NOTA A "GENTE IN PIAZZA"




A. Lucio Giannone



Il testo inedito che qui si pubblica, al quale l'autore ha dato il titolo di Gente in piazza, costituisce la prima prova narrativa, di un certo impegno e di vasto respiro, di Giovanni Bernardini. In origine queste pagine facevano parte di uno scritto più ampio, che risale al 1955, rimasto incompiuto ma non inutilizzato. Infatti alcuni brani, espunti da esso, confluirono in Estate salentina (1) e nel racconto Il vetturale (2), e altri, opportunamente rielaborati, furono inseriti in Chi rimane (3). Tale scritto, nel quale era rappresentata la realtà di un piccolo paese del Sud attraverso la descrizione delle vicende di un umile vetturale e della sua famiglia, segna una svolta nella produzione letteraria di Bernardini, limitata fino ad allora a brevi prose e a poesie, e documenta altresì la sua adesione al neorealismo. Non a caso esso coincide cronologicamente con l'inizio dell'esperienza della rivista leccese "Il Campo", che delle istanze neorealistiche si fece portavoce nel Salento, e alla quale lo scrittore collaborò fin dal secondo numero, diventandone in seguito uno dei direttori. Proprio il suo primo contributo al "Campo", una recensione a un saggio di Mario Sansone, dal titolo La cultura italiana nell'ultimo decennio (4), è estremamente indicativo per comprendere le ragioni di questa sua scelta e il particolare tipo di neorealismo di Bernardini. Il quale qui concordava in pieno con il giudizio di Sansone, ,secondo cui il neorealismo, sebbene mancasse ancora di "una piena e adeguata forma espressiva", era senza dubbio "la poetica più significativa e ricca di apertura e d'avvenire" (5). Ma al tempo stesso, mentre faceva notare i limiti che si potevano cogliere "nella pratica attuazione" di esso, sottolineava il richiamo fatto dallo studioso "a quei valori che sono e debbono rimanere solo valori artistici" (6).
Questa particolare attenzione rivolta ai "valori artistici", vale a dire ai problemi specifici di un testo letterario, non deve sorprendere in uno scrittore come Bernardini, ma anzi si giustifica pienamente se si tiene presente il suo peculiare iter culturale ed esistenziale. A parte la sua precoce vocazione, manifestatasi quando egli aveva appena dodici anni (7), non bisogna dimenticare difatti che sulla sua formazione contarono soprattutto gli anni trascorsi a Firenze, dove intorno al '40 frequentò l'Università e fu allievo di Giuseppe De Robertis. Qui egli, a stretto contatto con un fervido e raffinato ambiente letterario, si accostò alla lettura dei maggiori poeti e prosatori italiani contemporanei, da Montale e Ungaretti agli ermetici, da Cecchi a Cardarelli, la lezione dei quali si doveva rivelare decisiva per la sua futura carriera di scrittore. Tornato a Lecce, fondò e diresse una rivista, "Taverna letteraria", che andò avanti per soli due numeri nel 1946. Nel primo numero il giovane direttore si prodigava "in una appassionata, anche se ingenua difesa dell'ermetismo, professando una fede commovente nella poesia, in quanto simbolo di rinascita e di umanità su una linea di ancora confuso e assai vago realismo" (8).
Le sue prime prose, caratterizzate da singolare nitidezza espressiva, risentono soprattutto dell'influsso di Emilio Cecchi, al quale Bernardini aveva dedicato anche uno studio critico (9), mentre nelle poesie coeve non infrequenti sono gli echi ungarettiani e ermetici, temperati sia pure a una certa classica compostezza (10). Tra gli scritti in prosa di quegli anni vale la pena di citare Il break giallo (11), in cui compare per la prima volta il motivo del vetturale. Ma qui l'insolito colore con cui viene riverniciata una vecchia carrozza è solo il pretesto per una breve "divagazione", proprio sull'esempio della "prosa d'arte" cecchiana, in cui considerazioni di natura esistenziale ("Questo avrei voluto dire all'uomo e indurlo a grattar via la vernice e spiegargli che perfino un colore - sì fragili siamo e senza difesa - può decider di noi") prevalgono nettamente sui motivi di carattere sociale.
Nello scritto del '55 Bernardini riprende il motivo del vetturale, ma con l'intenzione di offrire, stavolta, una rappresentazione, il più possibile realistica, delle condizioni di vita in una estrema provincia meridionale, non trascurando alcun aspetto che potesse in qualche modo caratterizzarla: dal duro lavoro quotidiano ai giochi dei ragazzi, dalle feste tradizionali agli scontri politici ed elettoralistici. Era questo un tema che lo scrittore avrebbe approfondito in seguito tante altre volte non solo nei racconti ma anche attraverso impegnate inchieste e reportages sulla realtà socio-ambientale del Salento. Rispetto al progetto originario, in Gente in piazza il vetturale non è più però, proprio per le ragioni esposte all'inizio, il principale protagonista del racconto. Qui c'è infatti una dimensione corale, collettiva e protagonisti risultano nella stessa misura tutti i vari personaggi che fanno la loro comparsa sul "grande teatro" naturale costituito dalla piazza del paese. Neppure adesso è l'aspetto sociale che interessa particolarmente l'autore, al quale semmai sta a cuore la sorte di tante creature che egli segue con trepida attenzione, con intima partecipazione, superando così i possibili rischi del bozzettismo e del macchiettismo. E non c'è dubbio che le sue simpatie maggiori vadano proprio verso le figure più umili ed emarginate, le quali diventano quasi simbolo di una dolente condizione di vita, di una quotidiana pena d'esistere. Già in questa prima prova di Bernardini insomma il disegno della provincia è approfondito, come è stato giustamente rilevato, "piuttosto sul versante della pena umana e inconsapevole che su quella del populismo e della ribellione" (12).
Alla figura del vetturale comunque l'autore riserva la funzione di una prima, aurorale presa di coscienza della propria condizione, la quale si contrappone al fatalismo e alla rassegnazione manifestati dalla figura della moglie: "'Mondo è stato e mondo sarà. Noi siamo nati per tirare la carretta'. Ma è una favola inventata dai 'signori' - come mai non gli era venuto in mente prima? - da chi ha la pancia piena al fine di tenere buono chi ha la pancia vuota. E Gesù Cristo non c'entrava sul serio. Sono gli uomini quelli i quali fanno e disfanno le cose loro".
Anche sul piano stilistico sono notevoli le divergenze tra Gente in piazza e Il break giallo o le prose precedenti. Qui c'è la volontà di allontanarsi da quell'aura un po' rarefatta che caratterizzava quegli scritti per accostarsi a un linguaggio più concreto e aderente alla realtà. Ovviamente anche questa operazione denota vigile impegno e matura coscienza letteraria da parte dello scrittore. Si noti, ad esempio, nel seguente brano, il tentativo di riprodurre il linguaggio parlato attraverso i numerosi anacoluti: "Bruno, si capisce, a dodici anni certi pensieri non sfiorano neppure il cervello; ma Alfio, diciotto, gli pesava di mangiare a ufo e anche, in fondo, di avere le saccocce costantemente vuote. Gli altri figli inclinazione agli studi non ne avevano proprio mostrata. "Chi ha i denti non tiene da masticare - ripeteva Cartuccia alludendo all'Alfio - e chi tiene da masticare gli mancano i denti"".
D'altro lato, la persistenza di una raffinata educazione letteraria si rivela nell'accurata scelta lessicale, nell'uso delle similitudini ("come una rosa di maggio", "simili a due colonne", "come una coppa", "simili a due tacchini pettoruti", "come la barchetta di carta", ecc.), e nella studiata aggettivazione, spesso doppia, come nei casi seguenti: "svogliati e lentissimi", "lunghi e sporgenti", "lerci e brutti", "cortissimi e lisci", "alta e salda", "sdentato e grifagno", "ulivigno e arrogante", "adusto e rugoso", "malfermo e nocchiuto".


