STORIA E RAGIONI DI MAGNA GRECIA




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta



Ha scritto Giovanni Pugliese Carratelli che le esperienze politiche, religiose, culturali che si sono svolte nelle poleis italiote, per le innovazioni che nella vita civile, intellettuale e artistica la recente origine delle città favoriva e il contatto o il conflitto con popoli di origine e tradizioni diverse stimolava, hanno dato alla civiltà della Magna Grecia non solo una fisionomia peculiare e distinta entro il grande quadro della civiltà greca, ma ancora una varietà di forme e di espressioni che hanno operato in una sfera assai più vasta di quella italiota. "Alcuni dei più antichi abitanti dell'estrema parte meridionale della penisola - scrive Pugliese Carratelli - l'Italia visitata prima da avventurosi Achei, poi da coloni Elleni, erano venuti in età remoto dall'Epiro, come indica il loro etnico Chònes; altri, quelli che avevano dato il nome alla regione, appartenevano al grande popolo dei Siculi, che dal Lazio s'era esteso alla Sicilia e aveva avuto presto frequenti contatti con gli stranieri che venivano di là dal mare; altri ancora, come quelli della costa àpula, avevano accolto immigrati egei o, come le genti sabelliche, vivevano in zone interne e da episodici incontri con i Greci e con indigeni ellenizzati traevano stimolo e alimento per una formazione civile che si sarebbe manifestata in momenti diversi. La reazione delle culture di questi ethne o nationes - circa i quali è la storiografia greca la nostra prima fonte d'informazione - alle suggestioni che ciascuno di loro ha ricevuto dai Greci, in vario tempo e in vario grado, è stata ovviamente diversa, ma non mai di chiusura; e per converso la reazione indigena non ha mancato di avere effetto sui Greci, specialmente quando le poleis coloniali hanno accolto residenti o cittadini indigeni. Ai coloni, portatori di istituti civili e tradizioni religiose delle rispettive metropòleis, si sono poi aggiunti altri immigranti, e tra questi poeti e artisti, filosofi e storici come Pitagora o Senofane o Erodoto, che hanno impresso durevolmente nella civiltà della Magna Grecia il segno della loro creativa presenza".
Ma che cosa li attirava? Soprattutto, la vivacità delle città italiote, ove al patrimonio civile greco si offriva, pur nel rispetto dei fondamentali istituti della polis, la possibilità di riforme innovatrici, quali era difficile attuare nella più antica e consolidata struttura degli Stati metropolitani. "Vi è stato così un momento in cui la Magna Grecia ha rappresentato nel mondo ellenico un foro non meno luminoso della lonia d'Asia: così per le sue esperienze religiose ed etiche, da quelle promosse dal pitagorismo a quelle alimentate da culti e riti misterici di origine preolimpica, come per le dottrine fisiche, matematiche e mediche che sono state gli incunaboli della grande scienza greco dell'età classica e dell'ellenistica. Basta l'esempio di Platone a denotare l'importanza che la Grecia d'occidente aveva assunto per gli intellettuali greci tra il secolo quinto e il quarto. Ai grandi nomi di filosofi e scienziati si affiancano anonimi maestri di tutte le arti, la memoria dei quali è nelle loro opere superstiti. La suggestione di questa vigorosa e multiforme cultura vien oggi aumentata dall'acquisita consapevolezza della parte che essa ha avuto nella nostra storia, non solo per quel che ha creato, ma per quello che ha saputo dare alla più antica Italia e, in sincronia con la madrepatria, alla civiltà di Roma e dell'Etruria".
