Nel
giugno del 1970, sei mesi prima che morisse, Vittorio Bodini scriveva
una delle sue ultime poesie, Rapporto del consumo industriale, a Roma,
dove ormai aveva fermato il suo nomadismo irrequieto. In essa traspare
il rimpianto per la sua terra salentina che, nel ricorrente rapporto
di odio/amore, tipico di tanti poeti (aveva scritto negli anni Cinquanta:
qui non vorrei morire dove vivere mi tocca), gli portava le immagini
di una natura aperta, di spazi ariosi e solari, di presenze segrete
ma avvertite di organismi terrestri e marini; immagini un po' nostalgiche,
per il distacco che aveva arrotondato e smussato le punte dell'odio
giovanile, e un po' angosciate per l'asfittica esistenza trascorsa in
una metropoli soffocata dai miasmi di presenze troppo dense e di aggressioni
operate, per incuria o per dispregio, contro i diritti altrui a vantaggio
dei propri interessi.
Scriveva Bodini:
Dov'erano anfiteatri
d'uve dizionari d'ombre
si alzano nidi di plastica di cemento di calcoli di gittata
e tra pungoli e gemiti di notti senza fiori
il numero nemico dell'uomo e della bellezza
coordina coiti prolifici che assicurano all'industria
un più grande mercato di consumatori.
[ ... ]
Il gettone del sole che tramonto
non calzerà la pelle fuggitiva e ridente
dei fiumi appena fuori città
e il cristallo del mare dove brillava il corpo paleolitico della giovinezza.
Sia pure con l'arditezza
di metafore e simboli che possono risultare di difficile decodificazione,
a prima lettura, balza evidente l'anatema contro il NUMERO, il segnacolo
delle cifre di cui si mura l'accumulo in addizione di profitti, "nemico
dell'uomo e della bellezza", come il biblico vitello d'oro adorato
dagli uomini era diventato nemico di Dio. Un nemico non scoperto e
dichiarato, ma subdolo e seducente con un fascino artefatto, falso,
con lusinghe di un benessere quantitativo che impone la rinuncia allo
spettacolo del sole che accarezza "la pelle fuggitiva e ridente
/ dei fiumi", "il cristallo del mare", nei quali si
riflette la giovinezza paleolitica cioè antichissima del mondo.
Ma nell'orgia avvolgente della corsa verso la ricchezza che impoverisce
lo spirito, piegato verso la soddisfazione di desideri di possesso
e di piaceri caduchi del corpo, il poeta distingue:
Vi è
chi piange le dolci pinete segrete lungo le coste
ora alti scheletri arsi
in un incendio senza canti
le spiagge come millepiedi invase
dal turismo di massa
e il braccio che affonda nell'acqua del mare
si sporcherà di nafta e di assassinio.
Questa citazione
di un poeta, potrebbe parere, nella sua apocalittica rappresentazione
di un mondo stravolto dalla produzione industriale, non pertinente
al tema; ma se la sua voce si considera non come un giudizio inappellabile,
che di fatto non è, ma come un ammonimento, un richiamo ad
un uso umano dell'ambiente, in modo diverso da quello sinora adottato,
gli esempi di Seveso e della Italsider di Taranto ne sono conferma,
come è da temere possa avvenire, tra qualche tempo, quod Deus
avertat, con la megacentrale a carbone di Cerano/Brindisi.
Al di là dei termini puramente letterari, questo riferimento
ad un poeta, si innesta nel rapporto dialettico tra la cultura del
fare, quella che produce i beni di consumo, sia primari che voluttuari,
avviando il processo di arricchimento dell'individuo e delle comunità
nazionali; e la cultura del pensare che non esprime prodotti quantificabili
e monetizzabili, ma arricchisce la comunità nazionale di valori
spirituali che ne accrescono la considerazione nell'ambito universale.
In Puglia nel Salento queste due culture, o se a qualcuno piace di
più queste due attività, hanno cominciato a coesistere,
da quando nel dopoguerra, la filosofia della industrializzazione venne
considerata l'elemento risolutore del problema del Mezzogiorno.
