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§
GALATEANA II
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NEBULO-ONIS |
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Giancarlo
Vallone
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Nella
nota 7 di un suo recente lavoro (1), A. Laporta dubita fortemente della
autenticità dell'epistola galateana da me pubblicata tempo fa
(2). Replicherò brevemente dato che i dubbi di Laporta sono niente
più che dubbi di Laporta. Anzitutto non so come egli creda di
entrare nel merito di simili questioni senza esame del manoscritto,
della carta, della filigrana, del ductus e così via. Ciò
è tanto più incredibile in quanto già nelle prime
righe del mio studio avvertivo che quest'epistola fu vergata da una
mano probabilmente identica a quella che aveva partecipato alla stesura
dell'autografo galateano attualmente custodito nella Vaticana. Insomma
tutto questo costituisce una questione preliminare ad ogni altra; ed
il fatto che qui non se ne debba discutere, basterebbe già ad
eliminare ogni discussione. Invece seguirò, per mera cortesia,
l'autore nei suoi ragionamenti di retroguardia.
Tra le molteplici cose che non si spiega Laporta, ce n'è per lui una "davvero inspiegabile", ed è la mancata utilizzazione da parte mia dell'elenco di epistole galateane pubblicato dal Welti (3). Egli crede anzi che se solo l'avessi fatto avrei tratto, come lui, seri dubbi sull'autenticità di quanto andavo pubblicando. Laporta, infatti, sembra credere che tra i poteri di quest'elenco ci sia anche quello di deporre per la genuinità di quanto v'è registrato e per la falsità di quanto è escluso. Ma si tratta di una candida illusione. Un simile potere non può a rigore presumersi nemmeno in un elenco approbatus dallo stesso Galateo qual è quello del Vat. lat. 7584, che esclude epistole di cui è impossibile impugnare la paternità galateana (4). Tutto ciò vale a maggior ragione per l'elenco cui Laporta si vorrebbe affidare; ch'è un elenco privato e che registra solo le epistole che il Bonifacio aveva del Galateo: e cioè non tutte e non necessariamente tutte autentiche. Infatti, trattandosi di un elenco privato, non è impossibile in via di principio che proprio tra le epistole registrate, ma non pervenuteci, - si annidasse qualche falso. Dopo averlo fatto io stesso, esorto, dunque, l'eventuale scopritore a fare grosso modo il contrario di quanto consiglia il Laporta: cioè l'esorto a non tenere conto dell'elenco bonifaciano, la cui probanza, per questioni di autenticità, è o marginale o nulla; ma a valutare, com'è doveroso, anzitutto con criteri intrinseci e partendo dal manoscritto. Veramente su qualcosa come un criterio intrinseco crede di poggiare anche Laporta, notando la corrispondenza tra brani della "mia" epistola ed altri brani galateani. E, da un "sia pur rapido confronto", deduce la falsità di quanto pubblicai. Ora è davvero sconcertante che chi ironizza, e con tanta sfortuna, sugli "entusiasmi" delle altrui scoperte, si conceda d'essere così improvvido e prematuro nelle proprie. Per non farla lunga, dirò che in un autore come il Galateo, che si ripete frequentissimamente, una corrispondenza tra brani ne dimostra, se mai, l'autenticità. Ed ecco le prove. Non mi soffermerò intanto su singoli termini, come nel "nebulones", che nessun serio falsario avrebbe preso per cosa notevole e riproposto a prova di autore. Nel Galateo traboccano parole di ampia attestazione classica, ma di scarsa circolazione nei ginnasi. Rintracciarle sarebbe un così sterile e lungo tormento che Siculi non invenere tyranni. Nemmeno mi soffermerò su quell'extremo Italiae angulo; oltre alla coincidenza notata dal Laporta, ve ne sono tante da pensare che Galateo quasi non sapesse come altrimenti indicare il Salento (5). Ma ecco delle frasi via via più,, articolate: "immanissima gens Turcarum" (6) e "immanissimam et efferatissimam Turcarum gentem" (7) E ancora: "fortissimorum virorum amores" (8) e "fortissimorum virorum