L'ALTRA BORGHESIA




Aldo Bello



Per la vecchia, grande borghesia italiano, sono mesi di crepuscolo, che con ogni probabilità preludono alla teoria che Spengler definì "del necessario tramonto". Nel giro di un anno, o poco più, sono scomparse dal nostro panorama industriale alcune delle più antiche e prestigiose dinastie imprenditoriali. La serie fu aperta dagli Zambeletti, con la cessione dell'azienda ai britannici della Beecham, per un centinaio di miliardi di lire. Poi, toccò ai Rizzoli, il gruppo editoriale sul quale arrivò la cordata capeggiata da Fiat e da Mediobanca. Ad intervalli sempre più stretti, altre "grandi famiglie" hanno ceduto le armi. Fra queste, gli Zanussi. Seguiti, a ritmi quasi vertiginosi, dai Buitoni e dai Bassetti, ai quali sono succeduti rispettivamente i gruppi De Benedetti e Marzotto, mentre si facevano sempre più insistenti le voci secondo cui i Locatelli erano alla ricerca di un acquirente per la "Invernizzi". Nella Lombardia, dove ancora batte il cuore industriale del paese, con l'aorta che va fino a Torino, ormai le famiglie ancora regnanti sono ridotte a due: i Pirelli e i Falk. Ma - sembra - non per molto ancora. Leopoldo Pirelli dovrebbe essere l'ultimo a guidare la multinazionale della gomma. Suo figlio coltiva altri interessi, diversi dalla produzione di pneumatici e dalla moltiplicazione dei certificati azionari. Allo stesso modo - per quel che si dice in giro - anche il trentenne figlio di Gianni Agnelli non avrebbe alcun interesse a seguire orme ed esempio del padre, del nonno e del bisnonno alla testa dell'impero Fiat. Ci si chiede: è vero che le dinastie nascono e muoiono, è legge di natura per gli uomini e per le cose: ma come mai tutto questo si è verificato contemporaneamente? Che cosa è accaduto di così irreparabile, in un arco temporale tanto ridotto? Forse non c'è una risposta univoca. Certo, è difficile specificare che cosa accomuna, ad esempio, un Rizzoli (figlio del più grande Rizzoli) finito in galera, con uno Zambeletti, che per mesi è stato corteggiato dai presidenti di solide multinazionali. Ed è altrettanto difficile chiarire quale destino posso esser comune tra gli eredi di Zanussi, che non si sono mai praticamente occupati della loro azienda, con i Buitoni, che - al contrario - sono rimasti al timone della loro azienda fino all'ultimo minuto.
Per vie diverse, tutti sono giunti alla determinazione di vendere. Dunque: nessuna cessione è arrivata d'improvviso. C'è stato un background, ci sono stati travagli anche di molti mesi, trattative iniziate - in grandissima parte - intorno alla metà del 1983, vale a dire proprio quando stava declinando la crisi economica apertasi col 1981, che aveva congelato buona parte del nostro sistema produttivo. Per due anni, il diagramma dello sviluppo era stato piatto: alcuni avevano chiuso i battenti, altri avevano cercato nuovi soci e capitale fresco, alcuni erano riusciti a salvarsi. Ma chi è saltato? Soprattutto, i gruppi di controllo. Provate finanziariamente, stanche, assediate dai sindacati, alcune dinastie hanno ritenuto opportuno abbandonare e passare la mano. E tutto questo è valso non solo per le aziende che erano sull'orlo della crisi, o in piena crisi, ma anche per quelle buone, economicamente e finanziariamente sane. Gli Zambeletti erano alla testa di una società in piena salute. Ma, come hanno lealmente riconosciuto, per reggere la sfida dei prossimi anni in campo farmaceutico, sarebbero stati necessari capitali enormi, dei quali la famiglia non disponeva. Sicuramente, avrebbe potuto cercarli in giro, e con ogni probabilità li avrebbe trovati. Ma con quale prospettiva? Con quale sviluppo - nel paese - della ricerca? E con quali garanzie contro i bucanieri e settore? E in vista di quale pace sociale?
Tutte le esperienze (stanchezza, abbandono, disinteresse, crisi finanziaria, stato d'assedio per sole richieste salariali e senza visioni unitarie e prospettiche del lavoro da parte delle tute blu e degli stessi colletti bianchi: è storia di questi ultimi anni) hanno portato al tramonto delle grandi famiglie. Che è come dire: alla caduta della borghesia imprenditoriale, a vantaggio di quella manageriale, con alcune eccezioni (gli Agnelli), e con alcuni emergenti (i De Benedetti, i Gardini, i Benetton, i De Nora). E', in ogni caso, la fine delle figure emblematiche, la morte del pionierismo spregiudicato e solitario, in nome del pionierismo sempre spregiudicato, ma con rischio calcolato, dei gruppi finanziari.
Così, chi ha predicato l'anti o post industrialismo si trova non solo di fronte ai "cespugli" spontanei, ai piccoli e piccolissimi gruppi familiari, al sommerso che resta sommerso o che di tanto in tanto emerge per cause e con motivazioni diverse, ma anche di fronte ai "padroni astratti", alle holdings finanziarie, ai gruppi -potentissimi, magari - rappresentati da un ufficio investimenti che ha sede a Montecarlo o nel Principato di Monaco o nel Liechtenstein: e questi padroni astratti sono in grado di effettuare giganteschi investimenti, di creare nuova occupazione, di imporre la mobilità; ma anche di smontare una fabbrica e di gettare tutti sul lastrico nel giro di un week-end, se il mercato non tira, se i profitti non sono sufficienti, se la pressione sindacale valica certe misure. E il vero dramma non sarebbe neanche questo: è nel fatto che, mentre il capitalismo divora se stesso, rinascendo in forme diverse, gruppi politici e forze sociali restano o ancorati alle vecchie visioni e ci programmi sterilizzati nei cassetti, o incapaci di darsi nuove linee di comportamento. Le crisi dei tesseramenti nascono anche da tutto questo: dalla gente comune che vede, o intuisce, che non è finito il mondo, ma che è finito un modo di essere del mondo; mentre vuole andare avanti con il nuovo mondo, vede i suoi antichi punti di riferimento seduti nella storia, bloccati dagli stessi meccanismi che ha creato e incapaci di trasferirsi nella nuova dimensione. Così, tutti, o quasi tutti, lo chiamano riflusso. E in realtà ci sembra stanchezza fisiologica (e ideologica), e in parte anche responsabile riflessione: in attesa che i centri istituzionali riemergano dalla pietrificazione e colgano i segnali che vengono da chi, di fatto, lavora e produce.

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