Ci fu, negli anni Cinquanta, una corsa all'accaparramento dei contributi
statali che costituirono il primo determinante incentivo per l'impianto
di aziende industriali, senza adeguata preparazione sia in senso professionale
che nel campo puramente economico. Ben sappiamo quanti sono i cadaveri
sparsi sul cammino della improvvisazione se, ancora oggi, come contribuenti,
sopportiamo il peso di aziende a mezzo servizio con la GEPI, mentre
come cittadini, avvertiamo il disagio di un alto tasso di disoccupazione
degli addetti all'industria, dopo aver subito il danno dell'impoverimento
delle forze di lavoro agricolo con l'esodo dalle campagne determinato
dal miraggio di un salto sociale con il lavoro nelle fabbriche.
Certo, la presenza dell'industria nel Salento è oggi un dato
obiettivo, sia nel versante pubblico (IRI a Taranto, ENI a Brindisi)
che in quello privato (FIAT-ALLIS a Lecce - FEDELCEMENTI a Galatina
- FILANTO a Casarano - SIMI a Taranto) senza fare un'anagrafe delle
molte aziende con organici di lavoro di media e piccola entità
che costituiscono il reticolo della struttura produttiva primaria.
Il rapporto tra industria ed ambiente, qui da noi, è ancora
accettabile, perché godiamo della condizione che Trotzki definiva
"vantaggio della tardività storica".
Noi siamo arrivati tardi all'industrializzazione, traendo da questa
i vantaggi di natura economica e sociale, non soffrendo da essa gli
scompensi ambientali che il Nord ha subito, continua a subire e sta
cercando di riparare, sia per maturazione autonoma degli imprenditori,
vuoi per le leggi che lo Stato ha tardivamente e affrettatamente approntato,
infine per la presenza di associazioni legate all'ambiente che, con
la loro azione, hanno determinato nei cittadini il formarsi di una
coscienza che chiamiamo ecologica, per comprendere nel suo ambito
tutto ciò che attiene non solo alle entità dinamiche
dell'ambiente, cioè aria ed acqua, flora e fauna, ma anche
il corpo statico costituito dal paesaggio nella sua morfologia territoriale.
Il disinteresse per il rapporto con l'ambiente è stato totale
da parte degli imprenditori, degli Stati, dei cittadini, quando nel
secolo scorso, cominciarono ad impiantarsi i grandi opifici; il principio
del profitto per gli investitori e il miraggio dell'arricchimento
per le popolazioni direttamente collegate con le fabbriche, prevalsero
sulle ragioni igieniche ed estetiche; oggi, si tenta di riguadagnare
il tempo perduto e, specialmente in Italia dove il ritardo è
abissale, cerchiamo di porre riparo almeno dove è possibile.
Un esempio di raffronto ci consentirà di comprendere le dimensioni
delle distanze che ci separano da altre realtà.
Quando tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo in Gran Bretagna
la rivoluzione industriale mutò la struttura produttiva e i
nuovi impianti iniziarono ad assumere un profilo architettonico differente
da quello della tradizione e ad invadere l'ambiente paesistico modificandolo
sensibilmente, si sviluppò nei residenti un istintivo movimento
di difesa che, sia pure con un certo ritardo, si organizzò
nel 1895 nel National Trust. Questa associazione privatistica fondata
da tre persone, conta oggi 1 milione e duecentomila soci e, attraverso
le quote sociali, le donazioni, i redditi, le sovvenzioni statali,
ha un patrimonio costituito da 4 laghi, 700 Km. di coste marine intatte,
180mila ettari di zone verdi, 2000 tra palazzi, ville e castelli,
17 zone archeologiche. Questo patrimonio aperto al pubblico pagante,
nel 1983 ha registrato 7 milioni di presenze, con un'entrata complessiva
di circa 120 miliardi di lire.
