo.
La ripresa di iniziativa della grande industria, emersa sul finire
degli anni '70 e manifestatasi in maniera fortemente incisiva durante
gli anni '80, recuperando molte posizioni nel campo tecnologico, non
solo come utilizzatrice di innovazione, ma anche e soprattutto come
produttrice di innovazione, ha determinato le condizioni per una inversione
di tendenza nel sistema, innescando e favorendo processi di crescita
nei vari comporti economici e ridando fiato - in una prospettiva di
medio periodo - ad un mercato del lavoro che tuttora appare caratterizzato
da gravi fenomeni di espulsione di manodopera.
I PERICOLI DI
UNA NUOVA EMARGINAZIONE DEL MEZZOGIORNO
In Italia lo storico
dualismo fra Nord sviluppato e Sud arretrato si saldava, nei decenni
post bellici, ad una impostazione dicotomica della realtà economica
nazionale, prevalentemente industriale nelle regioni settentrionali
e prevalentemente agricola nelle regioni meridionali.
Negli anni '50 e '60 il sistema economico italiano era imperniato
sulla capacità di espansione del tessuto produttivo del triangolo
industriale nordoccidentale. il meridione assolveva essenzialmente
alla funzione di serbatoio di mano d'opera, sperimentando tuttavia
un oneroso ma indispensabile processo di contrazione della popolazione
attiva e di ridefinizione della stratificazione delle forze di lavoro
conseguente al massiccio esodo di manodopera agricola ed all'emergere
della emigrazione quale fenomeno di massa.
I risultati di un intenso programma di investimenti pubblici, le opportunità
offerte da un vasto sistema di agevolazioni finanziarie in favore
della industrializzazione meridionale e le possibilità aperte
dal metodo della "contrattazione programmata" fra Stato
ed industria privata in funzione della incentivazione della localizzazione
di iniziative produttive nel Sud, determinarono le condizioni per
una generale riorganizzazione del sistema economico meridionale. Il
notevole flusso di rimesse degli emigranti e la progressiva apertura
degli angusti confini territoriali degli innumerevoli mercati locali
disseminati nelle regioni meridionali, unitamente ad un oggettivo
aumento del benessere sociale, agirono peraltro positivamente sulle
capacità reattive dei vari comporti economici, favorendo l'innesco
di processi evolutivi manifestatisi con grande intensità nel
corso degli anni '70.
L'economia meridionale, in effetti, ha conosciuto nell'ultimo decennio
una evoluzione notevole determinata dalla crescita dei localismi come
frutto della combinazione di fattori esogeni ed endogeni, a loro volta
impostisi come occasione di un più ampio processo di sviluppo
propagatosi in tutte le branche della attività economica.
E tuttavia le trasformazioni, talora profonde, che le aree meridionali
hanno conosciuto, nel corso degli anni '70, alla luce delle nuove
tendenze, che è possibile individuare nel panorama internazionale
e nazionale, evidenziano un elevato tasso di rischio. La ripresa di
dinamismo della grande industria peraltro, ove dovesse tradursi esclusivamente
in un rafforzamento delle aree tradizionalmente forti del paese, porrebbe
nuovi interrogativi sulle prospettive di sviluppo delle aree periferiche
del Mezzogiorno d'Italia e prospetterebbe preoccupanti pericoli di
involuzione.
Infatti, alla base della formazione del localismo nelle regioni meridionali,
ma anche nelle altre aree del territorio nazionale, si collocavano,
accanto ad indubbie espressioni di sviluppo autopropulsivo, gli effetti
del processo di graduale periferizzazione delle produzioni "mature"
a scarso contenuto tecnologico ed a forte incidenza del costo di manodopera,
in ossequio ad una logica che portava a scaricare all'esterno i costi
della razionalizzazione e ristrutturazione del sistema generale.
Il gap tecnologico fra le aree forti del Settentrione e le aree subordinate
del Meridione si propone oggi come nuova e più preoccupante
causa di divaricazione fra un Nord proteso verso le posizioni di testa
dello sviluppo ed un Sud sospinto verso rinnovate posizioni di sottosviluppo.
I SOGGETTI DELLO
SVILUPPO
Pur nella persistenza
di gravi elementi di rischio, il localismo ha liberato una grande
quantità di energie sia finanziarie che umane, le quali, a
loro volta, hanno innescato vasti processi in grado di perseguire
fondamentali obiettivi di ispessimento e di consolidamento del proprio
ruolo nel sistema economico generale.
La esplosione di una miriade di soggetti economici sul territorio,
rappresentati dai protagonisti degli innumerevoli sistemi di piccole
e medie imprese disseminate lungo l'intero arco della penisola, ha
determinato la formazione di altrettanti centri decisionali dotati
di grande dinamismo ed impegnati nella continua ricerca di più
ampi spazi.
L'avvento, inoltre, nel Meridione di un nuovo soggetto istituzionale,
quale la regione, anch'essa nata e consolidatasi nella stessa epoca
della espansione del localismo, rappresenta oggettivamente un formidabile
agente di tutela ma anche di sviluppo della nuova realtà economica
nata dalla frantumazione .del sistema produttivo post-bellico.
La esistenza dei soggetti economici e dei soggetti istituzionali tuttavia
non è sufficiente, di per se', ad esorcizzare gli elementi
di rischio presenti nel sistema economico meridionale. Il localismo,
infatti, quale espressione dello sviluppo spontaneo e della presenza
pionieristica dell'imprenditore, sembra abbia esaurito le proprie
potenzialità di crescita.
Al fine di dissipare gli incombenti pericoli di involuzione è
necessario, pertanto, puntare ad un deciso salto di qualità
verso obiettivi di potenziamento delle attività mature - in
termini software a sostegno di un'autonoma presenza sui mercati -
e di integrazione nei settori a media e alta tecnologia e di recupero
delle funzioni terziarie nell'ambito del sistema meridionale.
Tale obiettivo, l'unico in grado di ridurre il nuovo emergente gap
di natura tecnologica tra Nord e Sud comporta, in definitiva, il passaggio
dalla crescita spontanea allo sviluppo guidato e presuppone una spiccata
capacità progettuale, programmatica ed operativa di tutti i
soggetti operanti sul territorio: economici, istituzionali, sociali.