NOTE
1) In "Valpescara", 11 agosto 1956; poi in G. BERNARDINI, Provincia difficile, Bari, Adda, 1969, pp. 188-193.
2) In "Il Campo", n. 15, 1958; poi in G. BERNARDINI, Compare brigante, Bari, Adda, 1973, pp. 117-156.
3) In G. BERNARDINI, Provincia difficile, cit., pp. 15-110. In questo racconto lungo viene ripreso, per l'esattezza, il brano relativo ai "comizi" (pp. 75-86).
4) In "Il Campo", n. 2, 1955, pp. 11-17.
5) Ibid., p. 15.
6) Ibid., p. 16.
7) Su questo aspetto cfr. F. LALA, Formazione esistenziale e creativa di Giovanni Bernardini, in "Sudpuglia", n. 3, settembre 1984, pp. 118-122.
8) D. VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce, Milella, 1985, p. 130.
9) G. BERNARDINI, Interpretazione di Emilio Cecchi, Lecce, Stabil. Tip. Pizzino, 1948.
10) Una scelta delle poesie dello scrittore è ora in G. BERNARDINI, Segni del diluvio, Manduria, Lacaita, 1981. Su questo aspetto si rinvia al nostro art. La poesia di Giovanni Bernardini tra denuncia e ironia, in "L'Albero", n. 66, dicembre 1981, pp. 189-191.
11) Questa breve prosa, composta all'incirca tra il 1950 e il 1952, apparve in "La voce di Fossacesia", ottobre 1956.
12) M. SANSONE, Presentazione a Compare brigante, cit., p. 6.


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