In Italia un'associazione similiare, il FAI (Fondo per l'Ambiente
Italiano) nato ottant'anni più tardi, nel dicembre 1975, ha
già restaurato il castello di Avio (Trenta) donato nel 1977
da Emanuele Castelbarco raccogliendo nel 1984 18 mila visitatori e
la sua azione confortata da 500 soci si va estendendo all'isola di
Panarea, a San Fruttuoso dove i principi Doria Pamphili hanno donato
313 ettari sul monte di Portofino, a Cuma e a Villa Cicogna di Bisuschio
presso Varese. lo Stato italiano, solo nel 1982, con la legge 512,
ha previsto l'esenzione di imposte sulle donazioni destinate a fini
conservativi.
E' un altro elemento per comprendere che noi siamo sempre in rincorsa,
per recuperare gli handicap di partenza; ma la cosa più drammatica
è che la situazione ambientale non è stata più
controllata in Italia, sotto forma di statistiche e tabelle, dal 1972!
Il danno provocato all'aspetto paesistico dall'insediamento industriale,
tanto per documentare, senza nessuna possibilità di porvi riparo,
è riscontrabile nella localizzazione degli impianti di Bagnoli
che deturpano la piana a nord-ovest di Napoli; da quella della Italsider
a Taranto, che chiude definitivamente lo sviluppo della città
in direzione sud-ovest; ma credo che le zone sconvolte in forma di
vero e proprio eccidio del paesaggio, si trovino in Calabria: in forma
meno drammatica a Sibari, per le attrezzature di una zona portuale
contro natura e più tragicamente traumatica a Lamezia Terme,
dove il deserto ha ingoiato migliaia di ettari di splendidi agrumeti
e oliveti per inseguire il sogno calabrese della industrializzazione
risolutrice, in teoria, di mali secolari e causa invece, per l'ottusità
di una imprenditoria pubblica priva del fattore essenziale del rischio,
scaricato sui contribuenti, di un ulteriore depauperamento della ricchezza
agricola a cui si è aggiunta una desolazione territoriale non
riparabile neppure con il riscatto turistico.
Il primo elemento di riguardo va dunque dedicato nella LOCALIZZAZIONE
dell'impianto industriale che deve rispettare le situazioni ambientali
e paesistiche, per non riprodurre i danni su citati e non provocare
le alterazioni subite dai Colli Euganei, divorati dalle escavatrici
per l'estrazione delle brecce e dei marmi.
Negli U.S.A., dove la codificazione giuridica viene costituita in
base alle sentenze emesse dai giudici, si è introdotto, tramite,
appunto, una sentenza del 1965, il concetto di "leso diritto
estetico"; in Italia invece non esiste traccia, nel nostro codice
penale, di un reato ecologico o di danneggiamento ambientale. Qualche
appiglio che consenta ai magistrati di intervenire, si ritrova negli
articoli 635, 659, 674 del Codice Penale; nello specifico della tutela
delle acque dall'inquinamento, la legge n. 319 del 10-5-1979 e sue
successive modificazioni, conosciuta come legge Merli.
In Italia, dove si producono leggi e leggine con la rapidità
genetica dei conigli, per il settore che comprende l'ambiente e l'ecologia,
se si eccettua il generico e tuttavia salutare disposto dell'art.
734, che impone un parere vincolante per la tutela paesaggistica,
senza deroga alcuna per chicchesia, Stato o demanio militare, tuttavia
senza una sanzione per i trasgressori, non si è fatto nulla
e non si ha notizia si stia facendo nulla.
Il secondo elemento di riguardo va rilevato nei sistemi di produzione
per i riflessi sull'ambiente mobile atmosferico, per quanto concerne
la salubrità dell'aria per la persona umana, per la sopravvivenza
delle specie avicole stanziali, visto che quelle migratorie evitano
di toccare le aree inquinate, e per la flora, arborea ed erbacea,
soggette al deperimento e alla morte, come è avvenuto negli
anni scorsi nella zona lombarda di Seveso a causa della diossina della
lcmesa.
Un pericolo che va denunziato, incombe sulle popolazioni salentine
con l'entrata in funzione della megacentrale a carbone in costruzione
sul litorale di Cerano per conto dell'Enel.