opera" (9). Ancora: "Pontani iucundissimam consuetudinem, sales et suavissimos mores" (10) e "Alphonsi... suavissimos et iucundissimos mores" (11). Ancora, parlando degli antenati: "avus meus et proavus... sacerdotes graeci fuere" (12) e "avus et proavus meus graeci sacerdotes fuere" (13). Ancora: "nobilitas igitur sola est atque unica virtus" (14) e "an voluerit dicere quod nobilitas sit sola virtus" (15). Ce ne sarebbe già abbastanza: ed anzi si potrebbe pensare attivo nello stile del Galateo uno schematismo di flashes mentali, o meglio verbali, per definire idee o fatti o stati psicologici ricorrenti, quali, appunto, oltre questi, quelli segnalati dal Laporta, che appartengono per lo più ad epistole, entrambe autentiche, con lo stesso destinatario: e cioè il Barbaro. Per gli autori poi il Galateo usa spessissimo frasi stereotipe: Ennio è il suo "conterraneus" (16), e sarà poca cosa. Ma, ad esempio, Luciano è costantemente il "contemptor divum hominumque" (17) ed è già qualcosa di più. E che dire degli elogi di Venezia contenuti nel de educatione e nell'epistola al Loredan? Per una pagina intera, nell'uno e nell'altra, i concetti tornano con corrispondenza quasi matematica, e, naturalmente, anche le parole: "illa urbs est quae graecas et latinas literas custodit" (18) e "soli vos Veneti custodes sitis et graecae et latinae integritatis. Nulla esset latina, nulla graeca lingua si vos litteras, ut ceteri, excluderetis" (19). Ed ancora, parlando degli antichi greci; "contra Graecos, a quibus omnes ingenuas disciplinas accepimus" (20) e, altrove: "Groecis... a quibus omnes ingenuas, si quas habemus, disciplinas accepimus" (21). Potrei continuare; ma spero che basti. Che basti a considerare autentica la nuova epistola o, se proprio si vuole, falsa tutta l'opera galateana (22). Piuttosto è alquanto confuso il modo con cui il Laporta crede di impugnare la faccenda del Galateo "plinianum", Anzitutto, con Aristotele, non è Plinio che il Galateo porta con sé, ma le Castigationes del Barbaro. Inoltre non èil Galateo a definirsi "pliniano", ma i "nebulones" (sempre loro) di corte. Infine "plinianum" non deriva certo da "pliniari". Non da un punto di vista verbale, dato che entrambi hanno il loro fuoco lessicale in "Plinius": e nemmeno da un punto di vista "contenutistico": il soprannome, dato per scherzo al Galateo, esprime ben altra valenza dei "pliniari" che definisce la difesa ad oltranza fatta dal Collenuccio. Del resto tutte queste sono osservazioni marginali, se l'autenticità dell'epistola è, com'è, inoppugnabile. Sarà bene invece rammentare che Plinio è lodato, quasi ad ogni citazione, dal Galateo. Può darsi che, scrivendo al Barbaro, egli abbia pensato bene di accentuare i toni dell'adesione. Ma questo non costituisce di certo una forzatura, sia rispetto al generale atteggiamento galateano verso Plinio, sia rispetto all'epistola a Leoniceano. Anche qui, infatti, il Galateo riconosce: della pliniana "lectione magnopere delectatus sum" (23): con parole, cioè, che hanno corrispondenza nella nuova epistola a Barbaro, anche più evidentemente di quelle indicate dal Laporta. Ed il medico salentino ne esce bene; con una bella dimostrazione di onestà, di serenità di giudizio, di mancanza di opportunismo (24). Ancora il Laporta accenna a problemi cronologici non facilmente risolvibili; ma poiché non dà il metro del suo dubbio, la cosa non mi riguarda. Ed altrettanto potrei dire delle incongruenze lessicali che egli lamenta, senza indicarle: qui però io sospetto fortemente che le abbia individuate con quella scarsa competenza grammaticale di cui ha dato già prova (25). Ho finito; ma non taccio che c'è, nel fondo di questa nota, qualcosa di positivo. Ed è che il Laporta, nei suoi lavori galateani, accanto al vecchio atteggiamento di certezza (sul De Bello Hydruntino), raggiunge finalmente l'uso del dubbio. Ma quella è infondata e questo è velleitario: ed insomma il risultato è sempre lo stesso.
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