Dunque, per quattro secoli circa le poleis italiote sono state, insieme con quelle siceliote, protagoniste nella vita politica dell'Occidente; molto più a lungo nella vita intellettuale, dall'arte alle scienze, dalla filosofia alla religione. Quando in Asia Minore l'espansione lidia e più ancora il dominio persiano costringevano le città greche a impegnarsi nella guerra o ne avvilivano gli spiriti inducendo a cercare nella tryphè (la "dolce vita"), nell'opulenza e nel lusso un compenso alla perduta libertà, e si rarefaceva il desiderio di sapere che aveva suscitato interesse per i fatti della natura e curiosità per la loro genesi, e aveva spinto a riflettere sugli atti e i pensieri degli uomini, "superando così le registrazioni annalistiche come le motivazioni teologiche": allora uomini geniali, ai quali l'aria della patria ionica non era più vivificante, trovarono all'estremità opposta del mondo greco le sedi propizie al loro bisogno d'indagine, alla loro ansiosa ricerca di verità illuminanti, di religiosa introspezione.
Precisa Pugliese Carratelli: può darsi che a creare nelle poleis coloniali d'Italia un'atmosfera favorevole allo studio, alla meditazione filosofica e ad esperienze mistiche abbiano contribuito gli anteriori contatti dell'Italia col mondo miceneo e attraverso esso con Creta, l'antica madre di culti misterici e di dottrine catartiche: le dottrine importate da fondatori o da ospiti di poleis coloniali potrebbero aver trovato un veicolo in persistenti tradizioni cultuali o soltanto rituali. Ma certamente in favore di nuove visioni teogoniche o mistiche, di nuove interpretazioni del mondo, ha operato la libertà propria di comunità civili di recente costituzione, quando il patrimonio di istituti e di idee importato dalla metropolis non sia stato rigido e preclusivo: valga l'esempio di Locri Epizefirii, in cui carattere fondamentalmente sacrale abbinato a una struttura eminentemente gentilizia ha impedito per secoli ogni penetrazione di idee nuove. è superfluo inoltre avvertire che la ricorrente ipotesi di un cospicuo apporto indigeno è vanificata dalla forma unicamente greco di ogni espressione di cultura letteraria, scientifica e religiosa di Magna Grecia.
Ma perché si dice "Megàle Hellàs", Magna Grecia? E perché questa parte d'Italia scelta dai coloni greci per trasferirvi la propria vita fu detto "Grande", con un'immagine che reca in sé il confronto con la madrepatria? Perché, lungo lo scorrere dei secoli, uomini già ricchi di una civiltà evoluta lasciarono le proprie città, la propria terra, e affrontarono lo sconfinato mistero del mare per approdare su spiagge lontane, tra gente diversa, che parlava un'altra lingua e aveva altri dèi? Che cosa furono per gli uomini abituati alla dolcezza del clima del Mediterraneo orientale, delle piccole isole dell'Egeo, della costa anatolica, del Peloponneso, queste terre così simili a quelle dalle quali si partiva quasi sempre per non tornare? Quali furono e come si dipanarono le radici della civiltà occidentale, che giunsero fin qui, e qui affondarono per far fruttificare una pianta dalla quale in tutto il mondo ancora si raccolgono i frutti?
A questo intrico di quesiti su come mossero i primi passi della civiltà occidentale si propone di dare risposta il sesto volume della collezione "Antica Madre", la collana di studi sull'Italia antica diretta, appunto, da Giovanni Pugliese Carratelli, sponsorizzata dal Credito Italiano.
La pubblicazione di "Megàle Hellàs" costituisce senza alcun dubbio un grande avvenimento culturale. Per la prima volta, la storia civile, i culti, la civiltà letteraria, le scienze, le arti figurate, l'architettura, l'urbanistica, la topografia, la viabilità, la moneta, gli scambi, i vari aspetti della vita quotidiana in Magna Grecia sono oggetto di uno studio condotto con visione unitaria da specialisti di grande nome. Ne è emersa l'opera più aggiornata scientificamente e più soddisfacente che si possa desiderare sulla Magna Grecia, un mirabile insieme dal quale non potrà più prescindere chiunque voglia occuparsi di uno qualsiasi degli aspetti di questa grande stagione del nostro più affascinante passato.
Lo straordinario corredo iconografico -circa ottocento tra fotografie a colori, piante, riproduzioni, disegni - non solo esaurisce tutto quanto di notevole è riproducibile nei musei, ma dà al lettore un completo ritratto della Magna Grecia attraverso interessantissime fotografie e vedute di paesaggio eseguite nella consapevolezza di dover restituire, oltre il documento, l'atmosfera e lo spirito stesso dei luoghi.