E' strano che ci sia stato una violenta reazione popolare, con prese
di posizione politiche e frequenti dibattiti, tavole rotonde e comizi,
quando due anni fa la Regione aveva indicato i siti per l'installazione
di una centrale nucleare; contestazione che di recente sta riprendendo
vigore perchè l'Enel ha rispolverato il piano di attuazione
di una centrale a Carovigno, mentre poche proteste si sono levate
per denunciare i danni certi che verranno da Cerano.
Il nucleare comporta un rischio, contenibile e correggibile, come
si è dimostrato nel 1979 a Three Miles Island; il carbone arreca
danni certi e non eliminabili, ai quali saranno assoggettate le popolazioni
a Sud e a Nord di Brindisi a seconda che i venti di scirocco e di
tramontana spingeranno i fumi da combustione.
Una soluzione in positivo si è avuta a Galatina con i fumi
del cementificio Fedelcementi, ai quali si è posto riparo da
parte dei titolari con un perfezionato impianto di depurazione che
ha eliminato ogni inconveniente. Certo, ci sono i costi aggiuntivi
di spese definite improduttive, che incidono sul bilancio dell'impresa;
ma è l'aspetto sociale che prevale, anche nel profilo dei costi
pubblici.
In analogia ai valori estetici da difendere quando venga ad essere
interessato l'ambiente paesistico, un altro problema emergente di
affianca a quello della purità dell'atmosfera: quello degli
odori.
Non esiste sinora, se non sbaglio, alcun provvedimento legislativo
che tuteli il cittadino, o imponga qualche accorgimento tecnico, dagli
odori fetidi che provengono da alcuni stabilimenti. Noi abbiamo ascoltato
le proposte vibranti, cadute nel vuoto quando i risultati di analisi
chimiche hanno dimostrato l'assenza di elementi nocivi, per i fumi
maleodoranti dell'inceneritore dei rifiuti solidi della SASPI di Lecce
e per le acque di spurgo dell'impianto di acquacoltura di Torre Pali
presso Ugento. E' sperabile che anche per questo aspetto si possa
arrivare, attraverso ricerche specifiche, ad eliminare l'inconveniente.
Il terzo elemento, di primaria rilevanza, forse quello che dà
maggiore possibilità di attivazione, sia in campo tecnologico
sia in campo legislativo, è quello determinato dai residui,
dagli scarichi, dai rifiuti. Sappiamo i danni incalcolabili che si
sono prodotti dagli scarichi delle raffinerie, delle industrie chimiche,
con l'inquinamento dei fiumi, dei laghi, delle falde acquifere; con
la scomparsa della fauna fluviale, lacustre, marina. Tutto il sistema
fluviale della Pianura Padana è diventato una sorta di fogna
a cielo aperto che trasporta, si è calcolato dalla "Ecolega",
circa 130 milioni di tonnellate annue di rifiuti, pari al 60% del
totale italiano.
Le industrie sono responsabili, in questo settore, in senso diretto
ed indiretto; chiarisco: gran parte del danno ecologico è da
attribuire al processo produttivo che comporta la eliminazione del
superfluo residuo e dei prodotti d'uso; la parte restante dei rifiuti
proviene dal prodotto industriale finito, e sfruttato dal consumatore
che, alla fine, se ne libera come può. Questa è la parte
di responsabilità indiretta dell'industria ed è la parte
di responsabilità diretta dei cittadini.
Si pensi alla massa dei rifiuti, sia quelli insaccati nei contenitori
di raccolta sia quelli abbandonati dove capita: a cominciare dalla
plastica, materia quasi indistruttibile che minaccia di soffocare
la terra se non si troverà il modo di eliminarla, per passare
alle carcasse degli elettrodomestici ed ai cimiteri delle automobili
che costellano, più scomposti e funerei dei camposanti, le
periferie dei paesi e delle città italiane.