Scrive Arturo Fratta che non si possono avere esitazioni nel definire questo libro il capolavoro della collana dedicata dal Credito Italiano agli studi sull'Italia antica, dopo "Mestiere d'archeologo", "Da Aquileia a Venezia", "Gli Arabi in Italia", "Ichnussa", "I Bizantini in Italia". E crediamo di non sbagliare nel ritenere l'ampio saggio introduttivo dedicato da Pugliese Carratelli alla storia civile della Magna Grecia una sintesi mirabile per compiutezza scientifica, potenza d'intuizione e limpidezza di dettato, un punto d'arrivo dell'intera vita di studi sulle civiltà mediterranee del grande storico napoletano. Giovanni Pugliese Carratelli, al vertice dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è una delle figure più alte e partecipi della grande tradizione intellettuale italiana. Educato scientificamente, ed eticamente temprato, nella vicinanza di Croce e di Omodeo, fin dai primi passi del suo cammino di studioso concepì la storia come sintesi di ricerca erudita e di visione generale del mondo, in una funzione di storia e filosofia che lo avrebbe portato più di una volta a conclusioni fondamentali nello studio del mondo antico.
In questo senso, ci sembrano illuminanti le risposte che il libro dà ai quesiti posti all'inizio. A spingere gli audaci ed esperti navigatori micenei verso queste coste del Mediterraneo occidentale forse non fu soltanto il bisogno di provvedere i metalli necessari alla durezza del proprio tempo, o la ricerca dell'allume per conciare le pelli, o la necessità di scambi e di commerci. La sfida dell'ignoto è stata sempre la molla che ha mosso i passi dell'uomo nel corso di tutta la sua storia. E sulle tracce degli Ulissidi - la cui eterna avventura è simboleggiata nel poema omerico - i Greci in epoca storica vennero spinti dalla grande crisi, ma ancor più dal bisogno di riacquistare la libertà perduta nelle poleis travolte dalla potenza degli stranieri.
In tempi diversi, questa terra del Sud significò sfida e libertà. E gli uomini forti e liberi che la popolarono la fecero grande. "Tutta l'Italia si riempì di uomini amanti del sapere - scrive nel quarto secolo prima di Cristo il filosofo tarantino Aristosseno - e mentre prima era ignoto, dopo, per merito di Pitagora, fu chiamata Grande Grecia, e in esso fiorirono in gran copia filosofi, poeti e legislatori; e fu da loro che i precetti dell'arte oratoria, i discorsi celebrativi e le leggi scritte passarono in Grecia".
Leggendo queste pagine e osservando queste immagini, la grandezza di quell'avventura umana ci si rivela nel suo conturbante fascino. è qui che il pensiero filosofico si volge dal problema della conoscenza alla vita dello spirito., e l'uomo si pone al centro dell'universo per capire le leggi che lo regolano e per andare oltre, nella conquista dell'immortalità, da perseguire non tanto nella psiche, quanto nell'intelletto, ma non senza il ricorso a rituali religiosi, che, come quelli orfici, venivano dalle scaturigini più lontane della cultura mediterranea, dal cretese culto dionisiaco.
Pitagora di Crotone, Parmenide di Elea, Ibico di Reggio, Nosside di Locri, Leonida di Taranto, che segnarono il cammino dell'uomo dando una nuova e diverso dimensione alla vita, riempiono della loro grandezza le pagine di questo libro, che tuttavia ci prende anche per le più semplici rispondenze tra quel che fummo e quel che siamo nei momenti più comuni della vita quotidiana. Non soltanto le grandi ragioni dello spirito e le eterne passioni, ma anche i passaggi soliti della condizione umana, quindi. Attilio Stazio, Dinu Adamesteanu, Giorgio Gullini, Piero Orlandino, Arpad Szabo, Marcello Gigante, Lidia Forti, Lucia Vagnetti, Attilio Frajese, Claude Rolley, Carlo Belli firmano i molti saggi necessari a questo tutto tondo della Magna Grecia.

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