In questo settore, io credo debba incentrarsi lo sforzo dei ricercatori
scientifici, delle associazioni a difesa dell'ambiente, dei legislatori
e, in particolare, del neonato Ministero della Ecologia. Forse, è
possibile nasca una nuova branca di imprenditori: quelli addetti alla
cosiddetta ecologia industriale.
I rifiuti solidi, quelli urbani e quelli industriali, vengono ora
indifferentemente bruciati, anche se, ogni tanto, i mass-media danno
notizia di sfruttamento tale da produrre petrolio o concime o materiale
combustibile. E' un problema che assilla tutti gli Stati del mondo,
che ci trova impreparati allo stesso modo e non mancano provvedimenti
empirici e paradossali: è proprio di questi giorni la notizia
che negli USA si pensa di compensare con 20 centesimi ogni contenitore
di birra o di coca cola riconsegnato al distributore e non lasciato
dove che sia. Se la cosa risponde a verità, vuoi dire che si
è fatto un calcolo economico. La raccolta e lo smaltimento
dei rifiuti hanno un costo molto alto; sono migliaia i miliardi, 5000
all'anno si è calcolato: senza contare l'impianto di inceneritori,
la creazione di cave e miniere di massima sicurezza ecologica e non,
come accade spesso da noi nel Salento, con campi di raccolta a cielo
aperto, che richiedono impieghi di capitali ingenti, gli investimenti
improduttivi a cui ho accennato in precedenza.
Ebbene, Giuseppe Natta, ha progettato il sistema "Ecodeco"
che prevede un'anagrafe del sistema produttivo, il recupero dei rifiuti
da selezionare, per valorizzarli in sottoprodotti industriali sui
quali intervenire o per il riciclaggio o per il loro smaltimento.
Alcuni calcoli approssimativi, portano ad un recupero di circa 5mila
miliardi. Io non so se tali cifre siano attendibili e se traguardi
di economicità siano perseguibili in termini reali. Ci vuole
in questo caso lo studio, la programmazione e l'amore del rischio,
qualità proprie di chi è imprenditore. Io posso solo
riportare cifre formulate da altri, e so, per questo, che per rendere
disinquinato l'Arno è stata preventivata la spesa di 242 miliardi.
Quanti ce ne vorranno per ripulire tutto il sistema fluviale padano?
Come vecchio studente di liceo, rammento che il filosofo Eraclito
diceva che nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma;
come uomo d'esperienza, mi accorgo che tale principio potrebbe applicarsi
alle centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti che produciamo,
si avverta l'ironia del termine "produciamo", ogni anno
in Italia.
La tutela dell'ambiente non va limitata soltanto al perseguimento
di possibili trasgressori di norme legislative, per altro molto scarse
e molto discusse, vedi la famosa legge Merli; ne può esaurirsi
criminalizzando l'industria come la sola colpevole dell'inquinamento
ecologico e del disastro ambientale; questo è compito che spetta
a ciascun individuo che deve sentire il suolo pubblico non come pubblica
discarica, dove il gettare una carta o un pacchetto di sigarette dovrebbero
procurare lo stesso fastidio che se in casa propria vedesse un ospite
o un amico fare la stessa cosa.
Leggevo nell'autunno scorso, su un quindicinale della provincia "Corriere
nuovo" di Galatina, un articolo nel quale si affermava: "sarebbe
[ ... ] altrettanto attuale, pedagogicamente valido e meritorio in
generale, che la scuola, i comuni, come pure le associazioni culturali
e ricreative organizzassero vere e proprie compagne di sensibilizzazione"
per l'ambiente.
Mi pare che gli incontri patrocinati dalla Fondazione Agnelli e organizzati
nelle province italiane delle associazioni industriali, con i professori
della scuola media possano rispondere a qualche richiesta, forse inespressa,
dei giovani studenti, richiamando la loro attenzione su un tema, quello
dell'ambiente, sul quale la scuola non interviene, come istituzione,
per sollecitare in loro un interesse di tutela e di sviluppo, anche
partendo dalle parole di un poeta, angosciato di vedere la paleolitica
giovinezza della natura resa sfiorita e senza smalto dalla incuria
dell'uomo.